Intervento Augello Todisco su Pasolini

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Il neon dopo le lucciole
classe V P 2015-16 del liceo Galvani
Parte 1 (Lucia Augello)
Innanzitutto vorremmo chiarire il significato del nostro titolo, che riprende due immagini
fortemente icastiche e suggestive tratte rispettivamente da un articolo di Pier Paolo Pasolini e una
poesia di Franco Fortini. L’avvento della modernità è rappresentato dalla contrapposizione tra
queste due luci: da una parte la luce delle lucciole, evocativa di una dimensione arcaica in cui esiste
la possibilità di un contatto autentico con la natura e col sacro; dall’altra parte la luce del neon,
fredda, artificiale, emblema del post-moderno. Scrive Fortini: E anch'io ho saputo in una torma
oscura/ come la tua, ma a Bologna, una festa/ di bandiere rapprese; e poi, fra i resti/ dei cori, i
vecchi-infanti nella dura ira/ del neon.
Se per Pasolini questo mutamento è irreversibile, per Fortini la storia non è finita, non può esserlo, è
necessario costruire un futuro al di là della speranza nonostante la dura ira del neon. Alla luce del
nostro lavoro abbiamo voluto mettere insieme la lucida analisi di Pasolini e la speranza fortiniana: il
neon dopo le lucciole.
Per Pasolini l’immagine della scomparsa delle lucciole raffigura la problematica transizione da un
sistema di valori assoluti ad una realtà industrializzata in cui essi vengono meno, sostituiti dalla
cultura del consumismo. Si tratta in realtà del passaggio da una forma di fascismo ad un’altra,
ancora più pervasiva. Se i modelli fascisti del ventennio erano infatti maschere che non riuscivano a
intaccare davvero la coscienza degli italiani, questo nuovo fascismo inculca modelli che vengono
introiettati inconsapevolmente. Ci troviamo di fronte ad un nuovo Potere senza volto, il potere del
consumismo e delle logiche di mercato. Secondo Pasolini questa svolta epocale ha provocato un
mutamento antropologico irreversibile, ricreando e deformando le coscienze degli italiani. Anche la
lingua si trasforma: il linguaggio industriale denotativo e asettico vede lo slogan come unica
eccezione comunicativa, facendosi però portatore di un’espressività mostruosa. Nel momento in cui
viene pronunciata, la parola pubblicitaria diventa infatti autoreferenziale, portatrice di una verità
unica. "La finta espressività dello slogan è così la punta massima della nuova lingua tecnica che
sostituisce la lingua umanistica. Essa è il simbolo della vita linguistica del futuro, cioè di un mondo
inespressivo, senza particolarismi e diversità di culture, perfettamente omologato e acculturato ". La
pubblicità dei Jeans Jesus è uno degli esempi forniti da Pasolini. "Non avrai altro jeans all'infuori di
me" diventa quindi l'emblema della valenza sacrale assunta dalla merce e del rovesciamento dei
valori provocato dal consumo. Il mutamento antropologico è la causa di quello che Pasolini
definisce “genocidio culturale”, ovvero la distruzione sistematica delle sottoculture, sostituite da
una cultura egemone pervasiva. La più drammatica conseguenza è una sostanziale omologazione,
poiché ogni singolo individuo è un consumatore. Ciò determina la disgregazione delle barriere
sociali e la distruzione del fermento vitale e creativo più autentico. Nel mondo moderno l’uomo
ritiene di avere conquistato la libertà, ma si tratta di una libertà fittizia. Il sistema vigente è infatti
considerato la strada unica per il benessere, e non è possibile concepire un sistema alternativo
credibile.
Queste considerazioni sono ancora più sconcertanti se messe in relazione con il momento storico in
cui Pasolini scrive. Siamo nel pieno del ‘68, in un momento storico di forte rinnovamento sociale.
Eppure Pasolini dichiara: “Oggi la libertà sessuale della maggioranza è in realtà una convenzione,
un obbligo, un dovere sociale, un'ansia sociale, una caratteristica irrinunciabile della qualità di vita
del consumatore.” Le posizioni di Pasolini sul ‘68, sul divorzio e sull’aborto ci stupiscono e ci
lasciano perplessi. Ma per essere comprese esse devono essere colte in relazione alla sua analisi
sociale. La vittoria del fronte abortista e divorzista è dunque la vittoria delle logiche del
consumismo e di quel desiderio di falsa tolleranza e libertà fittizia tanto cara al mondo borghese
moderno. I capelli lunghi, simbolo di un'opposizione politica portata avanti anche attraverso
l'ostentazione esteriore della propria ideologia, sono svuotati di qualsiasi valenza profonda di
dissenso.
Nel suo ruolo di intellettuale Pasolini si trova molto spesso ad interloquire con altri intellettuali a lui
contemporanei, come Italo Calvino e Franco Fortini. Un’occasione di confronto ideologico con
Calvino viene fornita dalla discussione sul Delitto del Circeo, un caso di cronaca nera del 1975 che
ha grande risalto mediatico a causa dell'estrazione sociale dei responsabili, appartenenti all'ambiente
privilegiato e neofascista dei Parioli. Calvino individua in una parte marcia della borghesia, minata
dal retaggio fascista, la radice e la responsabilità di simili azioni. In un articolo scrive: "Nel nostro
tessuto sociale, fragile da sempre, si aprono crepe paurose come quelle da cui escono i giovani
carnefici del Circeo. (...) In altri Paesi la crisi è la stessa, ma incide in uno spessore di società più
solido". Occorre quindi individuare la parte malata della società e sanarla. La risposta di Pasolini è
durissima. Calvino viene accusato di restare in superficie, e quindi di non fornire alcuna spiegazione
delle cause dei fenomeni descritti. Ma soprattutto viene accusato di aver individuato un comodo
capro espiatorio, sulla base di una separazione tra un "voi" e un "noi" ormai inesistente. Viene
accusato infine di essere ancorato al passato e di appoggiarsi a certezze che non hanno più
fondamenta. Secondo Pasolini non esiste una parte malata e una parte sana della società. Non è
possibile individuare una differenza sostanziale tra gli assassini dei Parioli e quelli delle Borgate,
poichè essi condividono lo stesso orizzonte valoriale, quello del consumatore borghese. Il marcio
riguarda perciò l'intero Paese. Purtroppo Calvino non riuscirà mai a rispondere direttamente a
Pasolini, che morirà durante lo stesso anno. Tuttavia Calvino scriverà comunque una risposta a
tono, nonostante la commozione per la sua morte. Pur riconoscendo di essersi lasciato sedurre da
certezze ormai scadute, Calvino critica l'idealizzazione pasoliniana del passato, che porta
evidentemente con sé i germi della corruzione. Descrive inoltre Pasolini come promulgatore della
propria immagine di martire-testimone di una sua verità, di apportatore di scandalo ai fini di una
predicazione morale. E' però proprio nella sua capacità provocatoria, nel suo desiderio di creare una
morale nuova e nel suo costante porsi come figura critica in qualsiasi contesto che Calvino
individua il grande merito di Pasolini intellettuale.
Tracciando il profilo di Pasolini come intellettuale è necessario sottolineare come la parte critica sia
preponderante rispetto alla pars construens. Egli viene definito e definì se stesso come un
apocalittico: il mutamento antropologico avvenuto non lascia infatti alcuna speranza. Nel rapporto
con Fortini, questo elemento della personalità pasoliniana creerà contrasti tra i due, che si trovano a
dissentire su diversi aspetti. Secondo Fortini, l'idealizzazione che Pasolini opera del popolo come
forza vitale, istintiva, ma fondamentalmente ignorante, legittima l'idea che il popolo sia
biologicamente inabile alla democrazia e che necessiti di una classe dirigente che possa guidarlo.
Inoltre lo accusa di essere un decadente, un narcisista, di scadere nel personalismo, e soprattutto di
sfruttare l'industria culturale tanto criticata.
Parte 2 (Fulvia Todisco)
Nella nostra parte di ricerca abbiamo cercato di ritrovare i tratti più significativi del Pasolini
intellettuale in alcuni autori più vicini alla nostra generazione.
In primis, occorre delineare chiaramente la tipologia di intellettuale rappresentata da Pasolini e
contestualizzarla. L’intellettuale della prima metà del Novecento era ancora legato alla figura di
intellettuale nata, come propone Romano Luperini in una brillante intervista del 2013,
nell’Ottocento con l”Affaire Dreyfus” e capace di assumere il ruolo di mediatore tra il Sapere e la
Comunità ed anche, soprattutto in tempi più recenti, più vicini a Pasolini stesso, di dialogare con i
partiti, con le realtà politiche a loro coeve.
Possiamo considerare Pasolini come una personalità di passaggio da questa tipologia di intellettuale
ad una post-moderna in cui il “ruolo” dell’intellettuale viene sostituito dalla sua “funzione”.
L’intellettuale perde la sua aureola, il suo “ruolo” di guida e depositario della Cultura e comincia a
settorializzarsi, assume la “funzioni” di intrattenitore, di esperto.
Le caratteristiche di Pasolini del periodo corsaro che più gli permisero di distanziarsi
dall’intellettuale post-moderno furono senz’altro la percezione de “sacro”, più vicina alla realtà
campestre dell’Italia pre-industriale, e la sua capacità di impegnarsi ed esprimersi su quasi la totalità
delle contraddizioni politiche e di attualità del suo tempo. Quest’ultimo aspetto fu portato avanti da
Pasolini sempre con la finalità di una ricerca della verità mediata dalla sua personalissima visione
del mondo esterno, impregnata dalle sue esperienze passate, dalla sua estrema sensibilità e, in
particolare, dal suo narcisismo regressivo che contraddistinse sempre la sua produzione letteraria e
cinematografica.
Il primo autore in cui abbiamo ritrovato lo spirito critico nel ricercare verità antropologiche e sociali
è il filosofo, sociologo e accademico polacco Zygmund Bauman. Bauman s’interroga sulla
scomparsa dell’intellettuale “engagé” del primo Novecento nella sua opera del “La decadenza degli
intellettuali. Da legislatori a interpreti” e descrisse la società post-moderna come “liquida”, con
valori aleatori e spesso tra loro contrastanti, elemento pienamente preannunciato e descritto dal
Paolini corsaro. La citazione di Bauman è tratta dal libro “L’Istruzione nella società postmoderna”:
“Tutti i punti di riferimento che davano solidità al mondo e favorivano la logica nella selezione
delle strategie di vita (i posti di lavoro, le capacità, i legami personali, i modelli di convenienza e
decoro, i concetti di salute e malattia, i valori che si pensava andassero coltivati e i modi collaudati
per farlo), tutti questi e molti altri punti di riferimento un tempo stabili sembrano in piena
trasformazione. Si ha la sensazione che vengano giocati molti giochi contemporaneamente, e che
durante il gioco cambino le regole di ciascuno. Questa nostra epoca eccelle nello smantellare le
strutture e nel liquefare i modelli, ogni tipo di struttura e ogni tipo di modello, con casualità e senza
preavviso.”
Il secondo autore che ci ha fortemente ricordato Pasolini è la poetessa, da lui scoperta, Amelia
Rosselli. Amelia Rosselli rappresentò una figura fondamentale nella generazione poetica italiana
degli anni trenta, assieme a tanti altri nomi della letteratura italiana, e la sua produzione fu sempre
volta all’innovazione linguistica e tematica, ad una critica intimista della propria vita, ad un mettersi
a nudo necessario al fine di comprendere il mondo esterno.
La poesia che leggeremo è stata dedicata dalla poetessa a Pasolini, morto da pochi giorni.
“A Pier Paolo Pasolini
E posso trasfigurarti,
passarti ad un altro
sino a quell’altare
della Patria che tu chiamasti
puro…
E v’è danza e gioia e vino
stasera: - per chi non pranza
nelle stanze abbuiate
del Vaticano.
Faticavo: ancora impegnata
ad imparare a vivere, senonché
tu tutto tremolante, t’avvicinavi
ad indicarmi altra via.
Le tende sono tirate, il viola
dell’occhio è tondo, non è
triste, ma siccome pregavi
io chiusi la porta.
Non è entrata la cameriera;
è svenuta: rinvenendoti morto
s’assopì pallida.
S’assopì pazza, e sconvolta
nelle membra, radunata a sé
gli estremi.
Preferii dirlo ad altra infanzia
che non questo dondolarsi
su arsenali di parole!
Ma il resto tace: non odo suono
alcuno che non sia pace
mentre sul foglio trema la matita.
E arrossisco anch’io, di tanta esposizione
d’un nudo cadavere tramortito.”
La visione del “sacro” pasoliniana è ripresa dallo scrittore Pier Vittorio Tondelli che, nel suo
celebre romanzo “Camere Separate”, la descrive chiaramente nei testi che andremo a leggere. La
grande differenza che intercorre su questa tematica tra Pasolini e Tondelli è la conflittualità,
tipicamente pasoliniana, di conciliare la società, il mondo, l’Altro con una fortissima percezione del
sacro. Tondelli, invece, riuscirà nella sua produzione a elidere questa conflittualità e permettere a
queste due realtà, così in antitesi per Pasolini, di intersecarsi:
“Io non posso amare la religione del cilicio e della pena. Io vorrei amare la religione della pienezza.
Vorrei essere felice nella mia religione, perché la sto sentendo come un bisogno fisiologico, come
mangiare, come bere, come fare l’amore. Ma voi sembrate non capire questo. Io cerco di parlare
con sincerità, ma voi negate la mia stessa esistenza.”
“Così quella che lui chiama preghiera, altro non è che un atteggiamento di ascolto delle cose e degli
uomini, un osservare e contemplare, che ha a che fare con il suo stesso modo di essere. Non ha
altari davanti ai quali inginocchiarsi, non ha templi né simulacri a cui sacrificare; allora celebra
come liturgia la vita stessa. Avverte la presenza del sacro come qualcosa di tangibile nella realtà,
qualcosa su cui il suo sguardo si posa con devozione.”
L’ultimo autore preso in considerazione è il premio Nobel per la Letteratura del 2015, la scrittrice
bielorussa Svetlana Alexsievich, a cui si attribuisce l’invenzione di un nuovo genere letterario tra il
romanzo e il documentario, la non-fiction. Questa ricerca della verità fattuale precisa e composta ci
ha molto ricordato le indagini filosofiche e storiche del Pasolini corsaro sulla società
contemporanea.
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