L'amoroso virus
introduzione all'arte di Buioproduzioni
di Luca Molinari
Lo sguardo narcotizzato è una delle malattie con cui si deve confrontare l’arte contemporanea.
Molte delle esperienze contemporanee ricordano tanto la corsa agli armamenti durante la guerra fredda.
Una escalation di effetti, provocazioni, esposizione di muscoli, dichiarazioni d’intenti e aggressività,
che ha trasformato molti artisti in opinion-maker o esperti di marketing più intenti a rincorrere il
carrozzone delle biennali-triennali-quadriennali-documenta che a cercare il silenzio dentro.
Fare arte è prendere posizione.
Fare arte è cercare uno sguardo per decifrare il mondo, senza bisogno di offrire soluzioni.
Fare arte comporta un atto di amore disperato, a volte inconsapevole, sicuramente egoista, per il mondo
che ci circonda.
Fare arte è cercare di azzerare il rumore intorno.
Fare arte è disturbare senza offendere, ma se qualcuno si sentisse troppo turbato, beh, affari suoi.
Fare arte è offrire una finestra aperta dove non avevi neanche visto il muro.
Come è difficile offrire un riparo dove lo sguardo possa soffermarsi senza sentirsi ammaliato o
aggredito. Viviamo spesso, infatti, con la consapevolezza di aver già visto tutto, di non avere più spazio
dentro per una nuova emozione, per un particolare inaspettato.
L’opera d’arte, allora, dovrebbe essere come un virus, che si installa fatalmente nel nostro sistema e che
comincia a farne saltare piccole porzioni, creando legami e contatti inaspettati.
Non c’è bisogno che il virus destabilizzi completamente; le rivoluzioni servono solo a scatenare
reazioni altrettanto rigide e violente.
Bastano due collegamenti invertiti, una password annullata, un file resettato per obbligare il sistema a
cercare soluzioni alternative, magari scoprendo risorse dimenticate.
Questa la funzione dell’arte oggi. Un virus silenzioso, insidioso, che scardina dentro, senza lasciare
tracce in superficie. Un tarlo meraviglioso che lavori lento ma inesorabile, cambiando i sistemi più
profondi.
E allora, una mattina ti svegli, nello stesso letto, al fianco della stessa persona e di colpo la realtà
sembrerà sottilmente diversa.
Guardi a cose mai viste prima, ascolti suoni che sembravano scomparsi, usi parole inaspettate, cerchi il
contatto dove prima sfuggivi inorridito. E queste tracce si mescoleranno con la vita di tutti i giorni,
quasi senza fartene accorgere, diluite nei gesti, negli sguardi, nelle persone di sempre.
Ma questo perché il virus è stato concepito guardando ossessivamente dentro il mondo che viviamo.
Solo una ossessione amorosa può guidare la costruzione del virus.
Si tratta di un pensiero fisso che costringe a cercare e che fa guardare a mondi dimenticati dagli altri.
Una ossessione che guida un lavoro certosino, da fine artigiano che conosce a fondo i suoi strumenti e li
adopera per portare alle estreme conseguenze l’opera e i suoi risultati.
Un lavoro disperato perché non conoscerà mai fine.
Ma la pace non la si trova alla conclusione, presunta, di una opera, ma durante il processo che la genera;
solo in quella fremente energia, che avvolge i pensieri e l’attività, si riesce a trovare un punto armonico
tra le ossessioni e il sogno a cui si tende. E per lavorare con la materia dei sogni bisogna innanzitutto
modellare il dono della ossessiva precisione.
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Il gesto artistico delle Buioproduzioni, in questa direzione, è un sedimento che costruisce per lenta
sovrapposizione e assimilazione. E’ quotidianità che sacralizza il reale, i suoi protagonisti, i suoi
oggetti, liberandoli da quella patina di superficialità che siamo costretti a subire senza quasi
accorgercene.
Cammino in uno stretto corridoio, pareti strette puntellate da centinaia di immagini. Ognuna con un
spillo, ognuna con una targhetta che l’accompagna. Sono tantissime ma è come se fossero una sola.
Sono nuvole catturate da un acchiappacirri, uomo solitario che passa il tempo a guardare in su, e anche
quando sembra vivere normalmente, la sua mente continua a vagare alta nel cielo, trasformandosi.
I nomi nascono da un innamoramento appassionato e che non conosce gelosie.
“Madamina il catalogo è questo delle belle che amò il padron mio. Osservate e vedrete con me”
Il collezionista di una serie che sarebbe tanto piaciuta a Borges e che, insieme, esprime l’urgenza di un
metodo con cui guardare e, forse, vivere nella realtà. Ogni metodo, per quanto paradossale, ha una sua
coerenza interna, una sua metodicità che spiana le strade e tranquillizza, talvolta, le menti.
Insieme al metodo, il gesto. Ripetuto, ossessivo, infinito, autorigenerante. Macchinistico.
E’ il sogno della modernità: un gesto razionale ripetibile all’infinito; un gesto che si fa sistema, mondo,
universo: è il Corridoio delle Nuvole.
I nostri due autori delle Buioproduzioni, perché è di una coppia che stiamo parlando, amano giocare con
la scienza. Forse per l’ambizione di trovare la pietra filosofale, forse per l’urgenza di trovare
semplicemente un poco di pace, da buoni occidentali, devono mescolare sogno a scienza per placare i
possibili sensi di colpa.
Ma in fondo ognuna delle macchine celibi concepite da Andrea Pedrazzini e da Umberto Parenti, i due
delle Buioproduzioni, è come uno di quei modelli settecenteschi che incontriamo nei musei della
scienza sparsi nella vecchia Europa.
Iperboli creative e tecnologiche che nascono dal tentativo di dare forma concreta a una idea teorica, a
una formula matematica.
Oggetti che spesso nascono piegando all’uopo manufatti domestici che di colpo diventano delle
macchine per produrre nuove teorie.
Ma ormai lo scienziato non riesce più a prendersi sul serio come una volta, visti i danni prodotti negli
ultimi due secoli, e lentamente si è persa quella dimensione eroica, mefistofelica e casalinga
dell’esperimento fatto in casa con l’idea di cambiare il mondo.
Ma sono rimasti i manufatti e la loro capacità di generare inaspettati risultati e insieme un atteggiamento
sistematico, visionario e ironico: presupposti fondamentali per avvicinarsi ad un’ipotesi di umanità
possibile.
E così i nostri due continuano con certosina follia a montare macchine per muovere mondi, anche solo
di un centimetro.
Tavoli, cassettiere, armadi, cassapanche, uccelliere o intere stanze si prestano inaspettatamente ad
accogliere esperimenti d’ombra e luce, viaggi nel mondo delle visioni, classificazioni di razze estinte,
esseri da nascondere alla vista del genere umano.
E tutto è costruito con minimi scarti, dettagli irrilevanti ma fondamentali, inviti gentili che invogliano
ad aprire una porta sconosciuta e ad entrare. La lingua è colta, mai scontata, frutto di una ricerca
profonda, sempre controcorrente ma non necessariamente eroica in quanto frutto di una libera scelta.
Le matrici sono multiple: Duchamp, Tinguley, l’Encyclopédie, Arman,, Faust, Piero della Francesca e
Mantenga, Borges, Sterne e Calvino, Leonardo e Vesalio, la cultura contadina ed il bollito, Dada,
Kandinsky, Balthus, Mattotti ecc.
Sta a voi trovare quello che ci vorrete vedere.
L’unica cosa importante è che abbiate il coraggio di aprire almeno una volta uno di quei cassetti.
Dopo di che.. buon viaggio.