1 Modulo 20: Produttività marginale e prezzo dei fattori 20.1. La natura della domanda dei fattori Senza particolari indugi, chiediamoci immediatamente cosa determina la remunerazione che spetta a ciascuno dei fattori della produzione in un economia di mercato concorrenziale? Nella teoria della produzione, abbiamo accennato ai prezzi dei fattori nel contesto delle scelte che l’impresa compie per ottimizzare la combinazione dei fattori.1 In effetti, un primo importante passo da compiere consiste nel sottolineare come la teoria della distribuzione del reddito rappresenti una caso particolare della teoria della formazione dei prezzi applicata al caso dei fattori della produzione: con riferimento all’unità di fattore, il salario è il prezzo del lavoro, la rendita il prezzo della terra e l’interesse è il prezzo del capitale. Come ogni prezzo, possiamo attenderci che anche quello dei fattori si formi dall’interazione tra domanda e offerta, dunque l’interrogativo che sorge è il seguente: ci sono differenze rilevanti da approfondire circa la natura di domanda e offerta di un fattore della produzione rispetto a quella di un bene? In effetti sì, per due ragioni principali: 1. Nel caso dei fattori della produzione abbiamo a che fare con domande derivate; 2. Le domande dei fattori sono tra di loro interdipendenti. Cerchiamo di sviluppare meglio questi punti considerando la domanda di spazio per uffici, che costituisce un importante fattore della produzione per molti tipi di aziende. Le domande derivate dei fattori. Un istituto che “produce” studi e ricerche avrà bisogno di prendere in affitto spazi per gli uffici dei propri ricercatori e per il personale amministrativo. In ogni zona di una città, una curva di domanda con pendenza negativa dello “spazio per uffici” mette in relazione la quantità di spazio richiesto dalle società con il prezzo del fattore: minore è il canone d’affitto da corrispondere o il prezzo d’acquisto, maggiore sarà lo spazio che le società desiderano occupare. Tra le domande dei consumatori e le domande dei fattori delle imprese esiste però una differenza sostanziale: i consumatori richiedono beni finiti, come le ricerche nel nostro esempio. Poiché tali beni di consumo procurano un’utilità immediata, mentre una impresa acquisisce degli input, come lo spazio per gli uffici il loro impiego consente di produrre e guadagnare. Il concetto di soddisfacimento è quindi legato agli input in modo indiretto. Precisamente è la soddisfazione che ottengono i consumatori a determinare la quantità domandata di fattori; 1 Cfr. Modulo 8, pag. 9. 2 ovvero il numero di dipendenti da assumere e lo spazio da occupare per gli uffici. Tanto più il prodotto “ricerca” ottiene successo, tanto più la curva di domanda per uffici si sposta verso destra. Un’analisi della domanda di input deve pertanto tenere presente che le domande dei consumatori determinano, in ultima analisi, la domanda di spazio per uffici da parte delle imprese. È ovvio che questo ragionamento non è limitato al caso specifico preso in esame. La domanda dei consumatori determina la domanda di tutti i fattori di produzione; dai terreni agricoli al petrolio, dai forni per le ceramiche al luppolo per la birra; persino di professori universitari. In base a queste osservazioni, gli economisti definiscono domanda derivata la domanda dei fattori della produzione. Ciò significa che le imprese richiedono un input perché questo consente loro di produrre un bene che, a loro volta, i consumatori desiderano in quel momento o richiederanno in futuro. La Figura 20.1 traduce tutto ciò da un punto di vista analitico. È riportato l’esempio precedente dell’istituto di ricerca, ponendo in evidenza come la domanda del fattore produttivo (Figura 20.1/destra), deve considerarsi collegata alla domanda del bene finale (Figura 20.1/sinistra). Le domande interdipendenti dei fattori. L’attività del produrre è frutto di uno sforzo congiunto. Una motosega da sola non basta per abbattere un albero e un boscaiolo, senza alcun tipo di arnese non è in grado di portare a termine il suo compito. Il altri termini, la produttività di un fattore, dipende dalla quantità degli altri fattori produttivi che interagiscono con esso. Sir William Petty, economista inglese del XVII secolo (Hampshire, 1623 – Londra, 1687) ha espresso tale concetto attraverso la seguente argomentazione: il lavoro è il padre del prodotto e la terra è la madre. Siamo forse in grado di stabilire chi è più importante nel generare un figlio, se il padre o la madre? Figura 20.1: Domanda di un bene e domanda “derivata” dei fattori Domanda “derivata”dei fattori (uffici) Domanda del bene (ricerche) pB pF DB DF qB qF 3 Allo stesso modo, è generalmente impossibile stabilire la quantità di output generata da uno solo dei diversi input considerati singolarmente. È proprio questo tipo di “interdipendenza della produttività” che si stabilisce tra i fattori che rende la teoria della distribuzione del reddito un argomento piuttosto complesso. Supponiamo infatti di dover ripartire l’intero output di una nazione. Se la terra “singolarmente” avesse prodotto una certa quantità, il lavoro singolarmente un’altra quantità e il capitale tutto il resto non computato nei precedenti quantitativi; la distribuzione sarebbe semplice: in base alla legge della domanda e dell’offerta, se ciascun fattore, per proprio conto, avesse prodotto una certa quota di produzione, riceverebbe per intero il risultato del suo contributo. Ma abbiamo intuito, anche attraverso il prezioso esempio di Sir William Petty, che la frase “se ciascun fattore singolarmente avesse prodotto” non sta in piedi.2 Come si può definire l’apporto dato alla produzione di un piatto di pasta del gas naturale impiegato per la cottura? E il contributo della pentola in acciaio inox 18-10? La risposta a questi dilemmi va comunque ricercata proprio nella possibilità di scomporre le interazioni di produttività a cui si è accennato poc’anzi, cercando di identificare una misura dei singoli contributi al processo produttivo. 20.2. Richiami dalla teoria della produzione Per sviluppare una teoria della produzione, come abbiamo visto nel Modulo 7, siamo partiti da uno strumento di primaria importanza, ovvero la funzione di produzione. Tramite questa espressione analitica, abbiamo definito un importante indicatore del rapporto che intercorre tra fattori e produzione totale; ovvero il prodotto (o produttività) marginale. 3 Sempre nel medesimo ambito, abbiamo fatto riferimento alla legge dei rendimenti di scala decrescenti, soprattutto in relazione al fattore lavoro, ma in generale, applicabile al contributo fornito da ogni input che varia relativamente a quantità fisse degli altri fattori. Sappiamo che un altro modo per definire la tale legge è associare, ad unità aggiuntive di input, un prodotto marginale decrescente. Gli strumenti che abbiamo analizzato nella teoria della produzione possono esserci utili in questo frangente per agganciarci ad un concetto chiave per la teoria della distribuzione del reddito, ovvero il concetto di prodotto marginale in termini di valore. Che significa? Supponiamo di gestire una grande fabbrica che opera nel settore tessile. Siamo in grado di sapere il contributo in termini di prodotto di ogni lavoratore aggiuntivo, ovvero quanti blue jeans produce, ma il nostro desiderio è la massimizzazione del profitto, misurato in euro, dato che i nostri stipendi sono pagati in euro (non in jeans), così come i dipendenti desiderano 2 In effetti Sir William Petty, che alcuni considerano il primo vero econometrico della storia, ne capiva qualcosa in tema di distribuzione del reddito. Non a caso, Oliver Cromwell, dopo l’invasione dell’Irlanda, attorno al 1650, affidò a lui il compito di quantificare il bottino e studiare un modo per ripartirlo tra i vincitori. 3 Cfr. Modulo 7 – Definizione 7.1, pag. 4 4 essere pagati in euro piuttosto che in capi di vestiario. È quindi necessario uno strumento che consenta di calcolare il guadagno di euro apportato da ciascuna unità addizionale di input. Definizione 20.1: Il prodotto marginale in termini di valore, relativo all’input X è il ricavo aggiuntivo generato da un’unità addizionale di tale input. Ricordando cosa ciò significhi, sappiamo che quando i mercati operano in regime di concorrenza perfetta è facile calcolare il prodotto marginale in termini di valore. Questo perché, ciascuna unità del prodotto marginale di un lavoratore può essere venduta al prezzo di mercato concorrenziale dell’output. Inoltre, dato che in concorrenza il prezzo di mercato dei beni non è influenzato dalla quantità venduta dall’impresa, il ricavo marginale è uguale al prezzo. Torniamo dunque alla fabbrica di jeans e ipotizziamo che il prodotto marginale del lavoro è pari a 300 paia. Con un prezzo di mercato pari a 50€, il valore monetario dell’output prodotto dall’ultimo lavoratore (abbiamo detto il prodotto marginale del lavoro in termini di valore) sarà pari a 15000€. Dunque, in concorrenza perfetta il “valore di ciascun lavoratore” per l’impresa è pari al valore monetario del prodotto marginale. Come nel caso della teoria della produzione ci siamo concentrati sul fattore lavoro, ma è facile estendere questa considerazione agli altri fattori della produzione, poiché non esistono differenze sostanziali. 20.3. La domanda di fattori Da dove proviene la domanda di spazio per uffici che abbiamo rappresentato in Figura 20.1? Abbiamo detto che essa deriva dalla domanda di ricerche che l’istituto produce, ma possiamo definirne determinanti più specifiche? Per capire questo mettiamoci di nuovo nell’ottica di una azienda che mira a raggiungere il suo scopo in quanto soggetto economico che svolge l’attività del produrre, ovvero la massimizzazione del profitto. Nel caso della concorrenza perfetta avevamo ottenuto la nota relazione di uguaglianza tra prezzo e costo marginale (per comodità, chiamiamo il prezzo di mercato semplicemente p).4 p Cm (20.1) Sappiamo dalle più basilari nozioni di matematica che se moltiplichiamo ambo i membri dell’uguaglianza (20.1) per uno stesso numero il risultato non cambia. Facciamo che questo numero sia proprio la produttività marginale di un qualunque fattore della produzione, diciamo X. 4 Cfr. Modulo 9 – Equazione (9.3), pag. 5. 5 p Pm X Cm Pm (X ) (20.2) A sinistra dell’uguale nella (20.2) avremo il prodotto marginale in termini di valore del fattore X, a destra il prodotto tra il costo marginale e il prodotto marginale del fattore X. Senza che sia necessario dimostrarlo, attraverso un semplice passaggio algebrico, otteniamo che a destra dell’uguale abbiamo l’aumento di costo totale derivante da un incremento unitario di fattore X nel processo produttivo, quindi nient’altro che il prezzo del fattore X, ovvero il salario (pL) se X è il fattore lavoro (L) e la rendita (pT) se X è il fattore terra (T). Riepilogando: Definizione 20.2: La combinazione di input che massimizza i profitti di una impresa in concorrenza perfetta si ha quando il prodotto marginale in termini di valore è uguale al prezzo dell’input stesso. Grazie a questo importante risultato possiamo rileggere e completare anche la condizione di combinazione ottima dei fattori. Ovvero, dato un certo livello di output, i costi sono minimizzati se per ogni fattore della produzione, il rapporto tra la produttività marginale e il suo prezzo è uguale all’inverso del ricavo marginale (cioè il prezzo di mercato del bene, dato che siamo in concorrenza perfetta). Pm L Pm T 1 ... pL pT p (20.3) A questo punto siamo in grado, così come ci eravamo prefissati in apertura, di dare informazioni più dettagliate circa la domanda di fattori della produzione. Abbiamo detto che l’impresa massimizza il profitto scegliendo quelle quantità di input tali per cui il prezzo di ciascun input eguaglia il prodotto marginale in termini di valore dell’input stesso. Questo significa che proprio lo schema del prodotto marginale in termini di valore di un fattore ci fornisce la relazione tra prezzo e quantità di input “domandato” da una impresa. È dunque facile capire le relazioni che conducono ad elaborare la Figura 20.1 ove, per definire la domanda di un fattore, poniamo in ascissa la quantità domandata dall’impresa e in ordinata il prezzo del fattore che in condizione di massimizzazione del profitto, abbiamo detto, è uguale al prodotto marginale in termini di valore. Si noti, infine, che una conseguenza diretta della condizione in (20.3) è la cosiddetta regola della sostituzione. Ovvero, se il prezzo di uno dei fattori aumenta, mentre gli altri rimangono invariati, all’impresa conviene sostituire il fattore più costoso con gli altri. Ad esempio un aumento dei salari ridurrà il rapporto Pm(L)/pL, le imprese reagiranno dunque aumentando gli altri fattori fino a ristabilire la relazione tra produttività marginali per euro speso. 6 20.4. Offerta di fattori e determinazione del prezzo Un’analisi completa relativa alla formazione dei prezzi dei fattori, richiede di considerare il lato dell’offerta. In questo caso le considerazioni variano a seconda del fattore su cui ci si concentra. In una economia di mercato, la maggior parte dei fattori della produzione sono di proprietà privata: gli individui possiedono il loro lavoro, nel senso che ne controllano l’impiego. Oggi questo importantissimo “capitale umano” può essere solamente ceduto in affitto e non venduto. In generale, il capitale e la terra sono detenuti privatamente dalle famiglie. Le decisioni relative all’offerta di lavoro dipendono da numerosi fattori economici e non economici. Gli elementi che determinano l’offerta di lavoro sono il prezzo del lavoro e fattori demografici, quali età, sesso, livello di istruzione e composizione familiare; la quantità di terra e, nel complesso, la dotazione di risorse naturali è determinata dalla conformazione geologica e non può essere modificata radicalmente, anche se la qualità della terra è influenzata dalla tutela ambientale, dai modelli di insediamento e da altre opere di valorizzazione. L’offerta di capitale dipende dagli investimenti effettuati dalle imprese, dalle famiglie e dallo Stato. Nel breve periodo il capitale, ma anche la terra, può essere considerato fisso, mentre nel lungo periodo l’offerta di capitale è sensibile a fattori economici quali i redditi e i tassi di interesse. A differenze dei beni di consumo, una “generica” curva di offerta di fattori può avere pendenza positiva, negativa o può essere verticale. Per quanto attiene la maggior parte dei fattori, nel lungo periodo l’offerta dovrebbe comunque essere correlata positivamente con il prezzo, in questo caso la curva di offerta sarebbe crescente. Tuttavia, come anticipato, questo argomento di base si arricchisce di alcune considerazioni specifiche a seconda del fattore considerato. Ad esempio, secondo alcune impostazioni, l’offerta di terra non sia influenzata dal prezzo e che quindi debba essere trattata come perfettamente anelastica, ovvero rappresentata da una curva verticale. Inoltre, in alcuni casi particolari, quando il rendimento dei fattori aumenta, è addirittura possibile che i proprietari riducano la quantità del fattore offerta sul mercato. Come sarà meglio spiegato nel modulo successivo, se ad esempio gli individui ritengono di potersi permettere di ridurre le ore lavorative quando i salari aumentano, la curva di offerta di lavoro potrebbe presentare una pendenza negativa, anziché positiva, in corrispondenza di livelli salariali elevati. Infine, ricordiamo che per ottenere domanda e offerta di mercato dei fattori, in analogia con quanto abbiamo fatto con i beni, si procede ad una semplice “somma orizzontale” delle quantità domandate e offerte per ciascun livello di prezzo, da tutti gli operatori di mercato. Come ormai sappiamo bene dai nostri studi pregressi, abbiamo ora tutte le carte in regola per effettuare una analisi di equilibrio, osservando l’incontro tra domanda e offerta di mercato 7 (dei fattori). La situazione descritta è riportata analiticamente in Figura 20.2. si osservi la particolare forma della curva di offerta, in ossequio alle caratteristiche appena descritte. Figura 20.2: Condizione di equilibrio nel mercato dei fattori OF pF pA pE EF pB DF qE qF Come noto, la condizione di equilibrio è determinata dall’incontro tra domanda e offerta (EF: pE, qE). Al prezzo del fattore pE, la quantità che i proprietari dei fattori sono disposti a offrire eguaglia esattamente quella richiesta dalle imprese (pE). Se il prezzo fosse più basso (pB) gli acquirenti, smaniosi di accaparrarsi maggiori quantità di fattore eserciteranno un pressione che determinerà un aumento del prezzo. Sappiamo per esperienza cosa accade se il prezzo fosse più alto del prezzo di equilibrio (pA). Le questioni che abbiamo sviluppato in questo paragrafo possono trovare una prima immediata applicazione che ci consente di capire perché le disparità di reddito sono spesso tanto elevate. La Figura 20.3 rappresenta i mercati di due categorie di lavoratori: i chirurghi e i dipendenti di fast-food.5 L’offerta di chirurghi è strettamente limitata dal tempo e dai costi che una laurea in medicina e una specializzazione comportano; così come dalla necessità di ottenere una abilitazione professionale. Possiamo quindi affermare che l’offerta di chirurghi è piuttosto rigida (in figura è stato riportato il caso estremo di una offerta perfettamente anelastica). Ogni aumento della domanda di operazioni chirurgiche e altre prestazioni sanitarie si rifletterebbe in un aumento notevole dei prezzi e in un modesto, se non nullo, aumento dell’output (Figura 20.3/sinistra). All’estremo opposto troviamo i dipendenti dei fast-food. il loro lavoro non richiede alcun titolo di studio o specializzazione ed è praticamente aperto a tutti; l’offerta sarà dunque molto elastica. In questo caso valgono considerazioni speculari rispetto al caso precedente: il numero di candidati a questo lavoro è molto elevato e ciò spinge i salari verso livelli molto bassi. 5 Samuelson e Nordhaus (1996). 8 Figura 20.3: Mercato di due categorie di manodopera: chirurghi e dipendenti di fast-food Mercato dei chirurghi pB Mercato dei dipendenti di fast-food pB OC DC OD DD qB qB Questo esempio dimostra come le differenze di reddito non dipendono dunque dal caso, quanto piuttosto dalle forze di domanda e offerta, le quali fanno in modo che i fattori con offerta limitata o domanda elevata, presentino rendimenti elevati, associati ad un elevato prodotto marginale in termini di valore. Se un fattore, come i chirurghi, inizia a scarseggiare, ad esempio perché una quota maggiore di risorse è indirizzata alle prestazioni di chirurgia ma l’offerta di chirurghi è limitata, il prezzo di questo fattore salirà e i chirurghi tenderanno a percepire redditi più elevati. D’altra parte, se la domanda di psichiatri diminuisce, ad esempio perché il sistema sanitario nazionale o le assicurazioni private escludono le spese per prestazioni di questo tipo, o anche in ragione del fatto che sostituti immediati, quali gli assistenti sociali o gli psicologi, sottraggono pazienti agli psichiatri, o ancora perché i soggetti riducono spontaneamente le visite psichiatriche, il reddito di queste categorie diminuirà. Ciò che la concorrenza dà, la concorrenza riprende! 20.5. La distribuzione funzionale del reddito Dopo aver esposto la teoria della distribuzione basata sulla produttività marginale, possiamo tornare alla domanda con cui abbiamo aperto il modulo: in un mondo caratterizzato da concorrenza, in che modo i mercati distribuiscono il prodotto nazionale tra due o più fattori di produzione? Una approccio molto semplice per rispondere a questa domanda è presente nella teoria proposta da John Bates Clark (Providence, 1847 – New York, 1938), economista della Columbia University. Questa teoria può essere applicata ai mercati concorrenziali per qualsiasi numero di prodotti finiti e di fattori, ma risulta più facilmente comprensibile se si considera un mondo semplificato in cui si produce un unico bene e dove tutti i conti sono in termini reali: il prodotto, che potrebbe essere blue jeans o un qualsiasi paniere di beni, verrà indicato con Q, fissando inoltre il prezzo di tale prodotto a 1 è possibile mantenere la 9 discussione in termini reali, dove il prodotto è Q e il salario è il salario reale in termini di beni o di Q. Con questi presupposti, una funzione di produzione indica la quantità di Q prodotta per ciascuna quantità di lavoro L e terra T. Essendo p=1, in concorrenza perfetta il prodotto marginale del lavoro in termini di valore equivarrà al prodotto marginale del lavoro, che dunque, a sua volta, sarà anche uguale al salario. Riprendiamo ora l’esempio agricolo classico per presentare il contributo di Clark. Se ci poniamo in un’ottica di rendimenti di scala decrescenti, il prodotto marginale di un primo bracciante è elevato poiché egli dispone di grandi quantità di fattore terra, mentre il prodotto marginale di un secondo lavoratore sarà leggermente inferiore. Dato però che tra i due non sussistono differenze di sorta in termini di competenze, entrambi dovranno percepire il medesimo salario. Ma a quanto ammonta questo salario? Sarà uguale al prodotto marginale del primo o del secondo bracciante? O ad una media dei due? Si noti che in regime di concorrenza i produttori non assumeranno mai il secondo bracciante se il salario di mercato che devono pagare supera il suo prodotto marginale. Di conseguenza, in condizioni di concorrenza perfetta, i braccianti percepiscono una salario pari al prodotto marginale relativo all’ultimo bracciante. Questo genera un eccesso di output dato che il prodotto marginale di tutti i lavoratori precedenti è maggiore del prodotto marginale dell’ultimo. Questo sovrappiù è trattenuto dai proprietari della terra, sotto forma di rendita. È forse questa una forma di sfruttamento, dato che i proprietari terrieri percepiscono una rendita senza fare nulla, sulle spalle dei poveri agricoltori? “Tecnicamente” no! I proprietari terrieri operano anch’essi in un mercato concorrenziale; così come i lavoratori competono per ottenere un posto di lavoro i proprietari terrieri competono tra di loro per assumere i lavoratori. La Figura 20.4 mostra che la curva del prodotto marginale del lavoro fornisce la domanda di tutti i datori di lavoro in termini di salari reali (cioè in termini di bene Q). La forza lavoro costituisce l’offerta di lavoro OL, e al solito il salario di equilibrio è definito dal punto E. Figura 20.4: Prodotto marginale e reddito pL OL R E pE DL S qE qL 10 I salari totali sono dati dal prodotto pE per qE, il cui risultato è equivalente all’area del rettangolo S (verde). Di conseguenza, l’area della figura triangolare sovrastante, indicata con R (bianca) misura proprio l’eccesso di output prodotto ma non distribuito ai lavoratori, quindi, in questo caso semplificato, la parte trattenuta dai proprietari terrieri sotto forma di rendita. Le dimensioni dell’area R dipendono dalla misura in cui il prodotto marginale del lavoro diminuisce all’aumentare delle unità di lavoro impiegate, ovvero “da quanto sono decrescenti” i rendimenti di scala decrescenti. Se vi sono pochi terreni molto fertili i rendimenti decrescenti di unità aggiuntive di lavoro saranno elevati e la parte di rendita cospicua. Al contrario, in presenza di vaste estensioni di territori di confine in attesa di essere disboscati, la tendenza ai rendimenti decrescenti può essere minima, così come la rendita dei terreni. Nei mercati concorrenziali la domanda dei fattori è determinata dai prodotti marginali dei fattori stessi, di conseguenza la remunerazione dei fattori della produzione (cioè la distribuzione del reddito tra di loro) è determinata dai principi che sottendono la formazione del prodotto marginale. Questa conclusione è assolutamente valida per qualunque fattore della produzione si possa prendere in considerazione. Possiamo quindi osservare che la teoria della distribuzione funzionale del reddito è compatibile con la determinazione concorrenziale dei prezzi di qualsiasi numero di beni prodotti con qualsiasi numero di fattori.6 6 Cfr. Samuelson e Nordhaus (1996) e Gobbi (2005).