Oncologia 19 ottobre I parte - Digilander

19/10/2004
I partePer trattamento di un tumore s’intende la somministrazione per via sistemica e più
raramente per via locoregionale di sostanze che possono essere naturali, di sintesi o
cellule che vanno ad interferire in maniera diretta o indiretta col processo di crescita,
proliferazione e progressione delle cellule tumorali. nonostante i notevoli progressi
compiuti in ambito terapeutico, la chemioterapia resta uno degli
Principi della chemioterapia :la chemioterapia è la metodica più adoperata nella cura
dei tumori, strumenti più efficaci nella cura dei tumori.
Un chemioterapico non uccide una quantità definita di cellule ma una frazione
costante di cellule dipendente dalla massa tumorale.
Nel grafico è mostrata la crescita del tumore ogni volta che si somministra una dose
di farmaco, una quantità di cellule muore. Nell’intervallo di tempo tra una
somministrazione e l’altra la massa tumorale prende a ricrescere, finché un’ulteriore
dose di farmaco non torna a ridurre nuovamente il numero delle cellule tumorali.
La somministrazione del chemioterapico a intervalli di tempo è dettata dalla tossicità
di questi farmaci. Poiché come detto in precedenza durante l’intervallo di
somministrazione il tumore riprende a crescere bisogna valutare la dose a intervalli di
tempo corretti per indurre pian piano la riduzione del numero delle cellule tumorali,
ecco perché la chemio si fa a cicli distruggendo di volta in volta una frazione di
cellule fino all’eradicazione delle cellule residue tumorali.
In contraddizione a quello sin qui detto emerge che nella realtà la quantità di cellule
che viene a morte non è mai la stessa per ottimizzare il trattamento possiamo
ricorrere a diverse strategie:
- Polichemioterapia: usiamo farmaci diversi combinandoli insieme . Tali farmaci
avranno diverso meccanismo d’azione in modo che vengano somministrati a
dosaggi diversi e con somministrazioni diverse. Il tutto ha come scopo la
distruzione di più cloni cellulari possibile
- Chemioterapia di tipo sequenziale
- Cercare di aumentare le intensità di dose o la densità di dose
- Chemioterapia ad alte dosi
Combinazione di chemioterapici:
disponiamo di chemioterapici con vari meccanismi d’azione tipici di ciascuna classe
di farmaci la strategia che può essere adottata consiste nell’associare farmaci con
diversi meccanismi d’azione e con effetto sinergico dandoli assieme. Ovviamente i
farmaci da associare non devono avere una cross resistenza , dobbiamo combinare
farmaci attivi nei confronti della malattia ovvero farmaci per cui la malattia non sia
resistente ma sensibile.
Bisogna combinare farmaci diversi, di categorie diverse se vogliamo superare le
resistenze di certi cloni cellulari, non ha senso adoperare farmaci simili che non
consentono il superamento delle resistenze.
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I chemioterapici hanno importanti profili di tossicità quando vengono associati a
scopo sinergico o additivo bisogna sceglierli con tossicità diverse in modo da ottenere
risultati migliori in termini di tossicità portando ad una riduzione degli effetti
collaterali, con buoni risultati in termini di citotossicità. (meglio dunque della
somministrazione di un solo farmaco ad alte dosi per cui aumenta l’effetto
citotossico ma al contempo aumentano gli effetti collaterali ).
Ovviamente i farmaci combinati devono essere attivi su diversi cloni cellulari in
modo da superare le resistenze e ritardare la comparsa di resistenza ai farmaci.
Terapia ciclica : avendo due farmaci con uguale efficacia sono stati elaborati dei
modelli matematici per ottenere lo schema migliore di combinazione.
Possiamo trovarci di fronte a varie situazioni:
-frazioni di cellule sensibili sia al farmaco A che al B
-cellule resistenti ad A e sensibili a B
-cellule resistenti a B e sensibili ad A
-cellule resistenti sia ad A che B
gli schemi matematici più efficaci risultano essere i seguenti:
6 A e 6 B in combinazione ABABABABABAB con cured(%) A=B 0,52 A<B
0,15
6 A e 6 B in combinazione (A/2+B/2)*12 con cured(%) A=B 0,62 A<B 0,12
6 A e 6B in combinazione BABABABABABA con cured(%) A=B 0,52 A<B 0,10
con tali combinazioni si è vista una maggiore probabilità di cura.
Nella pratica clinica questa combinazione ha offerto risultati migliori per la cura di
linfomi Hodgkin rispetto alla somministrazione di un solo tipo di farmaco, lo stesso
dicasi per la terapia dei linfomi non Hodgkin .
La situazione cambia se invece abbiamo un farmaco più attivo di un altro,
considerando dosi uguali per i due diversi farmaci si è notato una più efficace risposta
se si somministra per primo il farmaco più attivo.
Consideriamo ad esempio che il farmaco A sia più attivo di B, presupponendo
l’esistenza di due cloni cellulari diversamente sensibili ad A e B alla
somministrazione di A uccido la popolazione tumorale più rappresentata poi dando B
uccido la frazione di tumore ad esso sensibile e presente in minor quantità,
ovviamente nell’intervallo di tempo intercorrente tra le due somministrazioni la
popolazione cellulare sensibile ad A tornerà a ricrescere.
Nel tumore della mammella si è visto che somministrare adriamicina prima della
CMF produce effetti migliori della combinazione inversa.
Possiamo aumentare la dose dei farmaci in due modi valutando il problema della
tossicità.
Una dose di farmaco uccide una frazione costante di cellule, aumentando la dose di
farmaco aumentiamo la frazione di cellule che distruggiamo: come facciamo ad
ottimizzare i nostri farmaci?
1)DOSE ESCALATION: diamo dosi maggiori mantenendo lo stesso intervallo di
tempo
2)DOSE DENSITY: diamo la stessa quantità di dose ma ne aumentiamo la densità
riducendo gli intervalli di somministrazione.
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Entrambi i metodi servono a dare più farmaco per ridurre il più possibile la
popolazione tumorale.
I farmaci intervengono in vario modo a seconda dello stadio di malattia e degli
obiettivi che ci prefiggiamo vedremo allora le varie terapie:
-chemioterapia adiuvante
-chemioterapia neoadiuvante primaria
-chemioterapia elettiva
-chemioterapia palliativa
-trattamenti integrati multimodali
-chemioterapia ad alte dosi
Chemioterapia adiuvante: trattamento sistemico effettuato dopo controllo
locoregionale della malattia, ottenuto chirurgicamente o con terapia radiante, ed in
assenza di malattia clinicamente evidente. Il suo obiettivo è l’eliminazione di
eventuali micrometastasi in pazienti a rischio di ripresa di malattia e l’aumento della
% di guarigione.
È una terapia che si fa a scopo precauzionale, preventivo.
Esiste un razionale nel fare questo tipo di trattamento perché quando abbiamo la
diagnosi di tumore la gran parte della storia della malattia si è compiuta per tanto c’è
la possibilità che delle cellule si siano staccate dal tumore primitivo e abbiano dato
micrometastasi non visibili con nessuna indagine radiologica. Possiamo sulla scorta
di fattori prognostici prevedere l’eventuale presenza di micrometastasi. Sappiamo che
l’interessamento dei linfonodi locoregionali al momento dell’intervento produce una
probabilità del 40% o 50% di micrometastasi. Ovviamente si tratta sempre di stime
sebbene siano molto accurate. In base a ciò valutiamo il rischio di possibile
ripresentazione della malattia e facciamo un trattamento sistemico in un momento in
cui le cellule sono potenzialmente sensibili al trattamento.
Una volta rimosso il tumore primario è probabile che alcune cellule possano
riattivarsi da uno stato di quiescenza in senso negativo per cui la somministrazione di
un trattamento sistemico in assenza di malattia riduce la probabilità che la malattia si
ripresenti.
La micrometastasi è un tumore costituito da pochissime cellule probabilmente tutte
uguali, per cui è possibile che non si sia sviluppata resistenza ai trattamenti, inoltre se
sono in fase di replicazione si mostrano più sensibili ai farmaci.
La terapia è volta ad impedire il passaggio alla fase metastatica in cui la cura non è
più possibile e si cerca solo di prolungare la sopravvivenza.
È sulla base di fattori prognostici e fattori di rischio che si selezionano i pazienti che
possono beneficiare del trattamento.
Il trattamento ha mostrato efficacia nella cura del tumore mammario, colonrettale,
gastico, sarcomi dei tessuti molli, e carcinoma del polmone non a piccole cellule.
Studi compiuti nel carcinoma mammario condotti su pazienti in terapia sistemica
dimostrano una riduzione del rischio di ricaduta del 36% in donne sotto i 50 anni e
del 20% in donne tra i 50 e 69 anni; il rischio di morte invece, era sceso del 27% in
donne sotto i 50 anni di età e dell’11% in donne tra i 50 e 69 anni.
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Terapia neoadiuvante o primaria: è il trattamento sistemico che viene effettuato prima
della terapia locale in assenza di evidenza clinica di metastasi a distanza.
In tal caso abbiamo al momento della diagnosi un tumore che non è candidabile ad un
trattamento locale di tipo radicale giacché è una lesione troppo avanzata o sito in una
sede chirurgica in cui l’intervento potrebbe essere troppo demolitivo.
La terapia sistemica allora si prefigge l’obiettivo di arrestare la malattia in modo da
impedire la formazione di metastasi che compromettono la vita del paziente. In
seconda istanza si fornisce una radicalità chirurgica magari in un tumore non
raggiungibile al momento della diagnosi perché troppo esteso o un intervento che mi
dia migliori risultati in termini estetico-funzionale, pensiamo ai tumori testa collo
dove un intervento chirurgico al momento della diagnosi può essere molto demolitivi
o non conciliabile con un buon funzionamento.
Ci sono altri aspetti che rendono affascinante la terapia primaria ad esempio essa mi
permette di valutare sul tumore l’efficacia del trattamento prima e dopo l’intervento,
valutando l’eventuale cambio di taluni parametri in corso di trattamento, è dunque
importante per la ricerca, nonché fornisce in vivo sul paziente la dimostrazione se
quel trattamento è efficace o no.
Quando trovo una paziente con nodulo mammario e linfonodo positivo, tratto la
paziente dopo l’intervento chirurgico con un trattamento sistemico standard usando i
farmaci che si sono dimostrati più attivi in studi condotti su migliaia di donne. Il fatto
che il trattamento standard sia il più efficace su migliaia di donne non vuol dire che
necessariamente esso funzioni con uguale efficacia anche sulla mia paziente. Può
capitare infatti di osservare resistenza al trattamento preposto per cui la paziente
sottoposta ai 4 cicli di chemio ne fa un altro ancora senza risultati sperati.
La possibilità di avere un tumore in sede permette di studiarne le risposte ai
trattamenti e la valutazione diretta dell’efficacia del trattamento su quella specifica
paziente. Per i trattamenti precauzionali effettuati dopo rimozione chirurgica dei
tumori, occorrono molti anni prima di poter avere stime di efficacia in quanto
servono % di pazienti che ricadano, e % di pazienti che muoiono per quella malattia.
Questo approccio terapeutico ha dato buoni risultati nei sarcomi dell’osso, nei
sarcomi dei tessuti molli in cui il trattamento primario permette una chirurgia
conservativa, il che è importante quando ad esempio un tumore colpisce una
articolazione. Altre sedi importanti sono il tumore della vescica, della mammella sia
se localmente avanzato sia se non operabile con buoni risultati estetici, nel tumore
testa collo, e nel carcinoma dell’esofago.
Esistono condizioni in cui l’unico trattamento da offrire è la chemioterapia vedi i
linfomi patologie sistemiche aggredibili con trattamento sistemico, nonché nella
malattia metastatica in cui si cerca di rallentare il più possibile il decorso della
malattia, impedendo l’insufficienza d’organo in presenza di metastasi viscerali.Può
darsi solo la chemio o l’integrazione di questa ad altri trattamenti.
Quando l’unico fine è quello di ritardare i sintomi di malattia si ricorre alla terapia
palliativa.
Nelle pazienti con aspettativa di vita superiore ai 3 mesi si può dare la chemioterapia
a dosi basse poco tossiche le quali riescono a garantire una migliore qualità di vita.
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Fortunatamente abbiamo dei farmaci con eccellenti profili di tossicità, ben tollerati, i
quali associati alla terapia del dolore, di supporto, nutrizionale rallentano la
progressione della malattia. Quindi anche in fase molto avanzata la chemioterapia
continua ad avere una sua importanza.
Terapia ormonale: i tumori sensibili all’azione ormonale sono quelli della mammella
e della prostata, in certi casi la terapia ormonale è molto efficace, ha profili di
tossicità eccellenti e riveste un ruolo importante nella cura dei tumori tanto da essere
il farmaco di scelta nelle malattie avanzate insieme alla radioterapia per metastasi
sull’apparato scheletrico e alla chirurgia delle metastasi cerebrali, o per le occlusioni
intestinali (interventi a sede palliativa).
Esistono situazioni in cui la chemioterapia e la radioterapia sono associate questo è
possibile in quanto esistono farmaci che non solo agiscono da antitumorali diretti ma
potenziano l’effetto della radioterapia.
I farmaci in questione sono il CPPD, 5-FU, MITAMICINA C, GEMCITABINE,
TAXANES.
La combinazione di radio e che mio ha dato in alcuni tumori buoni risultati:
-CARCINOMA DELL’ANO; -DEL RETTO; -TUMORI TESTA COLLO; -K.
ESOFAGEO –TUMORE DEL PANCREAS; -DELLA VESCICA e DELLA
CERVICE UTERINA.
Chemioterapia ad alte dosi con supporto di cellule staminali autologhe
Il concetto si ricollega a quello della intensità di dose, per riuscire a uccidere il
maggior numero di cellule tumorali incrementiamo la dose del farmaco fino a 8 10
volte la dose max tollerata oltre la quale non si può andare. Per non creare eccessivo
danno adoperiamo farmaci con tossicità selettiva a livello del midollo osseo, prima di
iniziare il trattamento stimoliamo con l'uso della chemio a basse dosi, con citochine
midollari e fattori di crescita il midollo osseo per ottenere in circolo i progenitori
ematopoietici, i quali saranno raccolti dal circolo periferico (quindi senza fare il
prelievo del midollo osseo). Con l’uso di un macchinario che esegue la leucoferesi si
procede alla raccolta dei progenitori ematopoietici che poi verranno congelati. Dopo
il trattamento ad alte dosi di chemioterapici si reinfondono le cellule autologhe (dello
stesso paziente). Queste cellule rimesse in circolo raggiungono il midollo e
proliferano facendo recuperare dalla tossicità midollare. Ovviamente il paziente andrà
posto in camera di degenza protetta, in ambiente sterile per qualche giorno.
La chemioterapia ad alte dosi ha avuto fortune alterne in oncologia: c’è stato un
tempo in cui ripensava che fosse la soluzione a tutti i tipi di tumori, poi c’è stato un
tempo in cui si pensava non fosse di grande efficacia fin quando ha dimostrato di
essere efficace e di utilità nella cura dei linfomi Hodgkin e non Hodgkin rimane in
studio il suo impiego nel tumore mammario ad alto rischio ovvero per pazienti che al
momento dell’intervento avevano più di 10 linfonodi positivi e per questo ad alto
rischio di ricaduta. Si è notato che la chemioterapia ad alte dosi produce buoni
risultati anche sul tumore dell’ovaio, delle cellule germinali, a piccole cellule del
polmone. Tra tutti comunque i tumori che più beneficiano della terapia ad alte dosi
sono linfomi e cancro della mammella ad alto rischio.
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Il limite di questa terapia sta nella sua tossicità sistemica e d’organo, nella
chemioresistenza, nel volume tumorale che può influire o meno sull’efficacia dei
farmaci e poi in generale di quelli che sono gli effetti collaterali dei farmaci
chemioterapici.
Questi farmaci colpiscono tutte le cellule del corpo in particolar modo quelle
replicanti, in attiva proliferazione vedi le cellule del sistema linfatico, del midollo
ematopoietico, dell’epitelio del tratto gastroenterico, cute, bulbo pilifero ed epitelio
germinativo delle gonadi.
Gli effetti collaterali più comuni che si riscontrano per tutti i farmaci
indipendentemente dalla dose, dalla classe e dal tipo sono disturbi gastroenterici,
alopecia (era più tipica per alcune classi ma ultimamente molti farmaci hanno perso
questa tossicità, il problema era più sentito dalla donne),nausea e vomito.
I chemioterapici ledono la mucosa gastroenterica procurandone disturbi con
infiammazione del cavo orale che può andare da un banale arrossamento fino ad una
ulcerazione con sopra infezione da candida, microbi anaerobi del cavo orale. Ci sono
situazioni in cui è interessata intensamente la mucosa della faringe per cui è
necessario intraprendere una nutrizione per via endovenosa.
Nel 90% dei casi si parla di tossicità maneggevoli che si tengono sotto controllo con
sciacqui o soluzioni antifungine.
L’interessamento del cavo orale in genere comporta il coinvolgimento di tutto il tratto
enterico procurando diarrea da lieve a grave tanto da rendere necessaria l’idratazione
da perdita di liquidi.
La alopecia da chemioterapici è totale ma transitoria, mentre quella da radioterapia
non è totale ma irreversibile per lo più, vedi i pazienti che per tumori dell’encefalo
fanno l’irradiazione.
Per ciò che riguarda la nausea e il vomito riusciamo ad ottenerne un buon controllo
con l’uso di antiserotoninergici centrali tanto da essere lamentati come minimi
problemi.
Altri problemi possono verificarsi a carico del cuore per la cardiotossicità delle
antracicline con effetto dose dipendente, ecco perché prima di programmare un
trattamento con questi farmaci bisogna valutare accuratamente la funzionalità
cardiaca.
La bleomicina produce tossicità dose dipendente, ma ci sono condizioni in cui la
tossicità non dipende dalla dose e si manifesta sin da subito, fortunatamente questa
evenienza è molto rara, ma se un paziente trattato con citadina diventa dispnoico
bisogna pensare all’eventuale tossicità del farmaco. Altri problemi quali tossicità
renale del platino, cistite emorragica, problemi di iperpigmentazione della cute,
ritenzione di liquidi che può dare versamenti pleurici, peritoneali,reazioni
anafilattiche, neuropatie periferiche per lo più parestesie, formicoli, difficoltà a tenere
in mano gli oggetti piccoli. Il cisplatino può dare tossicità sul nervo acustico, tutti
questi problemi importanti sono fortunatamente rari.
La resistenza genetica o permanente è quella che deriva da mutazione della cellula
neoplastica acquistando caratteristiche che la rendono molto resistente ai farmaci per
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cui occorre sostituire il farmaco o combinarne alcuni con diverso meccanismo
d’azione.
La resistenza temporanea è legata a problemi di incapacità del farmaco a penetrare
nel sito bersaglio vedi SNC, meningi, o in zone poco vascolarizzate in cui il farmaco
arriva con molta difficoltà riducendo l’efficacia del trattamento.
Possono esserci problemi legati alla cinetica cellulare, in un tumore con cellule
proliferanti e cellule quiescenti il trattamento colpirà solo le proliferanti e non le
quiescenti insensibili ai farmaci.
Terapia locoregionale delle metastasi: per le metastasi sulle meningi si può provare
ad instillare il farmaco nell’endorachide, su masse voluminose e poco vascolarizzate
posso fare una chirurgia per ridurre la massa e favorire l’azione di un farmaco su una
massa più piccola: vedi tumore dell’ovaio in fase avanzata. Oppure stimolo la crescita
di altre cellule che proliferando diventano sensibili ai farmaci.
Uno dei fattori responsabili della resistenza genetica è l’espressione della proteina P
170 una pompa di membrana che butta fuori dalla cellula tumorale i farmaci
citotossici, sono stati studiati allora dei farmaci che possono bloccare questa proteina.
Il tessuto che produce più P 170 è la placenta ciò vuol dire che la chemioterapia può
essere fatta anche in gravidanza, dato che i farmaci non giungono nel circolo fetale.
Terapia ormonale
I tumori ormono sensibili sono quelli della mammella, prostata, endometrio, la
sindrome da carcinoide può giovare del trattamento con somatostatine, l’octreotidesomatostatina blocca i sintomi legati alla liberazione delle sostanze prodotte dal
tumore. Così si può trattare l’anoressia usando ormoni che aumentino l’appetito
contrastando la cachessia tumorale e possiamo inoltre cercare di aumentare il tono
muscolare.
Come farmaci si dispone di ormoni, antiormoni, inibitori dell’aromatasi, e gli agonisti
dell’LHRH che bloccano l’asse ipotalamo ipofisi.
Potrà accadere nella pratica medica di vedere pazienti operate di tumore mammario e
in trattamento con TAMOXIFEN (farmaco di riferimento nel trattamento ormonale
del tumore mammario).
Per queste donne è raccomandato un controllo annuale o più ravvicinato nel tempo se
dovessero osservarsi ispessimenti dell’endometrio prodotti dallo stesso farmaco, in
caso positivo si dovrà sospendere il trattamento e sostituirlo per non incorrere nel
rischio di sviluppo di un tumore dell’utero.
Nel tumore della mammella possono essere adoperati altri farmaci sia come
trattamento preventivo quindi adiuvante nei tumori che esprimono recettori ormonali,
sia nella fase metastatica come trattamento antitumorale.
Gli inibitori dell’aromatasi sono efficaci sostanzialmente quanto al tamoxifen, non
arrecano tossicità all’utero ma funzionano solo in pazienti in post menopausa, in
quanto in premenopausa la via dell’aromatasi non regola la liberazione di estrogeni,
in più inducono osteoporosi quindi prima di darli bisogna valutare un'eventuale
somministrazione di calcio e vitamine, nonché richiedere una mineralometria per
ridurre i rischi da fratture patologiche ed osteoporosi.
Accanto a queste strategie si profilano altre quali la terapia cellulare.
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Studiando il profilo immunitario dei tumori si è visto che in alcuni timori ci sono
cellule che infiltrano direttamente la neoplasia riuscendo a tenerla sotto controllo
riconoscendone gli antigeni tumorali da qui parte tutta una serie di possibilità
terapeutiche con l’utilizzo delle cellule NK, TIL, TCL, sfruttando le cellule attive del
sistema immunitario contro il tumore.
Un altro meccanismo importante è il trapianto allogenico usando cellule di un
soggetto compatibile ma non aploidentico generalmente un fratello si infondono al
soggetto cellule staminali di midollo previo trattamento mieloablativo blando per
creare lo spazio in cui attecchiranno le cellule infuse.
Integrandosi con le cellule del soggetto ricevente si moltiplicano, esse hanno la
capacità di riconoscere l’antigene tumorale inducendovi contro una reazione
immunitaria. Infatti le cellule del ricevente hanno perso la capacità di riconoscimento
e non sono più in grado di attivare una risposta contro il tumore. Le cellule del
donatore attivano la GRAFT VERSUS TUMOR meccanismo simile a quello del
trapianto di midollo sull’ospite che viene ricercato per contrastare il tumore, e
controllato con terapia immunosoppressiva e cortisonica indirizzando la reazione
contro gli antigeni tumorali.
Farmaci diretti contro il tumore
Anticorpi monoclonali , piccole molecole inibitorie tirosin chinasi, e farmaci
interferenti con i meccanismi coinvolti nell’angiogenesi sono i più adoperati.
Anticorpi monoclonali
Negli ultimi anni si è visto che i tumori epiteliali quindi quello della mammella, del
polmone, colon ed altri ancora esprimevano i recettori della famiglia HER , ovvero
recettori per fattori di crescita epiteliale. Questi recettori dopo legame con il ligando
dimerizzano per attivare la cascata delle chinasi intracitoplasmatiche in seguito alla
quale parte il segnale alla proliferazione cellulare. Una loro iperattivazione si traduce
per tanto in aumento della proliferazione e quindi maggiore probabilità che si
originino nuovi cloni resistenti ai farmaci.
Si sta cercando di sviluppare farmaci capaci di bloccare questi recettori o con l’uso di
anticorpi monoclonali o con piccole molecole tirosin chinasi inibitorie per cui il
segnale extracellulare si traduce in inibizione della attività.
Nel tumore della mammella abbiamo due modi per dosare l’espressione di HER2
(recettore di tipo 2 della famiglia dei fattori di crescita epiteliali) sappiamo che esso è
iperespresso nel 25% dei tumori mammari, la sua espressione ha peggiore prognosi in
quanto identifica tumori che danno facilmente metastasi, che sono invasivi, e più
frequentemente hanno i recettori ormonali negativi.
Possiamo identificarli tramite l’immunoistochimica con colorazioni su vetrino o con
tecniche di ibridizzazione in fish che osserva l’amplificazione del recettore
sull’epitelio, guardandone anche quante copie del recettore ci sono.
Nei tumori che iperesprimono all’immunoistochimica e all’ibridizzazione in fish il
recettore HER2 si adopera l’anticorpo monoclonale detto herceptin come terapia.
Herceptin è un anticorpo monoclonale umano per il 95% e possiede una parte murina
che serve a riconoscere l’antigene sulla cellula neoplastica, è stato approvato come
trattamento di seconda linea nel tumore mammario metastatico nel 98.
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Herceptin ha tossicità zero ed associato alla chemioterapia prolunga la sopravvivenza
delle donne pretrattate e con tumore metastatico di 9 mesi. Se apparentemente
sembrano pochi 9 mesi in più in realtà si tratta di un grande risultato dato che la
sopravvivenza media di queste pazienti è di soli 20 mesi.
Oltre alle molecole che agiscono bloccando le porzioni extracellulari dei recettori di
membrana ci sono molecole capaci di interagire con il dominio intracitoplasmatico
vedi lo ZD1839, farmaco attualmente registrato come trattamento di salvataggio nel
tumore del polmone e in quello della mammella.
Il farmaco attualmente registrato per la cura della leucemia mieloide cronica e per
una forma rara di sarcomi del tratto gastrointestinale è l’STI571.
Neoangiogenesi
Le cellule tumorali sul terreno ospite producono fattori che inducono la produzione di
nuovi vasi i quali raggiungono il nucleo tumorale permettendogli la sopravvivenza da
un lato e la possibilità di metastatizzare dall’altro. Sono stati studiati farmaci in grado
di interferire con il processo di neoangiogenesi, in particolare farmaci che inibiscono
le cellule endoteliali che non stanno avendo molto successo vedi endostatine,
talidomide, angiostatine.
Considerato il ruolo importante degli induttori angiogenetici soprattutto il VEGF è
stato ideato il suo inibitore detto bevacizumab attualmente farmaco importante che è
associato alla chemioterapia per la cura dei tumori del colon e del rene uno dei tumori
meno sensibile ai trattamenti odierni.
Altra categoria di farmaci proposta è quella degli inibitori delle proteasi della matrice
extracellulare, proteine importanti a distruggere la matrice extracellulare per favorire
la migrazione dei vasi verso la sede dello stimolo e al contempo l’invasione delle
cellule neoplastiche nei tessuti vedi PRINOMASTAT e MARIMASTAT.
Esistono anche gli inibitori delle molecole di adesione ovvero le integrine proteine
che mediamo il legame fra cellule endoteliali che si stanno formando e proteine della
matrice extracellulare ma sono ancora in sperimentazione.
Per ultimi citiamo gli inibitori delle COX2 ormai non più in uso perché aumentano il
rischio di morte, erano stati studiati come antalgici generici.
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