Sentenza n. 837 del 19.5.2005, pubblicata il 31.5.2005 REPUBBLICA ITALIANA In nome del popolo italiano il TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA Sezione Prima Civile nella persona del Giudice monocratico Dott. Giovanni Fanticini ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al N. 1196/1997 R.G. promossa da: XX, titolare dell’omonima ditta individuale, elettivamente domiciliato in Reggio Emilia presso e nello studio dell’avv. Giovanni Catellani, che lo rappresenta e difende in forza di delega stesa a margine dell’atto di citazione attore contro YY S.r.l., elettivamente domiciliata in Reggio Emilia presso e nello studio dell’avv. Paola Venturi, che la rappresenta e difende in forza di delega stesa a margine della comparsa depositata il 9/12/1999 convenuta con la chiamata in causa di TJJ, elettivamente domiciliato in Reggio Emilia presso e nello studio dell’avv. Mario Burani, che lo rappresenta e difende in forza di delega stesa in calce all’atto di citazione notificato terzo chiamato avente ad oggetto: "pagamento somma" Conclusioni delle parti Il procuratore di XX chiede e conclude: accertare che la ditta XX di (omissis) vanta un credito nei confronti della YY S.r.l. di (omissis) di Lire 62.800.000 o della minore o maggior somma che risulterà in corso di causa, e pertanto condannare la convenuta al pagamento di detta somma in favore dell’attrice, con interessi legali dal dì del dovuto; vittoria di spese, competenze ed onorari di causa. Il procuratore di YY S.r.l. chiede e conclude: in via istruttoria insiste per l’ammissione delle prove testimoniali così come dedotte in comparsa di risposta 15/10/1997 e chiede rinnovazione di C.T.U. volta a quantificare l’entità dei lavori di intonacatura necessari nel cantiere così come richiesta nella medesima comparsa di risposta; in via riconvenzionale e nel merito; respingere la domanda attorea perché infondata in fatto ed in diritto; accertato che il contratto tra XX ed YY S.r.l., recante l’esecuzione di lavori per un importo di £ 120.000.000 era stato consensualmente risolto, dichiarare valido tra le parti il contratto per un importo di £ 70.000.000 condannare il convenuto e il terzo chiamato in causa al risarcimento della somma ritenuta di giustizia; condannare il sig. XX alla restituzione dei materiali indicati ai punti nr. 10 e 11 della comparsa di risposta; trasmettere gli atti al Pubblico Ministero competente in sede al fine di accertar l’eventuale ricorrenza di reati perseguibili d’ufficio; vittoria di spese, competenze ed onorari di causa. Il procuratore di TJJ chiede e conclude: in via principale e nel merito respingere le domande tutte svolte nei confronti di TJJ essendo inesistente il diritto di garanzia fatto valere per inesistenza del contratto principale di appalto; accertare che la somma di £ 60.500.000 non è mai stata percepita dal TJJ, accertata preliminarmente la falsità documentale riferentesi al contratto di appalto ed alle fatture prodotte in atti apparentemente emesse da TJJ; in via subordinata dichiarare decaduta dall’eventuale diritto di garanzia la YY S.r.l. nei confronti di TJJ per mancata osservanza del termine di decadenza previsto dall’art. 1667 c.c. comma 2° c.c.; dichiarare in ogni caso inammissibile l’azione per accettazione tacita dell’opera da parte della YY S.r.l. per decadenza dalla garanzia per presunti vizi ex art. 1665 comma 4° c.c.; in via riconvenzionale verificata la sussistenza e i presupposti di cui all’art. 96 c.p.c., condannare la YY S.r.l. e XX a risarcire i danni tutti patiti e patiendi dal terzo chiamato oltre ai danni morali derivanti dai reati commessi in danno dello stesso TJJ, nella misura che risulterà equa ed opportuna in corso di giudizio. Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 21/5/1997 XX conveniva in giudizio per l’udienza del 31/7/1997 la YY S.r.l., asserendo di aver concluso con la convenuta, in data 2/7/1996, un contratto di appalto per lavori di intonaco da eseguirsi ed eseguiti su un edificio di (omissis); poiché il prezzo pattuito per i predetti lavori era di Lire 120.000.000 ed era stata pagata solo la somma di Lire 57.200.000, chiedeva il pagamento del credito residuo. Con provvedimento ex art. 168-bis c.p.c. del 16/6/1997 il Giudice designato per la trattazione della causa differiva la data della prima udienza al 6/11/1997. Con comparsa depositata il 16/10/1997 si costituiva nel giudizio YY S.r.l., la quale sosteneva che il contratto del 2/7/1996 era stato immediatamente dopo sostituito con altro contratto (in pari data), con cui il corrispettivo pattuito per la XX era di Lire 70.000.000; infatti, una parte dei lavori originariamente appaltati all’attore era stata affidata, per l’esecuzione, a TJJ con accordo dell’agosto 1996; confermava che all’impresa XX era stata pagata la somma di Lire 57.200.000 e asseriva che Lire 60.000.000 erano state versate al TJJ; aggiungeva, inoltre, che i lavori non erano stati compiuti, dalle imprese appaltatrici, a regola d’arte e indicava i difetti riscontrati (e sanati dalla stessa YY S.r.l.), per i quali domandava il risarcimento dei danni; infine, chiedeva la restituzione di attrezzi e materiali che – diceva – erano stati sottratti dal XX. Con provvedimento ex art. 269 c.p.c. del 20/10/1997 (depositato il 21/10/1997) il Giudice, "vista l’istanza di chiamata in causa del terzo tempestivamente proposta da parte convenuta nella comparsa di costituzione in giudizio … fissa per la prima comparizione delle parti l’udienza del 29/1/1998 …". Con atto notificato il 26-27/11/1997, la YY S.r.l. chiamava in causa TJJ, il quale si costituiva nel giudizio depositando comparsa il 9/1/1998; il terzo chiamato negava di aver mai stipulato contratti di appalto o subappalto con la YY S.r.l., di aver mai prestato attività lavorativa per conto della YY S.r.l. o del XX e di aver percepito alcuna somma di denaro dalla convenuta; affermava altresì di non aver emesso le fatture prodotte dalla convenuta; sosteneva la falsità dei documenti versati in atti dalla YY S.r.l. (espressamente qualificava come "inesistente" il contratto di appalto del 30/8/1996); eccepiva, in subordine, la decadenza della YY S.r.l. dalla garanzia ex artt. 1665-1667 comma 2° c.c.; domandava la reiezione delle istanze svolte nei suoi confronti e, "accertata la falsità documentale riferentesi al contratto di appalto ed alle fatture prodotte in atti apparentemente emesse da TJJ", richiedeva il risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c. Le parti comparivano alle udienze del 29/1/1998 (ex art. 180 c.p.c.), del 7/5/1998 (ex art. 183 c.p.c.) e del 5/11/1998 in cui venivano richiesti e concessi i termini istruttori. Con ordinanza riservata all’esito dell’udienza del 25/2/1999 il Giudice nominava C.T.U. il Geom. Theno Gatti, il quale, ricevuto l’incarico all’udienza dell’8/7/1999, depositava la relazione peritale il 22/1/2000. All’udienza del 19/9/2002 il Giudice fissava udienza per la precisazione delle conclusioni. A seguito di rinvii disposti d’ufficio (per il trasferimento ad altro incarico del Magistrato Istruttore) la causa perveniva all’udienza dell’11/3/2004; il Giudice fissava altra udienza per la precisazione delle conclusioni, ma, per il temporaneo smarrimento del fascicolo, la causa era nuovamente rinviata all’udienza del 10/2/2005; in tale occasione, le parti precisavano le proprie conclusioni (riportate come sopra); concessi i termini di rito per le difese finali, il Giudice tratteneva la causa in decisione. Motivi della decisione 1. La tesi sostenuta dalla convenuta YY S.r.l., secondo la quale il primo contratto del 2/7/1996 (per Lire 120.000.000; documento nr. 1 dell’attore) è stato immediatamente sostituito da un secondo (per Lire 70.000.000; documento nr. 1 della convenuta), è incredibile e infondata. E’ vero che sono agli atti le copie di due diversi contratti che recano la stessa data (2/7/1996). Tuttavia, basta osservare i documenti per notare che l’atto prodotto dalla YY S.r.l. non è altro che una correzione della prima pagina dell’accordo siglato col XX (e da questo versato in atti): sono identici tutti gli elementi del testo, ma risultano aggiunte (con grafia e penna diversa) le parole ("villette – casa padronale") ai lavori da eseguirsi in (omissis) – via (omissis) e il corrispettivo è stato visibilmente corretto (con segni di cancellature, differente grafia e diversa penna) in Lire 70.000.000 (aggiungendo, peraltro, la parola "circa"). Se veramente detta correzione fosse stata il frutto di un nuovo accordo tra le parti, pare chiaro che tutte le copie del contratto (compresa quella in mano all’appaltatore) sarebbero state corrette e/o nuovamente siglate dai contraenti … e non solamente quella della YY S.r.l.! Altri elementi smentiscono l’assunto della convenuta: il TJJ ha negato di aver mai concluso contratti con YY S.r.l. o di aver svolto lavori per conto di quest’ultima e (come si dirà anche in seguito) ha disconosciuto le scritture prodotte nei suoi confronti: poiché la convenuta ha omesso di avanzare istanza di verificazione e non ha dimostrato (o chiesto di dimostrare) che una parte dei lavori originariamente assegnati al XX sono stati successivamente commissionati al TJJ, viene meno una delle circostanze su cui si basa la difesa della YY S.r.l.; nella "perizia di stima relativa ai danni inerenti all’esecuzione dell’intonaco" (documento nr. 7 della convenuta), a firma del legale rappresentante della YY S.r.l., si afferma che la relazione riguarda la valutazione dei danni cagionati dalla XX per la "non regolare esecuzione delle opere di intonacatura"; nel testo del documento si fa specifico riferimento sia a "villette a schiera" e "villa padronale" (negli atti di causa e nei contratti prodotti dalla convenuta si dice che queste erano state commissionate al XX), sia a "casa abbinata" ed "ex-stalla" (negli atti di causa e nei contratti prodotti dalla convenuta si dice che queste erano state commissionate al TJJ); ergo, la stessa YY S.r.l. (e, per questa, il suo legale rappresentante D.M.) cade in contraddizione, perché afferma – in corso di causa – che i lavori erano stati suddivisi tra imprese diverse, mentre nella propria relazione addebita al solo XX i presunti vizi di tutte le opere di intonacatura compiute; le contestazioni e lagnanze della YY S.r.l. sono state dirette esclusivamente al XX: se i vizi sono stati riscontrati anche nei lavori affidati al TJJ (come si evince dal citato documento nr. 7), proprio non si spiega perché le missive in atti siano state trasmesse solo all’attore (melius, tutto si spiega se si ritengono false le affermazioni della convenuta!). Per quanto sinora esposto, il "vero" contratto tra l’attore e la convenuta deve essere individuato nel documento nr. 1 di parte XX, che prevede, quale corrispettivo dell’appalto, il pagamento di Lire 120.000.000. L’attore ha fornito la prova del proprio credito producendo il contratto, mentre l’esecuzione dei lavori da parte del XX non è controversa (risulta, peraltro, dal documento nr. 7 della stessa convenuta, in cui si specificano le opere compiute dal XX); è contestata, invece, la loro esecuzione a regola d’arte. Una parte di questa somma è già stata corrisposta: Lire 57.200.000 (il fatto è pacifico). Quanto al residuo, sebbene il valore delle opere compiute dal XX sia, secondo la C.T.U., (leggermente) superiore a quanto pattuito col contratto del 2/7/1996, l’attore non può pretendere somme maggiori di quanto liberamente concordato (secondo il principio di autonomia negoziale). Spetterebbe, pertanto, al XX un ulteriore pagamento di Lire 62.800.000. I lavori, però, non sono stati eseguiti a regola d’arte e la C.T.U. ha consentito di stimare (in accordo con i consulenti delle parti) i vizi lamentati in complessive Lire 6.000.000. A dire il vero, il C.T.U. ha svolto le operazioni dopo che la YY S.r.l. (a suo dire) aveva ripristinato una parte dei difetti riscontrati e, pertanto, non ha potuto verificare la situazione antecedente agli interventi compiuti dalla convenuta. Con le istanze istruttorie, la YY S.r.l. aveva richiesto di provare i difetti riscontrati nei lavori affidati alle appaltatrici; la prova non è stata ammessa, ma la decisione del Giudice è da ritenersi corretta perché i capitoli formulati nella comparsa di risposta non attengono a fatti ma a valutazioni di tipo tecnico (non demandabili ad un teste). Ben avrebbe potuto (e dovuto) la YY S.r.l., prima di procedere all’esecuzione di opere di ripristino degli intonaci o di "correzione" del lavoro svolto dal XX, richiedere un accertamento tecnico preventivo per descrivere i difetti asseritamente riscontrati; ciò non è stato fatto e, pertanto, le affermazioni della convenuta su altri e più ingenti vizi delle opere compiute sono rimaste sfornite di prova. Conseguentemente, date le emergenze istruttorie, la domanda riconvenzionale della YY S.r.l. può essere solo parzialmente accolta e la stessa convenuta deve essere condannata a pagare al XX la somma di Lire 56.800.000, oltre interessi dalla data delle fatture (come previsto nel contratto) al saldo effettivo. 2. Riguardo alla richiesta restituzione dei materiali e degli attrezzi la cui sottrazione la YY S.r.l. imputa al XX, si osserva che i capitoli nr. 10-11 dedotti nella comparsa di risposta per la prova testimoniale (e non ammessi) non miravano a provare l’appropriazione delle cose da parte dell’attore, ma a dimostrare che la YY S.r.l. ne aveva più volte domandato la riconsegna. Pertanto, se anche il mezzo istruttorio (irrilevante) fosse stato ammesso e confermato dai testi, non avrebbe comunque consentito alla convenuta di suffragare le tesi sostenute, rimaste indimostrate. Anche questa domanda, perciò, deve essere respinta. 3. Quanto alla posizione del terzo chiamato, si osserva che, inequivocabilmente, il TJJ ha disconosciuto il contratto del 30/8/1996 e le fatture versate in atti dalla YY S.r.l.: come hanno ricordato le difese di tutte le parti, non occorrono formule sacramentali per effettuare il disconoscimento, ma – nel caso de quo – sono chiarissime le obiezioni del TJJ, il quale ha contestato la veridicità dei fatti dedotti nella narrativa della comparsa di costituzione e, nelle conclusioni del medesimo atto, ha esplicitamente richiesto di accertare "la falsità documentale riferentesi al contratto di appalto ed alle fatture prodotte in atti apparentemente emesse da TJJ". Poiché la YY S.r.l. ha omesso di avanzare istanza di verificazione dei predetti documenti, gli stessi non possono essere in alcun modo impiegati ai fini della decisione. Le circostanze sopra esposte (oltre al disconoscimento del contratto, la perizia redatta dallo stesso legale rappresentante della YY S.r.l. e l’invio delle contestazioni al solo XX) inducono a ritenere che nessun contratto di appalto sia mai stato concluso con il TJJ. Anche a voler ammettere (in pura teoria) la non creduta ipotesi secondo cui sarebbe stato concluso un contratto tra il terzo chiamato e l’odierna convenuta, la YY S.r.l. sarebbe comunque decaduta dall’esercizio dell’azione contrattuale ex art. 1667 c.c. per i vizi lamentati nei confronti del TJJ. Secondo le affermazioni della stessa YY S.r.l. (atto di citazione del terzo), i lavori di intonaco sono stati eseguiti entro la fine del 1996 e le prime contestazioni sull’operato del XX sono state avanzate già nel 1996 e all’inizio del 1997: il committente ha proceduto a verificare l’opera compiuta all’inizio del 1997 (documento nr. 7, datato 25/2/1997) ed entro lo stesso periodo ha, necessariamente, ricevuto l’opera. Nonostante i vizi asseritamente riscontrati, la YY S.r.l. nulla ha contestato al TJJ. Ai sensi dell’art. 1665 c.c. incombe sul committente l’onere di procedere alla verifica non appena l’appaltatore lo mette in condizione di poterla eseguire; in ogni caso, deve comunicare il risultato della verifica in un breve tempo o, altrimenti, l’opera si considera accettata; infine, se il committente riceve l’opera senza effettuare riserve, questa si considera accettata. La tacita accettazione dell’opera (ai sensi del precitato art. 1665 c.c.) implica la decadenza della YY S.r.l. dalla garanzia ex art. 1667 c.c. Ad abundantiam, prima della notifica dell’atto di chiamata in causa, la YY S.r.l. non aveva mai denunciato all’appaltatore TJJ (ammesso che sia tale) i vizi riscontrati, dei quali era a conoscenza ben prima del termine di 60 giorni prescritto dal comma 2° dell’art. 1667 c.c. (come dimostra il documento nr. 7 della stessa convenuta, col quale – in data 25/2/1997 – si esaminano e stimano i pretesi vizi). Per quanto esposto, deve essere respinta la domanda svolta dalla YY S.r.l. nei confronti di TJJ. 4. Per quanto concerne la domanda di risarcimento ex art. 96 c.p.c. avanzata dal TJJ, si osserva che la YY S.r.l. lo ha inopinatamente chiamato in causa con un’azione assolutamente temeraria, sia perché dagli stessi atti prodotti dalla società si evince che nessun addebito poteva essere mosso all’operato del terzo chiamato, sia perché la convenuta era abbondantemente decaduta dall’esercizio dell’azione promossa, sia perché possono avanzarsi forti dubbi sulla veridicità degli stessi documenti versati in atti (che, a fronte di un tempestivo disconoscimento, la convenuta si è ben guardata dal far verificare!). Con ampia motivazione, il Tribunale di Bologna – con sentenza 379/2005 del 27/1/2005 – ha illustrato e rivisto, alla luce delle recenti sentenze sul danno non patrimoniale, i presupposti della responsabilità aggravata. Nel caso, il danno è consistente nell’indebito coinvolgimento in un’azione giudiziaria promossa per colpa grave ai sensi dell’art. 96 c.p.c. (Cass. 1983/1308, secondo cui colpa grave è da intendersi "nel senso della consapevolezza, o dell’ignoranza derivante dal mancato uso di un minimo di diligenza, dell’infondatezza" della tesi fatta valere, oppure Cass. 1983/1973, per cui incorre in colpa grave chi ha "agito o insistito in una pretesa coscientemente infondata, e cioè senza il minimo esame della giustezza e della ragionevolezza della pretesa", oppure ancora Cass. 3799/1983, per cui la colpa grave è la coscienza dell’infondatezza o la carenza della normale diligenza volta all’acquisizione di detta coscienza; su tale linea si collocano anche le più recenti 4651/1990, 9579/2000, 73/2003), oltre che nella (gratuita) denigrazione dell’attività professionale del TJJ. L’"impatto" della vicenda sull’esistenza della persona convenuta in giudizio è chiaramente un profilo non patrimoniale: la responsabilità ex art. 96 c.p.c. ha natura processuale ma "i danni da risarcire sono di qualsiasi tipo... purché causati da uno dei comportamenti tipizzati nella norma" (Cass. 8872/1987; conformi, più di recente, Cass. 4947/2001, Cass. 3573/2002). La recente evoluzione ha dilatato ampiamente i confini di risarcibilità del danno non patrimoniale: la giurisprudenza pregressa infatti intendeva come danni concretamente risarcibili ex art. 96 c.p.c. quelli patrimoniali rappresentati dal danno emergente e dal lucro cessante, non potendosi all’epoca ipotizzare una risarcibilità del danno non patrimoniale derivante da illecito processuale riconducibile puramente all’art. 96 c.p.c., e non quindi dotato di rilevanza penale e perciò produttivo anche del cosiddetto danno morale, né tantomeno riconducibile alla species del biologico. Com’è noto, l’interpretazione che ora è parte del diritto vivente in relazione all’art. 2059 c.c. è un’interpretazione costituzionalmente orientata, che ha consentito di riconoscere la risarcibilità non solo del danno morale in senso stretto, e comunque non solo del danno non patrimoniale derivante da illecito penale, ma anche del danno non patrimoniale lesivo di interessi di rango costituzionale relativi alla persona pur se non tipizzati e "presidiati" da fattispecie penali. Questo orientamento, scaturito – com’è noto – da una sorta di combinato disposto tra la giurisprudenza della Suprema Corte – sentenze 8827 e 8828 del 2003 – e un successivo intervento della Corte Costituzionale – sentenza 233 del 2003 – e ormai da ritenersi definitivo, se da un lato ha esteso l’area del danno risarcibile in misura decisamente notevole, dall’altro, innestandosi nell’ambito di una querelle sorta contemporaneamente alla "estrazione" della categoria dottrinale dalla varietà della pratica, ha indotto a una rimeditazione della categoria di danno che anteriormente veniva (seppur in modo non incontroverso) sempre più utilizzata proprio per supplire e ovviare alla carenza di risarcibilità di una vasta area che la coscienza sociale e giuridica comunque percepivano come danno: la categoria del danno esistenziale. In un contesto in cui il danno non patrimoniale risarcibile si circoscriveva alla sofferenza (già di per sé intesa in senso restrittivo) da reato e il danno biologico era stato definitivamente confinato nella lesione psicofisica accettabile sul piano medico legale, restava infatti estranea alle categorie tradizionali di danno risarcibile un’area che, con la progressiva attenzione che l’ordinamento giuridico veniva attribuendo al "valore uomo", inteso nella sua complessità anche relazionale, era appunto percepita come rilevante dal punto di vista giuridico e non più solo dal punto di vista psicologico o sociologico: un’ampia area di pregiudizio alla normalità della vita di una persona, normalità intesa nel senso positivo di "qualità della vita". Per aggirare il "blocco" ermeneutico che asserviva il danno non patrimoniale non biologico alla fattispecie penale, si era prospettata appunto la categoria del "danno esistenziale", che era stata riconosciuta, dopo varie sue applicazioni ad opera dei Giudici di merito, anche dalla Cassazione (si vedano, per esempio, le sentenze Cass. 7713 del 2000, 9009 del 2001 e del 15449 del 2002). Essendo sorto in effetti per "coprire" un settore del danno non patrimoniale all’epoca non risarcibile ai sensi dell’art. 2059 cc., una volta "dilatato" quest’ultimo, non sussiste ormai alcun motivo per non riconoscere che il danno esistenziale indica una categoria del danno non patrimoniale disciplinato da detto articolo, non apparendo più neppure "utile" sostenere la sua estraneità a tale norma (vale a dire ricondurlo, del tutto immotivatamente ormai, all’art. 2043 c.c.). Dunque, allo stato del diritto vivente il danno esistenziale può ritenersi – risolvendo in tal senso la questione di qualificazione che gli è in fondo da sempre connessa – una delle categorie risarcibili del danno non patrimoniale previsto in generale dall’art. 2059 c.c. e precisamente quella sofferenza che scaturisce dalla menomazione della qualità della vita derivata dall’illecito. È identificabile nell’art. 2 Cost., il riscontro a livello costituzionale di questo valore, intendendosi la qualità della vita come estrinsecazione concreta del diritto alla realizzazione personale, sia per quanto attiene la propria condizione "interiore" rispetto alla vita stessa – vale a dire il diritto a realizzarsi senza dover fronteggiare psicologicamente situazioni di disagio e di stress – sia per quanto attiene alle relazioni interpersonali e sociali. Così intendendo il danno esistenziale, non si può non qualificare tale quello che viene qui prospettato, come si è visto più sopra, come impatto della vicenda processuale sull’esistenza della persona che si asserisce danneggiata e come "conseguenti preoccupazioni". Occorre valutare se sia stata fornita la prova dell’esistenza e del quantum di tali danni. Al riguardo va ricordato quanto insegna la giurisprudenza in ordine all’onere della prova per danni da illecito processuale ex art. 96 c.p.c. Se da un lato si è affermato che sulla parte che si dichiara danneggiata grava l’onere della prova secondo i principi generali (si veda, da ultimo, Cass. 18169/2004), dall’altro sì è valorizzato anche un ruolo ufficioso del Giudice. Particolare sensibilità su questo piano – sulla scorta peraltro di giurisprudenza precedente – hanno dimostrato alcune tra le più recenti sentenze di legittimità, spesso congiungendo tale aspetto con la evidenziazione del fatto che il risarcimento ex art. 96 c.p.c. è onnicomprensivo (si veda per esempio Cassazione 6796/2003, secondo la quale "all’accoglimento della domanda da risarcimento dei danni da lite temeraria non osta l’omessa deduzione e dimostrazione dello specifico danno subito dalla parte vittoriosa, che non è costituito dalla lesione della propria posizione materiale, ma dagli oneri di ogni genere che questa abbia dovuto affrontare per essere stata costretta a contrastare l’ingiustificata iniziativa dell’avversario e dai disagi affrontati per effetto di tale iniziativa, danni la cui esistenza può essere desunta dalla comune esperienza"; si veda anche Cassazione 10731/2001). Può considerarsi infatti notorio che un "assoggettamento" a un’iniziativa processuale del tutto ingiustificata per un importo tutt’altro che indifferente leda la qualità della vita del soggetto, nel senso di sottoporlo a una situazione di disagio interiore da preoccupazione in relazione al proprio futuro; non va tralasciato, inoltre, che le affermazioni (manifestamente infondate) della YY S.r.l. hanno inciso sulla reputazione professionale del terzo chiamato. Non si può ritenere che il mero esercizio del diritto di azione, in quanto lecito, non possa generare tale tipologia di danno. Se infatti dal punto di vista processuale sussisteva il diritto di azione, nel caso di specie dal punto di vista sostanziale non sussisteva il diritto sotteso allo jus agendi: di qui l’illecito processuale, ex art. 96 c.p.c., verificatosi per l’utilizzo, in difetto di un grado accettabile di diligenza – quindi con colpa grave – dello strumento processuale in una fattispecie sostanziale infondata. Riguardo alla quantificazione del danno – che per la natura dello stesso non può che essere equitativa – si stima equo riconoscere un importo, all’attualità, di Euro 2.000,00. 5. La decisione sulle spese di lite segue il principio di soccombenza: in considerazione del D.M. 5/10/1994 n. 585 (applicabile ratione temporis a tutte le attività antecedenti al 2/6/2004) e delle vigenti tariffe forensi, dell’effettiva attività svolta dalle difese del XX e del TJJ, del valore e della difficoltà della controversia, decurtate le spese ritenute eccessive, superflue o non documentate, i costi di lite vengono liquidati come in dispositivo. P.Q.M. il Tribunale di Reggio Emilia – sezione prima civile definitivamente pronunciando sulla causa nr. 1196/1997 R.G. promossa da XX contro YY S.r.l. e con la chiamata in causa di TJJ, ogni altra e diversa domanda, istanza, eccezione e difesa disattesa e respinta, così provvede: condanna YY S.r.l. a pagare a XX la somma di Euro 29.334,75 (pari a Lire 56.800.000), oltre interessi dalla data delle fatture al saldo effettivo; condanna YY S.r.l. a pagare a TJJ la somma di Euro 2.000,00 per risarcimento danni ex art. 96 c.p.c.; condanna YY S.r.l. a rifondere a XX le spese di questo giudizio, che liquida in complessivi Euro 3.985,00 (di cui Euro 2.150,00 per onorari, Euro 1.634,62 per diritti ed Euro 200,38 per spese), oltre al rimborso delle spese generali ex art. 14 T.P. e ad I.V.A. e C.P.A. come per legge; condanna YY S.r.l. a rifondere a TJJ le spese di questo giudizio, che liquida in complessivi Euro 3.460,75 (di cui Euro 2.150,00 per onorari, Euro 1.174,46 per diritti ed Euro 136,29 per spese), oltre al rimborso delle spese generali ex art. 14 T.P. e ad I.V.A. e C.P.A. come per legge; condanna YY S.r.l. a rifondere a XX e a TJJ le spese sostenute per la C.T.U. (già poste, provvisoriamente, a carico di tutte le parti in solido). Reggio Emilia, 19 maggio 2005 Il Giudice Dott. Giovanni Fanticini Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2005