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Sentenza n. 837 del 19.5.2005, pubblicata il 31.5.2005
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano
il TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA
Sezione Prima Civile
nella persona del Giudice monocratico Dott. Giovanni Fanticini
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al N. 1196/1997 R.G. promossa da:
XX, titolare dell’omonima ditta individuale, elettivamente domiciliato in
Reggio Emilia presso e nello studio dell’avv. Giovanni Catellani, che lo
rappresenta e difende in forza di delega stesa a margine dell’atto di
citazione
attore
contro
YY S.r.l., elettivamente domiciliata in Reggio Emilia presso e nello studio
dell’avv. Paola Venturi, che la rappresenta e difende in forza di delega stesa
a margine della comparsa depositata il 9/12/1999
convenuta
con la chiamata in causa di
TJJ, elettivamente domiciliato in Reggio Emilia presso e nello studio
dell’avv. Mario Burani, che lo rappresenta e difende in forza di delega stesa
in calce all’atto di citazione notificato
terzo chiamato
avente ad oggetto: "pagamento somma"
Conclusioni delle parti
Il procuratore di XX chiede e conclude:


accertare che la ditta XX di (omissis) vanta un credito nei confronti
della YY S.r.l. di (omissis) di Lire 62.800.000 o della minore o
maggior somma che risulterà in corso di causa, e pertanto
condannare la convenuta al pagamento di detta somma in favore
dell’attrice, con interessi legali dal dì del dovuto;
vittoria di spese, competenze ed onorari di causa.
Il procuratore di YY S.r.l. chiede e conclude:
in via istruttoria

insiste per l’ammissione delle prove testimoniali così come dedotte
in comparsa di risposta 15/10/1997 e chiede rinnovazione di C.T.U.
volta a quantificare l’entità dei lavori di intonacatura necessari nel
cantiere così come richiesta nella medesima comparsa di risposta;
in via riconvenzionale e nel merito;






respingere la domanda attorea perché infondata in fatto ed in diritto;
accertato che il contratto tra XX ed YY S.r.l., recante l’esecuzione di
lavori per un importo di £ 120.000.000 era stato consensualmente
risolto, dichiarare valido tra le parti il contratto per un importo di £
70.000.000
condannare il convenuto e il terzo chiamato in causa al risarcimento
della somma ritenuta di giustizia;
condannare il sig. XX alla restituzione dei materiali indicati ai punti
nr. 10 e 11 della comparsa di risposta;
trasmettere gli atti al Pubblico Ministero competente in sede al fine
di accertar l’eventuale ricorrenza di reati perseguibili d’ufficio;
vittoria di spese, competenze ed onorari di causa.
Il procuratore di TJJ chiede e conclude:
in via principale e nel merito


respingere le domande tutte svolte nei confronti di TJJ essendo
inesistente il diritto di garanzia fatto valere per inesistenza del
contratto principale di appalto;
accertare che la somma di £ 60.500.000 non è mai stata percepita dal
TJJ, accertata preliminarmente la falsità documentale riferentesi al
contratto di appalto ed alle fatture prodotte in atti apparentemente
emesse da TJJ;
in via subordinata

dichiarare decaduta dall’eventuale diritto di garanzia la YY S.r.l. nei
confronti di TJJ per mancata osservanza del termine di decadenza
previsto dall’art. 1667 c.c. comma 2° c.c.;

dichiarare in ogni caso inammissibile l’azione per accettazione tacita
dell’opera da parte della YY S.r.l. per decadenza dalla garanzia per
presunti vizi ex art. 1665 comma 4° c.c.;
in via riconvenzionale

verificata la sussistenza e i presupposti di cui all’art. 96 c.p.c.,
condannare la YY S.r.l. e XX a risarcire i danni tutti patiti e patiendi
dal terzo chiamato oltre ai danni morali derivanti dai reati commessi
in danno dello stesso TJJ, nella misura che risulterà equa ed
opportuna in corso di giudizio.
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 21/5/1997 XX conveniva in giudizio per
l’udienza del 31/7/1997 la YY S.r.l., asserendo di aver concluso con la
convenuta, in data 2/7/1996, un contratto di appalto per lavori di intonaco
da eseguirsi ed eseguiti su un edificio di (omissis); poiché il prezzo pattuito
per i predetti lavori era di Lire 120.000.000 ed era stata pagata solo la
somma di Lire 57.200.000, chiedeva il pagamento del credito residuo.
Con provvedimento ex art. 168-bis c.p.c. del 16/6/1997 il Giudice designato
per la trattazione della causa differiva la data della prima udienza al
6/11/1997.
Con comparsa depositata il 16/10/1997 si costituiva nel giudizio YY S.r.l.,
la quale sosteneva che il contratto del 2/7/1996 era stato immediatamente
dopo sostituito con altro contratto (in pari data), con cui il corrispettivo
pattuito per la XX era di Lire 70.000.000; infatti, una parte dei lavori
originariamente appaltati all’attore era stata affidata, per l’esecuzione, a TJJ
con accordo dell’agosto 1996; confermava che all’impresa XX era stata
pagata la somma di Lire 57.200.000 e asseriva che Lire 60.000.000 erano
state versate al TJJ; aggiungeva, inoltre, che i lavori non erano stati
compiuti, dalle imprese appaltatrici, a regola d’arte e indicava i difetti
riscontrati (e sanati dalla stessa YY S.r.l.), per i quali domandava il
risarcimento dei danni; infine, chiedeva la restituzione di attrezzi e materiali
che – diceva – erano stati sottratti dal XX.
Con provvedimento ex art. 269 c.p.c. del 20/10/1997 (depositato il
21/10/1997) il Giudice, "vista l’istanza di chiamata in causa del terzo
tempestivamente proposta da parte convenuta nella comparsa di
costituzione in giudizio … fissa per la prima comparizione delle parti
l’udienza del 29/1/1998 …".
Con atto notificato il 26-27/11/1997, la YY S.r.l. chiamava in causa TJJ, il
quale si costituiva nel giudizio depositando comparsa il 9/1/1998; il terzo
chiamato negava di aver mai stipulato contratti di appalto o subappalto con
la YY S.r.l., di aver mai prestato attività lavorativa per conto della YY S.r.l.
o del XX e di aver percepito alcuna somma di denaro dalla convenuta;
affermava altresì di non aver emesso le fatture prodotte dalla convenuta;
sosteneva la falsità dei documenti versati in atti dalla YY S.r.l.
(espressamente qualificava come "inesistente" il contratto di appalto del
30/8/1996); eccepiva, in subordine, la decadenza della YY S.r.l. dalla
garanzia ex artt. 1665-1667 comma 2° c.c.; domandava la reiezione delle
istanze svolte nei suoi confronti e, "accertata la falsità documentale
riferentesi al contratto di appalto ed alle fatture prodotte in atti
apparentemente emesse da TJJ", richiedeva il risarcimento dei danni ex art.
96 c.p.c.
Le parti comparivano alle udienze del 29/1/1998 (ex art. 180 c.p.c.), del
7/5/1998 (ex art. 183 c.p.c.) e del 5/11/1998 in cui venivano richiesti e
concessi i termini istruttori.
Con ordinanza riservata all’esito dell’udienza del 25/2/1999 il Giudice
nominava C.T.U. il Geom. Theno Gatti, il quale, ricevuto l’incarico
all’udienza dell’8/7/1999, depositava la relazione peritale il 22/1/2000.
All’udienza del 19/9/2002 il Giudice fissava udienza per la precisazione
delle conclusioni.
A seguito di rinvii disposti d’ufficio (per il trasferimento ad altro incarico
del Magistrato Istruttore) la causa perveniva all’udienza dell’11/3/2004; il
Giudice fissava altra udienza per la precisazione delle conclusioni, ma, per
il temporaneo smarrimento del fascicolo, la causa era nuovamente rinviata
all’udienza del 10/2/2005; in tale occasione, le parti precisavano le proprie
conclusioni (riportate come sopra); concessi i termini di rito per le difese
finali, il Giudice tratteneva la causa in decisione.
Motivi della decisione
1. La tesi sostenuta dalla convenuta YY S.r.l., secondo la quale il primo
contratto del 2/7/1996 (per Lire 120.000.000; documento nr. 1 dell’attore) è
stato immediatamente sostituito da un secondo (per Lire 70.000.000;
documento nr. 1 della convenuta), è incredibile e infondata.
E’ vero che sono agli atti le copie di due diversi contratti che recano la
stessa data (2/7/1996).
Tuttavia, basta osservare i documenti per notare che l’atto prodotto dalla
YY S.r.l. non è altro che una correzione della prima pagina dell’accordo
siglato col XX (e da questo versato in atti): sono identici tutti gli elementi
del testo, ma risultano aggiunte (con grafia e penna diversa) le parole
("villette – casa padronale") ai lavori da eseguirsi in (omissis) – via
(omissis) e il corrispettivo è stato visibilmente corretto (con segni di
cancellature, differente grafia e diversa penna) in Lire 70.000.000
(aggiungendo, peraltro, la parola "circa").
Se veramente detta correzione fosse stata il frutto di un nuovo accordo tra le
parti, pare chiaro che tutte le copie del contratto (compresa quella in mano
all’appaltatore) sarebbero state corrette e/o nuovamente siglate dai
contraenti … e non solamente quella della YY S.r.l.!
Altri elementi smentiscono l’assunto della convenuta:



il TJJ ha negato di aver mai concluso contratti con YY S.r.l. o di
aver svolto lavori per conto di quest’ultima e (come si dirà anche in
seguito) ha disconosciuto le scritture prodotte nei suoi confronti:
poiché la convenuta ha omesso di avanzare istanza di verificazione e
non ha dimostrato (o chiesto di dimostrare) che una parte dei lavori
originariamente assegnati al XX sono stati successivamente
commissionati al TJJ, viene meno una delle circostanze su cui si
basa la difesa della YY S.r.l.;
nella "perizia di stima relativa ai danni inerenti all’esecuzione
dell’intonaco" (documento nr. 7 della convenuta), a firma del legale
rappresentante della YY S.r.l., si afferma che la relazione riguarda la
valutazione dei danni cagionati dalla XX per la "non regolare
esecuzione delle opere di intonacatura"; nel testo del documento si
fa specifico riferimento sia a "villette a schiera" e "villa padronale"
(negli atti di causa e nei contratti prodotti dalla convenuta si dice che
queste erano state commissionate al XX), sia a "casa abbinata" ed
"ex-stalla" (negli atti di causa e nei contratti prodotti dalla convenuta
si dice che queste erano state commissionate al TJJ); ergo, la stessa
YY S.r.l. (e, per questa, il suo legale rappresentante D.M.) cade in
contraddizione, perché afferma – in corso di causa – che i lavori
erano stati suddivisi tra imprese diverse, mentre nella propria
relazione addebita al solo XX i presunti vizi di tutte le opere di
intonacatura compiute;
le contestazioni e lagnanze della YY S.r.l. sono state dirette
esclusivamente al XX: se i vizi sono stati riscontrati anche nei lavori
affidati al TJJ (come si evince dal citato documento nr. 7), proprio
non si spiega perché le missive in atti siano state trasmesse solo
all’attore (melius, tutto si spiega se si ritengono false le affermazioni
della convenuta!).
Per quanto sinora esposto, il "vero" contratto tra l’attore e la convenuta deve
essere individuato nel documento nr. 1 di parte XX, che prevede, quale
corrispettivo dell’appalto, il pagamento di Lire 120.000.000.
L’attore ha fornito la prova del proprio credito producendo il contratto,
mentre l’esecuzione dei lavori da parte del XX non è controversa (risulta,
peraltro, dal documento nr. 7 della stessa convenuta, in cui si specificano le
opere compiute dal XX); è contestata, invece, la loro esecuzione a regola
d’arte.
Una parte di questa somma è già stata corrisposta: Lire 57.200.000 (il fatto
è pacifico).
Quanto al residuo, sebbene il valore delle opere compiute dal XX sia,
secondo la C.T.U., (leggermente) superiore a quanto pattuito col contratto
del 2/7/1996, l’attore non può pretendere somme maggiori di quanto
liberamente concordato (secondo il principio di autonomia negoziale).
Spetterebbe, pertanto, al XX un ulteriore pagamento di Lire 62.800.000.
I lavori, però, non sono stati eseguiti a regola d’arte e la C.T.U. ha
consentito di stimare (in accordo con i consulenti delle parti) i vizi lamentati
in complessive Lire 6.000.000.
A dire il vero, il C.T.U. ha svolto le operazioni dopo che la YY S.r.l. (a suo
dire) aveva ripristinato una parte dei difetti riscontrati e, pertanto, non ha
potuto verificare la situazione antecedente agli interventi compiuti dalla
convenuta.
Con le istanze istruttorie, la YY S.r.l. aveva richiesto di provare i difetti
riscontrati nei lavori affidati alle appaltatrici; la prova non è stata ammessa,
ma la decisione del Giudice è da ritenersi corretta perché i capitoli formulati
nella comparsa di risposta non attengono a fatti ma a valutazioni di tipo
tecnico (non demandabili ad un teste). Ben avrebbe potuto (e dovuto) la YY
S.r.l., prima di procedere all’esecuzione di opere di ripristino degli intonaci
o di "correzione" del lavoro svolto dal XX, richiedere un accertamento
tecnico preventivo per descrivere i difetti asseritamente riscontrati; ciò non
è stato fatto e, pertanto, le affermazioni della convenuta su altri e più ingenti
vizi delle opere compiute sono rimaste sfornite di prova.
Conseguentemente, date le emergenze istruttorie, la domanda
riconvenzionale della YY S.r.l. può essere solo parzialmente accolta e la
stessa convenuta deve essere condannata a pagare al XX la somma di Lire
56.800.000, oltre interessi dalla data delle fatture (come previsto nel
contratto) al saldo effettivo.
2. Riguardo alla richiesta restituzione dei materiali e degli attrezzi la cui
sottrazione la YY S.r.l. imputa al XX, si osserva che i capitoli nr. 10-11
dedotti nella comparsa di risposta per la prova testimoniale (e non ammessi)
non miravano a provare l’appropriazione delle cose da parte dell’attore, ma
a dimostrare che la YY S.r.l. ne aveva più volte domandato la riconsegna.
Pertanto, se anche il mezzo istruttorio (irrilevante) fosse stato ammesso e
confermato dai testi, non avrebbe comunque consentito alla convenuta di
suffragare le tesi sostenute, rimaste indimostrate.
Anche questa domanda, perciò, deve essere respinta.
3. Quanto alla posizione del terzo chiamato, si osserva che,
inequivocabilmente, il TJJ ha disconosciuto il contratto del 30/8/1996 e le
fatture versate in atti dalla YY S.r.l.: come hanno ricordato le difese di tutte
le parti, non occorrono formule sacramentali per effettuare il
disconoscimento, ma – nel caso de quo – sono chiarissime le obiezioni del
TJJ, il quale ha contestato la veridicità dei fatti dedotti nella narrativa della
comparsa di costituzione e, nelle conclusioni del medesimo atto, ha
esplicitamente richiesto di accertare "la falsità documentale riferentesi al
contratto di appalto ed alle fatture prodotte in atti apparentemente emesse da
TJJ".
Poiché la YY S.r.l. ha omesso di avanzare istanza di verificazione dei
predetti documenti, gli stessi non possono essere in alcun modo impiegati ai
fini della decisione.
Le circostanze sopra esposte (oltre al disconoscimento del contratto, la
perizia redatta dallo stesso legale rappresentante della YY S.r.l. e l’invio
delle contestazioni al solo XX) inducono a ritenere che nessun contratto di
appalto sia mai stato concluso con il TJJ.
Anche a voler ammettere (in pura teoria) la non creduta ipotesi secondo cui
sarebbe stato concluso un contratto tra il terzo chiamato e l’odierna
convenuta, la YY S.r.l. sarebbe comunque decaduta dall’esercizio
dell’azione contrattuale ex art. 1667 c.c. per i vizi lamentati nei confronti
del TJJ.
Secondo le affermazioni della stessa YY S.r.l. (atto di citazione del terzo), i
lavori di intonaco sono stati eseguiti entro la fine del 1996 e le prime
contestazioni sull’operato del XX sono state avanzate già nel 1996 e
all’inizio del 1997: il committente ha proceduto a verificare l’opera
compiuta all’inizio del 1997 (documento nr. 7, datato 25/2/1997) ed entro lo
stesso periodo ha, necessariamente, ricevuto l’opera. Nonostante i vizi
asseritamente riscontrati, la YY S.r.l. nulla ha contestato al TJJ.
Ai sensi dell’art. 1665 c.c. incombe sul committente l’onere di procedere
alla verifica non appena l’appaltatore lo mette in condizione di poterla
eseguire; in ogni caso, deve comunicare il risultato della verifica in un breve
tempo o, altrimenti, l’opera si considera accettata; infine, se il committente
riceve l’opera senza effettuare riserve, questa si considera accettata.
La tacita accettazione dell’opera (ai sensi del precitato art. 1665 c.c.)
implica la decadenza della YY S.r.l. dalla garanzia ex art. 1667 c.c.
Ad abundantiam, prima della notifica dell’atto di chiamata in causa, la YY
S.r.l. non aveva mai denunciato all’appaltatore TJJ (ammesso che sia tale) i
vizi riscontrati, dei quali era a conoscenza ben prima del termine di 60
giorni prescritto dal comma 2° dell’art. 1667 c.c. (come dimostra il
documento nr. 7 della stessa convenuta, col quale – in data 25/2/1997 – si
esaminano e stimano i pretesi vizi).
Per quanto esposto, deve essere respinta la domanda svolta dalla YY S.r.l.
nei confronti di TJJ.
4. Per quanto concerne la domanda di risarcimento ex art. 96 c.p.c. avanzata
dal TJJ, si osserva che la YY S.r.l. lo ha inopinatamente chiamato in causa
con un’azione assolutamente temeraria, sia perché dagli stessi atti prodotti
dalla società si evince che nessun addebito poteva essere mosso all’operato
del terzo chiamato, sia perché la convenuta era abbondantemente decaduta
dall’esercizio dell’azione promossa, sia perché possono avanzarsi forti
dubbi sulla veridicità degli stessi documenti versati in atti (che, a fronte di
un tempestivo disconoscimento, la convenuta si è ben guardata dal far
verificare!).
Con ampia motivazione, il Tribunale di Bologna – con sentenza 379/2005
del 27/1/2005 – ha illustrato e rivisto, alla luce delle recenti sentenze sul
danno non patrimoniale, i presupposti della responsabilità aggravata.
Nel caso, il danno è consistente nell’indebito coinvolgimento in un’azione
giudiziaria promossa per colpa grave ai sensi dell’art. 96 c.p.c. (Cass.
1983/1308, secondo cui colpa grave è da intendersi "nel senso della
consapevolezza, o dell’ignoranza derivante dal mancato uso di un minimo
di diligenza, dell’infondatezza" della tesi fatta valere, oppure Cass.
1983/1973, per cui incorre in colpa grave chi ha "agito o insistito in una
pretesa coscientemente infondata, e cioè senza il minimo esame della
giustezza e della ragionevolezza della pretesa", oppure ancora Cass.
3799/1983, per cui la colpa grave è la coscienza dell’infondatezza o la
carenza della normale diligenza volta all’acquisizione di detta coscienza; su
tale linea si collocano anche le più recenti 4651/1990, 9579/2000, 73/2003),
oltre che nella (gratuita) denigrazione dell’attività professionale del TJJ.
L’"impatto" della vicenda sull’esistenza della persona convenuta in giudizio
è chiaramente un profilo non patrimoniale: la responsabilità ex art. 96 c.p.c.
ha natura processuale ma "i danni da risarcire sono di qualsiasi tipo...
purché causati da uno dei comportamenti tipizzati nella norma" (Cass.
8872/1987; conformi, più di recente, Cass. 4947/2001, Cass. 3573/2002).
La recente evoluzione ha dilatato ampiamente i confini di risarcibilità del
danno non patrimoniale: la giurisprudenza pregressa infatti intendeva come
danni concretamente risarcibili ex art. 96 c.p.c. quelli patrimoniali
rappresentati dal danno emergente e dal lucro cessante, non potendosi
all’epoca ipotizzare una risarcibilità del danno non patrimoniale derivante
da illecito processuale riconducibile puramente all’art. 96 c.p.c., e non
quindi dotato di rilevanza penale e perciò produttivo anche del cosiddetto
danno morale, né tantomeno riconducibile alla species del biologico. Com’è
noto, l’interpretazione che ora è parte del diritto vivente in relazione all’art.
2059 c.c. è un’interpretazione costituzionalmente orientata, che ha
consentito di riconoscere la risarcibilità non solo del danno morale in senso
stretto, e comunque non solo del danno non patrimoniale derivante da
illecito penale, ma anche del danno non patrimoniale lesivo di interessi di
rango costituzionale relativi alla persona pur se non tipizzati e "presidiati"
da fattispecie penali. Questo orientamento, scaturito – com’è noto – da una
sorta di combinato disposto tra la giurisprudenza della Suprema Corte –
sentenze 8827 e 8828 del 2003 – e un successivo intervento della Corte
Costituzionale – sentenza 233 del 2003 – e ormai da ritenersi definitivo, se
da un lato ha esteso l’area del danno risarcibile in misura decisamente
notevole, dall’altro, innestandosi nell’ambito di una querelle sorta
contemporaneamente alla "estrazione" della categoria dottrinale dalla
varietà della pratica, ha indotto a una rimeditazione della categoria di danno
che anteriormente veniva (seppur in modo non incontroverso) sempre più
utilizzata proprio per supplire e ovviare alla carenza di risarcibilità di una
vasta area che la coscienza sociale e giuridica comunque percepivano come
danno: la categoria del danno esistenziale. In un contesto in cui il danno non
patrimoniale risarcibile si circoscriveva alla sofferenza (già di per sé intesa
in senso restrittivo) da reato e il danno biologico era stato definitivamente
confinato nella lesione psicofisica accettabile sul piano medico legale,
restava infatti estranea alle categorie tradizionali di danno risarcibile
un’area che, con la progressiva attenzione che l’ordinamento giuridico
veniva attribuendo al "valore uomo", inteso nella sua complessità anche
relazionale, era appunto percepita come rilevante dal punto di vista
giuridico e non più solo dal punto di vista psicologico o sociologico:
un’ampia area di pregiudizio alla normalità della vita di una persona,
normalità intesa nel senso positivo di "qualità della vita". Per aggirare il
"blocco" ermeneutico che asserviva il danno non patrimoniale non
biologico alla fattispecie penale, si era prospettata appunto la categoria del
"danno esistenziale", che era stata riconosciuta, dopo varie sue applicazioni
ad opera dei Giudici di merito, anche dalla Cassazione (si vedano, per
esempio, le sentenze Cass. 7713 del 2000, 9009 del 2001 e del 15449 del
2002). Essendo sorto in effetti per "coprire" un settore del danno non
patrimoniale all’epoca non risarcibile ai sensi dell’art. 2059 cc., una volta
"dilatato" quest’ultimo, non sussiste ormai alcun motivo per non
riconoscere che il danno esistenziale indica una categoria del danno non
patrimoniale disciplinato da detto articolo, non apparendo più neppure
"utile" sostenere la sua estraneità a tale norma (vale a dire ricondurlo, del
tutto immotivatamente ormai, all’art. 2043 c.c.). Dunque, allo stato del
diritto vivente il danno esistenziale può ritenersi – risolvendo in tal senso la
questione di qualificazione che gli è in fondo da sempre connessa – una
delle categorie risarcibili del danno non patrimoniale previsto in generale
dall’art. 2059 c.c. e precisamente quella sofferenza che scaturisce dalla
menomazione della qualità della vita derivata dall’illecito. È identificabile
nell’art. 2 Cost., il riscontro a livello costituzionale di questo valore,
intendendosi la qualità della vita come estrinsecazione concreta del diritto
alla realizzazione personale, sia per quanto attiene la propria condizione
"interiore" rispetto alla vita stessa – vale a dire il diritto a realizzarsi senza
dover fronteggiare psicologicamente situazioni di disagio e di stress – sia
per quanto attiene alle relazioni interpersonali e sociali. Così intendendo il
danno esistenziale, non si può non qualificare tale quello che viene qui
prospettato, come si è visto più sopra, come impatto della vicenda
processuale sull’esistenza della persona che si asserisce danneggiata e come
"conseguenti preoccupazioni".
Occorre valutare se sia stata fornita la prova dell’esistenza e del quantum di
tali danni. Al riguardo va ricordato quanto insegna la giurisprudenza in
ordine all’onere della prova per danni da illecito processuale ex art. 96 c.p.c.
Se da un lato si è affermato che sulla parte che si dichiara danneggiata grava
l’onere della prova secondo i principi generali (si veda, da ultimo, Cass.
18169/2004), dall’altro sì è valorizzato anche un ruolo ufficioso del
Giudice. Particolare sensibilità su questo piano – sulla scorta peraltro di
giurisprudenza precedente – hanno dimostrato alcune tra le più recenti
sentenze di legittimità, spesso congiungendo tale aspetto con la
evidenziazione del fatto che il risarcimento ex art. 96 c.p.c. è
onnicomprensivo (si veda per esempio Cassazione 6796/2003, secondo la
quale "all’accoglimento della domanda da risarcimento dei danni da lite
temeraria non osta l’omessa deduzione e dimostrazione dello specifico
danno subito dalla parte vittoriosa, che non è costituito dalla lesione della
propria posizione materiale, ma dagli oneri di ogni genere che questa abbia
dovuto affrontare per essere stata costretta a contrastare l’ingiustificata
iniziativa dell’avversario e dai disagi affrontati per effetto di tale iniziativa,
danni la cui esistenza può essere desunta dalla comune esperienza"; si veda
anche Cassazione 10731/2001).
Può considerarsi infatti notorio che un "assoggettamento" a un’iniziativa
processuale del tutto ingiustificata per un importo tutt’altro che indifferente
leda la qualità della vita del soggetto, nel senso di sottoporlo a una
situazione di disagio interiore da preoccupazione in relazione al proprio
futuro; non va tralasciato, inoltre, che le affermazioni (manifestamente
infondate) della YY S.r.l. hanno inciso sulla reputazione professionale del
terzo chiamato.
Non si può ritenere che il mero esercizio del diritto di azione, in quanto
lecito, non possa generare tale tipologia di danno. Se infatti dal punto di
vista processuale sussisteva il diritto di azione, nel caso di specie dal punto
di vista sostanziale non sussisteva il diritto sotteso allo jus agendi: di qui
l’illecito processuale, ex art. 96 c.p.c., verificatosi per l’utilizzo, in difetto di
un grado accettabile di diligenza – quindi con colpa grave – dello strumento
processuale in una fattispecie sostanziale infondata.
Riguardo alla quantificazione del danno – che per la natura dello stesso non
può che essere equitativa – si stima equo riconoscere un importo,
all’attualità, di Euro 2.000,00.
5. La decisione sulle spese di lite segue il principio di soccombenza: in
considerazione del D.M. 5/10/1994 n. 585 (applicabile ratione temporis a
tutte le attività antecedenti al 2/6/2004) e delle vigenti tariffe forensi,
dell’effettiva attività svolta dalle difese del XX e del TJJ, del valore e della
difficoltà della controversia, decurtate le spese ritenute eccessive, superflue
o non documentate, i costi di lite vengono liquidati come in dispositivo.
P.Q.M.
il Tribunale di Reggio Emilia – sezione prima civile
definitivamente pronunciando sulla causa nr. 1196/1997 R.G. promossa da
XX contro YY S.r.l. e con la chiamata in causa di TJJ, ogni altra e diversa
domanda, istanza, eccezione e difesa disattesa e respinta, così provvede:
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condanna YY S.r.l. a pagare a XX la somma di Euro 29.334,75 (pari
a Lire 56.800.000), oltre interessi dalla data delle fatture al saldo
effettivo;
condanna YY S.r.l. a pagare a TJJ la somma di Euro 2.000,00 per
risarcimento danni ex art. 96 c.p.c.;
condanna YY S.r.l. a rifondere a XX le spese di questo giudizio, che
liquida in complessivi Euro 3.985,00 (di cui Euro 2.150,00 per
onorari, Euro 1.634,62 per diritti ed Euro 200,38 per spese), oltre al
rimborso delle spese generali ex art. 14 T.P. e ad I.V.A. e C.P.A.
come per legge;
condanna YY S.r.l. a rifondere a TJJ le spese di questo giudizio, che
liquida in complessivi Euro 3.460,75 (di cui Euro 2.150,00 per
onorari, Euro 1.174,46 per diritti ed Euro 136,29 per spese), oltre al
rimborso delle spese generali ex art. 14 T.P. e ad I.V.A. e C.P.A.
come per legge;
condanna YY S.r.l. a rifondere a XX e a TJJ le spese sostenute per la
C.T.U. (già poste, provvisoriamente, a carico di tutte le parti in
solido).
Reggio Emilia, 19 maggio 2005
Il Giudice
Dott. Giovanni Fanticini
Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2005
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