Diocesi di Piacenza-Bobbio Servizio Documentazione Cattedrale Scuola della Parola ”Rigenerati per una Speranza viva” 27 Ottobre 2005 Lettura: 1 Pietro (1, 1-9). Animazione. La comunità religiosa. Dizionario. Libreria Editrice Vaticana. Mons. Luciano Monari, Vescovo Meditazione -I– Il testo della prima Lettera di Pietro (1, 1-9) 1. La prima lettera di Pietro è tutta incentrata sul tema della Speranza, e diventerà il testo di meditazione e per noi anche di preghiera. I testi che cercheremo di pregare in questi incontri della Scuola della Parola sono presi dalla prima Lettera di San Pietro. Il motivo è che la Lettera è il testo di riferimento di tutta la Chiesa italiana in questo anno che ci prepara al Convegno ecclesiale del 2006 che si svolge a Verona. Un Convegno che ha come tema: “Testimoni di Gesù Cristo risorto: speranza del mondo”. E vuole richiamare la responsabilità, il compito, che le comunità cristiane hanno di testimoniare la Speranza che viene dalla risurrezione di Gesù. Siccome la prima lettera di Pietro è tutta incentrata sul tema della Speranza, e diventerà il testo di meditazione e per noi anche di preghiera. Provo a fare una specie di parafrasi del testo per capire gli elementi, perché è un testo molto denso, e si potrebbe dire che bisogna prendere parola per parola, e ogni parola cercare di capirla e di gustarla, e ogni parola farla diventare preghiera di risposta con gratitudine e con gioia al Signore. 2. L’indirizzo della Lettera Come tutte le lettere, inizia con l’indirizzo, che è questo: «[1]Pietro, apostolo di Gesù Cristo, ai fedeli dispersi nel Ponto, nella Galazia, nella Cappadòcia, nell’Asia e nella Bitinia, eletti [2]secondo la prescienza di Dio Padre, mediante la santificazione dello Spirito, per obbedire a Gesù Cristo e per essere aspersi del suo sangue: grazia e pace a voi in abbondanza» (1 Pt 1, 1-2). Lo schema è semplicissimo, è quello di tutte le lettere antiche, e sarebbe: “Pietro, ai fedeli, salute”. Però questo piccolo schema viene arricchito da una serie di espressioni preziose. 2.1. Pietro è Apostolo di Gesù Cristo Pietro. Attenzione, ricordatevi che questo non è un personaggio privato, è Apostolo 1 di Gesù Cristo. Le parole che ascolteremo da lui nella sua Lettera, vengono da lui, ma da lui come 1 Apostolo. (Gr “uno che è mandato”, “ambasciatore”). In senso stretto, si chiamano così i dodici discepoli scelti da Cristo (Mt 10, 2; Lc 6, 13-16), i quali resero testimonianza al suo ministero, alla sua morte e risurrezione con la potenza dello Spirito Santo (At 1, 5.8). In un senso più largo, sono 1 “mandato”. Attraverso quelle parole è la Parola stessa di Gesù che arriva alla nostra vita. E attraverso quelle parole possiamo ascoltare il Signore e entrare in dialogo con Lui. Pietro è Apostolo di Gesù Cristo. 2.2. I destinatari sono i fedeli dispersi in quelle regioni che vengono ricordate. I destinatari sono i fedeli dispersi in queste regioni che vengono ricordate (sono regioni dell’Asia Minore, della Turchia oggi), e sono descritti cosi. 2.2.1. Primo aspetto: siamo dei forestieri dispersi; persone straniere, forestiere, ospiti Sono delle persone straniere, forestiere, ospiti. Si può dire che abitano in quelle regioni, ma in realtà la loro vera cittadinanza è nel Cielo. Vivono sulla Terra ma come degli stranieri, come se fossero dentro a delle tende che sono piantate ma poi alla mattina vengono smontate e si riparte. La vita cristiana è per San Pietro una vita di pellegrinaggio, una vita nomade sulla Terra. E “nomade”, non perché non ha punti di riferimento, ma perché tende a qualche cosa di più grande; direbbe San Paolo: Tende «[10](…)alla città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso» (Eb 11, 10). Quindi, primo aspetto: siamo dei forestieri dispersi. 2.2.2. Siamo figli di Dio, assomigliamo nella santità al Padre a motivo dell’opera dello Spirito. Secondo aspetto. Siamo «eletti [2]secondo la prescienza di Dio Padre, mediante la santificazione dello Spirito, per obbedire a Gesù Cristo». Ed è bello, perché vuole dire che per dire chi è il “cristiano” bisogna disturbare tutta la Trinità 2: il Padre, e lo Spirito, e Gesù Cristo. Se uno non tiene presente questo, non capisce la vera identità del cristiano. compresi come Apostoli: Paolo (1 Cor 9, 1; Gal 1, 1.17), Barnaba (At 14, 4.14), Giacomo (1 Cor 15, 7) ed altri (Rm 16, 7) che servirono come guide nella missione originaria del cristianesimo e che furono investiti dell’autorità di Cristo nella fondazione della Chiesa (Ef 2, 20). 2 Trinità Santissima. (Catechismo Chiesa Cattolica). Mistero in senso stretto, conoscibile solo per Rivelazione. La Trinità è un mistero della fede in senso stretto, uno dei “misteri nascosti in Dio, che non possono essere conosciuti se non sono divinamente rivelati” (Conc. Vaticano I, DS 3015; FCC 1.080). Indubbiamente Dio ha lasciato tracce del suo essere trinitario nell’opera della creazione e nella sua Rivelazione lungo il corso dell’Antico Testamento. Ma l’intimità del suo Essere come Trinità Santa costituisce un mistero inaccessibile alla sola ragione, come pure alla fede d’Israele, prima dell’Incarnazione del Figlio di Dio e dell’invio dello Spirito Santo [237]. Il Padre, rivelato dal Figlio. Gesù ha rivelato che Dio è “Padre” in un senso inaudito: non lo è soltanto in quanto Creatore; egli è eternamente Padre in relazione al Figlio suo unigenito, il quale non è eternamente Figlio se non in relazione al Padre suo: “Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” (Mt 11, 27) [240]. L’unico Figlio, consostanziale al Padre. Per questo gli Apostoli confessano Gesù come “il Verbo” che “in principio… era presso Dio e il Verbo” che “era Dio” (Gv 1, 1), come colui che “è immagine del Dio invisibile” (Col 1, 15) “irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza” (Eb 1, 3) [241). Sulla loro scia, seguendo la Tradizione Apostolica, la Chiesa nel 325, nel primo Concilio Ecumenico di Nicea, ha confessato che il Figlio è “consostanziale” al Padre, cioè un solo Dio con lui. Il secondo Concilio Ecumenico, riunito a Costantinopoli nel 381, ha conservato tale espressione nella sua formulazione del Credo di Nicea ed ha confessato “il Figlio unigenito di Dio, generato dal Padre prima di tutti i secoli, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato, della stessa sostanza del Padre” (DS 150; FCC 0.509) [242]. Il Padre e il Figlio, rivelati dallo Spirito Santo. Prima della sua Pasqua, Gesù annunzia l’invio di un “altro Paraclito” (Difensore), lo Spirito Santo. Lo Spirito che opera fin dalla creazione (cf Gn 1, 2), che già aveva “parlato per mezzo dei profeti” (Simbolo di Nicea-Costantinopoli), dimorerà presso i discepoli e sarà in loro (cf Gv 14, 17), per insegnare loro (cf Gv 16, 13) ogni cosa e guidarli “alla verità tutta intera” (Gv 16, 13). Lo Spirito Santo è in tal modo rivelato come un’altra Persona divina in rapporto a Gesù e al Padre [243]. Lo Spirito del Padre e del Figlio, terza Persona. L’origine eterna dello Spirito si rivela nella sua missione nel tempo. Lo Spirito Santo è inviato agli Apostoli e alla Chiesa sia dal Padre nel nome del Figlio, sia dal Figlio in persona, dopo il suo ritorno al Padre (cf Gv 14, 26; 15, 26; 16, 14). L’invio della Persona dello Spirito dopo la glorificazione di Gesù (cf Gv 7, 39) rivela in pienezza il mistero della Santissima Trinità [244]. La fede apostolica riguardante lo Spirito è stata confessata dal secondo Concilio Ecumenico nel 381 a Costantinopoli: Crediamo “nello Spirito Santo, che è Signore e dà vita; che procede dal Padre” (DS 150). Così la Chiesa riconosce il Padre come “la fonte e l’origine di tutta la divinità” (Concilio di Toledo VI, del 638 d.C., DS 490). L’origine eterna dello Spirito Santo non è tuttavia senza legame con quella del Figlio: “Lo Spirito Santo, che è la Terza Persona della Trinità, è Dio, uno e uguale al Padre e al Figlio, della stessa sostanza e anche della stessa natura… Tuttavia, non si dice che Egli è soltanto lo Spirito del Padre, ma che è, ad un tempo, lo Spirito del Padre e del Figlio” (Concilio di Toledo XI, del 675, DS 527; FCC 6.034s). Il Credo del Concilio di Costantinopoli (del 381 d.C.) della Chiesa confessa: “Con il Padre e con il Figlio è adorato e glorificato” (DS 150; FCC 0.509) [245]. Realtà essenziali nel dogma trinitario. a) Un solo Dio in tre Persone. La Trinità è Una. Noi non confessiamo tre dèi, ma un Dio solo in tre Persone [253]. b) Le persone divine sono realmente distinte tra loro. “Dio è unico ma non solitario”. “Padre”, “Figlio” e “Spirito Santo” non sono semplicemente nomi che indicano modalità dell’Essere divino; essi infatti sono realmente distinti tra loro: “Il Figlio non è il Padre, il Padre non è il Figlio, e lo Spirito Santo non è il Padre o il Figlio”. Sono distinti tra loro per le loro relazioni di origine: “È il Padre che genera, il Figlio che è generato, lo Spirito Santo che procede”. L’Unità divina è Trina [254]. c) Le Persone divine sono relative le une alle altre. La distinzione reale delle Persone divine tra loro, poiché non divide l’unità divina, risiede esclusivamente nelle relazioni che le mettono in riferimento le une alle altre: “Nei nomi relativi delle Persone, il Padre è riferito al Figlio, il Figlio al Padre, lo Spirito Santo all’uno e all’altro; quando si parla di queste tre Persone considerandone le relazioni, si crede tuttavia in una sola natura o sostanza” (Conc. di Toledo XI, del 675, DS 528; FCC 6.038). Infatti “tutto è una cosa sola in loro, dove non si opponga la relazione” (Conc. di Firenze del 1442, DS 1330; FCC 6.072s). “Per questa unità il Padre è tutto nel Figlio, tutto nello Spirito Santo; il Figlio tutto nel Padre, tutto nello Spirito Santo; lo Spirito Santo è tutto nel Padre, tutto nel Figlio” (Conc. di Firenze del 1442, DS 1331; FCC 6.075) [255]. 2 Il cristiano è un povero uomo, una persona fragile come tutti, ma è oggetto di conoscenza e di amore eterno da parte del Padre, «secondo la prescienza di Dio Padre». Quindi, non siamo in questo Mondo come abbandonati a noi stessi. C’è Uno che ci conosce, e ci conosce da sempre, e ci conosce con affetto. «[2]Secondo (…) mediante la santificazione dello Spirito»; e vuole dire: (tornate al discorso di prima) non c’è dubbio che siamo della povera gente, fragilissimi, però è altrettanto vero che Dio ha operato la nostra santificazione; siamo figli di Dio 3, assomigliamo nella santità al Padre a motivo dell’opera dello Spirito. 2.2.3. La nostra vita diventi conforme alla parola di Gesù, e sia purificata dal sangue che Cristo ha versato per noi. Terzo aspetto: «[2](…)per obbedire a Gesù Cristo e per essere aspersi del suo sangue». Ebbene, “per obbedire a Gesù Cristo”, vuole dire: perché la nostra vita diventi conforme alla parola di Gesù, e sia purificata dal sangue che Cristo ha versato per noi. Oppure, se volete uscire dall’immagine del “sangue”: dall’amore con cui Cristo ha donato la vita per noi. Questa è la nostra identità: Dio ci conosce da sempre, ci santifica con il suo Spirito, apparteniamo a Cristo per fare la sua volontà, purificati dai nostri peccati con la ricchezza del suo amore. 2.2.4. Ci viene augurato la grazia e la pace in abbondanza. Allora, a questi destinatari della Lettera, che siamo noi, «grazia e pace a voi in abbondanza». La “grazia” 4 è il dono di Dio. La “pace” 5 è l’effetto di questo dono di Dio, con tutto quello che comporta: di gioia, di speranza, di consolazione, di fiducia, di comunione con gli altri. Ebbene, tutto questo ci viene augurato e donato. Questo è l’indirizzo della Lettera. 3 Figli adottivi di Dio. È figlio adottivo chi, pur non essendo suo figlio, è accettato come tale da un altro, con tutto i doveri e i diritti che gli competono. Quando diciamo di essere figli adottivi di Dio, usiamo questa espressione per distinguere la nostra filiazione da quella di Gesù, il Figlio per eccellenza, per natura; ma siamo figli per davvero, non come quelli che tra gli uomini si chiamano figli adottivi. Nell’ordine spirituale è possibile la vera comunicazione della vita divina e noi l’abbiamo ricevuta: siamo figli di Dio. 4 Grazia. (Latino “favore”). Qualsiasi dono non dovuto o aiuto concesso da Dio liberamente e per amore, ma soprattutto il dono massimo e fondamentale di essere salvi in Cristo mediante la fede (Rm 3, 21-26; 4, 13-16.25; Ef 2, 5-8). Dio desidera elargire questa grazia a tutti gli uomini (1 Tm 2, 4-6). La pienezza di grazia di Cristo (Gv 1, 16-17) ci reca una nuova nascita (Gv 1, 13; 3, 3; 1 Pt 1, 3-5), e il dono dello Spirito Santo (Rm 5, 5), ci rende figli adottivi di Dio (Rm 8, 14-16) e membra del Corpo di Cristo (1 Cor 12, 27). L’autocomunicazione di Dio (chiamata spesso grazia increata) significa la deificazione della vita umana e innalza ad un livello nuovo e non dovuto il rapporto della creatura verso il Creatore, trasformando così la natura umana (= grazia creata) e anticipando la vita futura del paradiso. Fin dalle origini, i cristiani hanno riconosciuto il ruolo speciale dei sacramenti nella vita di grazia. Per esempio, è mediante la grazia del battesimo che i nostri peccati sono perdonati e che noi veniamo giustificati e santificati (1 Cor 6, 9-11). 5 Pace. Nell’ordine personale, l’integrazione dell’essere umano che lo fa vivere in armonia e pienezza interiore e verso l’esterno. Nell’ordine sociale, intesa tra gli uomini, tra le classi sociali e tra gli Stati. La pace non è semplicemente assenza di guerra o di lotta, ma percezione ed esperienza di pienezza crescente, cementata sulla *giustizia e sulla collaborazione o solidarietà. Per il popolo ebraico, la pace è la speranza *messianica per eccellenza e l’anelito radicale dell’uomo, che si concretizza nel saluto: “La pace sia con te”, al quale si risponde: “E con il tuo Spirito”. “La parola ebraica shalom non si adatta né al latino pax, né al greco eirene. Etimologicamente, deriva dalla radice sumera shlm e dall’accadico shalamu = essere sano, integro (…). Per *Israele, il contenuto di shalom si può descrivere come segue: shalom significa la totale armonia all’interno della comunità che, grazie all’ordine, è penetrata dalla benedizione di Dio e rende così possibile una crescita libera e senza ostacoli dell’uomo in tutti i suoi aspetti. Questo spiega il fatto che shalom sia un concetto assai ampio, frequentemente usato, tanto per la vita quotidiana come per le più alte speranze religiose. Con esso si esprime la salute del corpo (Is 57, 18s; Ger 6, 14); si usa come formula di saluto (Gn 29, 6; 43, 27; 1 Sam 16, 4s); si parla di «andare in pace» (Gn 26, 29; Es 18, 23); si «desidera» la pace (Dt 23, 7; Ger 29, 7); si «dorme» in pace (Sal 4, 9) e si è «sepolti» in pace (Gn 15, 15; 2 Re 22, 20)” (H. Gross, in Baur, DT-H, c. 778-779). Dio è “il Dio della pace” (Rm 15, 33; 16, 20; 1 Cor 14, 33) e ce l’ha data nel suo Figlio, di cui san *Paolo dice: “Egli è la nostra pace” (Ef 2, 14). Gesù proclamò beati “quelli che cercano la pace” o “gli operatori di pace” (Mt 5, 9), e ordina ai suoi di salutare augurando la pace (cf Mt 10, 13; Lc 10, 5). Il saluto all’inizio di quasi tutte le lettere paoline è un augurio di grazia e di pace (cf 1 e 2 Cor, Gal, Ef, Fil, Fm, Col, 1 e 2 Tm, Tt). 3 3. Pietro inizia con una benedizione Poi, come capita alcune volte anche nelle lettere di san Paolo, anche Pietro inizia con una benedizione. 3.1. La benedizione è una forma di preghiera che si rivolge a Dio per esprimere gratitudine nei confronti dei suoi benefici. La benedizione è una forma di preghiera che si rivolge a Dio per esprimere gratitudine nei confronti dei suoi benefici. Siccome Dio ci ha donato qualche cosa di prezioso e di importante, noi lo benediciamo, cioè riconosciamo che quella realtà viene da Lui: «[3]Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo; nella sua grande misericordia egli ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, [4]per una eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce (…)» (1 Pt 1, 3-4). 3.2. La definizione di Dio, dal punto di vista cristiano, è il «Padre del Signore nostro Gesù Cristo». Quindi la nostra appartenenza a Gesù ci rende figli di Dio. Dicevo, noi benediciamo Dio per quello che ci ha donato in Gesù Cristo. Ma, questo Dio, ormai abbiamo imparato a conoscerlo secondo una figura precisa; voglio dire: “Dio è creatore e Signore del Cielo e della Terra”, non c’è dubbio, questo lo abbiamo imparato tante volte. “Dio è colui che ha liberato Israele dall’Egitto”, questo è quello che dice il Libro dell’Esodo 6 e più volte il Primo Testamento. Ma per noi Dio è innanzitutto il «Padre del Signore nostro Gesù Cristo», abbiamo imparato a riconoscerlo sotto questa figura di Padre. E il motivo per cui noi lo riconosciamo Padre, è che Gesù si è proclamato e riconosciuto ed è vissuto come suo Figlio, nella fiducia piena verso Dio e nella sottomissione senza riserve a Lui. Dunque, la definizione di Dio, dal punto di vista cristiano, è: il «Padre del Signore nostro Gesù Cristo». Siccome è il Padre di Gesù, e Gesù è il nostro Signore, la nostra appartenenza a Gesù – che è il Signore 7- ci rende figli di Dio - con Lui del Padre. Quindi, il rapporto con Dio per noi passa esattamente attraverso Gesù. 3.3. La risurrezione di Gesù è l’inizio di tutta la vita cristiana, di tutto quello che la Chiesa fa e vive. Ebbene, perché lo benediciamo? Dio che cosa ci ha donato? 6 Esodo. Dal greco, “via d’uscita”. Uscita degli israeliti dall’Egitto (a volte si chiama esodo anche tutto il cammino verso la terra promessa), e nome del libro (il secondo del *Pentateuco e della Bibbia) che narra questo evento. L’uscita dall’Egitto è, con l’*Alleanza che ne seguì, il fatto culminante della storia di Israele nell’AT, ricordato poi innumerevoli volte nella Bibbia. Ad esso fanno riferimento la celebrazione della *Pasqua, il passaggio del Mar Rosso (che rimarrà per i cristiani come immagine del *battesimo o passaggio dalla schiavitù del peccato alla libertà dei figli di Dio) e l’alleanza. Per Israele, l’esodo è la nascita come popolo: le famiglie disseminate tra gli egiziani si raggruppano come nazione o popolo di *Jhwh. L’uscita dall’Egitto si colloca verso il 1250-1200 a.C. 7 Signore. Colui che ha un certo dominio su un altro. In ebraico, al posto di *Yhwh (il sacro *tetragramma che nella lettura non si pronunciava per rispetto) si usò Adonai = mio Signore (cf Gn 15, 2.8), espressione di fiducia piena nella sua sovranità. In greco, la parola corrispondente è Kyrios, che implica sia la signoria di Dio che il suo nome incomunicabile; si usa spesso anche come semplice titolo di cortesia, così come si usa tra noi dire “signore”. Nel NT è usato frequentemente, sia in citazioni dell’AT che in modo indipendente (cf Mt 1, 20.24; 11, 25; Mc 12, 11.36; Lc 1, 11; 2, 9; Gv 12, 38; At 17, 24; Rm 4, 8; 9, 28; 1 Cor 10, 9; Eb 7, 21; Ap 1, 8; 11, 17; ecc.). Per i primi cristiani, è il titolo dato a Gesù risorto. Nella risurrezione, “Dio lo ha costituito Signore e Cristo” (At 2, 36). “Gesù è il Signore” era la formula con cui si confessava la sua divinità. 4 Dice San Pietro «ci ha rigenerati», ci ha fatto rinascere. Pensate chiaramente al Battesimo 8. Pensate alle parole di Gesù a Nicodemo: «se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio» (Gv 3, 3). Ma la cosa interessante è che, secondo san Pietro: «Dio ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti». Questo noi non l’avremmo detto, non ci verrebbe spontaneo. E invece deve cominciare a diventare normale per noi ragionare così: la risurrezione di Gesù è l’inizio di tutta la vita cristiana, di tutto quello che la Chiesa fa e vive. Se celebriamo l’Eucaristia, la forza viene dal Signore risorto. Se celebriamo il Battesimo, la forza viene dal Signore risorto. Se la parola di Dio è davvero parola di Dio, è perché ha l’energia del Signore risorto. E così via… Tutto quello che di bello, di buono, di grande, di vero, di autentico, che c’è nella vita della Chiesa, viene dalla risurrezione di Gesù. Allora si capisce che «Dio ci abbia rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti», perché quella è la sorgente di una vita nuova. La vita del Signore risorto non è la vita di prima, ma è una vita che non termina più, è una vita umana divinizzata, trasformata, rigenerata. Allora di lì viene tutta la nostra ricchezza. 3.4. L’uomo non vive mai solo di quello che ha, vive sempre anche di quello che spera o attende, di quello verso cui cammina. «Mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti Dio ci ha rigenerati»; e dice: ci ha rigenerati per una speranza viva, [4]per una eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce»; e vuole dire: “Vivere”, significa: avere una speranza. Il futuro è una dimensione essenziale della vita dell’uomo. L’uomo non vive mai solo di quello che ha, vive sempre anche di quello che spera o attende, di quello verso cui cammina. L’uomo è un “camminatore”, ogni giorno è un piccolo passo di vita. Ma se uno cammina, cammina verso un futuro, quindi verso un contenuto, una speranza. Ebbene, “Dio ci ha dato una speranza viva”, e vuole dire: una speranza che ha una qualità di vita piena, ricca. Perché di speranze se ne possono avere tante: io posso sperare nel successo o nella ricchezza, e non dico che siano speranze di peccato, però certamente sono speranze limitate, effimere; perché il successo, la ricchezza, il riconoscimento degli altri… sono tutte cose che inevitabilmente passano con il tempo o vengono corrose dal tempo; la loro qualità di vita è una qualità di seconda categoria, di secondo grado. 3.5. La “qualità della vita di Dio”, questa è la nostra speranza; è una speranza perfetta perché è la vita stessa di Dio. La “vita” invece è la speranza che Dio ci ha donato: «è una speranza viva» e non morta! E viva permanentemente, non in modo effimero, è una vita che non termina, e che non solo non termina ma ha la qualità e la bellezza della vita di Dio. La “qualità della vita di Dio”, questa è la nostra speranza. Per questo san Pietro può dire che è una «speranza che non si corrompe, non si macchia e non marcisce». Non c’è niente che la possa rovinare, né il tempo che corrode, né le cose che potrebbero macchiare, niente; è una speranza perfetta perché è la vita stessa di Dio. 8 Battesimo. (Sacramento del) (Catechismo Chiesa Cattolica). È fondamento di tutta la vita cristiana e consente l’accesso agli altri sacramenti: rigenera, ci fa figli di Dio e membra di Cristo, ci incorpora alla sua Chiesa facendoci partecipi della sua missione. Il santo Battesimo è il fondamento di tutta la vita cristiana, il vestibolo d’ingresso alla vita nello Spirito (“vitae spiritualis ianua”), e la porta che apre l’accesso agli altri sacramenti. Mediante il Battesimo siamo liberati dal peccato e rigenerati come figli di Dio, diventiamo membra di Cristo; siamo incorporati alla Chiesa e resi partecipi della sua missione (Conc. di Firenze, DS 1314; FCC 9.044 CIC, can. 204, 1; 849; CCEO 675, 1…): “Baptismus est sacramentum regenerationis per aquam in verbo – Il Battesimo può definirsi il sacramento della rigenerazione cristiana mediante l’acqua e la Parola” (Cath. R., 2, 2, 5) [1213]. 5 3.6. Tutti gli avvenimenti del mondo, casuali o voluti; tutte le cattiverie degli uomini o le ingiustizie non possono rovinare quella speranza perché è nei Cieli. Però uno potrebbe dire (ma questo lo dimenticate che non c’entra con San Pietro): attenzione che il nostro proverbio dice che “non c’è il gatto se non lo hai nel sacco”. Se c’è qualche cosa che ti sta a cuore lo cerchi, ma fin che non lo hai conquistato non pensare di averlo già avuto, di poterne essere sicuro del tutto. E invece la “speranza cristiana” ha proprio questo di caratteristico: c’è un tempo che ci separa dal ricevere questo contenuto di speranza - la vita eterna, la vita di Dio, e la riceveremo anche noi alla risurrezione, c’è quindi un tempo che ci separa -, ma nonostante questo la nostra speranza è sicura, non incerta, non vacillante, non effimera. Perché? Che cos’è che rende la nostra speranza sicura, se è collocata nel futuro e non nel presente? San Pietro, dice due cose. La prima è che «[4](…)Dio la conserva nei cieli per voi». Quindi, tutte le cose del mondo non la possono toccare. Tutti gli avvenimenti del mondo, casuali o voluti, tutte le cattiverie degli uomini o le ingiustizie non possono rovinare quella speranza lì, perché è nei Cieli; non è sottomessa agli alti e bassi della vita e della storia, non è sottomessa alla volontà cangiante degli uomini, ma è in Cielo custodita da Dio. 3.7. La vostra Speranza è custodita nei Cieli, voi siete custoditi sulla Terra mediante la Fede, dunque verrà il momento in cui vi incontrerete, in cui quella speranza che vi è stata promessa diventerà per voi possesso e eredità conseguita. Ma Dio non solo custodisce la speranza - cioè la vita che vi è stata promessa -, ma custodisce anche voi. “Custodisce anche voi”, perché voi, pur continuando a vivere in questo mondo, non possiate essere rovinati dalle paure o dalle seduzioni che il mondo cerca di presentare, che possiate vivere in questo mondo ma senza staccare la vostra esistenza da quella speranza, come se l’aveste già toccata, come se foste saldi in quella speranza là. E come fa Dio a «conservarci» così?: «Mediante la fede» (1 Pt 1, 5). La fede è l’opera di Dio con cui l’uomo, pur vivendo in questo mondo, viene appoggiato o collocato nelle sicurezza del futuro, nella sicurezza dell’invisibile, nella sicurezza della vita di Dio; quindi: la vostra Speranza è custodita nei Cieli, voi siete custoditi sulla Terra mediante la Fede, dunque verrà il momento in cui vi incontrerete, in cui quella speranza che vi è stata promessa diventerà per voi possesso e eredità conseguita. 4. Lo scopo per cui San Pietro ha scritto la Lettera Continua la Lettera. Allora se le cose stanno in questo modo: «[6]Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere un po’ afflitti da varie prove, [7]perché il valore della vostra fede, molto più preziosa dell’oro, che, pur destinato a perire, tuttavia si prova col fuoco, torni a vostra lode, gloria e onore nella manifestazione di Gesù Cristo» (1 Pt 1, 6-7). E questo è in realtà lo scopo per cui San Pietro ha scritto la Lettera. 4.1. San Pietro ha scritto questa Lettera perché la comunità cristiana stava soffrendo. Ha scritto questa Lettera perché la comunità cristiana era una comunità che stava soffrendo; soffriva per persecuzioni, per calunnie, per critiche cattive e per insulti; soffriva in alcuni dei suoi membri che erano schiavi e trattati mali dai padroni… Insomma soffriva per tante difficoltà. E poteva venire da dire: “Ma tu ci vieni a dire che noi siamo degli eletti da Dio, dalla prescienza eterna di Dio, ma non vedi come siamo messi? Fosse davvero autentica l’elezione di Dio, la nostra vita sarebbe bella e serena; vuoi che Dio non sia capace di proteggerci in questo mondo? Se siamo 6 messi in balia dei nostri avversari, vuole dire che l’elezione di Dio è una cosa mentale e non autentica, non vera”. 4.2. Le sofferenze che avete da sopportare entrano nel disegno di Dio su di voi e sulla vostra speranza. Allora, Pietro scrive la Lettera spiegando: “Se tutto quello che abbiamo detto è vero, - incomincia la lettera -:, «[6]Voi siete ricolmi di gioia - È vero che ci sono le prove, e ve lo dice - «anche se ora dovete essere per un po’ di tempo afflitti da varie prove». Quel “dovete” è chiaramente prezioso perché vuole dire la volontà di Dio, è il disegno di Dio su di voi che si compie. Le sofferenze che avete da sopportare, non sono solo qualche cosa che vi viene imposto da un mondo cattivo e che voi subite, ma entrano nel disegno di Dio su di voi e sulla vostra speranza. Quindi non avvilitevi, siete custoditi da Dio, anche dentro le varie prove. In realtà dice: “Sono prove che durano solo per un po’ di tempo; afflitti, ma non per sempre, consolati nel momento stesso in cui sperimentate l’afflizione”. 4.3. Fin che la fede non è provata, fin che l’amore al Signore non è messo di fronte a ostacoli o a fatiche c’è sempre il rischio che la fede sia verbale, questione di parole e basta, o di sentimenti superficiali e basta. Ma le prove rendono la fede profonda. Ma perché ci sono queste prove? E Pietro lo spiega prendendo una immagine, che si trova varie volte nella Bibbia, ed è quella della purificazione dei metalli. Se ci sono dei metalli vivi di poco valore, nessuno se ne preoccupa, si lasciano così. Ma se ci sono metalli preziosi come l’oro e l’argento, e questi normalmente sono mescolati con delle scorie, con dei metalli vivi, allora l’oro e l’argento sono fusi al fuoco, per poterli separare dalle scorie, perché siano puri. Dicevo, fossero metalli da niente nessuno se ne preoccuperebbe, nessuno ci metterebbe del tempo e del fuoco per poterli purificare, ma siccome sono metalli preziosi, il lavoro va fatto. Se la vostra fede fosse roba da niente, nessuno si preoccuperebbe di purificarla, ma siccome è preziosa, è super preziosa, per questo ha bisogno di passare attraverso la prova, perché diventi autentica. Perché, fin che la fede non è provata, fin che l’amore al Signore non è messo di fronte a ostacoli o a fatiche c’è sempre il rischio che la fede sia verbale, questione di parole e basta, o di sentimenti superficiali e basta. Ma le prove rendono la fede profonda. Uno è costretto di fronte le sofferenze a affidarsi a Dio senza gratificazioni, senza altri appoggi, senza altri vantaggi. Allora la vostra fede purificata tornerà «a vostra lode, gloria e onore nella manifestazione di Gesù Cristo». “Lode e gloria e onore”, non vuole dire solo che voi siete stati bravi, ma che la fede era autentica, cioè veniva da Dio; non era solo l’espressione di un vostro desiderio di consolazione, ma era autentica relazione con Dio, rapporto vero di comunione. 5. Pietro parla della manifestazione di Gesù Cristo Pietro alla fine ha parlato della manifestazione di Gesù Cristo: «[8]voi lo amate, pur senza averlo visto; e ora senza vederlo credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, [9]mentre conseguite la mèta della vostra fede, cioè la salvezza delle anime» (1 Pt 1, 8-9). 5.1. Anche se non lo vedete il rapporto con Lui è autentico, non è immaginario. La fede e l’amore sono realtà attraverso cui la relazione con Gesù è solida, è forte. E vuole dire: anche se non lo vedete il rapporto con Lui è autentico, non è immaginario. La fede e l’amore sono realtà attraverso cui la relazione con Gesù è solida, è forte. È vero che uno potrebbe desiderare di poterlo vedere, di poterlo toccare esternamente con le mani, ma questo non ci è dato. Ma il fatto che non ci sia dato, questo non vuole dire che il rapporto con Lui è un rapporto aereo semplicemente pensato; no, è un rapporto vero di comunione di fede e di 7 amore: «voi lo amate», lo amate davvero, «anche se non lo avete visto», davvero «credete in Lui anche se non lo avete visto». Anzi, nell’ottica della fede e dell’amore, il non vedere è la condivisione attraverso cui il rapporto con il Signore diventa un rapporto ancora più profondo e puro. 5.2. È vero che non lo vedete, però la gioia del rapporto con Gesù Cristo la sperimentate già fin da ora, la comunione con Lui la vivete fin da ora. Allora, anche se non lo vedete «esultate di gioia indicibile e gloriosa, [9]mentre conseguite la mèta della vostra fede, cioè la salvezza delle anime»; che vuole dire: è come se toccaste già Gesù Cristo. È vero che non lo vedete, però la gioia del rapporto con Lui la sperimentate già fin da ora, la comunione con Lui la vivete fin da ora. «Conseguite la mèta della vostra fede». Evidentemente “la mèta della vostra fede”, è nell’aldilà. E uno potrebbe dire che sarà in futuro. È vero che è il futuro, ma la fede lo anticipa. E nel momento in cui hai un a fede autentica afferri già quello che è l’oggetto della tua fede e della tua speranza. - II Il brano di Pietro diventa preghiera 1. Questo è il brano, e ci fermiamo un attimo in silenzio e lo facciamo diventare preghiera. Questo è il brano, e ci fermiamo un attimo in silenzio e lo facciamo diventare preghiera. 1.1. Potete semplicemente riprenderlo e trasformarlo in dialogo con il Signore: io-Tu. Lo potete fare diventare preghiera in tanti modi. Potete semplicemente riprenderlo e trasformarlo in dialogo con il Signore: io-Tu. Per cui quando dice, «[3]Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo», uno può anche dire: “Benedetto sei Tu, Dio Padre del Signore nostro Gesù Cristo, perché ci hai rigenerati”, o mi hai rigenerato. Cioè in modo che le parole diventano parole di una preghiera, parola di un dialogo. E questo è semplicissimo, non si fa fatica a fare. Però se lo fate lentamente senza correre, e se lo fate con il cuore, cioè cercando di capire con la testa ma anche di desiderare con il cuore, allora diventa effettivamente una preghiera. 1.2. Oppure su quella Parola costruire un dialogo con il Signore. Oppure potete anche fermarvi su una espressione, per esempio: - «una speranza viva» (1 Pt 1, 3); oppure «custoditi mediante la fede» (1 Pt 1, 5). E su quella Parola costruire un dialogo con il Signore. 1.3. Oppure anche solo se leggendo una parola il cuore produce un desiderio, fermatevi lì. Oppure anche solo - se vi va, questo dipende da voi - se leggendo una parola il cuore produce un desiderio, fermatevi lì, anche per un minuto/dieci minuti, non c’è bisogno di passare oltre, non c’è bisogno di arrivare in fondo. Dove c’è il desiderio, fermatevi. Dove il desiderio non esce ancora o non esce ancora viva, andate avanti pian piano leggendo in quel modo che ricordavo. E fermandovi sulle parole, perché sono parole ricche dal punto di vista del contenuto della fede, e sono parole preziose dal punto di vista del dialogo con il Signore nella preghiera. 1.4. Oppure, alla fine della lettura o della preghiera, pregare con il “Padre nostro”. Potreste anche, alla fine della lettura o della preghiera, pregare con il “Padre nostro”; e anche lì nello stesso modo, senza fretta e fermandovi sulle singole invocazioni. 8 Il “Padre nostro” è effettivamente preghiera al “Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo”. Quindi ci introduce dentro agli atteggiamenti spirituali anche migliori per capire il brano. * Cv. Documento rilevato come amanuense dal registratore, scritto in uno stile didattico e con riferimenti biblici, ma non rivisto dall’autore. 9