I Domenica di Avvento 2 dicembre 2007 Is 2,1-5 Non si eserciteranno più nell'arte della guerra Sal 121 Su di te sia pace! Rm 13, 11-14 Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo! Mt 24, 37-44 Vegliate ! Ogni inizio comporta sempre un’attesa ed un seme di speranza. Se cominciamo così l’anno liturgico, non avremo difficoltà a fare di esso un tempo di Dio, un percorso gioioso che ci porti ad un incontro con Lui nella persona del Suo Figlio, Gesù Cristo. Speriamo vivamente che sia un incontro singolare, un avvenimento che dia «alla vita un nuovo orizzonte e con ciò una direzione decisiva» (BENEDETTO XVI, Deus caritas est, 1). Avvento significa venuta. Qualcuno viene e si aspetta di essere accolto. Qualcuno che ci ha amato per primo, che prende l’iniziativa di venire e desidera avvicinarsi a ognuno personalmente, di stare accanto a noi, nelle nostre città, presente nelle nostre famiglie, nella nostra comunità riunita nel Suo nome. La Sua venuta alberga un mistero. Perché viene? Nella preghiera e nella sintonia di sentimenti possiamo trovare la risposta alla luce del Suo disegno di amore: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16). Proprio cosi, la Sua decisione di avvicinarsi a noi si fonda nel suo amore per l’umanità, e il frutto è la vita, quella vita che Gesù ci dona in abbondanza (cf. Gv 10, 10). Intanto, c’è un tempo d’attesa, di preparazione per la Sua venuta immediata e per la Sua venuta ultima. Per noi, un tempo di vigilanza, di attenzione, di ascolto, di preghiera, di lavoro. Un tempo di speranza. A questa iniziativa di Dio, che dovremo ringraziare sempre, deve corrispondere qualcosa di molto importante da parte nostra: la generosità nella nostra risposta, fatta tutta di grande fiducia e di amore reciproco. Accettare Dio che viene nella Persona del Figlio Suo significa cominciare a capire, già da ora, il mistero del Natale e proclamare chiaramente: «Abbiamo creduto nell’amore di Dio», celebrandolo con gioia e solidarietà cristiana. Questa convinzione dà contenuto all’attesa e la fa diventare attiva; la converte, cioè, in un tempo d’impegno, di conversione personale e di trasformazione sociale secondo il Vangelo. È quello che abbiamo chiesto nella colletta di oggi «O Dio, nostro Padre, suscita in noi la volontà di andare incontro con le buone opere al tuo Cristo che viene, perché egli ci chiami accanto a se nella gloria a possedere il Regno dei Cieli». Cominciamo un itinerario spirituale. Andare incontro a Cristo e lasciarci incontrare da Lui, perché è Lui che realizza l’iniziativa di Dio di avvicinarsi mosso dal Suo amore. E’ questa una maniera di fare di questo itinerario un tempo ed uno spazio di rinnovamento. Oggi la Parola ci interpella e ci invita ad operare, ad intraprendere qualcosa di nuovo, completamente nuovo: «Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell'arte della guerra». Non è una utopia, non sono parole da ricordare solamente. Stiamo parlando dell’identità inconfondibile di un popolo che ha trovato Dio e gli ha permesso di agire nel proprio intimo. Un’identità che nasce nel cuore di ogni persona e si manifesta e si esprime nei suoi rapporti sociali; dall’intimità familiare e comunitaria alla vita pubblica. Infatti, quando i cristiani si fanno presenti nella vita pubblica e si impegnano ed operano nel costruire una convivenza fondata sul rispetto della persona umana, della sua dignità e dei suoi diritti fondamentali, offriranno indubbiamente un prezioso servizio alla causa della pace, saranno costruttori di pace. Tuttavia, molti ancora forse si domanderanno: perché conservare la speranza, se tutto risulta cosi difficile e la pace promessa non arriva mai? Perché la insicurezza fa sì che la vulnerabilità diventi la sensazione che amareggia la vita di tante persone, principalmente quella dei più deboli? Perché c’è la paura? Dove aggrapparci quando cerchiamo un minimo di fiducia? Un momento fa abbiamo pregato col salmo 121: «Domandate pace per Gerusalemme: sia pace a coloro che ti amano, sia pace sulle tue mura, sicurezza nei tuoi baluardi. Per i miei fratelli e i miei amici io dirò: Su di te sia pace! Per la casa del Signore nostro Dio, chiederò per te il bene». Dobbiamo chiederci se condividiamo questi stessi sentimenti, se pregando cosi, ci fa sentire identificati. Oggi la chiesa ci fa una proposta che merita la nostra attenzione. Vuole aiutarci a leggere con gli occhi della fede la esperienza di un popolo, nato alla speranza, che imparò a resistere, a vincere la paura, a fidarsi non tanto di sé stesso e delle sue sicurezze, ma della parola che Dio gli rivolgeva. Questa parola, tramite Isaia e con lo stesso sguardo di fede, ci invita oggi a camminare nella luce del Signore. Il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa afferma: «La pace è il traguardo della convivenza sociale, come appare in maniera straordinaria nella visione messianica della pace: quando tutti i popoli si recheranno nella casa del Signore ed Egli indicherà loro le Sue vie, essi potranno camminare lungo i sentieri della pace (cfr. Is 2,2-5).[CDSC, 490]. Oggi, al iniziare l’itinerario di preparazione alla celebrazione del Santo Natale, la Chiesa vuole aiutarci ad aprire il nostro cuore a Dio perché tutto questo cominci a diventare realtà, anche mediante piccoli e semplici gesti. Perciò, ancora una volta, la Chiesa indica come decisivo l’incontro con Cristo e ci ripete l’esortazione che Paolo rivolge ai cristiani di Roma: «Rivestitevi del Signore Gesù Cristo». Ecco il segreto per trovare una risposta a tanti fallimenti nella ricerca della pace. La pace è infinitamente più di un dono o di un progetto umano, è anzitutto un attributo essenziale di Dio [CDSC, 488], la migliore definizione del Messia [CDSC, 490], la identificazione piena con Cristo, dato che «Egli è la nostra pace» (Ef 2,14). La pace possiede un nome proprio, divino, per cui è sacrosanta. Nel vangelo, Gesù fa un appello alla vigilanza. Lungi dall’essere frutto della sfiducia e della paura, la vigilanza è una virtù fattiva, attenta a Dio che si fa presente e parla, una virtù che nella sua tenace persistenza, rimane salda e preparata per l’ultima venuta del Signore. Fermezza e preparazione per ogni opera buona, fatti della vita quotidiana che rendano credibile il messaggio che annunciamo e diano ragione della speranza che è in noi. Sorretta sempre dalla forza dello Spirito del Signore, la nostra coerente testimonianza può fare realtà una pace frutto della giustizia e dell’amore, risultato di una totale fiducia in Dio e di un amore allo stile di Gesù. La Chiesa ci ricorda che « La pace è un valore e un dovere universale e trova il suo fondamento nell’ordine razionale e morale della società che ha le sue radici in Dio stesso, “fonte primaria dell’essere, verità essenziale e bene supremo”. La pace non è semplicemente assenza di guerra e neppure uno stabile equilibrio tra forze avversarie, ma si fonda su una corretta concezione della persona umana e richiede l’edificazione di un ordine secondo giustizia e carità. [CDSC 494]. Il nostro incontro sacramentale con il Signore è Eucaristia, è presenza reale tra di noi e in ognuno di noi, per riempirci del dono della sua pace e incoraggiarci nel compito di costruirla con giustizia e carità. «la “mistica” del Sacramento ha un carattere sociale, perché nella comunione sacramentale io vengo unito al Signore come tutti gli altri comunicanti» (BENETTO XVI, Deus caritas est, 14). Ringraziamo questa presenza che fa di noi uomini nuovi, inviati da Cristo per essere immagine Sua in un mondo che Lo cerca a tentoni e, anche se non lo manifesti apertamente, ha una enorme necessità di Lui. Il nostro lavoro sarà quello di farLo accessibile, intelligibile, vicino al nostro modo di accogliere, di ascoltare, di comprendere, cioè, di amare. Erano i gesti quello che la gente apprezzava di Gesù. Non sono forse quegli stessi gesti che anche oggi la gente si aspetta di noi, i suoi seguaci?