Così parlò Zarathustra. Io amo coloro che non sanno vivere se non tramontando. (F. Nietzsche così parlò Zarathustra) Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno (Also sprach Zarathustra. Ein Buch für Alle und Keinen), fu composto da Nietzsche in quattro parti fra il 1883 e il 1885. Singolare esempio di poema filosofico, il libro ( “il più profondo che sia mai stato scritto” a detta dello stesso Nietzsche) narra del viaggio del saggio Zarathustra che decide di discendere la montagna, sulla quale si era ritirato anni prima per meditare, per ritornare a valle presso gli uomini ai quali desidera comunicare le verità cui è giunto in solitudine ed alle quali è pervenuto tramite una trasformazione radicale del suo pensiero. Zarathustra è l’altro nome di Zoroastro, il profeta vissuto intorno al IX sec. a.C. in Persia, fondatore della religione che presuppone l’esistenza co-eterna dei due principi, il bene, incarnato nella persona divina di Ahura mazda, e il suo contrario, il male, nelle vesti del dio Arihman. Lo Zarathustra di Nietzsche non ha nulla a che fare con la reale figura del profeta persiano, ma è l’alter ego del filosofo, in quanto, come il folle che discende al mercato in La gaia scienza per annunciare la morte di Dio, non è creduto dagli uomini ai quali parla, in quanto viene “troppo presto”. Il testo, scritto in stile oracolare, è un esoterico trattato di morale (o meglio di antropologia etica) che, con un linguaggio simbolico ed allusivo, parodia del vecchio testamento, riprende il tema della morte di Dio, il mito dell’eterno ritorno e soprattutto la profezia iniziale, descritta nella prefazione, dell’avvento dell’ oltreuomo o super-uomo (Übermensch), precedentemente introdotti in La gaia scienza. “Io v’insegno il superuomo” sono le parole con le quali il saggio si annuncia agli uomini che animano il mercato della città ai piedi del monte. “L’uomo è qualcosa che deve essere superato, che avete fatto per superarlo?”. Il comportamento di Zarathustra, quivi descritto, è palesemente contrapposto a quello sollecitato da Schopenhauer che si auspica, al contrario, un metaforico allontanamento da parte del mistico dai lacci della vita, per ascendere, appunto, la montagna. Il saggio eremita, incontrato da Zarathustra all’inizio della sua discesa, è una chiara allusione a questo atteggiamento. Il testo prosegue, dunque, il percorso nietzschiano di allontanamento dalla filosofia di Schopenhauer e dal mondo di Richard Wagner, a cui era stato fino ad allora legato ed è in parte frutto della ripresa, da parte di Nietzsche, dell’amore filosofico per Ralph Waldo Emerson, il filosofo i cui testi conobbe giovanissimo.1 Temi emersoniani percorrono infatti tutta l’opera. Tra questi spiccano “l’affermazione della vita”, “l’amore per il proprio destino”, qualunque disgrazia ci possa riservare, e l’idea di un uomo oltre l’uomo, che in Emerson è “Super-anima”. Zarathustra, secondo Nietzsche, in quanto fondatore del credo basato sulla contrapposizione di bene e male, è il responsabile primo del “grande errore” della filosofia occidentale, la cui storia ripercorre poeticamente ne Il crepuscolo degli idoli, ossia il concetto dualistico platonico e cartesiano della opposizione tra due realtà, una ideale e una materiale, una res cogitans e una res extensa. Compreso il proprio “errore”, però, Zarathustra discende dalla montagna per comunicarlo agli altri uomini. Il messianico annuncio della dottrina del Superuomo è fondante un’etica del superamento di sé che mira a liberare gli esseri umani dalle loro “aspirazioni mediocri”, dall’idea di un “mondo dietro al mondo”, avallata dalla metafisica platonica, dalla sua traduzione religiosa (il Cristianesimo) e dal Emerson, pur proponendo un’etica individuale basata sulla fiducia in sé e sulla discussione dei valori tradizionali, è uno dei pochi ad averlo fatto mantenendo il rispetto per la vita e l’esistenza, contrariamente, ad esempio, ad alcuni pensatori del nichilismo europeo. L’etica emersoniana, una singolare combinazione di relativismo (che lo avvicina a Montaigne) e perfezionismo (che lo avvicina alla tradizione stoica e alle radici puritane della cultura americana), influenzerà Nietzsche soprattutto riguardo al concetto di libertà intesa non come ribellione alla necessità e al senso del mondo, ma comprensione e accettazione di esso. 1 pietismo che ne deriva. Nel capitolo “dei compassionevoli” Zarathustra dice “guai a coloro che amano, se non hanno un’elevatezza che sia superiore alla loro compassione”. L’approccio di Zarathustra con il mercato affollato di gente, che attende di assistere a uno spettacolo funambolico) è amaro come quello del folle. Egli paragona l’uomo ad una corda, tesa tra l’animale e il super-uomo, e il suo discorso viene dileggiato dalla folla. L’allegorico spettacolo di abilità del funambolo, che attraversa la corda sospesa (concretizzazione di quella metaforica annunciata da Zarathustra), si conclude in catastrofe quando il pagliaccio della torre, il suo doppio, interviene, facendolo cadere giù e uccidendolo. Da morto, il funambolo comprende l’intento “creatore” di Zarathustra, ma egli ormai è morto e Zarathustra vuole parlare ai vivi. Il funambolo è l’uomo che non ha paura di tentare il percorso che porta al superamento di sé, il pagliaccio è il rappresentante della morale del risentimento che affossa la novità del tentativo. Segue la serie di discorsi, sino alla attesa del “grande meriggio” quando l’uomo sta al centro del suo cammino tra l’animale e il super-uomo” e si avvia verso la sera dove, tramontando come il sole, da inizio ad una nuova era, quella del Super-uomo. Quindi, Zarathustra ritorna sulle sue montagne, nella solitudine della sua caverna in compagnia dei suoi animali, l’aquila e il serpente. Il demone che vede nello specchio durante un sogno, un’allegoria del suo essere profondo, lo convince a ridiscendere tra gli uomini con nuove armi, per difendere la sua dottrina, fraintesa dileggiata dai suoi nemici, con rinnovato entusiasmo. Incontra una serie di figure che sono tante allegorie del suo profondo, come l’indovino o il viandante, il mago, il nano, il negromante. Con Zarathustra, Nietzsche intende creare un poema mitogonico, utilizzando il linguaggio simbolico del sogno e a tal fine ne introduce la figura al termine della Gaia Scienza, in cui è presente la prima formulazione della dottrina dell’Eterno Ritorno, uno degli insegnamenti chiave di Zarathustra. Lo Zarathustra di Nietzsche, col suo linguaggio biblico, è il doppio-parodico di Gesù Cristo, senza comando divino o comandamenti, il messia del super-uomo. È inquietante riscontrare come tutti gli ultimi libri prima della follia, Zarathustra compreso, contengano riferimenti costanti ad un finale drammatico e alla presenza di un doppio; nello Zarathustra lo sono ad esempio il nano, il pagliaccio della torre, il viandante, l’indovino, il magoWagner e il negromante, tutti elementi della tradizione tragica. Tragico è Zarathustra, nella immensità della sua grandezza. Tragico è il nano, nella sua miseria. Chi è il nano? E perché cammina con Zarathustra? Che ci fa con lui una creatura meschina, così lontana dalla fierezza degli animali che presidiano la sua grotta, l’aquila e il leone. Questa misera e grottesca figura, in balia del mediocre senso comune accentra su di sé tutti i limiti. È umano “troppo umano” per reggere il confronto con il pastore che ha il coraggio di accettare il serpente, l’eterno ritorno. Egli, come il pagliaccio della torre della Gaia scienza, è acerrimo nemico del super uomo. Spirito di gravità che fa precipitare, qualunque cosa tocchi, verso il basso, questo personaggio rappresenta anche la massa, talmente proterva da credere nelle presunte infinite possibilità del progresso umano tanto da non accorgersi dello sfacelo incontro al quale sta andando. Se il pastore incarna il super-uomo, il nano rappresenta l’uomo che accetta passivamente la morte di Dio senza stupore né sollievo, destinato ad essere travolto dalla mancanza di Dio stesso sotto il peso di falsi idoli di cui non riusciràa fare a meno. Per usare un’evocativa immagine di Céline e del suo fantomatico Voyage: i tanti “nani” di cui l'umanità è infestata non sono altro che la “carne da cannone” usata dai potenti della terra per realizzare quella che Freud chiamerà “pulsione autodistruttiva”, che si contrappone alla pulsione invece costruttiva o di vita. Finché esisterà questa razza deplorevole la storia continuerà tranquillamente a perpetrare l’hegeliano “banco di macelleria”.