I concetti chiave della filosofia nietzscheana: morte di Dio

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I concetti chiave della filosofia nietzscheana: morte di Dio Superuomo - eterno ritorno - volontà di potenza
Per la sua voluta asistematicità o anti-sistematicità - per la preminenza di un
linguaggio non “specialistico” affidato generalmente allo stile dell’aforisma o al
genere della profezia - la filosofia di Nietzsche - diversamente da altri autori dell’800
come Hegel o lo stesso Schopenhauer - difficilmente si presta ad una ricostruzione
organica del pensiero .
A riprova di ciò le differenti interpretazioni che , nel tempo, la filosofia nietzscheana
ha subito (dal N. annuncitore di una ideologia della superiorità razziale el N. profeta
del nihilismo) .
L’unità didattica che qui si propone parte dall’idea di concentrare l’attenzione su
alcuni concetti chiave che appartengono alla fase più avanzata della riflessione DI
NIETZSCHE.
Tali concetti sono nell’ordine: il concetto della morte di Dio - il concetto di
Superuomo - il concetto di eterno ritorno dell’identico e infine il concetto di volontà
di potenza.
Se posti in relazione questi concetti possono venire a costituire un unico coerente
percorso di ricerca nel quale ognuno di essi trova senso e spiegazione nel rimando
agli altri.
I testi di riferimento possono essere ritrovati sostanzialmente nella lettura di due delle
opere più importanti del filosofo tedesco: la Gaia Scienza (1882 ) e il Così parlò
Zarathustra (1885).
1.- La morte di Dio
Il tema della morte di Dio è annunciato sin dalle prime pagine dello Zarathustra
“allora è possibile ! Questo vecchio santo nella foresta non ha ancora sentito che
Dio è morto” e trova, nelle stesse pagine una intima connessione con il tema del
rifiuto delle “speranze ultarterrene” , con il richiamo alla fedeltà alla terra e con
l’annuncio del Superuomo.
Tuttavia è nell’aforisma 125 della Gaia Scienza che il tema della “morte di Dio”
appare trattato in modo approfondito.
125. L’uomo folle. – Avete sentito di quel folle uomo che accese una lanterna alla chiara luce del
mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: “Cerco Dio! Cerco Dio!”. E
poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi
risa. “È forse perduto?” disse uno. “Si è perduto come un bambino?” fece un altro. “0ppure sta
ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? È emigrato?” – gridavano e ridevano in una
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gran confusione. Il folle uomo balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: “Dove se n’è
andato Dio? – gridò – ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi
assassini! Ma come abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino
all’ultima goccia? Chi ci dètte la spugna per strusciar via l’intero orizzonte? Che mai facemmo, a
sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci
moviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in
avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come
attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto piú freddo? Non
seguita a venire notte, sempre piú notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Dello
strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo
ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli dèi si decompongono! Dio è morto! Dio resta
morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini?
Quanto di piú sacro e di piú possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i
nostri coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali
riti espiatòri, quali giochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la
grandezza di questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare dèi, per apparire almeno degni
di essa? Non ci fu mai un’azione piú grande: tutti coloro che verranno dopo di noi apparterranno,
in virtú di questa azione, ad una storia piú alta di quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi!”.
A questo punto il folle uomo tacque, e rivolse di nuovo lo sguardo sui suoi ascoltatori: anch’essi
tacevano e lo guardavano stupiti. Finalmente gettò a terra la sua lanterna che andò in frantumi e si
spense. “Vengo troppo presto – proseguí – non è ancora il mio tempo. Questo enorme
avvenimento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino: non è ancora arrivato fino alle
orecchie degli uomini. Fulmine e tuono vogliono tempo, il lume delle costellazioni vuole tempo, le
azioni vogliono tempo, anche dopo essere state compiute, perché siano vedute e ascoltate.
Quest’azione è ancora sempre piú lontana da loro delle piú lontane costellazioni: eppure son loro
che l’hanno compiuta!”. Si racconta ancora che l’uomo folle abbia fatto irruzione, quello stesso
giorno, in diverse chiese e quivi abbia intonato il suo Requiem aeternam Deo. Cacciatone fuori e
interrogato, si dice che si fosse limitato a rispondere invariabilmente in questo modo: “Che altro
sono ancora queste chiese, se non le fosse e i sepolcri di Dio?”.
Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1976, vol. XXV, pagg. 213-214
Elementi di comprensione:
il concetto della “Morte di Dio” non ha un significato psicologico non significa cioè
che gli uomini non credono più in Dio:
Non ha un neppure unicamente un significato ontologico-metafisico o teologico (non
è un’affermazione di ateismo sulla linea di un Feurbach o di uno stesso Marx). Anzi
Nietzsche parte dalla constatazione che ormai gli uomini non credono più in Dio.
Esso è piuttosto una constatazione intorno alla crisi mortale che investe l’occidente
nel suo complesso e che Nietzsche riassume nella formula del nihilismo.
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La morte di Dio significa in altre parole la morte di quella “scommessa” sul
fondamento attorno alla quale l’uomo occidentale ha costruito i suoi sistemi di
significato.
Non è quindi solo il Dio cristiano e con esso i valori su cui la civiltà europea ha
costruito per secoli la propria regola di comportamento a morire, ma – in un certo
senso - OGNI DIO , vale a dire ogni possibilità di radicare in un qualche
ASSOLUTO trascendente o immanente che esso sia, il senso e il significato ultimo
dell’essere facendone discendere logicamente i caratteri etico-comportamentali (e
quindi non solo Dio , ma anche lo Spirito hegeliano, la dialettica marxiana, l’epoca
positiva comtiana ...).
Dio è morto Dio resta morto - afferma Nietzsche e - se Dio muore - se il fondamento
rivela il suo nulla - allora non c’è più né un alto né un basso - né un giusto né un
ingiusto - né un bene né un male - il mondo , in definitiva, diventa privo di scopo e di
valore , nulla appare più necessario e tutto si colloca nello stesso orizzonte di
significato.
Sono emblematiche - in questo senso anche le parole di Zarathustra : “Io vi
scongiuro, fratelli miei, siate fedeli alla terra e non prestate fede a coloro che vi
parlano di speranze ultraterrene! Sono avvelenatori, lo sappiano o no.
Spregiatori della vita sono, moribondi e loro stessi avvelenati, di cui la terra è
stanca: vadano dove vogliono!”
Il rimedio che l’uomo ha creduto di poter ergere contro la paura del divenire
incessante (senza senso) della realtà attraverso le “speranze ultraterrene” si è rivelato
peggiore del male che voleva curare perché ha finito per negare la vita stessa.
Già in queste parole tuttavia si avverte che il nichilismo n. se da un lato svolge una
funzione diagnostica e di denuncia dall’altro non conclude nel pessimismo.
Già nella Gaia Scienza (“Non dobbiamo noi stessi diventare dei, per apparire
almeno degni di essa ?” )c’è un primo accenno a una nuova fase attiva di ricerca che
porta al superamento del pessimismo. Questa fase è chiaramente annunciata dalla
figura del Superuomo che Nietzsche presenta in Zarathustra.
Il Superuomo
“L’uomo è una fune sospesa tra l’animale e il superuomo, ... un pericoloso
passare dall’altra parte, un pericoloso esser per via ... Quel che è grande
nell’uomo è che egli è un ponte e non una meta: quel che si può amare nell’uomo
è che egli è transizione e tramonto ...”
Il Superuomo è presentato con formule evoluzionistiche ma non è nell’ottica di N. né
una sorta di super eroe darwiniano - né una sorta di aristocratico che disprezza la
morale borghese e si innalza al di sopra di essa. Non è nemmeno l’annuncio di una
razza superiore .
Giustamente Vattimo ha proposto di tradurre questo concetto (in ted. Ubermensch)
con Oltre-uomo per sottolineare come il Superuomo sia comprensibile solo alla luce
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complessiva della filosofia attiva di Nietzsche che vuole opporsi agli esiti pessimistici
del nihilismo.
Il Superuomo quindi è questa nuova umanità che sta oltre la morte di Dio e che sa
assumersi fino in fondo il peso di questo evento.
Ciò che caratterizza il Superuomo è la “fedeltà alla terra” - in questa fedeltà alla terra
il S. è capace di dire di sì alla vita sapendo che non c’è nulla al di là di essa.
L’eterno ritorno
La concezione del Superuomo trova la sua definitiva comprensione nella teoria
dell’eterno ritorno.
“ Che accadrebbe se, un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella
più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: "Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai
vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in
essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro,
e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e
tutte nella stessa sequenza e successione - e così pure questo ragno e questo
lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso. L’eterna clessidra
dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della
polvere!". Non ti rovesceresti a terra digrignando i denti e maledicendo il demone
che così ha parlato? Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immenso, in cui
questa sarebbe stata la tua risposta: "Tu sei un Dio e mai intesi cosa più divina"?
Se quel pensiero ti prendesse in suo potere, a te, quale sei ora, farebbe subire una
metamorfosi, e forse ti stritolerebbe; la domanda per qualsiasi cosa: "Vuoi tu
questo ancora una volta e ancora innumerevoli volte?" graverebbe sul tuo agire
come il peso più grande! Oppure, quanto dovresti amare te stesso e la vita, per
non desiderare più alcun altra cosa che questa ultima eterna sanzione, questo
suggello?" ( Gaia Scienza aforisma 341).
Annunciato nell’aforisma 341 della Gaia Scienza qui riprodotto il tema è sviluppato
nel terzo libro dello Zarathustra.
Che cosa vuol dire Nietzsche con questa intuizione dell’eterno ritorno?
Se il tempo di Dio e della metafisica si esprime nel tempo lineare secondo cui ogni
cosa ha un principio e una fine e tutto in qualche modo tende ad uno scopo e a una
meta; il tempo successivo alla morte di Dio e all’avvento dell’Oltre-uomo non può
più essere concepito in questo modo.
Ad esso allora va contrapposta l’antica concezione classica (Empedocle) del tempo
ciclico dove tutto ritorna invariabilmente e si ripete in eterno.
Il tempo lineare è il tempo provvidenziale del futuro, di ciò che deve venire. In esso
noi diamo senso all’oggi riconducendolo alla sua coerenza con il passato e alla
speranza promessa nel domani che deve venire . Il presente insomma non esiste: è
costruito sulla memoria di ciò che è stato e nello stesso tempo è deformato dalle
esigenze del futuro e del suo significato ultimo . Il tempo ciclico, al contrario, è il
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tempo dell’eterno presente dove ogni istante , ogni attimo, anche il più piccolo
frammento , è destinato ad essere per sempre.
In questo tempo il Super-uomo trova la sua autentica dimensione non nel senso di un
fatalistico abbandono al divenire cieco delle cose ma nella volontaria accettazione di
questa legge universale che in lui è vissuta consapevolmente.
Il caso quindi diventa necessità che il Superuomo assume e vuole:
“Così io volli che fu, così io voglio che sia, così io vorrò che sia”.
Volontà di potenza
Prende qui corpo il concetto di volontà di potenza.
Il concetto è stato elaborato posteriormente allo Zarathustra e forse Nietzsche non è
riuscito ad esprimere in pieno il suo significato a causa della pazzia che lo colpisce
nel 1889. Certamente in esso ci sono i significati di dominio, violenza sugli altri,
potere che spesso vengono sottolineati. E tuttavia Nietzsche non vuol affermare solo
questo. Come dice M.Heidegger la volontà di potenza di Nietzsche è la volontà che
vuole se stessa. E’ insomma la volontà dell’individuo di affermarsi come volontà. E’
quel “santo dir di sì” a cui Nietzsche accenna nello Zarathustra e che fa l’uomo
responsabile in primo luogo del suo destino nel quale egli deve affermare la propria
prospettiva sul mondo.
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