Scuola Mondo/Relazione OCSE su sistemi educativi di 34

Scuola Mondo/Relazione OCSE su sistemi educativi di
34 paesi
Education at a Glance 2012: Italia agli ultimi posti
Da tuttoscuola.com – 10.09.12
E’ stata presentata oggi a Parigi e in altre capitali del mondo la nuova edizione del rapporto
annuale dell’ Ocse ‘ Education at a Glance’ (EAG), un volume di oltre 600 pagine che pone a
confronto i sistemi educativi dei 34 Paesi membri attraverso una fitta serie di indicatori di tipo
economico e sociale.
La principale indicazione evidenziata dal rapporto di quest’ anno è quella che riguarda la
correlazione tra condizione sociale della famiglia e successo scolastico: più povera è la famiglia,
minori sono le probabilità di successo. Alcuni Paesi risultano tuttavia impegnati in positive
azioni di contrasto del fenomeno (Australia, Finlandia, Irlanda, Svezia), mentre altri mantengono
basse percentuali di accesso all’ istruzione superiore per i ragazzi provenienti dalle famiglie di
più modesta condizione: meno del 20%. Tra questi è indicata anche l’ Italia insieme a Turchia,
Portogallo e Stati Uniti.
Nella scheda che riassume i dati che riguardano l’ Italia si evidenzia che la spesa pubblica
nell'istruzione ammonta al 4,9% del Pil, contro una media del 6,2 % (calcolata in 37 Paesi),:
percentuale che colloca l’ Italia al 31° posto su 37. Ancora peggiore è il dato che riguarda la
percentuale della spesa per l’ istruzione sul totale della spesa pubblica: solo il 9% contro una
media Ocse del 13%, (31° posto su 32).
La spesa annua per studente è di 9.055 dollari contro una media Ocse di 9.249, ma si nota che gli
investimenti per la scuola materna ed elementare sono in Italia rea i più elevati mentre quelli per
l'università sono tra i più bassi: 9.561 dollari contro una media di 13.719.
Tra il 2000 e il 2009 - sottolinea il Rapporto - la crescita della spesa pubblica nell'istruzione
superiore è stata in Italia del 4% in termini reali, il dato più basso tra i paesi Ocse.
Per le scuole italiane viene segnalata l’ esigenza di provvedere ad un migliore inserimento degli
studenti immigrati: la proporzione di immigrati tra gli studenti 15enni è passata dallo 0,9% del
2000 al 5,5% del 2009 ma il 71,9% degli studenti di origine straniera è concentrato in un quarto
delle scuole italiane, mentre nelle scuole degli altri paesi Ocse la loro distribuzione è più
uniforme.
SCUOLA/ Ugolini: tre riforme a costo zero per fermare l'abbandono
da www.ilsussidiario.net – 13.09.2012 – Intervista a Elena Ugolini
Anche quest’ anno sono arrivati i dati di Education at a glance, il rapporto Ocse sull’ istruzione
che misura la stato di salute della nostra scuola. E i voti dell’ Italia, come stesso accade, non
sono lusinghieri. Non mancano nemmeno quelli positivi, come l’ aumento dei laureati e la
sostanziale condizione di tenuta occupazionale dei nostri diplomati. Ma i numeri
dell’ abbandono relativi ai giovani inattivi (i Neet) sono preoccupanti e sollecitano politiche
urgenti per fronteggiare il declino. «Occorre rafforzare le competenze di base nel primo ciclo.
L’ altra direzione in cui ci stiamo muovendo è quella di potenziare l’ istruzione e la formazione
tecnica e professionale in tutte le sue forme, collegandole alle filiere produttive». Elena Ugolini,
sottosegretario all’ Istruzione, commenta i dati e spiega l’ azione del governo.
Sottosegretario, dal suo punto di vista quali sono i dati più preoccupanti?
I dati più preoccupanti sono due. Uno è quello dei Neet, i ragazzi tra i 15 e i 29 anni che né
lavorano né studiano e nemmeno sono in cerca di un’ occupazione: nel 2005 erano il 21% e ora
si registra un peggioramento che si attesta al 23%. Il secondo è quello sulla difficoltà che ha la
scuola italiana ad agire come ascensore sociale: c’ è una correlazione forte tra il titolo di studio
dei genitori e quello conseguito dai ragazzi.
Cosa significa?
In Italia, i giovani provenienti da famiglie con bassi livelli di istruzione hanno minori opportunità
di raggiungere un livello più elevato di istruzione rispetto ai loro genitori. Oltre il 40% di tali
giovani non completa gli studi secondari superiori e meno del 20% raggiunge il livello
universitario (in Italia il 44% dei giovani tra 25-34 anni con genitori che non hanno completato la
scuola secondaria superiore sono fermi anche loro ad un basso livello di istruzione, contro il 32%
della media Ocse). C’ è una correlazione fortissima tra la provenienza socio culturale della
famiglia e il livello di studi raggiunto dai ragazzi. Fino a pochi decenni fa i figli riuscivano a
conseguire un titolo migliore di quello dei genitori, ed avevano la possibilità di una occupazione
migliore. La scuola italiana deve tornare ad a essere il luogo dove è possibile mettere a frutto i
talenti e le capacità di ognuno indipendentemente dal background socio culturale delle famiglie
di provenienza.
E gli aspetti positivi invece?
Ci sono almeno due aspetti positivi che vanno sottolineati. Il primo è l’ aumento del numero dei
laureati: il rapporto Ocse rileva che la proporzione dei giovani in Italia che accedono ai
programmi universitari è aumentata dal 39 al 49%, sicuramente un effetto dell’ entrata in vigore
della riforma universitaria. Il secondo è la tenuta occupazionale dei diplomati, che passa dal
72,3% al 72,6% nonostante la crisi.
Siamo tra i paesi con la percentuale di Neet più alta. Cosa si può fare?
Il dato dell’ indagine che parla del 23% dei ragazzi tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non
lavorano è altissimo, anche se non tiene conto dei ragazzi che frequentano i corsi di formazione
triennali per il conseguimento di una qualifica professionale. I giovani che frequentano questi
corsi tra i 15 e i 18 anni, sono passati da 93.338 nel 2005 al 142.140 nel 2009. Ciò dimostra che
in questi anni la formazione professionale è stata capace di intercettare tanti giovani tra i 15 e i
18 anni che altrimenti avrebbero lasciato qualunque percorso formativo. Rimane molto da fare. Il
tasso di dispersione scolastica − in Italia è ancora alto, si attesta al 18,8% e varia moltissimo da
regione a regione − raggiunge punte del 23% in Campania e del 26% in Sicilia. Dobbiamo
ripartire innanzitutto da qui, migliorando la qualità della proposta educativa e formativa.
Che cosa lei e il governo state facendo?
Il governo ha appena approvato un bando per sbloccare i fondi Ue (200 milioni di euro) destinati
alle quattro regioni “ Obiettivo convergenza” : Sicilia, Campagna, Calabria e Puglia, per
promuovere opere e reti di scuole che possano arginare la dispersione scolastica e il fallimento
formativo precoce. Lo scopo è rafforzare le competenze di base nel primo ciclo e realizzare
percorsi capaci di motivare gli adolescenti e sostenere gli insegnati e famiglie nel loro compito
educativo. L’ altra direzione in cui ci stiamo muovendo è quella di potenziare l’ istruzione e la
formazione tecnica e professionale in tutte le sue forme, collegandole alle filiere produttive: dagli
istituti tecnici e professionali ai percorsi triennali, a modelli più flessibili come le botteghe scuola
utilizzando anche la forma dell’ apprendistato in diritto-dovere. Siamo convinti che solo
aiutando ogni ragazzo a trovare la propria strada sarà concretamente possibile combattere il
fenomeno dei Neet.
Come vede la situazione dei laureati che non trovano lavoro?
Il titolo di studio non basta. Occorre agire in modo più incisivo sull’ orientamento dei ragazzi,
potenziando la filiera scuola-università-lavoro, migliorare la proposta formativa dell’ università,
e potenziare il livello di formazione terziaria non universitaria sul modello tedesco. Mi riferisco
agli Its, le scuole speciali che prevedono metà del curriculum svolto all’ interno dell’ ambiente
di lavoro.
Dai dati emerge che in Italia, rispetto all'Ue, è in aumento la spesa per l'istruzione proveniente da
portafogli privati. Come valuta questo fatto?
Tra il 2000 e il 2009, la percentuale della spesa per il finanziamento per l’ istruzione da parte di
privati, in particolar modo da parte delle famiglie, è aumentato mediamente in tutti i paesi Ocse.
In Italia si registra un lieve aumento per l’ istruzione primaria e secondaria (dal 2,2% al 3%),
l’ incremento più consistente è nell’ istruzione universitaria (dal 22.5% al 31.4%). Questo dato
indica che la società civile inizia ad investire sull’ istruzione come bene prioritario.
Come spiega il “ primato” delle donne in molti indicatori?
Le donne sono spesso più sistematiche e determinate negli studi degli uomini, e i dati
dell’ indagine lo dimostrano. L’ Italia può vantare una delle percentuali più alte tra i Paesi Ocse
per la proporzione di donne che conseguono una qualificazione elevata di ricerca, come il
dottorato (52%, contro la media Ocse del 46%), per la proporzione delle laureate in materie
scientifiche (52%) e per la proporzione dei laureati donna in ingegneria pari al 33%, che è tra le
più alte nei Paesi Ocse.
Due dati critici riguardano il tempo scuola, che in Italia resta più lungo che in Europa, e la
diminuzione del valore reale degli stipendi degli insegnanti (che guadagnano il 40% in meno
all’ anno). Qual è il suo commento?
Non è un problema di quantità, ma di qualità. Uno studente può rimanere a scuola molte ore
anche senza trarne il minimo beneficio. Non basta stare a scuola, dietro un banco, per crescere ed
imparare. Il problema è l’ efficacia della proposta educativa. Un obiettivo che non è
quantificabile solo nei risultati di apprendimento, ma nella capacità della scuola di aiutare ogni
ragazzo a sfruttare i propri talenti. Per quanto riguarda gli insegnanti abbiamo tanta strada da
fare. Nel nostro Paese occorre cambiare mentalità, rivedere lo stato giuridico dei docenti, per
considerarli finalmente dei professionisti e non dei burocrati.
Misure a costo zero per la scuola?
Ce ne sono tante. Ne dico solo tre: favorire l’ alternanza scuola lavoro, l’ orientamento e la
formazione dei docenti attraverso la collaborazione della società civile, del mondo della ricerca e
dell’ università. Stiamo firmando un accordo con il Cnr, che metterà a disposizione i suoi
ricercatori e i suoi laboratori per fare formazione ai docenti e potenziare l’ offerta formativa
anche agli studenti, per aiutarli a scegliere cosa fare. Dobbiamo regale alle nuove generazioni il
patrimonio di esperienza e di conoscenza che ha fatto la grandezza del nostro paese. E questo
può essere fatto senza il ricorso a nessuna legge.
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