Cass79 “Novecento: un secolo da raccontare” di Gianni Mereghetti, Alberto Bonfanti, Mariella Ferrante, Massimo Fraschini, Gianni Tedone (Ce.se.d. Edizioni) Presentazione del libro “Novecento” Giovedì 26, ore 15.30 Relatore 1: Relatore 2: Gianni Mereghetti Giuseppe Meroni - Autore - Responsabile Nazionale di Diesse Moderatore: Celli Celli: Questo incontro mi pare che confermi, anche data la vostra numerosa presenza, il grande interesse che ruota nel Meeting e ovviamente non solo nel Meeting, attorno al mondo della scuola, e questo credo sia uno degli incontri più significativi, in questa ventesima edizione del Meeting sulla scuola, e in particolare su un tema culturalmente così importante e drammaticamente al centro del dibattito culturale e scolastico in questi ultimi anni quale è appunto quello del Novecento. Siamo qui per ascoltare la presentazione di un libro che non è un libro di testo ma è in qualche modo una sorta di sussidio a un libro di testo, ma al di là anche di questa definizione di sussidio, è un libro, è un testo “Novecento”, appunto, che offre una serie di spunti particolarmente interessanti per leggere il nostro tempo, il nostro tempo più prossimo – secolo breve – qualcuno ha detto – secolo lungo – qualcun altro ha risposto. Sta di fatto che nella scuola italiana da un paio d’anni a questa parte, il novecento, cronologicamente, comincia insomma con l’età giolittiana. E’ corretto, non è corretto, ne parleremo insieme. L’incontro prevede nella sua forma due interventi introduttivi, innanzitutto di Gianni Mereghetti, uno degli autori, che credo valga la pena salutare cordialmente, ….sono presenti nelle prime file altri due autori, Bonfanti e Tedone, perché è un libro costruito in equipe, oltre a quelli che ho citato anche abbiamo Mariella Ferrante e Massimo Fraschini…e…il secondo relatore a tutti ben noto, credo è il Prof. Giuseppe Meroni, docente anch’egli di storia e filosofia, come Mereghetti, e in particolare responsabile nazionale del centro Diesse che pure salutiamo calorosissimamente. Dicevo, dopo i loro due interventi introduttivi, noi abbiamo uno spazio di un’oretta circa, interventi che ripeto saranno contenuti il più possibile, sarà a voi la parola, nel senso che un microfono girerà tra il pubblico e chi vorrà fare domande, offrire brevemente, ovviamente, spunti e osservazioni potrà farlo in un dialogo che penso potrà essere costruttivo per tutti. Io cedo subito la parola a Mereghetti e chiedendogli immediatamente come è nata l’idea di questo libro? Come è nata, quale obiettivo intende perseguire e chiedendogli in particolare di spiegare un passo che è indicato nella presentazione, là dove viene detto che questo testo – Novecento appunto – che è un testo narrativo, interpretativo e documentativo, “Novecento vuole essere una guida a scoprire la traccia che segna il XX secolo”. Qual è dunque questa traccia, qual è questo filo rosso, c’è un filo rosso che caratterizza questo secolo? Prego, la parola a Mereghetti. Mereghetti: Allora, visto che mi hai posto delle domande impegnative… vedo di affrontarle in modo molto semplice e spero veloce. Innanzitutto da dove nasce questo libro? Questo libro nasce in un modo molto semplice: nasce dal lavoro quotidiano di insegnamento della storia mio e degli amici con cui è stato fatto. Nasce dall’insegnamento quotidiano della storia che, da alcuni anni, come penso tutti voi sappiate, è stata messa al centro dell’attenzione nella scuola e non solo nella scuola, dal famoso decreto Berlinguer che ha messo, ha detto di mettere al centro dell’insegnamento 1 della storia il Novecento. Allora, è chiaro che questa è stata una provocazione a capire il perché di questo tipo di insegnamento e soprattutto che cosa vuole dire questo insegnamento oggi ai giovani, anche perché il decreto Berlinguer è un decreto che porta dentro una concezione ideologica sull’importanza del novecento, che è banalmente riducibile al fatto che è interessante ciò che è vicino. Ciò che è lontano non è più interessante, quindi per i ragazzi il novecento è interessante in quanto è vicino, il medioevo, il rinascimento l’età romana non sono più interessanti perché sono molto lontani. Sono come delle squadre che hanno giocato le qualificazioni e sono state eliminate e quindi non sono più interessanti rispetto a quello che si va a giocare. Questo concetto estremamente semplice è di estrema semplificazione ed è estremamente riduttivo, in quanto uccide di per sé il senso della tradizione, perché non è vero che è interessante ciò che è vicino. Perché uno può annoiare insegnando il medioevo ma uno può annoiare ancora di più insegnando la guerra nel Vietnam. Uno può annoiare insegnando l’età romana ma uno può annoiare ancora di più insegnando le vicende del Kosovo. Quindi Berlinguer…ma tutta la cultura che sta dentro questa posizione che poi Berlinguer manifesta in modo esplicito attraverso quello che fa, è un tipo di cultura che elimina il senso stesso del passato e quindi elimina il senso della memoria. Tant’è vero che io partecipando a corsi di aggiornamento che vengono fatti nel provveditorato di Milano sono ormai ….entrato in contatto…ho capito sempre di più come questa logica nel mondo degli insegnanti è estremamente diffusa e riduce il lavoro stesso dell’insegnante ad un addestratore di tecniche. Per cui da questo che cosa viene fuori? Che non è più importante che i ragazzi conoscano ciò che è accaduta, ma i ragazzi conoscano solamente un metodo di approccio, come se fosse possibile distinguere le due cose: conoscere un metodo senza conoscere la cosa, no? E questo impoverisce perché è come se i ragazzi non dovessero più conoscere la storia di cui fanno parte. Ecco, tutta questa vicenda che è una vicenda che io sento quotidianamente perché a mio parere l’insegnamento della storia è uno degli insegnamenti più difficili, perché vai oggi a insegnare storia a un tipo di generazione che la cultura sta cercando di…a cui la cultura sta cercando di annullare la memoria. Perché tutto il valore è l’istante, la reazione dell’istante, che è proprio il portante del nichilismo, perché il nichilismo porta a questo, che nulla ha più senso se non l’istante che sto vivendo. Capite che per recuperare il valore che invece tu fai parte di una storia, tu sei qui perché fai parte di una tradizione, hai dei dati, sei in rapporto con dei dati che ti hanno costituito, è una sfida, una sfida quotidiana. Allora, questa sfida l’abbiamo voluta vivere non solo sul medioevo, sul rinascimento, sull’illuminismo ma anche sul novecento, perché su questa sfida è interessante giocarla proprio sul modo con cui si insegna questo secolo. E nell’insegnare la storia a me diventa sempre più chiara una cosa: che un ragazzo – e io stesso – mi appassiono alla storia non per un gusto archeologico, non perché mi piace andare a ripensare al passato, ma per l’impegno col presente. Cioè sono i ragazzi impegnati col presente, sono i professori impegnati col presente che hanno il fascino del passato! Perchè non si può affrontare il presente senza il passato! Senza ciò di cui sei costituito. Per cui il disamore alla storia che parte dagli insegnanti e che poi si diffonde sugli studenti, è un disamore al presente, cioè è una incapacità di affrontare il presente, secondo tutti i fattori di cui il presente è fatto. Allora noi abbiamo voluto raccogliere questa sfida. Berlinguer non aveva, quando ha scritto questo decreto, il senso di provocare una sfida così profonda, perché lui aveva come idea quella di eliminare il passato, mentre la sfida che lui inconsapevolmente ha lanciato è una sfida al recupero della vivezza del passato. In questo senso a me sembra interessante che, …è un po’ una strada, un tentativo… è un libretto questo…non è un gran che, è una cosuccia…il tentativo che abbiamo fatto è di passare dal fatto della storia come una gabbia ideologica alla storia come racconto. Cioè recuperare il fascino del fatto che la storia è una avventura, un’impresa di uomini e di popoli. E che ad essa ci si avvicina raccontandola. E questo da un certo punto di vista, mi ha consolato questa estate, perché sto tentando un’impresa quella di leggere, dopo aver letta Vita e Destino di Grossmann, di leggere i racconti della Kolima di Salamo (?) 1.300 pagine………che ti fa proprio capire, come Vita e Destino, che cosa è stato il goulag, non come concetto ideologico, ma raccontando concretamente passo dopo passo, il dramma, la tragedia di questi uomini. E’ impressionante come uno capisca cos’è il goulag attraverso la vivezza drammatica, tragica, di questi racconti. Come insomma mi 2 aveva impressionato Vita e Destino, perché la storia, proprio il racconto di uomini e di popoli, che tentano un destino, che tentano di costruire un destino, o tentano di difendere un destino. Ecco, da questo punto di vista, se vogliamo una traccia, io in un modo un po’ provocatorio vorrei dire che la storia di questo secolo è la storia proprio di uomini e popoli che hanno tentato di difendere loro stessi da una invadenza, che è l’invadenza dello stato. Il nostro secolo è l’emblema di questa invadenza, ma questa invadenza non ha vinto perché dentro questa storia, lo si può dire oggi con stupore e sorpresa, sono rimasti presenti i due fattori che costituiscono la storia: la persona con le sue domande di senso irrinunciabili e la persona che si mette insieme agli altri costituendo un popolo, e attraverso il popolo, tentando la realizzazione di una convivenza umana che risponda ai bisogni dell’uomo. Allora, questo secolo è stato il punto più alto di tentativo di distruggere la persona e il popolo. Ma questo secolo da un’altra parte è il segno che qualsiasi ideologia fallisce su questo, perché la vita della persona e la vita del popolo sono così costitutive dell’essere che nessuna ideologia, nessun potere le può distruggere. Tant’è vero che anche nella kolima (?) - e uno leggendo dice: ma come han potuto rimanere uomini? - anche nella kolima un uomo può salvarsi, può rimanere uomo. Ecco perché dico che questo è il filo rosso, perché nella ricostruzione del secolo noi possiamo evidenziare tutti i vari tentativi di eliminazione dell’uomo e del popolo, tentativi che hanno la loro origine nell’800, dove dico sinteticamente vale il giudizio di Del Noce, che è la secolarizzazione l’origine della totalità dello stato, del concetto totale di stato che ha creato uno sfascio in questo secolo. E la secolarizzazione è l’eliminazione di Dio dalla vita dell’uomo. Se si elimina Dio dalla vita dell’uomo inevitabilmente si deve creare un altro essere totalitario. Questo altro essere totalitario è stato ed è lo stato. E’ lo stato dei nazionalismi che hanno generato la prima guerra mondiale, è lo stato dei totalitarismi, dei totalitarismi nazisti, dei totalitarismi comunisti, che hanno tentato l’omologazione totale dell’uomo, l’eliminazione di ogni libertà, che hanno generato una seconda guerra mondiale, è…ma drammaticamente può essere anche lo stato democratico, può anche essere lo stato democratico dal ’45 ad oggi. Lo stato democratico quando lo stato rimane l’orizzonte all’interno del quale la vita dell’uomo viene definita e gli ambiti delle realtà che si associano vengono stabiliti a priori dallo stato stesso. E quindi anche tutta la storia dal ’45 ad oggi che prima è determinata dalla guerra fredda, dalla grande contrapposizione tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, che poi è determinata dalla grossa crisi dell’89, dal tentativo di costituire un nuovo ordine mondiale statunitense, che vede dentro questa storia l’Europa come realtà che è tentativamente un segno di una modalità di convivenza diversa, ecco anche tutta questa storia ha dentro comunque questo portato che viene dalla concezione illuministica moderna. Che lo stato è l’orizzonte che definisce la vita dell’uomo, fino a definirne i bisogni e le risposte ai bisogni. Ebbene in questa tragedia di questo secolo che ha voluto tentare di sostituire a Dio lo stato, in questa tragedia è rimasto vivo l’uomo e il popolo, e rimane quindi viva sempre una possibilità di speranza, di recupero. E’ un po’ questo che dico, mi è venuto come immagine vedendo un film: il proiezionista, che racconta questa storia di un uomo che proietta i film per Stalin e che per lui il proiettare i film per Stalin è il massimo della vita perché Stalin è la grande guida, è colui che risolve il problema dell’uomo sovietico ed è bellissima – tragicamente bella – quell’immagine di quella notte al Cremlino quando la sua donna gli chiede: ma tu vuoi più bene a me o a Stalin? E lui con una franchezza e una semplicità disarmante dice: ma a Stalin, naturalmente!… E questo è il segno di quello che fa l’ideologia, di quello che fa l’idolo, che distrugge ogni umanità fino all’umanità semplice dell’amore; e di questo uomo così imbevuto dentro l’ideologia, dentro l’idolo, che poi alla fine si riscatta in un gesto d’amore: salvando dalla folla una ragazza che sua moglie aveva voluto e che lui non aveva voluto perché era figlia di dissidenti. Ecco questo uomo che si riscatta salvando una ragazza secondo me è il segno della verità del novecento. La verità del novecento è l’uomo che si riscatta costituendo un popolo e in questo senso molta speranza c’è nell’Europa se non sarà un’Europa di stampo economicista ma se sarà una convivenza tra i popoli. Ecco, questa traccia, finisco, è giocata nel libro secondo una dinamica di tentativo di sussidio, per cui è esplicitata in una premessa, cioè ogni capitolo ha una premessa esplicita una traccia che è sempre quella, poi vi è una cronologia, che è proprio il racconto, è il racconto di quello che è accaduto, e oggi si sa poco, si sa 3 sempre meno di quello che è accaduto e poi ci sono due parti – una di approfondimenti, di situazioni, di problematiche estremamente importanti e una breve parte di documentazione. Celli: Mereghetti con molta modestia ha detto: mah, questo libro è una cosuccia, da quello che lui ci ha detto non credo che siamo molto convinti che siano proprio così le cose. In realtà da quello che lui ha detto mi pare e rilancio perciò la parola a Beppe Meroni, mi pare che ci sia un grande valore: che il libro che lui insieme ad altri amici e colleghi ha scritto contenga una grande valenza, la valenza cioè di un tentativo serio di assunzione di responsabilità da parte di insegnanti, da parte di educatori, che rischiandosi nel lavoro, non sono semplici esecutori di programmi altrove decisi ma tentano in qualche modi di implicarsi dentro un’avventura che è l’avventura di approfondire la posizione umana propria di fronte alla realtà e di coinvolgere altri – gli studenti appunto – dentro questa avventura. Strumenti quali ovviamente i libri, i manuali, sono, debbono in qualche modo essere – come dire – il più possibile funzionali alla verità e alla serietà di questa avventura. Allora io chiederei appunto a Meroni di aiutarci a capire come si inserisce il valore di questo tentativo che Mereghetti e i suoi amici hanno fatto dentro il contesto attuale della scuola italiana. Meroni: Il tentativo è serie di tentativi…è giusto in quanto gli amici, perché noi siamo amici al lavoro, soprattutto gli insegnanti di storia, avevamo constatato una cosa: che tutti quelli che hanno fatto le scuole superiore sanno sulla propria pelle, che il modo di insegnare e i libri di testo presentano una analitica di descrizione incoerente di fatti di cui non si ricostruisce il senso. Ecco il primo stimolo a ricostruire un senso nella narrazione storica, sembra che oggi – dice De Felice in un bellissimo passo, tra l’altro sono tanti i tentativi che illustrerò perché per esempio la rivista Linea Tempo oppure Novecento Pro e Contro, ma poi dico velocemente…- sembra che oggi non sia possibile per nessuno al mondo raccontare la storia con un senso. In Italia questo è clamoroso. Sembra che dopo Croce e Gentile – dice De Felice – la storia non sia più possibile raccontarla con un senso. E lo dice commentando invece – bellissimo – libro di Furè, “il futuro di un’illusione”, “il passato di un’illusione” perché il futuro è quello dell’altro…a cui risponde, il passato di un’illusione dove racconta la storia dell’idea comunista – dice – questo è il primo tentativo dopo tanti decenni di dare un senso unitario a quel che capita. E noi ci chiedevamo: ma l’esperienza che noi viviamo è un senso unitario della vita? L’esperienza che noi viviamo non è settoriale, la storia non è raccontabile a settori, e questo è il disastro del racconto storico nelle scuole. Che nessuno esce con un’idea sintetica di che cos’è un processo storico. Nessuno esce con la trama. Nessuno esce con una trama. Quando comincio a insegnare, adesso faccio questo esempio, ci vorrebbe la lavagna, ma…abbiate pietà ma è una cosa che si racconta ai ragazzi…immaginate un incidente stradale: un motorino gira da via Dante verso via Libertà e inciampa in una bicicletta guidata da un ragazzo che abita nel quartiere x il ragazzo cade, gli sfugge il casco, il casco rompe la vetrina, nella vetrina c’è una rapina in azione, esce il proprietario chiama la polizia, la polizia in quel momento…allora immaginate questo evento. Immaginate che si debba scrivere la relazione ai carabinieri o ai vigili. Arriva il vigile urbano e comincia a redigere il proprio verbale. Allora interrogherà i testimoni. Immaginate che il primo testimone che interroga è l’amico con il quale il ragazzino con la bicicletta o con la motoretta stava andando a scuola. Ora questo inevitabilmente parteggerà e quindi darà una versione dell’incidente – e chi ha provato sa cosa vuol dire – insomma cerca di far vedere le cose in un certo modo. Immaginate la signora al V pianto che si sporge per bagnare i fiori e vede dall’alto l’evento, che cosa può raccontare…Immaginate. Immaginate tutti i punti di vista possibili su quell’evento, assolutamente banale, un evento storico irripetibile, assolutamente banale, si può applicare la cosa a una qualsiasi battaglia, un giorno in cui pioveva e sprofondano i carri armati…un evento assolutamente banale…quanti tipi di punti di vista o di racconto si possono fare di questo evento! Immaginate di salire su un elicottero, immaginate di essere su un satellite e che il satellite – come fanno adesso – fotografi tutta quanta la scena…anzi la fotografi insieme a tutta la scena del mondo....immaginate uno che da Marte fotografi il satellite che fotografa…ecc.ecc. benissimo. Il senso totale della storia non è in mano all’uomo, perché non ci sarà mai nessun racconto possibile di 4 tutti gli eventi in contemporanea, finanche le cellule che si muovono all’interno di qualsiasi cosa che costituisce la realtà che possa raccontare l’evento totale. Vuol dire che il senso totale di quella storia è qualcosa che non è in mano all’uomo. E questo esclude il totalitarismo. Ma, certo ciascuno può raccontarne un pezzo, ciascuno può raccontare un pezzo di quell’incidente che è la storia. Benissimo, da questo momento in poi scatta il confronto tra i pezzi raccontati. Qual è il pezzo raccontato, il punto di vista che rende ragione del maggior numero dei fattori? E questo è il secondo fattore che manca completamente dentro l’orizzonte storiografico contemporaneo, perché è un fattore così elementare, così catechetico, che dal ‘700 in poi è sparito completamente dall’orizzonte del racconto. E’ un fattore che la centesimus annus di Giovanni Paolo II chiama il fattore ermeneutico decisivo per la storia, cioè il fattore interpretativo decisivo per la storia. E questo elemento, questo fattore è la libertà dell’uomo e la sua fragilità: il peccato originale. Perché questo evento non viene mai compreso dentro la narrazione storica? La narrazione storica così come noi la concepiamo normalmente. Perché non si concepisce che un uomo agisca o non agisca per una libertà e per un impatto con la realtà per una fragilità propria, appunto con una libertà? Non si concepisce l’avvenimento, non si concepisce la vita come avvenimento umano, come diceva Gianni, non si concepisce la storia come storia di uomini. I nostri libri di testo sono pieni di spiegazioni di questo tipo. Siccome c’era una grande carestia allora è evidente che, con una serie di concatenazioni casuali che lasciano fuori….la possibilità del racconto di qualche cosa che comprenda un altro fattore. Il fattore di tutti i fattori, quello ormai eliminato – Dio – la storia, il Signore della storia è Dio, il signore della storia, il padrone della storia, e l’elemento elementare che è la libertà dell’uomo. Quelli che sono stati agli esercizi di Rimini, qui in fiera, ma a un certo punto se andate a rileggere gli esercizi…la cui prima parte è una letterale ermeneutica dell’avvenimento storico, della storia, la descrizione di che cosa avviene, a un certo punto Don Giussani fa questo esempio riprendendolo paro paro da S. Agostino dicendo: guardate qui ci sono due fattori fondamentali. Nella vita si muovono due grandi forze: quegli uomini che fanno della loro vita una appartenenza a Dio e quegli uomini che fanno della loro vita una appartenenza ad altro. Ponendo così il dramma dentro la vicenda della storia. Ecco, questo fattore che sto descrivendo io credo che risulti estraneo anche a moltissimi di noi – dico anche a me – come impatto, rispetto all’esperienza culturale che noi abbiamo dell’insegnamento della storia o del racconto storico. E’ un fattore estraneo. Vuol dire che – estraneo come applicazione – vuol dire che la cultura in cui viviamo ci ha fatto fuori questo fattore determinante, questo principio interpretativo determinante della storia. Benissimo allora questo abbandono scettico, questo abbandono nichilista della pretesa che la storia abbia un senso e che il senso della storia la dia un altro, e che dall’adesione a questo senso della storia si può trovare l’intelligenza dei fattori storici, da questo abbandono in noi è nato il desiderio di riprendere pazientemente, tenacemente la voglia di raccontare di nuovo la storia rimettendo al centro questo fattore. Sono tutti tentativi…come diceva bene lui perché non c’è niente che non sia un tentativo. Ma sono tentativi a cui dobbiamo contribuire tutti, perché la distruzione – come diceva Gianni poi chiudo – la distruzione del senso della memoria, la distruzione della tradizione, la distruzione della libertà è una cosa assolutamente evidente dentro ai nostri giovani. Memoria, tradizione e libertà, sono termini che non trovate in nessun libro di testo se non come citazione di qualche cosa che non appartiene al senso della storia, è qualche cosa di estrinseco. Se qualcuno ha sentito l’incontro di ieri dei ragazzi di GS con Cesana si ricorda che a un certo punto è stato ripreso quell’intervento che diceva: provate a tagliare da tutti i libri di storia, provate a tagliare dai libri di arte, provate a tagliare da tutta la cultura questo fatto che sto nominando, che è il fatto cristiano. Non avrete più il disegno, non c’è più il senso. Non c’è più il senso di un rapporto con un significato totale della realtà. Non resta più niente, restano delle cose insignificanti. Per questo noi ci siamo impegnati a costruire degli strumenti di questo tipo. Abbiamo fatto una rivista, l’anno scorso l’ha presentata Andrea Caspani, Linea Tempo, perché il tempo ha una linea, non è scoordinato, improvviso senza senso. La libertà che fa fuori l’ideologia. L’ideologia è fatta fuori solo dalla libertà dell’uomo. C’è una bellissima descrizione sempre nella centesimus annus che è veramente un manifesto storico da riprendere analiticamente, del 1989, in cui il Papa dice: qual è il 5 fattore che ha fatto crollare tutta l’Europa? La libertà di qualcuno che ha preso così sul serio la propria esigenza umana di giustizia da non sopportare più una sovracostruzione. Mettere insieme una rivista, adesso stiamo pensando a un CD sulla storia del novecento sulla scorta del libro di Gianni, il dibattito sul pro e contro del novecento che si è scatenato da tre anni a questa parte…il novecento in celluloide, cioè il novecento raccontato attraverso i film, sono tutti tentativi di ridare dignità e senso a una storia incoerente, senza la quale noi non costruiamo la nostra tradizione. Non sappiamo di chi siamo figli, non sappiamo dove andiamo, non sappiamo soprattutto che siamo figli di Dio, in azione storica, non filosoficamente parlando, storicamente parlando. Ecco, questi sono i fattori sintetici dell’impegno che noi abbiamo messo in questi strumenti. Celli: Abbiamo tempo ancora. Io vorrei riprendere un passaggio di quello che diceva Beppe un momento fa. E’ che in realtà qui al meeting, come in ogni avvenimento, ma certamente nel Meeting questo accade sempre, accade in questo Meeting, stiamo collaborando a fare la storia, stiamo facendo la storia. Abbiamo un quarto d’ora di dialogo perciò chi volesse alza la mano c’è un addetto che dà immediatamente il microfono e possiamo chiedere a Mereghetti e a Meroni quello che riteniamo più opportuno per approfondire le questioni che ci sono state introdotte. Prego. Domanda: L’iter per convincere su questa linea i giovani, non è così l’impatto subitaneo di quello che voi dite. Quale potrebbe essere un morbido tentativo, perché ci vuole un morbido tentativo? Celli: Grazie. Raccogliamo altre domande. Domanda: Non si concepisce la storia senza la libertà dell’uomo. Noi non siamo destinati. Non c’è il destino, come si dice da tanti, che cadono nel fatalismo e quindi nel vuoto e nella disperazione. C’è l’affermazione della propria libertà quando la nostra libertà però si unisce alla libertà infinita del Creatore. E’ una unione indispensabile per potere superare i contrasti, le lotte contro il destino di gloria, questo è il destino a cui siamo chiamati, mediante però l’uso della nostra libertà. Domanda: In che cosa si diversifica questo libro da Carmelo Bonanno volume terzo che presenta la critica storica? Celli: Facciamo rispondere intanto a queste prime tre domande poi altri eventualmente possono prepararsi. Prego chi vuole prendere la parola. Meroni: Io sulla prima domanda, sul tentativo morbido di ammorbidimento di tutti i concetti così rinchiusi su quello che abbiamo detto, ma al ragazzo non può interessare la storia, come non gli può interessare la matematica. Cioè sarebbe perverso oppure sono molto pochi quei ragazzi a cui interessa una materia. Un ragazzo che si interessa di una materia non è molto equilibrato….Perché non può interessarsi alla materia il ragazzo, quindi alla storia o alla filosofia? Perché il ragazzo si può interessare solo di una realtà! Non di qualcosa che parla della realtà, allora è evidente che l’unico ed esclusivo modo in cui la storia, di cui stiamo parlando, passa come interesse nel ragazzo, è lo sguardo di interesse o di ricerca che l’insegnante ha. Cioè il ragazzo può passare solo attraverso gli occhi dell’insegnante. Altrimenti è non perverso – perverso nel senso che non sta alla realtà di chi ha davanti – il ragazzo come impatto ha davanti uno che deve insegnare qualcosa. Benissimo, sarà l’amore alla realtà dell’insegnante che lo introduce a questa dimensione che stiamo dicendo, quindi non è insegnabile come una teoria qualsiasi, come una ideologia, questa visione, perché occorre che l’insegnante abbia lui stesso mentre si gioca la percezione dell’altro, o della libertà, perché è analogo il discorso che faceva il padre. Noi non siamo destinati, certo non siamo predestinati, né noi quando siamo in cattedra, per riportar l’esempio storico perché noi viviamo qui, né noi quando siamo in cattedra né gli studenti che ci ascoltano non siamo predestinati ad una azione, perché è un evento e che sorga uno storico dalla classe che abbiamo davanti, è un evento, è 6 qualche cosa che si gioca dentro una magisterialità. Sant’Agostino era assolutamente feroce con tutti i tipi di predestinazione storia, con tutti i tipi di millenarismi, con tutto quello che si realizzerà poi nel novecento con le ideologie totalitarie. Sulla critica storica, l’esperto. Mereghetti: Io non sono esperto di critica storica, ma secondo me sono due strumenti diversi; lo strumento che abbiamo fatto noi non ha come obbiettivo quello di una critica storica, ma ha come obbiettivo quello che permette la critica storica, cioè quello che permette di mettere di fronte un ragazzo, ma anche non un ragazzo, perché l’hanno letto anche quelli che non c’entrano nulla con la scuola e hanno detto che è uno strumento molto utile per capire il novecento. Questo libro è nato con l’idea di mettere di fronte un ragazzo alla realtà della storia, con la realtà dei fatti della storia, perché il giudizio si fa paragonandosi a un realtà, altrimenti si forma il pregiudizio; cioè, uno ha uno schema mentale che applica e quindi deve far fuori sempre qualcosa perché il suo schema mentale non è riducibile alla realtà per cui per ingabbiare la realtà deve far fuori qualcosa della realtà: per cui questo testo nasce proprio da questa idea, dal mio punto di vista questo è il vero aiuto ai giovani a formarsi un giudizio, perché il vero aiuto ai giovani a formarsi un giudizio, come agli adulti, è condurli passo dopo passo a guardare la realtà per quella che è, perché è guardano la realtà per quella che è che si scatena il giudizio, si scatena quel nesso fra quello che tu sei, le domande che hai e la realtà stessa che si scatena la passione per la libertà dell’uomo dentro la storia, qualsiasi ideologia, qualsiasi lettura ideologica, di destra, di centro o di sinistra non arriva ad affascinare per la libertà, perché qualsiasi lettura ideologica deve fare solamente delle somme e fare venire fuori dei risultati che sono già prestabiliti mentre è bello e affascinante vivere perché ogni giorno i fatti della vita provocano la tua libertà, sono continuamente nuovi: e così, è bello ed affascinante scoprire dentro la storia questo tentativo pienamente umano di fare i conti col proprio destino, con tutte le cose positive e negative che questo tentativo caratterizza, per cui questo testo non si mette al paragone con testi di storiografia, con testi di critica storica, perché è un’altra direzione, è una sfida su un’altra direzione. Per me è l’unica sfida che affascina i giovani, perché i giovani non sono affascinati dalle elucubrazioni degli storici, ma sono affascinati nell’entrare in contatto con la realtà tanto più parleremo di realtà, tanto più li affascineremo, tanto più gli parleremo di elucubrazioni, li ammazzeremo. Da questo punto di vista, come mi suggeriva Bonfanti, volevo mettere in evidenza che in questo testo ci sono anche cose abbastanza attuali, abbiamo fatto delle schede su questioni molto importanti e interessanti sul mondo d’oggi, come i palestinesi, come la questione dell’Irlanda, siamo entrati anche dentro vicende che sono di oggi proprio per questo discorso di apertura alla realtà. Domanda: Posto che le ideologie sono dei tentativi fallimentari che l’uomo ha fatto per trovare un senso totalizzatore che desse spiegazione della storia, posto anche che la coscienza dell’io si genera con l’incontro con un avvenimento eccezionale, che pure appartiene alla storia, al presente, io dico: in quale prospettiva storica si può superare quella cortina di ferro che è imposta dalla cultura odierna, cioè dalla mentalità comune che soffoca quest’impeto proprio dell’io. Celli: c’è un altro di qua: prego. (domanda): Volevo chiedere a Gianni per un verso, ed Beppe per l’altro verso: in qualità di insegnante, ad altri insegnanti che invito faresti, a che tipo di lavoro didattico – l’hai detto in termini generali, te lo chiedo in termini più concreti o esemplificativi – che invito faresti a come svolgere il lavoro di storia perché sia quell’impatto con la realtà, quell’incontro con la realtà che dicevi; a Beppe, nelle vesti di imprenditore, produttore, comunicatore.. che cosa suggeriresti o inviteresti a fare perché si possa moltiplicare o a rendere più efficaci questi tentativi che qualcuno ha già cominciato a fare. Celli: L’ultima domanda: 7 (domanda): Visto che nell’ultimo testo di Niebuhr, “Il senso della storia” si parla della politica come inevitabile, come scontro di egoismi, in relazione al fatto che in questa vita non ci potrà mai essere la pace, perché c’è sempre uno scontro tra gruppi sociali diversi, vorrei sapere se – in questo testo è presente giustamente la condanna delle ideologie - è salvabile la politica ed in che senso. Celli: Un ultimo giro di risposte ai nostri due amici. Giuseppe Meroni: Mi ero segnato solo un passo degli esercizi, che dice così – mi permetto di citarlo perché risponde direttamente a questo -, che “ la violenza e la schiavitù è la mancanza dell’identità tra libertà e appartenenza, che è presagio di voluminose guerre.” Cioè: qual è l’origine di questo scontro che Neibuhr dice inevitabile: è l’inconsapevolezza del peccato originale, cioè la mancanza della identità tra libertà e appartenenza, ma questo bisogna svilupparlo in un certo senso: discute anche Neibuhr, cioè l’inevitabilità è l’inevitabilità del peccato, non l’inevitabilità dello scontro politico, almeno questa è una risposta che mi viene perché mi aveva colpito proprio stamattina mentre leggevo questo passo sulla pace non possibile – sembra che non sia possibile, mentre il magistero della Chiesa continua ad esortare il contrario, nel realismo della natura umana. Per quanto mi riguarda, ogni volta che qualunque uomo fa una domanda nel senso “come si fa a..” a me viene sempre solo una risposta: “mettiamoci insieme, perché lo facciamo”: tutti i tentativi che noi abbiamo fatto sono sempre stati così: quando uno dice “come facciamo a..” allora io dico “non so chi sei, dove stai,..” ma per esempio, quei ragazzi, universitari di storia che mi dicevano “cosa facciamo per..” lavoriamo insieme per fare un cd di storia, cioè indirizziamo quel tipo di percezione dell’oppressione del clima culturale per costruire una compagnia attiva mentre nasce la domanda, altrimenti la risposta è teorica: si potrebbe rispondere in un milione di modi, ma io e te non ci vediamo più, ma anche tu mi fai una domanda retorica perché: “come facciamo..” ma allora stiamo facendo. Sto dicendo che questo è un invito reale, cioè ad ogni domanda che vuol sapere come, non si può rispondere che “facciamolo insieme” cioè mettiamo insieme le suggestioni e le invenzioni perché si possa creare qualche cosa che risponde alla tua domanda e perciò risponda di più alla mia, cioè a quella del mondo: noi rispondiamo sempre a tutti, quando intraprendiamo una qualsiasi azione: tutte le cose che abbiamo messo insieme e continuamente nascono, nascono sempre e solo da provocazioni personali che qualcuno dice e sono assolutamente casuali, casuali nel senso di provvidenziali, non sono prevedibili prima. Gianni Mereghetti: Brevissimo, perché le domande che avete fatte sono domande che lasciamo aperte, perché sono di lavoro. Sulla prima domanda, a quello che diceva Beppe, io aggiungerei solamente questo: che la prospettiva storica è la speranza che si apre con la caduta del muro di Berlino, la speranza che si apre come la apre il papa, che la caduta del muro di Berlino non è la vittoria di un mondo su un altro, ma è la caduta di un muro nella vita della gente, perché questo muro di Berlino è rimasto in Jugoslavia, in Irlanda, rimane tra di noi per il soffocamento dello statalismo che purtroppo domina ancora, per cui l’unica prospettiva storica che può finalmente dire “è finita l’ideologia” è un prospettiva storica in cui la dimensione della persona, la dimensione del popolo ridiventano i soggetti: la persona ed il popolo ridiventano i soggetti reali della storia e quindi costruiscono condizioni di vita in cui si tentano risposte ai bisogni e si realizza una convivenza tra le diverse identità che vivono dentro la storia: quindi è la caduta reale del muro di Berlino, per ora c’è stata una caduta fittizia del muro di Berlino perché è rimasto in piedi in altre forme, e fin quando rimarrà in piedi lo statalismo come politica e come cultura non ci sarà ancora una reale prospettiva storica: da questo punto di vista, è la questione della politica legata a questo e noi nel testo ci siamo soffermati molto spesso su un giudizio sulla politica e su una valorizzazione della politica. La politica, che anch’essa è stata compressa in questo secolo ha come unica possibilità di risorgere in quanto ambito che dà spazio alla libertà: la politica si gioca sulla libertà, altrimenti è la forza del potere e quindi la vera prospettiva della politica è questo suo riformularsi nella libertà: tutto il 8 capitolo che abbiamo fatto sull’Europa è denso di questa speranza: l’Europa può essere una possibilità di un nuovo modo si concepire la politica, di un nuovo modo di concepire il rapporto tra i popoli. Che invito fare, io non è che abbia da insegnare agli insegnanti chissà che, l’unica cosa è che io quando sono di fronte alla mia classe cerco di comunicargli il gusto che ho per gli avvenimenti, per i fatti della storia, e di entrare con loro dentro questi avvenimenti, cercando di provocare in loro questa libertà, la prima libertà è conoscere quello che è accaduto, da questo nasce la libertà del giudizio, ma se non c’è la libertà di conoscere ciò che è accaduto, di conoscere la realtà non esisterà mai la libertà di giudizio: io faccio questo tentativo ogni giorno consapevole di essere di fronte alla mia fragilità di uomo e di insegnante e a questa terribile fragilità che ci domina tutti, che è l’invadenza del nichilismo: l’invadenza del nichilismo è che tu non sei niente e che quindi conoscere o non conoscere è lo stesso, mente conoscere la realtà è per l’uomo ragionevole e giudicarla ancor di più. Cenni: Siamo nell’ultimo anno del ‘900, questo secolo che qui viene raccontato, e quindi dal punto di vista per lo meno cronologico stiamo per uscirne, ma permettetemi di concludere in questa maniera: osservava acutamente Augusto Del Noce, uno dei più grandi filosofi italiani, che noi non usciremo dal ‘900, al di là della sua estensione cronologica, fintanto che non usciremo dalla cultura che l’ha dominato, fintanto che non usciremo dalla cultura del ‘900, vale a dire, dalla cultura della distruzione dell’avversario. Nessun secolo, della nostra lunga storia umana, ha conosciuto, e vi è stato fatto cenno in questo incontro, degli atteggiamenti antropologici, filosofici, politici, tesi a distruggere l’altro, non semplicemente a sconfiggerlo, questo è sempre accaduto, ma a distruggerlo, annientarlo: la logica totalitaria è una novità assoluta di questo secolo. Come si fa ad uscire, non appena dal ‘900 cronologicamente, bensì dalla cultura del ‘900: credo che oggi abbiamo avuto delle testimonianze esemplari di come si fa: io credo che il grande evento a cui stiamo partecipando, che ospita anche questo incontro ne sia un brandello estremamente significativo, il Meeting, appunto: DS, di cui Beppe è presidente, la stesura di testi, manuali scolastici o comunque testi, tentativi insomma nei quali emerga un amore all’uomo, una passione per l’umano ovvero una passione culturale, una cultura, se cultura è coltivazione dell’umano, da “colere”: coltivazione di ciò che è umano nell’uomo, e ciò che contraddistingue l’umano nell’uomo è stato e non dovremmo stancarci mai di ricordarcelo è appunto la libertà, vale a dire la capacità di porsi domande, di riconoscere il senso delle cose e di aderire al senso, al valore riconosciuto: ringraziamo perciò ancora gli amici che sono venuti a parlarci di queste cose, di cui abbiamo bisogno di nutrirci sempre e ancora buona prosecuzione del Meeting 9