Agenzia SIR – SERVIZIO INFORMAZIONE RELIGIOSA www.agensir.it Progetto IdR e NEWS venerdì 1 marzo 2013 (n. 16) Tema: L’ULTIMA UDIENZA LA RINUNCIA DEL PAPA NOTIZIA Circondato da un grande affetto, palpabile e coloratissimo, Benedetto XVI ha parlato stamane per l’ultima volta dal sagrato della basilica di San Pietro di fronte a oltre 150mila persone e alle telecamere di decine di emittenti internazionali. È stato questo lo “spettacolo” odierno dal Vaticano, “centro del mondo” per il sistema della comunicazione che guarda ormai con un interesse quasi spasmodico all’uscita di scena di Benedetto XVI e all’imminente Conclave che sceglierà il suo successore. E il Papa non ha deluso i presenti e i milioni di persone collegate con radio e tv in tutto il mondo. Ha aperto il suo discorso collocando l’evento odierno nel 50° del Concilio, da lui proclamato “Anno della fede”. “Siamo nell’Anno della fede – ha detto - che ho voluto per rafforzare proprio la nostra fede in Dio in un contesto che sembra metterlo sempre più in secondo piano. Vorrei invitare tutti a rinnovare la ferma fiducia nel Signore, ad affidarci come bambini nelle braccia di Dio, certi che quelle braccia ci sostengono sempre e sono ciò che ci permette di camminare ogni giorno anche nella fatica”. (da Sir Attualità, 28 febbraio 2013) APPROFONDIMENTI ------------------------------------------------------------------------------------------------------ Come bambini nelle braccia di Dio Il Papa non è solo nella guida della “barca di Pietro”. “In questo momento il mio animo si allarga per abbracciare tutta la Chiesa sparsa nel mondo” ha detto, assicurando di voler raccogliere “tutto e tutti nella preghiera per affidarli al Signore”. Un discorso, quello odierno di Benedetto XVI, segnato dalle parole “speranza”, “fiducia”, “gioia”, tipiche di tutti i suoi interventi sia di natura magisteriale sia pastorale. Parlando della Chiesa come “barca di Pietro”, ha subito ricordato i “tanti giorni di sole e di brezza leggera”, ma anche i “momenti in cui le acque erano agitate e il vento contrario, come in tutta la storia della Chiesa e il Signore sembrava dormire”. Facendo quasi un accenno diretto alle recenti voci e accuse riguardo ai suoi collaboratori in Vaticano, Benedetto XVI ha poi affermato: “Un Papa non è solo nella guida della barca di Pietro, anche se è sua la prima responsabilità; e io non mi sono mai sentito solo nel portare la gioia e il peso del ministero petrino; il Signore mi ha messo accanto tante persone che, con generosità e amore a Dio e alla Chiesa, mi hanno aiutato e mi sono state vicine”. Ha quindi subito precisato a chi si riferisse: “Anzitutto voi, cari Fratelli Cardinali: la vostra saggezza, i vostri consigli, la vostra amicizia sono stati per me preziosi; i miei Collaboratori, ad iniziare dal mio Segretario di Stato che mi ha accompagnato con fedeltà in questi anni; la Segreteria di Stato e l’intera Curia Romana, come pure tutti coloro che, nei vari settori, prestano il loro servizio alla Santa Sede: sono tanti volti che non emergono - ha affermato -, rimangono nell’ombra, ma proprio nel silenzio, nella dedizione quotidiana, con spirito di fede e umiltà sono stati per me un sostegno sicuro e affidabile”. Pregare per la scelta del successore. Nella parte centrale della sua riflessione, Benedetto XVI ha fatto riferimento ai “segni commoventi di attenzione, di amicizia e di preghiera” ricevuti da “tantissime persone” che gli hanno espresso “affetto che nasce dall’essere insieme con Cristo Gesù, nella Chiesa”. Un discorso, quest’ultimo del Papa, nel quale ha ribadito ripetutamente il suo amore per la Chiesa che – ha ricordato – “non è un’organizzazione, non un’associazione” ma “un corpo vivo, una comunione di fratelli e sorelle”. “Sperimentare la Chiesa in questo modo e poter quasi toccare con le mani la forza della sua verità e del suo amore”: questo il sentimento prevalente che Benedetto XVI ha evidenziato con forza e anche con commozione. Sentimenti che sono emersi quando ha poi fatto cenno alla sua decisione di rinunciare, “nella piena consapevolezza della sua gravità - ha affermato - avendo sempre davanti il bene della Chiesa e non se stessi”. Una scelta difficile ma con la certezza “che il Papa ha veramente fratelli e sorelle, figli e figlie in tutto il mondo, e che si sente al sicuro nell’abbraccio della loro comunione”. Sicurezza che ha poi espresso anche riguardo alla scelta del suo successore, affidata ai cardinali per i quali ha chiesto ai fedeli “di pregare” in quanto “chiamati a un compito così rilevante”. 1 “Resto nel recinto di San Pietro”. Il Papa non ha evitato gli aspetti più “riservati” legati alla sua decisione. A proposito dei motivi personali: “In questi ultimi mesi ho sentito come le mie forze erano diminuite e ho chiesto a Dio con insistenza, nella preghiera, di illuminarmi... per farmi prendere la decisione più giusta non per il mio bene, ma per il bene della Chiesa”. Così, dopo aver assunto la decisione, Benedetto XVI ha ricordato un elemento fondamentale che attiene alla persona del Papa: “Il ‘sempre’ è anche un ‘per sempre’ - non c’è più un ritornare nel privato”. “Non ritorno alla vita privata - ha detto - non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso”. Ha anche detto: “Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa, ma nel servizio della preghiera resto, per così dire, nel recinto di San Pietro”. In conclusione ha voluto ancora una volta rincuorare tutti i credenti: “Cari amici! Dio guida la sua Chiesa, la sorregge sempre anche e soprattutto nei momenti difficili. Non perdiamo mai questa visione di fede, che è l’unica vera visione del cammino della Chiesa e del mondo”. Le sue ultime parole sono state: “Nel nostro cuore, nel cuore di ciascuno di voi, ci sia sempre la gioiosa certezza che il Signore ci è accanto, non ci abbandona, ci è vicino e ci avvolge con il suo amore. Grazie!”. (da Sir Attualità, 27 febbraio 2013) - Le parole del cuore Sono le parole del cuore a traghettare Benedetto XVI tra le rive scoscese e ardue della fede e della ragione nel giorno del saluto più intimo e più pubblico. Il Papa teologo, il Papa tedesco, il Papa di Ratisbona e Gerusalemme, di Colonia e di Erfurt, della Westmister Hall e del Collegio des Bernardin, del Reichstag e di Ground Zero, di Sidney e di Madrid, ha aperto il suo cuore come una pagina del diario dell’anima, secondo la migliore tradizione dei mistici cristiani. Che non possono dimenticare le date più importanti della propria vita (il 19 aprile del 2005), ma hanno profonda consapevolezza che sono altre le domande e le certezze che accompagnano l’uomo che affida tutto se stesso a Dio. “Signore che cosa mi chiedi?”. La domanda che ha guidato Benedetto nel suo cammino e che solennemente ha voluto sillabare in piazza San Pietro, risuona e vibra nelle coscienze di tutti i cristiani. È la domanda più esigente per Pietro e Giovanni, ma anche per ogni singolo credente in ogni angolo del mondo, senza distinzioni di condizione sociale, di orizzonte culturale, di convinzione politica, di dimensione antropologica. Una domanda a cui ciascun credente deve trovare risposta, ma nella certezza che “la Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua e non la lascia affondare; è Lui che la conduce, certamente anche attraverso gli uomini che ha scelto, perché così ha voluto”. Ma nel diario dell’anima c’è anche la pagina della fede “bambina” che si abbandona nelle braccia di Dio. È bello oggi, sperimentare con Benedetto l’accoccolarci nelle braccia del nostro Dio con quella preghiera che dovremmo tornare a recitare al mattino con la fiducia dei bambini nei confronti del Padre. “Ti adoro, mio Dio, e ti amo con tutto il cuore. Ti ringrazio d’avermi creato, fatto cristiano...”. Parole strappate alla contemplazione e restituite a un cristianesimo esigente, “adulto” ci ha detto il Concilio, che non rinuncia alla sfida dell’evangelizzazione e della missione. E perciò stesso destinato all’incomprensione e sempre più spesso al martirio. Ma sarà sempre quell’amore certo di Dio a illuminare il cuore limpido del credente, a cui viene chiesto di andare incontro alla storia senza paura. Benedetto ha abbracciato “tutta la Chiesa sparsa nel mondo”, ha allargato “il cuore al mondo intero”. Poi ha toccato con mano la Chiesa, “non un’organizzazione, non un’associazione per fini religiosi o umanitari, ma un corpo vivo, una comunione di fratelli e sorelle nel Corpo di Gesù Cristo che ci unisce tutti”. Questa certezza l’abbiamo letta nello sguardo grato e commosso del Papa che ci accompagnerà nei giorni a venire. È difficile trovare le parole giuste per ringraziare un Papa. Da umili cronisti forse basta un semplice “grazie”. Da credenti, osiamo: “Santo Padre, non sarà mai solo. Mai. E dalla sua finestra, ci benedica ancora”. (Domenico Delle Foglie - Sir Attualità, 28 febbraio 2013) - Otto anni in un abbraccio Otto anni in meno di due ore. Rivivere un pontificato già entrato nella storia nell’abbraccio di una piazza. La normalità di un congedo straordinario. Sono le 10.30, un fiume di gente arrivata da ogni parte d’Italia e dal mondo si prepara a salutare il suo Papa. Benedetto XVI fa il suo ingresso con qualche minuto di ritardo, protrae per l’occasione il consueto giro della piazza con la Papamobile tra gli applausi e i cori festosi, “Viva il Papa!”, “Benedetto”. Un’udienza speciale, quella di oggi, che si svolge sul sagrato invece che nell’Aula Paolo VI, teatro abituale delle udienze invernali. Unica eccezione - oltre alla Messa delle Ceneri celebrata per la prima volta nella basilica di San Pietro - allo snodarsi ordinario di una Quaresima che si è aperta con un Pontefice ma che culminerà in una Pasqua i cui riti saranno presieduti dal suo successore al soglio di Pietro. Quello che si respira, nella piazza dove oggi sono puntati i riflettori del mondo, è simile alla sensazione che chiunque di noi ha provato, almeno una volta, nell’accomiatarsi da una persona cara all’improvviso, vale a dire troppo presto. La si vorrebbe trattenere, ma non si può. Così, si cerca di vivere fino in fondo, di godere di ogni attimo della sua presenza. Il più possibile. Come nel Vangelo della Trasfigurazione, citato dal Papa solo tre giorni fa, dalla finestra del Palazzo Apostolico. “È bello per noi essere qui”. Le parole di Pietro a Gesù diventano le nostre. La folla è davvero immensa, la piazza non basta a contenerla. Oltre 150mila persone, la stima ufficiale, ma sino alla fine dell’appuntamento del mercoledì, via della Conciliazione si trasforma in una processione interminabile di volti. Un fiume in piena. Il primo dei quattordici applausi che scandiranno la catechesi arriva all’inizio, quando il Papa ringrazia i fedeli aggiungendo, a braccio e quasi per fermare l’applauso nato spontaneo tra la folla, “Grazie di cuore, 2 sono veramente commosso, vedo che la Chiesa è viva”. La Chiesa è un “noi”, ci ricordava Benedetto XVI nell’omelia della Messa delle Ceneri. Ed è questo il concetto che il Papa ha scelto anche oggi per descrivere la piazza, in uno dei passaggi più applauditi della catechesi: “Qui si può toccare con mano che cosa sia Chiesa - non un’organizzazione, non un’associazione per fini religiosi e umanitari, ma un corpo vivo, una comunione di fratelli e sorelle nel Corpo di Gesù Cristo, che ci unisce tutti. Sperimentare la Chiesa in questo modo e poter quasi toccare con le mani la forza della sua verità e del suo amore, è motivo di gioia, in un tempo in cui tanti parlano del suo declino”. “Ma vediamo come la Chiesa è viva oggi”, ha aggiunto il Papa fuori testo. “La Chiesa è viva!”. È stata una delle prime esclamazioni di Benedetto XVI. L’ha pronunciata il 24 aprile di otto anni fa, nella sua prima Messa da Papa. Mai come oggi questa piazza sembra dimostrarlo. Chi è qui, ha già scelto tra “l’io e Dio”. Glielo ha insegnato un Papa che, a leggere in profondità, non ha fatto altro che declinare da par suo - nelle sue infinite e ricche sfumature, offrendo ogni volta una “summa” della fede - un unico grande discorso: portare Dio agli uomini e gli uomini a Dio, rendere presente Cristo in questo mondo e mostrare al mondo che, con Lui o senza di Lui, cambia tutto. E ritornano ancora una volta alla mente le parole di quel 24 aprile: “Non devo presentare un programma di governo: il mio vero programma di governo è mettermi in ascolto, con tutta la Chiesa, della volontà del Signore e lasciarmi guidare da Lui, perché sia Lui a guidare la Chiesa in questa ora della storia”. Rilette oggi, queste parole suonano di sorprendente attualità, soprattutto se incrociate con le motivazioni della rinuncia al soglio di Pietro, spiegate ancora una volta oggi ai fedeli con sobria semplicità, ma con toni ancora più intimi. “Amare la Chiesa significa anche avere il coraggio di fare scelte difficili, sofferte, avendo sempre davanti il bene della Chiesa e non se stessi”. Assumere il ruolo di successore di Pietro significa non avere più una vita privata, quasi confessa il Papa, “appartiene sempre e totalmente a tutti”. Da domani sera, quindi, il Papa non ritorna al clamore del mondo, alla vita privata: “Non abbandono la croce, ma resto in modo nuovo presso il Signore Crocifisso”, spiega ancora tra gli applausi, definendo questa scelta un restare, grazie alla preghiera, nel recinto di Pietro. Un Papa è per sempre, continueremo a chiamarlo “Sua Santità”. Il Papa non è solo, non si è mai sentito solo, ripete Benedetto XVI tra gli applausi: ho voluto bene a tutti e a ciascuno, con il cuore di un padre che si allarga al mondo intero. “Sì, il Papa non è mai solo, ora lo sperimento ancora una volta in un modo così grande che tocca il cuore”. L’applauso che ha salutato questo passaggio della catechesi è forse la testimonianza più eloquente dell’amore senza confini di un successore al soglio di Pietro per il suo popolo. Una mamma si china sul suo bambino: “Lo sai che oggi stai entrando nella storia?”. “Benedetto XVI, ci mancherai”, recita uno degli innumerevoli striscioni che colorano, insieme alle bandiere, la piazza. L’abbandono sereno, fiducioso e gioioso alla volontà del Padre è una delle cifre di questo pontificato. “Dio guida la sua Chiesa, la sorregge sempre anche e soprattutto nei momenti difficili”, il congedo del Papa dalla piazza: “Non perdiamo mai questa visione di fede, che è l’unica vera visione del cammino della Chiesa e del mondo”. Quella di oggi è l’udienza n. 348 del Pontificato, durante le quali il Papa ha incontrato più di 5 milioni di fedeli. Le udienze del mercoledì sono state uno splendido esempio di questo sapiente esercizio di ascolto che un Papa teologo, ingiustamente e riduttivamente ingabbiato in un cliché mediatico d’intellettuale rigido e distaccato, ha saputo esercitare grazie alla capacità di entrare nel cuore della gente. I grandi media, spesso, non lo hanno capito: ma per chi, in questi otto anni, ha avuto il privilegio di poter fare un’informazione pensata e non gridata, non alla ricerca dello “scoop” a tutti i costi ma rispettosa del pensiero del Santo Padre, l’appuntamento del mercoledì con Joseph Ratzinger è stato sempre una boccata d’ossigeno. La notizia c’era sempre. A dettarne il titolo, il distillato del magistero di un Papa che ha saputo sempre andare all’essenziale. “Gründlich”, si dice in tedesco con un’espressione quasi intraducibile in italiano, ma che ha a che fare con il dono di andare fino in fondo, perché alla base di ogni scelta - fatta sempre al cospetto di Dio e interrogando nel profondo la propria coscienza - c’è la roccia della fede che non delude. Altro che fuga, altro che abbandono... Il Papa come san Benedetto, ci ha mostrato “la via per una vita che, attiva o passiva, appartiene totalmente a Dio”. E la piazza, la sua gente, lo applaude ancora una volta: “Grazie, Padre Santo. Ad multos annos”. (M.Michela Nicolais – Sir Attualità, 27 febbraio 2013) - Ciò che vale non si vede “Una folla sterminata, meravigliosa, stranamente festante”. “Non un addio né un arrivederci. Ma una compresenza diversa e profonda”. “Abbiamo assistito a un fatto al tempo stesso straordinario e paradossale anche per la mentalità laica e non credente. Abbiamo assistito allo splendore della sconfitta apparente, la virtù della rinuncia. Un messaggio dirompente”. Sono emozioni a caldo quelle che il sociologo Franco Ferrarotti esprime, “da laico e agnostico”, al Sir subito dopo aver seguito in tv l’ultima udienza di papa Benedetto XVI. Maria Chiara Biagioni lo ha intervistato. Che impressione le ha fatto oggi piazza San Pietro? “Una folla sterminata, meravigliosa e stranamente festante visto che tanti potevano attendersi una folla piuttosto mogia. E invece abbiamo visto una folla gioiosa che ha dato uno spettacolo edificante. Una folla numerosa che ha riempito letteralmente piazza San Pietro, e poi tutta via della Conciliazione, le vie laterali di Borgo Pio fino a Castel Sant’Angelo”. Come si spiega questa partecipazione? “Tutto il mondo si è reso conto che questo Papa, con la sua decisione, ha dato corpo a un fenomeno di portata storica. Credo anche che non possa lasciare indifferenti. A che cosa abbiamo assistito? Abbiamo assistito a un fatto al 3 tempo stesso straordinario e paradossale anche per la mentalità laica e non credente. Abbiamo assistito allo splendore della sconfitta apparente, la virtù della rinuncia. Un messaggio dirompente per i nostri uomini e le nostre donne di potere: il Papa ha mostrato che cosa è il potere come servizio. Non un potere solitario di colui che comanda, ma un’autorità autorevole che fa crescere. Il potere schiaccia, l’autorità fa crescere. E poi c’è una seconda lezione, ancora più importante”. Quale? “La rivalutazione della preghiera. Che oggi sembra estranea persino ai credenti. La preghiera non è solo una richiesta. È un colloquio con Dio ma anche con se stessi. E quindi la preghiera come un richiamo dell’interiorità. Debbo dire che papa Benedetto XVI con la sua natura di professore, di studioso, con il suo bisogno di privacy che è venuto fuori anche da quello che ha detto stamane, richiama all’interiorità: mentre oggi tutto sembra esteriorizzato, ci rivela la preghiera come un momento umile che non si esaurisce nella richiesta del favore a Dio, ai Santi, ai Padroni, ma diventa un dialogo con le realtà trascendenti e con se stessi. Trovo in questo richiamo alla riservatezza, al momento del dialogo con se stessi per poter dialogare con gli altri, una lezione di straordinaria importanza”. Quale ricaduta ha questo messaggio al mondo di oggi? “Mi riempie di ammirazione e mi tocca personalmente: più nessuno oggi si vuole dimettere, tutti sono abbarbicati al potere anche quando non hanno nulla da dare e da dire. Si ricerca la visibilità a tutti costi: è straordinario invece che un uomo che è anche vicario di Dio, decida di nascondersi al mondo. Che cosa vuol dire, qual è il messaggio? Che ci sono realtà che non si esauriscono nello spettacolo, che ci sono valori finali e strumentali che non si esauriscono nella chiacchiera o nella presenza. Ci sono delle assenze più importanti di molte presenze”. Oggi, in piazza San Pietro, abbiamo visto una folla sterminata. Eppure Benedetto XVI è un uomo di studio e lancia messaggi talvolta anche esigenti, difficilmente popolari. Lei che lettura dà invece a questo fenomeno delle piazze che si riempiono per lui? “C’è nella folla di oggi un estremo bisogno di valori finali e di trascendenza. Questo è un mondo che muore perché è mosso da uno spasimo di successo, che in fondo non risolve alcun problema se non la piccola vanità di anime minime. E la lezione, credo, di questo Papa è che ciò che vale non si vede. I mezzi di comunicazione, seppur meravigliosi, schiacciano sull’immediato e sul presente ed esteriorizzano la capacità introspettiva”. Dunque anche la folla oggi ha lanciato un messaggio. Quale? “Una folla meravigliosa che mi ha sorpreso. Mi ha fatto capire che, al di là delle frequenze e dei sacramenti, al di là a dei comportamenti rituali esterni, c’è un enorme bisogno di sacro e di religioso. Viviamo nel paradosso secondo cui proprio nelle società più tecnicizzate, in quelle che si pensano e si autodefiniscono del tutto razionali, in cui si crede che il sacro sia eclissato, proprio queste società sono sensibili al richiamo del sacro. E questa folla lo esprimeva: non macerazione o tristezza. Bensì un nuovo misticismo che è quello di colui che predica sui tetti e si riconosce nell’offrire il proprio sforzo a servizio degli altri, del prossimo”. Perché la folla era festante? In fin dei conti doveva essere il giorno dell’addio, della nostalgia. “Perché non è stato un addio o un arrivederci. Ma una compresenza diversa e profonda. Questo Papa ci riporta ai principi fondamentali del cristianesimo che non sono la trattativa commerciale, il successo, la ricchezza materiale. Ma l’apertura alla grande esperienza del Divino nel quotidiano”. Come vede il futuro della Chiesa? “Sono certo di un fatto: che il risultato di questo Conclave sarà il risultato migliore che la Chiesa come istituzione, nelle circostanze determinate, potrà dare. Forse in pochi hanno capito che l’elezione del Papa è certamente frutto di una democrazia, ma integrata e compensata dalla conoscenza e dall’esperienza”. (Marco Doldi – Sir Attualità, 27 febbraio 2013) - Profeta e purificatore “Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a Lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza!”. Era il Venerdì Santo 2005 quando, nella Via Crucis al Colosseo, il cardinale Ratzinger dichiarava pubblicamente la miseria e il male presente anche nella Chiesa di Dio. Una consapevolezza, la sua, che lo portava ad aggiungere: “Signore... anche nel tuo campo di grano vediamo più zizzania che grano. La veste e il volto così sporchi della tua Chiesa ci sgomentano. Ma siamo noi stessi a sporcarli!”. Quando mancavano pochi giorni alla morte di Giovanni Paolo II e alla successiva elezione di Ratzinger a Sommo Pontefice, il futuro Benedetto XVI indicava profeticamente quella che sarebbe stata una linea portante del suo ministero petrino: la conversione della Chiesa, l’appello a vita nuova dei cristiani. Come non pensare, ora, al termine del suo ministero di Sommo Pontefice, ad altre parole, pronunciate tanti secoli fa da uomini inviati da Dio a chiamare il suo popolo a conversione? Come non ricordare Isaia che gridava: “Come mai la città fedele è diventata una prostituta? Era piena di rettitudine, vi dimorava la giustizia, ora invece è piena di assassini... Essi ostentano il loro peccato come Sodoma: non lo nascondono neppure” (Is 1,21;3,9). E anche le forti parole di Geremia: “Tra il mio popolo si trovano malvagi... oltrepassano i limiti del male” (Ger 5,26.28); “Nessuno si pente della sua malizia... Ognuno prosegue la sua colpa senza voltarsi...” (Ger 8,6.12). Dall’inizio del suo pontificato Benedetto XVI si è presentato non come il Pontefice glorioso, ma come il servo sofferente, che vuole curare i mali del suo gregge senza incertezze, incurante del fatto che la sua dura condanna del 4 male presente nella Chiesa potesse essere considerata da alcuni quasi un cedimento alle accuse dei nemici. Il Pontefice teologo, che nelle sue encicliche ci ha aiutato a leggere il volto di Dio nella carità e nella speranza, proprio a partire dal proprio magistero su Dio, la Chiesa e la vita cristiana, ha posto come specifico della sua missione la purificazione della Chiesa. Il suo grande amore a Dio si è così manifestato come amore indissolubile al popolo di Dio sempre peccatore, ma, ancor più, sempre chiamato a conversione. Il suo appello alla vita nuova dei cristiani lo mette a fianco dei grandi profeti dell’Antico Testamento e a quelli della storia della Chiesa, da Domenico a Francesco, da Ignazio di Loyola ad Antonio Maria Zaccaria, da Padre Pio a Teresa di Calcutta. Un Papa profeta, un sofferente che porta su di sé il peccato del suo popolo. Si può ben dire che proprio questo sia il filo rosso che attraversa il pontificato di Benedetto XVI: un amore totale alla Chiesa che lo porta a un impegno senza tregua per purificarla. Molti sono gli scandali che negli anni del suo pontificato egli ha combattuto con forza. Uno fra i tanti, in particolare, ricordiamo qui: quello della pedofilia, per il quale ha emanato norme severe per purificare la Chiesa da questo peccato che è, allo stesso tempo, un delitto. Nella consapevolezza che “la più grande persecuzione della Chiesa non viene dai nemici fuori”, ma “nasce dal peccato” dentro la Chiesa. E, nella lettera ai cattolici d’Irlanda, in seguito agli scandali là avvenuti, accusa con forza: “Avete tradito la fiducia riposta in voi da giovani innocenti e dai loro genitori. Dovete rispondere di ciò davanti a Dio onnipotente, come pure davanti a tribunali debitamente costituiti”. Così il Papa teologo si è fatto profeta, impegnato a costruire per il popolo di Dio l’epoca nuova della purificazione. Una profezia che lo ha manifestato come il Papa dei grandi dolori, delle profonde sofferenze, immagine di quel Gesù che si è sacrificato per i peccati della sua gente. Una battaglia condotta senza interruzioni, fino al giorno della rinuncia al pontificato. È proprio per il bene del popolo che Dio gli ha affidato che ha deciso di lasciare il ministero petrino, senza rinunciare a quello della preghiera per la conversione dei cristiani. Leggendo i suoi interventi dopo l’annuncio della rinuncia, appare, ancora una volta, la sua vocazione di purificatore della Chiesa, sottolineando la continua tentazione “di strumentalizzare Dio, di usarlo per i propri interessi, per la propria gloria e per il proprio successo. E dunque, in sostanza, di mettere se stessi al posto di Dio”. Aggiungendo che “quel ‘ritornate a me con tutto il cuore’ è un richiamo che coinvolge non solo il singolo, ma la comunità”. Notando come “il volto della Chiesa... venga, a volte, deturpato”; aggiungendo: “Penso in particolare alle colpe contro l’unità della Chiesa, alle divisioni nel corpo ecclesiale”. E non dimentica di denunciare “l’ipocrisia religiosa, il comportamento che vuole apparire, gli atteggiamenti che cercano l’applauso e l’approvazione”. Ora Benedetto il “purificatore”, lascia il passo ad altri, rendendo noto, però, ai fedeli di Cristo, che non si tratta di una fuga, ma di un’ulteriore scelta di responsabilità per il bene del popolo di Dio; lo ha affermato domenica 24 febbraio all’Angelus: “Il Signore mi chiama a ‘salire sul monte’, a dedicarmi ancora di più alla preghiera e alla meditazione. Ma questo non significa abbandonare la Chiesa, anzi, se Dio mi chiede questo, è proprio perché io possa continuare a servirla con la stessa dedizione e lo stesso amore con cui ho cercato di farlo fino ad ora, ma in un modo più adatto alla mia età e alle mie forze”. Ecco così la sua nuova/antica vocazione: servire la Chiesa, la sua purificazione, percorrendo un’altra strada. Non disimpegno, ma volontà di non compromettere, a motivo della malferma salute e della vecchiaia, il suo servizio di teologo, maestro, profeta, purificatore. (Vincenzo Rini – Sir Attualità, 27 febbraio 2013) - Il Concilio di Joseph Dopo l’annuncio del suo ritiro, Benedetto XVI è divenuto argomento obbligato per i media di tutto il mondo, studiato, analizzato e descritto nella sua personalità e nella sua storia. A molti è sfuggito il fatto che lui stesso, in una conversazione a tutto campo e a cuore aperto, si è palesato ai suoi preti, i preti di Roma, di cui Joseph Ratzinger è, prima di tutto, vescovo. In una condizione di particolare confidenza, senza nulla di scritto nelle mani, si è rivolto ai “cari fratelli nell’episcopato e nel sacerdozio”, confidando e quasi confessando ricordi, pensieri, opinioni, sentimenti, con molteplici punti di sospensione segnati da “eccetera”, come per interrompere il flusso dei ricordi. Il nucleo del discorso è stato il Concilio, rivissuto in una specie di “chiacchierata” su come lui l’ha visto e vissuto dal suo primo nascere fino agli esiti attuali. Inizia il discorso con un aneddoto risalente al 1959, quando a lui, il più giovane dei professori, fu richiesto dall’arcivescovo di Colonia, card. Joseph Frings, di preparare un progetto su il “Concilio e il mondo del pensiero moderno”, che gli valse la partecipazione come “esperto personale” del cardinale e poi come “perito ufficiale”. “Allora siamo andati a Concilio non solo con gioia, ma con entusiasmo”, racconta il Papa e, come per un inesauribile impulso, continua a narrare lo svolgersi e il districarsi di una storia fatta di tanti rivoli che confluiscono in un unico grande evento ecclesiale: persone, fatti, situazioni, problemi, discussioni, senza sosta con il preciso intento di ritornare al vero senso del Concilio sottratto a equivoci, strumentalizzazioni, forzature e fabulazioni che, dall’esterno e dal mondo dei media, sono state e continuano a essere tirate in ballo. Ratzinger rivendica il diritto di dire qual è il vero Concilio, non per la sua infallibilità, ma per l’esperienza vissuta in profondità e in comunione con i suoi fratelli vescovi nell’esercizio del ministero pastorale di guida della Chiesa universale. La sensazione dominante all’inizio era quella di una Chiesa “robusta” e in buona salute, ma che dava segni di stanchezza, più legata al passato, con le crisi, tipo il caso Galilei, che non “portatrice di futuro”. Ratzinger, anziano e dimissionario, scandaglia il suo lontano vissuto personale profondo e, ancor oggi, raccontando la prima riunione dell’assise conciliare, plaude al rifiuto dei padri di approvare le liste dei nomi dei membri delle Commissioni già preparate e commenta: “Non fu un atto di ribellione, ma di coscienza e di responsabilità”. I vescovi si resero consapevoli che erano stati convocati non per approvare decisioni già prese, ma come “soggetti” attivi del Concilio. Non ha difficoltà, lui vescovo di Roma, nel discorso ai preti romani, a dire che la strada del Concilio fu aperta da 5 quella che fu chiamata l’”alleanza renana”, composta dai vescovi francesi, tedeschi, belgi e olandesi, che si mostrarono più preparati e motivati. Passando all’analisi dei singoli temi trattati dal Concilio non dice cose che non siano conosciute, ma le dice in un modo e con un linguaggio immediato, che sembra di assistere in diretta allo svolgimento dei lavori. La liturgia, ad esempio, egli dice, era come “chiusa nel Messale romano del sacerdote”, l’assemblea dei fedeli era rappresentata dal chierichetto che rispondeva alle parole del prete, mentre i fedeli pregavano con libri propri: “Erano quasi due liturgie parallele”, commenta. La scelta della liturgia, dice il Papa, “retrospettivamente” appare molto buona perché ha messo in evidenza il “primato di Dio, il primato dell’adorazione”. Descrive, senza entrare nei particolari, i meriti del documento che ha rimesso al centro di tutta la liturgia il mistero pasquale e la domenica, sottolineando due principi: quello dell’intelligibilità delle parole, non più in una lingua sconosciuta, e quello della partecipazione del popolo. “Purtroppo questi principi sono stati anche male intesi”, lamenta il Papa, e per evitare ciò si richiede una formazione permanente. Passando in rassegna gli altri temi sempre sul filo del ricordo, coglie gli aspetti essenziali e indica il tipo di lettura, che potremmo chiamare “sapienziale”, di tutto il dettato conciliare, soprattutto là dove affronta il tema dell’ecumenismo e delle religioni, che qui non possiamo riportare, scivolando via con leggerezza e lucidità tra le asperità delle contrapposte posizioni circa continuità o discontinuità, tra vero e falso rinnovamento della Chiesa. Su questo, che è il secondo tema affrontato, Benedetto XVI parte dalla “unilateralità della definizione del primato”, causata dall’interruzione forzata del Concilio a causa dell’occupazione di Roma, rievoca la gioia del sentirsi che “noi siamo Chiesa”, membra vive del Corpo mistico di Cristo, per approdare nel Concilio alla definizione del “popolo di Dio”. In continuità con l’Antico Testamento si compie la costruzione ecclesiologica trinitaria propria del Vaticano II: “Popolo di Dio Padre, Corpo di Cristo, Tempio dello Spirito”. Il Papa continua a raccontare il “suo” Concilio, risultandone perfetto e profondo conoscitore ed esperto, quello che l’ha vissuto tutto, in tutte le sue fasi, durante e dopo, fino ad oggi e ne è, pertanto, il migliore esegeta. Parla come un fiume in piena e si frena non potendo dire tutto quello che ha nella mente e nel cuore. Conclude con il rammarico che quell’evento e la ricchezza di pensiero e d’indicazioni pastorali concrete che il Concilio ha prodotto sia stato in qualche modo “banalizzato” e abbia prodotto calamità e sciagure per la Chiesa, trovando difficoltà a realizzarsi a causa di una volgarizzazione inadeguata o persino fuorviante: “Il Concilio virtuale - afferma con lucidità e fermezza era più forte del Concilio reale”. Quello che veniva rappresentato all’esterno, al di fuori della propria chiave di lettura, che è la fede, ha oscurato il vero significato. Ma, sembra dire il Papa, è giunta l’ora in cui le cose si mettano in chiaro: “Mi sembra che, 50 anni dopo, vediamo che il Concilio virtuale si rompa, si perda e appare il vero Concilio con tutta la sua forza spirituale… la vera forza che poi è anche la vera riforma, vero rinnovamento della Chiesa”. Conclude con la promessa della preghiera e che, pur nascosto agli occhi del mondo, rimarrà presente accanto ai suoi preti. Questo lungo discorso, l’ultimo al clero romano, che non si riesce a riassumere, rimarrà scolpito nella memoria di coloro che lo hanno ascoltato e di chi l’abbia anche soltanto letto. (Elio Bromuri – Sir Attualità, 28 febbraio 2013) - Un viaggio, una domanda C’è come un sottile fil rouge che, lungo questi quasi otto anni di pontificato, tiene insieme i viaggi internazionali di Benedetto XVI ed è il Concilio, con le sue attenzioni al mondo contemporaneo, alla vita delle comunità cristiane, al dialogo con le altre religioni. È un cammino che per Joseph Ratzinger, appena eletto Papa, non poteva non cominciare se non dai giovani, da quella tappa a Colonia, voluta da Giovanni Paolo II e riletta, se così possiamo dire, da Papa Benedetto con la sua volontà di proporre ai ragazzi il tempo del silenzio e della preghiera nell’adorazione all’eucaristia. Scelta che è sembrata a molti in contrasto con la gioiosità di questi appuntamenti mondiali e con la spensieratezza propria della condizione giovanile; non pochi hanno pensato ad una decisione destinata a non avere successo. Invece la risposta dei ragazzi è stata sorprendente, e via via, a Sydney, a Madrid, non solo si è ripetuta ma è stata ancor più seguita e voluta proprio dai giovani. Il popolo di Dio che dialoga con la Chiesa, il mondo. Credo che non molti di quei cardinali che lo hanno votato nel Conclave del 2005 pensassero che lui, il professor Ratzinger, il fine teologo, arcivescovo di Monaco e prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, potesse entrare in sintonia e essere capito subito dai giovani, dai papaboys, come sono stati anche chiamati i ragazzi di Wojtyla. Lui, Benedetto XVI, che si era presentato come semplice, umile lavoratore nella vigna del Signore. Parlando di Concilio, le tappe che segnano questa attenzione sono diverse, ma come non partire proprio dal viaggio nella patria del suo predecessore, omaggio al Papa “venuto da un paese lontano”, e, in modo particolare, dalla tappa di Auschwitz. E come non ricordare quella sua preghiera davanti alle lapidi che ricordano i milioni di uomini e donne, ebrei soprattutto, uccisi nel campo di concentramento: “Prendere la parola in questo luogo di orrore, di accumulo di crimini contro Dio e contro l’uomo che non ha confronti nella storia, è quasi impossibile - ed è particolarmente difficile e opprimente per un cristiano, per un Papa che proviene dalla Germania. In un luogo come questo vengono meno le parole, in fondo può restare soltanto uno sbigottito silenzio - un silenzio che è un interiore grido verso Dio: Perché, Signore, hai taciuto? Perché hai potuto tollerare tutto questo?”. Doveva andare a Auschwitz, dirà ancora, “come figlio del popolo tedesco”. C’era già stata la visita alla Sinagoga di Colonia; sarebbe poi andato al Tempio maggiore di Roma, e avrebbe messo la sua preghiera tra le pietre del Muro occidentale a Gerusalemme. Visitando il mausoleo dell’Olocausto, Yad Vashem, dirà: i nomi dei milioni di ebrei uccisi “nell’orrenda tragedia della Shoah” sono “incisi in modo indelebile nella memoria di Dio Onnipotente”. 6 È proprio Benedetto XVI che, parlando ai parroci di Roma, ricorda che il documento Nostra aetate, risponde “in modo più sintetico e più concreto alle sfide del nostro tempo”. Con la memoria, parlando per 45 minuti senza testo scritto, ricorda quei giorni del Concilio; ricorda: “dall’inizio erano presenti i nostri amici ebrei, che hanno detto, soprattutto a noi tedeschi, ma non solo a noi, che dopo gli avvenimenti tristi di questo secolo nazista, del decennio nazista, la Chiesa cattolica deve dire una parola sull’Antico Testamento, sul popolo ebraico”. Ma anche l’Islam “è una grande sfida e la Chiesa deve chiarire anche la sua relazione con l’Islam. Una cosa che noi, in quel momento, non abbiamo tanto capito, un po’, ma non molto. Oggi sappiamo quanto fosse necessario”. È il tema del dialogo nella diversità delle fedi, che Benedetto XVI interpreta recandosi a Istanbul, visita a Santa Sofia e silenziosa preghiera con accanto l’Imam. Ma il tema del dialogo con le altre religioni e in particolare con l’Islam vive di altri momenti, dall’incontro di Assisi, preghiera per la pace nel mondo, alla lezione di Ratisbona, dove una cattiva interpretazione delle parole del Papa suscita violente manifestazioni proprio nel mondo arabo. Il tema che affronta è fede e ragione, e si sofferma su un dialogo tra l’imperatore Manuele II Paleologo e un dotto arabo con la domanda “inaccettabile” sul rapporto religione e violenza. Dirà il Papa: “nel mondo occidentale domina largamente l’opinione, che soltanto la ragione positivista e le forme di filosofia da essa derivanti siano universali. Ma le culture profondamente religiose del mondo vedono proprio in questa esclusione del divino dall’universalità della ragione un attacco alle loro convinzioni più intime. Una ragione, che di fronte al divino è sorda e respinge la religione nell’ambito delle sottoculture, è incapace di inserirsi nel dialogo delle culture”. I viaggi africani - Benin, Angola, Cameroun - hanno come linee guida il tema della missione, possiamo dire del decreto Ad Gentes. Viaggi per dire che non bisogna “rubare” il futuro di questi popoli, messaggio all’occidente che vive e spreca l’ottanta per cento delle risorse, lasciando ciò che rimane ai tre quarti della popolazione mondiale. Viaggi nel sud del mondo, nell’America Latina dei grandi contrasti, nella Cuba che vive la difficile transizione del dopo Fidel Castro, con una Chiesa che sempre più chiede spazio per la sua opera di evangelizzazione. All’Avana incontra il leader maximo, colloquio privato, fatto di domande sulla liturgia e su Dio, di un uomo nel quale la fede, appresa nella sua giovinezza, è forse solo sopita ma non del tutto dimenticata. Ci sono poi le visite in Gran Bretagna, il discorso alla Westminster Hall, in Francia, la lezione su fede e cultura al Collegio des Bernardin, e le parole pronunciate a Berlino al Reichstag, il Parlamento federale, di un figlio della Germania che ricorda la Costituzione nata dalle macerie della seconda guerra mondiale e che ribadisce con vigore i diritti della persona di fronte all’arroganza del potere. Proprio in Germania, il tema del dialogo ecumenico torna con forza visitando, settembre 2011, Erfurt la città dove Lutero ha studiato, si è formato, e da dove è partito per andare ad affiggere alla porta del duomo di Wittemberg le 95 tesi sulle indulgenze. Incontro che per Papa Benedetto parte da una domanda che non dava pace al padre della Riforma: “come posso avere un Dio misericordioso?”. Questa domanda gli penetrava nel cuore e stava dietro ogni sua ricerca teologica e ogni lotta interiore, dirà Benedetto XVI. Una domanda che colpisce: “chi si preoccupa ancora di questo, anche tra i cristiani? Che cosa significa la questione su Dio nella nostra vita? Nel nostro annuncio?”. Una riflessione che, in qualche modo, si pone in continuità con un altro documento conciliare, la costituzione Gaudium et spes, su Chiesa e mondo contemporaneo, che “ha analizzato molto bene il problema tra escatologia cristiana e progresso mondano, tra responsabilità per la società di domani e responsabilità del cristiano davanti all’eternità, e così ha anche rinnovato l’etica cristiana, le fondamenta” dirà il Papa. Certo quella domanda di Lutero porta con se altre questioni che Benedetto XVI evidenzia: “non viene forse devastato il mondo a causa della corruzione dei grandi, ma anche dei piccoli, che pensano soltanto al proprio tornaconto? Non viene forse devastato a causa del potere della droga, che vive, da una parte, della brama di vita e di denaro e, dall’altra, dell’avidità di piacere delle persone dedite ad essa? Non è forse minacciato dalla crescente disposizione alla violenza che, non di rado, si maschera con l’apparenza della religiosità?” Le domande in questo senso potrebbero continuare, “il male non è un’inezia”. Il male, la follia del terrorismo, che Benedetto XVI percepisce scendendo a Ground zero, la ferita al mondo e non solo a New York in quell’11 settembre 2001: “Dio della comprensione, sopraffatti dalla dimensione immane di questa tragedia, cerchiamo la tua luce e la tua guida, mentre siamo davanti ad eventi così tremendi”. Per finire, come un fermarsi con il pensiero alla visita a Gerusalemme, il Santo Sepolcro. La tomba vuota ci parla di speranza: “Qui Cristo morì e risuscitò, per non morire mai più. Qui la storia dell’umanità fu definitivamente cambiata. Il lungo dominio del peccato e della morte venne distrutto dal trionfo dell’obbedienza e della vita; il legno della croce svela la verità circa il bene e il male; il giudizio di Dio fu pronunciato su questo mondo e la grazia dello Spirito Santo venne riversata sull’umanità intera”. (Fabio Zavattaro – Sir Attualità, 28 febbraio 2013) DOCUMENTI ------------------------------------------------------------------------------------------------------ Tutto nuovo e straordinario Minuto per minuto, ecco la cronaca dell’ultimo giorno del Pontificato di Benedetto XVI. Nel corso della giornata è stato possibile seguire, anche attraverso il collegamento streaming sul sito del Sir, reso possibile dal Centro Televisivo Vaticano e dalla Radio Vaticana, tutti i movimenti e gli ultimi atti del Papa, sino al suo arrivo a Castel Gandolfo. Poi il saluto ai fedeli della diocesi di Albano, la chiusura del portone della Villa pontificia e la svestizione delle Guardie Svizzere che lasciano il posto alla Gendarmeria Vaticana. 7 Ore 17.35 - Il nome di “Benedetto” scandito senza sosta, le bandierine bianche e gialle, innumerevoli. Gli striscioni, “Grazie Benedetto siamo tutti con te” scritto con una siepe, un “grazie” enorme dalle famiglie del Movimento dei Focolari. Si stima che ci siano 10mila persone nel cortile del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo. Le campane suonano a festa. Il Papa si affaccia alla Loggia, salutato da un applauso corale che è un vero boato. E il Papa, quasi a voler smorzare il clamore, si rivolge subito ai fedeli della diocesi di Albano, in un’insolita cornice invernale. “Cari amici - esordisce - sono felice di essere con voi, circondato dalla bellezza del creato e dalla vostra simpatia che mi fa molto bene. Grazie per la vostra amicizia, il vostro affetto”. “Voi sapete - dice il Papa nel suo discorso di saluto interamente a braccio, meno di cinque minuti in tutto - che questo giorno mio è diverso da quelli precedenti: non sono più Pontefice Sommo della Chiesa cattolica: fino alle otto di sera lo sarà ancora, poi non più”. “Sono semplicemente un pellegrino che inizia l’ultima tappa del suo pellegrinaggio su questa terra - ha proseguito il Santo Padre - ma vorrei ancora con il mio cuore, con il mio amore, con la mia preghiera, con tutte le mie forze interiori, lavorare per il bene comune e per il bene della Chiesa e dell’umanità. E mi sento molto appoggiato dalla vostra simpatia”. “Andiamo avanti con il Signore per il bene della Chiesa e del mondo”. “Grazie, buona notte! Grazie a voi tutti”, il semplice - ma profondo - congedo del Papa. Ore 17.20 - Circa quindici minuti di volo, dal Vaticano a Castel Gandolfo. Benedetto XVI è arrivato nella cittadina dei Castelli Romani che sarà la sua residenza da “Papa emerito”, per due mesi. L’elicottero atterra, il Papa viene accolto dal presidente del Governatorato, il card. Giuseppe Bertello, dal segretario generale del Governatorato, mons. Giuseppe Sciacca, da mons. Marcello Semeraro, vescovo di Albano, dal responsabile delle Ville Pontificie, Saverio Petrillo, dal sindaco e dal parroco di Castel Gandolfo. Poi il Papa sale in macchina alla volta della sua abituale residenza estiva. Da lì, pronuncerà il suo ultimo discorso pubblico da Papa, nelle ultime ore del suo pontificato. Ore 17.11 - “Grazie per il vostro amore e il vostro sostegno. Possiate sperimentare sempre la gioia di mettere Cristo al centro della vostra vita”. È il testo dell’ultimo tweet lanciato da Benedetto XVI. Ore 17.07 - È decollato l’elicottero che porterà il Papa dal Vaticano a Castel Gandolfo, che per due mesi sarà la sua residenza - subito prima, Benedetto XVI si era congedato, proprio all’eliporto, dal cardinale decano, Angelo Sodano. Appena si è chiuso il portellone dell’elicottero, bianco e blu, messo a disposizione dal 31° stormo dell’Aeronautica Militare, le immagini hanno inquadrato il Papa seduto e il segretario personale del Santo Padre, mons. Georg Gaenswein, che si chinava premurosamente verso di lui, forse per mettere a posto la veste bianca scompigliata dal vento. Tra i due, lo scambio di un sorriso. Il Papa è apparso, come sempre in questi giorni, sereno. A bordo con il Papa, oltre al suo segretario particolare, ci sono l’altro segretario del Papa, mons. Xuareb, mons. Leonardo Sapienza, oltre al professor Polisca e al cavalier Mariotti. Ore 16.55 - Un grande e fragoroso applauso ha salutato il Papa, quando ha fatto il suo ingresso del Cortile di San Damaso, accompagnato dal card. Angelo Comastri, arciprete della Basilica Vaticana, e dal card. Agostino Vallini, vicario per la diocesi di Roma. Benedetto XVI, che si è mosso accompagnato dal bastone, ha salutato con un gesto benedicente la folla presente, prima di salutare i superiori della segreteria di Stato, a cominciare dal segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone. Quando il Papa è salito a bordo dell’auto che lo porterà all’eliporto, le campane hanno cominciato a suonare. Le Guardie Svizzere, con la loro tradizionale divisa gialla e blu, dominavano la scena del Cortile, quando hanno tributato al Papa il picchetto d’onore. Accanto a loro, oltre ai rappresentanti della segreteria di Stato e del personale vaticano, anche numerose religiose e religiosi. Perfino alcuni bambini sono seduti sui sampietrini. Poco più in là, in piazza San Pietro, numerosi fedeli si sono radunati spontaneamente intorno all’obelisco, quasi a prolungare idealmente l’abbraccio al loro Papa che hanno tributato durante l’ultima udienza generale di ieri. Ore 12.07 - È appena finito il commiato del Papa con suoi cardinali, “Tra voi, tra il Collegio Cardinalizio, c’è anche il futuro Papa, al quale già oggi prometto la mia incondizionata reverenza e obbedienza”. Un atto di sottomissione finora inedito, prima dell’avvenuta elezione di un nuovo Pontefice, anche questo uno dei tanti gesti di questa fine di pontificato. Le ultime parole pronunciate dal Papa nella Sala Clementina risuonano ancora, e risuoneranno probabilmente a lungo, nelle orecchie e nel cuore dei cardinali. “Prima di salutarvi personalmente - ha detto il Papa desidero dirvi che continuerò a esservi vicino con la preghiera, specialmente nei prossini giorni, affinché siate pienamente docili all’azione dello Spirito Santo nell’elezione del nuovo Papa”. L’atto di omaggio, di sottomissione, di riverenza incondizionata e obbedienza - come sottolineerà anche dopo, nel briefing con i giornalisti, padre Federico Lombardi - è originale, non atteso in un discorso anch’esso inatteso, messo a punto solo subito prima di pronunciarlo. Ma è anche espressivo del suo stile, e sembra obbedire a un’urgenza: esprimere pubblicamente la sua dedizione al nuovo Pontefice già da subito, prima del termine dell’ultimo giorno della sua permanenza sul soglio di Pietro, prima di ritirarsi a Castel Gandolfo e diventare “Papa emerito”, quando fra poche ore il portone del Palazzo Apostolico si chiuderà. La discrezione assoluta è stata sempre uno dei tratti distintivi di Joseph Ratzinger, che risulterà sicuramente con ancora maggiore evidenza quando sarà “nascosto al mondo”. Quella di oggi, però, come ha evidenziato il portavoce vaticano, è un’ulteriore conferma – dopo le richieste ai fedeli, nelle due ultime udienze generali, di pregare per lui e per il suo successore - che Benedetto XVI non solo non ha nessuna intenzione d’interferire con la scelta del suo successore, ma che - come ogni membro della Chiesa - riconosce pienamente l’autorità del pastore supremo della Chiesa in colui che si appresta a succedergli. Ore 11.15 - La Chiesa come un’orchestra, dove le diversità concorrono a una superiore e concorde armonia. Il Papa 8 inizia il suo discorso di saluto usando una metafora, subito dopo aver espresso la sua “gioia” per aver camminato con loro in questi otto anni di pontificato, e averli ringraziati ancora una volta per la loro “vicinanza” e “consiglio”. Otto anni in cui ci sono stati “momenti bellissimi di luce radiosa”, ma anche “momenti in cui qualche nube si è addensata nel cielo”, dice il Papa riportando di nuovo la memoria a quanto detto nell’udienza di ieri, in cui aveva idealmente ripercorso il pontificato tratteggiandolo come costellato di “momenti di gioia e di luce”, ma anche di “momenti non facili”. “Abbiamo cercato di servire Cristo e la sua Chiesa con amore profondo e totale, che è l’anima del nostro ministero. Abbiamo donato speranza, quella che ci viene da Cristo e che solo può illuminare il cammino”. Poi l’immagine dell’orchestra, realtà che un Papa musicista, amante della musica e profondo conoscitore del repertorio classico conosce molto bene: “Insieme possiamo ringraziare il Signore, che ci ha fatto crescere nella comunione; insieme possiamo pregarlo di aiutarvi a crescere ancora in questa unità profonda, cosicché il Collegio dei cardinali sia come un’orchestra, dove le diversità, espressione della Chiesa universale, concorrano sempre alla superiore e concorde armonia”. Quasi un presagio, gravido di profezia, per il Conclave imminente. Che si riannoda all’immagine di Chiesa contenuta in un libro di Romano Guardini, di cui il Papa conserva una copia con una dedica personale, e che ha lasciato come eredità ai cardinali in forma di “un pensiero semplice, che mi sta molto a cuore”: “La Chiesa non è un’istituzione escogitata e costruita a tavolino, ma una realtà vivente. Essa vive lungo il corso del tempo, in divenire, come ogni essere vivente, trasformandosi. Eppure nella sua natura rimane sempre la stessa: il suo cuore è Cristo”. E ancora: “La Chiesa vive, cresce e si risveglia nelle anime. Attraverso la Chiesa, il mistero dell’Incarnazione rimane presente per sempre. Cristo continua a camminare attraverso i tempi e i luoghi”. Ore 11.05 - “Eminentissimi, surgent omnes!”. I 144 cardinali arrivati finora a Roma, i principi della Chiesa nelle cui mani è affidato il compito di designare il prossimo successore di Pietro, si alzano tutti e si uniscono in un grande applauso. È appena entrato nella Sala Clementina il loro Papa, Benedetto XVI, che ha scelto d’iniziare la parte pubblica dell’ultimo giorno del suo pontificato - nove ore in tutto, dal Vaticano a Castel Gandolfo - incontrando personalmente e salutando uno per uno, occhi negli occhi, mano nella mano, prima di terminare il suo ministero petrino, i suoi “amici”. Così li aveva già chiamati al termine degli esercizi spirituali di questa Quaresima inedita nella storia della Chiesa. Le sue parole dopo il saluto del cardinale decano, Angelo Sodano: “Miei amici, vorrei ringraziare tutti voi non solo per questa settimana, ma per questi otto anni, durante i quali avete portato con me, con grande competenza, affetto, amore e fede, il peso del ministero petrino”. Nell’udienza di ieri, il congedo del Papa dal suo popolo in piazza San Pietro, sono stati proprio i cardinali i primi a essere ringraziati: “La vostra saggezza, i vostri consigli, la vostra amicizia sono stati per me preziosi”, le parole di Benedetto XVI. Perfino dalle immagini che trasmettono in diretta il commiato di oggi traspare la commozione e l’affetto dei suoi primi collaboratori nel servizio alla Chiesa universale: “Siamo noi che dobbiamo ringraziare Lei per l’esempio che ci ha dato in questi otto anni di Pontificato”, dice il cardinale Sodano facendosi interprete dei sentimenti di tutti, esprimendo all’“amato e venerato Successore di Pietro” la loro “viva gratitudine” per la testimonianza “di abnegato servizio apostolico, per il bene della Chiesa di Cristo e dell’umanità intera”. (da Sir Attualità, 28 febbraio 2013) - Sitografia http://www.agensir.it 9