16/03/2005 Prof. Barbieri ARRESTO CARDIACO (Premessa: per il rianimatore è fondamentale la perfusione degli organi, cioè che arrivi ossigeno agli organi periferici soprattutto con il massimo riguardo per il tessuto più nobile, cioè il tessuto cerebrale; questo può rimanere per meno tempo in una situazione di ipossia senza subire danni. Rianimare significa riprendere, recuperare la vita, ma vi deve essere anche un recupero della sua qualità, evitando esiti invalidanti. Rianimare significa quindi portare ossigeno in periferia e in particolare al cervello, che meno resiste a condizioni di ipossia-anossia.) L’emergenza rispetto all’urgenza, che è una condizione differibile in cui ad esempio un’appendicite acuta può essere trattata entro alcune ore, è una questione di minuti. Le situazioni più gravi che determinano emergenza sono: a. Non c’è la pompa e quindi di conseguenza l’ossigeno non arriva: è l’ARRESTO CARDIACO b. Non arriva ossigeno: ASFISSIA, INSUFFICIENZA RESPIRATORIA, ARRESTO RESPIRATORIO c. Mancato trasporto di ossigeno: ANEMIA, EMORAGGIA, che è solo tamponata dall’anestesista in quanto è un’emergenza chirurgica. Riprendendo il punto a., con il termine di arresto cardiaco si intende quella situazione in cui il cuore è fermo; dal punto di vista clinico questo termine esprime un’inefficienza-inefficacia della funzione di pompa del cuore. Il cuore è incapace di effetto pompa in caso in cui: 1. non si muove: ASISTOLIA Le caratteristiche dell’ECG sono: una linea isoelettrica che indica la morte (N.B.: attenzione che non vi sia un elettrodo staccato!) 2. c’è attività elettrica senza ricaduta meccanica: DISSOCIAZIONE ELETTROMECCANICA; il cuore è un pompa elettro-meccanica dove in seguito a uno stimolo elettrico o bioelettrico consegue un effetto meccanico. Il primo si valuta con l’ECG, il secondo valutando la vita e in ultima analisi la pressione. L’inotropismo esprime l’effetto meccanico, mentre il dromo-, cromo-, batmotropismo esprimono l’effetto elettrico. Le caratteristiche dell’ECG sono: complessi che si allargano (lo stimolo ventricolare rallenta) e si abbassano nel tempo; è una situazione di pre-asistolia, il cuore non si perfonde bene 1 perché manca la pompa e lasciato a se stesso si trasforma in un tratto isoelettrico. 3. c’è attività elettrica ma inefficacia meccanica: FIBRILLAZIONE VENTRICOLARE(FV); detta anche” attività elettrica senza polso”. Questa è l’unica aritmia di non ritorno, che cioè non regredisce spontaneamente a differenza di altre (ad es. torsione di punta). La funzione di pompa non ha efficacia, quindi non c’è perfusione coronaria e il tessuto del cuore impazzisce; questo fenomeno si automantiene e se non trattato determina una asistolia completa per mancanza di energia. Nella FV si formano tanti circuiti di rientro in quanto le fibre scaricano in modo asincrono e il tessuto fascicola, vermicola. Abbiamo detto che non vi è più efficacia di pompa, il sangue non esce, e quindi non c’è efficacia dal punto di vista meccanico. C’è asincronismo come nella FA, (che presenta un uguale meccanismo fisiopatologico d’ origine) in questo caso però l’atrio si riempie per caduta e non vi è deficit sistolico-atriale, se ciò succede a livello ventricolare, sede della pompa, si ha la morte. Le caratteristiche dell’ECG sono: mancanza dei QRS onde variabili per intensità e morfologia (piccole o grandi maglie a seconda dell’entità della depolarizzazione) assenza del tratto isoelettrico che segue normalmente l’onda T Riconoscere questo quadro è quindi immediato e questo è fondamentale essendo una patologia mortale. Il malato si presenta uguale in tutti i tre casi in quanto non ha più la funzione di pompa, appare cadaverico, morto. E’ solamente attraverso l’ECG che identifichiamo i tre casi e possiamo valutarne la prognosi. Questa sarà peggiore nel caso di asistolia in quanto nella FV il cuore è ancora vitale, mentre nella dissociazione ci troviamo in una situazione di mezzo. La FV è esito di un evento acuto in cui è più facile intervenire, a differenza della asistolia che si ha spesso in patologie croniche, come nei dializzati e nei malati terminali. L’arresto cardiaco deve avere una diagnosi e un trattamento immediato in quanto con il tempo si riduce la capacità di recupero ed è più difficile ripristinare il ritmo. Ricordiamo inoltre sempre il problema degli esiti invalidanti dovuti alla mancata ossigenazione del cervello, per il quale il tempo di recupero delle funzioni vitali (revival-time) è di 4 minuti: questo valore è indicativo, ma sicuramente dopo 15 minuti il paziente è decerebrato, se il soggetto è iperossigenato questo tempo aumenta, viceversa se invece il paziente è un BPCO così come aumenta nei casi di ipotermia e scende nei casi di ipertermia. Cause di arresto cardiaco Queste sono tantissime e vengono divise in due principali categorie: CARDIOLOGICHE 2 Tra queste la principale è la malattia ischemica che in fase acuta può dare FV: abbiamo infatti una carenza di ossigeno a livello tissutale che dà origine a circuiti e rientri. Se l’ischemia si protrae con occlusione totale e non più vasospasmo si ha l’infarto. EXTRACARDIACHE Tra queste ricordiamo le intossicazioni e situazioni di ipossia-anossia (un’insufficienza respiratoria determina un’ischemia secondaria). Sempre più di frequente farmaci e sostanza come il pompelmo favoriscono patologie gravi come la torsione di punta fino anche ad aritmie più gravi: il pompelmo infatti agendo sul citocromo P450 aumenta la aritmogenicità di altri farmaci. Inoltre i farmaci antiaritmici pur riducendo l’elettricità possono avere effetti avversi e indurre aritmie; i farmaci inotropi positivi potenziano l’attività elettrica ma anche la aritmogenicità. Le disionie e in particolare l’ipopotassiemia possono determinare torsioni di punta e arresto cardiaco dovuto al blocco del nodo SA o AV. Anche gli antidepressivi triciclici possono determinare FV e morte cardiaca. Quando si arriva a una situazione di scarsità di ossigeno al cuore, questo aumenta il rischio di aritmia quali FV (forme acute) e asistolia, quest’ultima soprattutto in dializzati e in soggetti con patologie croniche dove inizialmente si ha una dilatazione del cuore con aumento delle contrazioni, poi l’organo si sfibra e va in insufficienza dalla quale cerca di difendersi tramite l’ipertrofia e l’aumento di spessore. Diagnosi di arresto cardiaco 1. Diagnosi immediata in base alle caratteristiche del paziente: Paziente immobile, a terra Perdita di coscienza Apnea o gasping (dovuto all’arresto respiratorio automatico) Cute pallida-grigia, cadaverica Midriasi fissa bilaterale non foto-reagente (dovuta all’anossia persistente) Assenza dei polsi centrali, quello per eccellenza è il polso carotideo. E’ inutile auscultare il torace del paziente in quanto in soggetti pletorici e anche negli enfisematosi, i toni non sono rilevabili. 2. Diagnosi strumentale: attraverso l’ECG faccio diagnosi del tipo di arresto. Se ci troviamo sul territorio, non conoscendo le condizioni del malato dobbiamo mantenere la perfusione, soprattutto quella cerebrale, facendo il massaggio cardiaco. A seguito dell’arresto cardiaco avremo anche automaticamente l’arresto respiratorio 3 per cui dobbiamo assistere anche la respirazione con una ventilazione efficace. Ricordiamo che se l’arresto è momentaneo, pochi secondi, il paziente non necessita di assistenza respiratoria, se invece l’arresto è prolungato, sul territorio , interverremo con la respirazione bocca-bocca, bocca-naso o se ne siamo a disposizione attraverso pallone di AMBU. Se ci troviamo in ospedale ovviamente possiamo disporre di particolari sistemi respiratori, intubazione, ecc. Trattamento terapeutico Possiamo distinguere: Manovre generiche: rianimazione cardio-polmonare da fare sempre in ogni tipo di arresto, quando ci troviamo sul territorio Manovre specifiche (importante da eseguire solo dopo diagnosi ECG) In assenza di attività elettrica: simpatico-mimetici In FV: cardioversione elettrica (defibrillazione) Analizziamo meglio questo ultimo punto. -In asistolia abbiamo detto che non abbiamo attività elettrica e siamo di fronte alla situazione peggiore. Non dobbiamo somministrare un farmaco inotropo-pos perché il cuore è fermo e questo abbiamo visto essere un farmaco aritmogeno e anche se il cuore fosse in FV per questo motivo la sua somministrazione è errata. In questo caso devo fare ripartire il cuore non aumentare la sua contrattilità. Quindi si somministra adrenalina che è il simpatico-mimetico più potente in assoluto. Questa viene somministrata attraverso tre vie: o Intracardiaca, ormai abbandonata, fatta solo dai cardiologi che presenta il rischio del pneumotorace, comunque ricordiamo viene fatta a livello del quarto spazio parasternale avvalendosi di un ago lungo o Attraverso il tubo, se il paziente è intubato o EV, questo ovviamente se la vena è già stata presa in quanto se il paziente è morto la vena non si trova. La dose EV è di 1 mg, mentre attraverso il tubo essendo una modalità meno diretta la dose necessita di raddoppiamento. Trovandosi di fronte ad un arresto in un paziente con un accesso venoso isolato, somministriamo adrenalina in vena ma se il cuore è fermo non vi è circolo, e questa non vi arriva: quindi iniettiamo adrenalina e facilitiamo il suo arrivo al cuore tramite il massaggio, a volte anche somministrando acqua. Ricordiamo che in casi estremi l’adrenalina può essere iniettata anche in bocca e questo si fa quando non vi è una vena e il paziente non è intubato, questo è comunque un atto eroico ed estremo. Non ha nessun senso defibrillare un malato che non presenta nessuna attività elettrica: non siamo di fronte ad una fibrillazione, inoltre la scossa elettrica può determinare un maggiore stupore delle cellule e la reazione si complica. 4 -Nella FV abbiamo detto ci troviamo di fronte a una situazione migliore. La terapia consiste nel defibrillare. Non dobbiamo somministrare adrenalina perché è un farmaco altamente aritmogeno: per questo motivo non dobbiamo stimolare il cuore determinando un ulteriore caos elettrico, in quanto esso è più sensibile alla fibrillazione. Nel caso in cui la fibrillazione sia in fase avanzata verso la isoelettricità, e quindi abbiamo la scomparsa del ritmo, allora somministriamo adrenalina per aumentare il caos; in seguito poi si defibrilla. Riassumendo la terapia è finalizzata a: Ripristino dell’attività cardiaca Supporto della funzione respiratoria Protezione cerebrale Quindi se ci troviamo sul territorio massaggeremo il nostro paziente per riportarlo alla ripresa del polso; all’arrivo dell’ambulanza con in dotazione un elettrocardiografo potremo fare la diagnosi e intervenire in maniera differenziata. Prima però il malato è uguale, sia che presenti FV che asistolia. La clinica ci fa sorgere un sospetto, la mancanza di polso e di pressione ci indirizzano verso una diagnosi, ma questa sarà definitiva solo dopo aver eseguito un ECG. ARRESTO RESPIRATORIO L’arresto respiratorio abbiamo visto che segue automaticamente l’arresto cardiaco. Se invece come primo elemento abbiamo un arresto respiratorio, l’arresto cardiaco si avrà solo nel caso in cui il primo sia prolungato: siamo di fronte a una situazione di anossia-ipossia cardiaca e mancata ossigenazione coronaria. Nell’insufficienza respiratoria di durata prolungata compariranno anche alterazioni a livello del microcircolo tissutale, tra cui l’accumulo di cataboliti dovuti all’assenza del circolo: avremo quindi un’acidosi metabolica da anossia, quindi da trattare. Cause 1) 2) 3) di arresto respiratorio Da arresto cardiaco (l’arresto respiratorio segue automaticamente) Da sostanza tossiche (farmaci, intossicazioni) Da traumi del SNC (che interessano i centri del respiro) 2) Tra i farmaci che determinano arresto respiratorio abbiamo: - OPPIACEI, questi sono depressori respiratori per eccellenza. Ricordiamo che si parla di oppiacei, cioè derivati dell’oppio, estratto dal Papaverum Somniferum, quali morfina, codeina; e di oppiodi, cioè simili ma non uguali, che presentano un effetto simil-morfinico ma non derivano dall’oppio in quanto sono composti di sintesi, ad es. gli oppiodi endogeni quali POMC e le endorfine per modulazione del dolore interno. 5 - MIORILASSANTI, questi sono farmaci dedicati all’arresto respiratorio, utilizzati in anestesia per avere atonia muscolare e favorire così sia la ventilazione meccanica positiva che un campo visivo allargato. Tra questi il capostipite è il curaro, originato dalla D-tubocurarina utilizzato dagli Indios per colpire gli animali. Questo oggi è sostituito da nuovi miorilassanti o miorisolutivi suddivisi in depolarizzanti, quali la succinilcolina, che hanno un effetto di durata limitata; e competitivi il cui effetto dura più a lungo ed può essere potenziato con l’associazione di alogenati. Ricordiamo però che questo arresto respiratorio da miorilassanti è un arresto previsto. Esistono anche delle sostanze che da eccitanti divengono deprimenti dei centri del respiro ad es. la cocaina. Possiamo ancora distinguere le insufficienze respiratorie in due tipi: 1. da ostacolo delle vie aeree alto: caratterizzato da stridore e tirage (affossamento del giugulo). Questa condizione è presente in corso di trauma, determinata dallo spostamento all’indietro della lingua, dentiera, protesi mobili, vomito, terriccio, reazione allergica o difterite, in questi due ultimi casi si ha edema della glottide e per passare l’ostacolo in certi casi si interviene con la tracheo d’urgenza. 2. difficoltà espiratorie: caratterizzate dal cornage, ad es. in caso di asma. L’insufficienza respiratoria può determinare aritmie e arresto cardiaco in caso di: Patologie neurologiche periferiche Traumi ed emorragie spontanee del SNC Traumi e patologie scheletriche, cardiologiche, neurologiche del torace. 6