MOVIMENTO SOCIALE FIAMMA TRICOLORE
IV° CONGRESSO NAZIONALE
Mozione TERZO MILLENIO
Di Salvatore Buonocore
“Molti si sono immaginati repubbliche e principati che non si sono mai visti né
conosciuti nel mondo reale. Ma c’è una tale differenza tra come si vive e come si
dovrebbe vivere, che colui il quale trascura ciò che al mondo si fa, per occuparsi
invece di quel che si dovrebbe fare, apprende l’arte di andare in rovina, più che
quella di salvarsi.”
Così ammoniva Machiavelli cinque secoli fa.
Tutti i grandi della politica sono stati tali perché hanno saputo comprendere la realtà
del loro tempo e hanno saputo farsene interpreti per poterla guidare e plasmare.
Oggi un Movimento è autenticamente rivoluzionario, non se si proclama tale e
vagheggia un mondo che non esiste, ma, se riesce a comprendere la realtà e a
predisporre le strategie adeguate a modificarla secondo la sua volontà.
Il rivoluzionario non può dire “questa realtà non mi piace”, “questo non è il mio
mondo” e poi chiudersi nella sua solitudine - anche se dignitosa - rimpiangendo un
passato o aspettando un futuro che sia miracolosamente quello desiderato.
Le vittorie si costruiscono, nel rispetto dei principi e dei valori, con l’intelligenza e
l’intuito che permettono di scegliere e il terreno in cui gettare il seme e il momento
adatto della semina.
Troppe volte il treno è passato senza che noi ce ne accorgessimo, mentre stavamo,
come nel Deserto dei Tartari, ad aspettare qualcuno che non sarebbe mai arrivato.
E intanto intorno a noi il mondo cambiava.
Oggi la globalizzazione è un dato di fatto, con tutti i suoi drammi e le sue miserie; e
non basta dire che essa non ci piace, che è per noi un nemico.
Dobbiamo cercare come combatterla. E non quando avremo conquistato il potere;
quando avremo la maggioranza (Peraltro le due cose non stanno nemmeno insieme,
perché la maggioranza non dà il potere e il potere non è della maggioranza!); perché
anche se ciò avvenisse (ma non avverrà!) l’Italia sarebbe troppo piccola cosa per
poter reggere uno scontro, sia pure solo economico, con il potere mondialista.
E allora, se il nostro obiettivo resta quello di costruire una società e un mondo che
sappiano coniugare tradizione e innovazione; che rispettino identità e culture;
Se crediamo che il nostro dovere sia quello di contribuire a costruire un mondo in cui
la gerarchia e la responsabilità siano frutto dell’onestà, della dignità, del sacrificio e
della capacità; e non della quantità di denaro di cui si dispone, il problema diventa
uno solo:
Che fare?
Certo, non aspettare che il cadavere del nemico passi trascinato dalla corrente o che
per miracolosa conversione tutti la pensino come noi. (Anche perché allora di noi non
ci sarebbe più nemmeno bisogno.)
Dobbiamo invece elaborare una strategia e una tattica che ci permettano di cambiare
almeno qualche regola del gioco, rendendolo più adatto ai nostri mezzi, e di avere
un ruolo politico attraverso il quale dimostrare la nostra diversità, conquistare spazio
al nostro progetto e acquisire consensi.
E poiché, come dovrebbero averci insegnato quelli a cui tanti dicono continuamente
di ispirarsi, per conquistare le masse ci vuole abilità, ci vuole capacità di
comprenderle, ma soprattutto ci vogliono i mezzi di comunicazione, non avendone di
nostri, dobbiamo imparare a servirci dei mezzi dell’avversario.
La strategia deve essere dunque quella di comprendere quali siano le maglie larghe
fra le regole che il sistema si dà, per far passare le nostre idee e il nostro progetto.
Se la LEGA NORD avesse semplicemente rifiutato le regole del sistema e si fosse
chiusa in se stessa, avrebbe per qualche tempo, forse, avuto qualche consenso
elettorale in più, ma poi non sarebbe mai riuscita a imporre il federalismo.
Ha scelto invece una strategia intelligente: diventare numericamente determinante per
poter imporre almeno un punto essenziale del suo progetto.
Il risultato è un danno per l’Italia; ma certamente la strategia si è dimostrata
vincente!
Fissiamo allora i nostri obiettivi e poi elaboriamo strategie e tattiche adeguate:
Questo è fare politica, il resto è velleitarismo.
Politica estera:
Per combattere la globalizzazione e il progetto di dominio mondiale degli USA non
basta lo slogan “Fuori la Nato dall’Italia, Fuori l’Italia dalla Nato”
Questo è appunto uno slogan, utile a tener vivo il problema; ma l’Italia non può
reggere da sola uno scontro con gli USA.
Sciogliere addirittura la Nato resta quindi un obiettivo a medio o lungo termine.
Intanto bisogna lavorare per rendere l’obiettivo raggiungibile.
Strategia e tattica devono quindi essere finalizzate a creare le condizioni perché
l’obiettivo
diventi
possibile.
Bisogna lavorare per costruire un’Europa politicamente coesa e militarmente potente,
estendendola fino agli Urali, per poter contare sull’enorme potenziale della Russia,
ma senza la Turchia e, soprattutto, senza Israele, che non sono Europa.
Nella costituzione di un’Europa così, potrà anche esserci un richiamo alle sue radici,
che sono anche cristiane ma sono anche greche, romane, celtiche e altro ancora, e non
sono, invece, giudaiche come alcuni vorrebbero.
Proprio questo richiamo al giudaismo, non sempre compreso anche fra noi, dovrebbe
essere seriamente analizzato e chiarito, perché esso rappresenta il cavallo di Troia
per aprire a Israele le porte dell’Unione Europea.
Come si potrebbe, infatti, tener fuori dall’Europa un paese e una popolazione che
l’Europa stessa riconosce come sua radice?
Contemporaneamente l’Europa - per adesso anche l’Europa dei mercanti e non dei
popoli - dovrebbe mirare ad una serie di trattati con i paesi del Mediterraneo al fine
di costituire una vasta area geopolitica – magari anche area di libero scambio – nella
quale popoli di cultura e tradizioni diverse vivano nel rispetto reciproco delle
differenze.
Politica sociale e del lavoro:
Dal 1977, quando il governo presieduto da Giulio Andreotti si reggeva su una
maggioranza comprendente anche l’allora Partito Comunista, è iniziato in Italia un
attacco progressivo allo stato sociale.
Si incominciò allora con l’accordo Carli/Lama - trasformato in pochi giorni in legge
dello Stato - per avviare l’eliminazione della “indennità di buonuscita” , o Tfr, che
veniva decurtata “… di quanto maturato a titolo di I.I.S., successivamente al 31
dicembre 1977”.
Un colpo da attuali
cinquecento euro in meno per ogni anno di servizio prestato dal lavoratore ( poi
restituiti in parte per evitare il referendum del 1982)!
Poi è venuta l’eliminazione progressiva della scala mobile, trasformata prima da
trimestrale in semestrale; poi da semestrale in annuale e poi cancellata del tutto.
In mezzo c’era stato un nuovo sistema di calcolo – sempre a danno dei lavoratori – e
il taglio di quattro punti al tempo del Governo Craxi.
Negli ultimi anni i governi, di centrosinistra prima e di centrodestra dopo, hanno
ridotto o eliminato i congedi e l’aspettativa per malattia di tutti i lavoratori
dipendenti e adesso, col consenso dei sindacati di regime sono tornati all’attacco del
Tfr che si vorrebbe dirottare sui “fondi pensione”.
Si tratta di un affare colossale che arricchirà le assicurazioni e gli speculatori
finanziari:
Calcolando venti milioni di lavoratori che investano nei “fondi” solo centomila
vecchie lire abbiamo la bella cifra di duemilamiliardi al mese.
Noi dobbiamo operare per mantenere e migliorare la tutela sociale.
L’Italia, la vecchia Europa, non vuole essere la copia degli U.S.A.
E la tutela deve cominciare dai bambini e dalla famiglia.
Nel Paese con il più basso tasso di natalità, chi ha figli svolge per ciò stesso una
funzione sociale in favore della comunità; pertanto i genitori, soprattutto le mamme, e
ancora di più le ragazze-madri, devono avere riconosciuta questa funzione anche con
l’attribuzione di un punteggio aggiuntivo nelle graduatorie per il lavoro, così come
avveniva fino a qualche decennio fa; prima che la cultura pannelliana si imponesse.
La tutela della famiglia – che per noi resta quella tradizionale – deve essere fra le
priorità dello Stato e, in ossequio a quanto stabilito dall’art. 36 della Costituzione
(mai veramente applicato), il salario deve essere rapportato anche al numero dei
componenti il nucleo familiare, del quale vanno considerati parte anche i figli
maggiorenni, studenti o disoccupati,e i genitori o nonni effettivamente conviventi.
Per l’elevazione morale ed economica di tutti i lavoratori, ovviamente, l’obiettivo
massimo rimane la Socializzazione delle grandi imprese e il riconoscimento effettivo
del diritto alla proprietà.
Prima di tutto alla proprietà della casa.
Difesa dell’identità nazionale:
L’esistenza di razze, etnie, culture, tradizioni e lingue diverse non è un ostacolo alla
vita dell’uomo!
Può essere un ostacolo al mercato globale, ma questo non è affatto un male.
Per noi l’esistenza di popoli diversi, con culture diverse, tradizioni diverse, lingue
diverse, caratteri fisici diversi, religioni diverse, è ricchezza.
Non vogliamo un mondo di miliardi di persone che dicono le stesse cose, che
pensano allo stesso modo, che mangiano allo stesso modo (soprattutto se mangiano
da Mac Donald!).
Il mondo non deve essere un immenso supermercato, popolato da “consumatori”.
Mentre da più parti si cerca l’omologazione spacciandola per uguaglianza, noi
dobbiamo porci come il partito dell’identità nazionale.
L’identità di un popolo e di una nazione è dato principalmente dalla cultura, dalla
lingua e dall’appartenenza di sangue.
Nessuno pensi di accusarci di razzismo!
Perfino il cattolicissimo e liberale Manzoni, quasi due secoli fa scriveva: “Una
d’armi, di lingua, d’altare, di memorie, di sangue, di cor.”
Dobbiamo, quindi, opporci alla immigrazione selvaggia che snaturerebbe tutti i nostri
caratteri nazionali, ma contemporaneamente cancellerebbe anche i caratteri degli
immigrati.
L’emigrazione è un dramma per chi emigra e un dramma per chi gli immigrati
deve accoglierli, abbiamo detto tante volte.
Non dobbiamo guardare all’immigrato come ad un nemico: Anche lui è una vittima!
La minaccia sono coloro che operano nell’ombra e costringono popolazioni
ricchissime di risorse naturali a trasformarsi in masse di diseredati, pronti a tutto pur
di sopravvivere, da utilizzare per cancellare ogni identità, soprattutto in Europa.
Questo non si significa accettare l’immigrazione come fatto ineluttabile!
Al contrario: Dobbiamo operare contro lo sfruttamento del liberal-capitalismo per far
si che ogni popolo sia libero in casa propria e possa costruire un’esistenza dignitosa
senza chiedere il permesso alla multinazionale di turno.
Il razzismo ottocentesco non ci appartiene. Le teorie di De Gobineau le lasciamo ad
altri.
La pelle del nemico vero ha, troppo spesso, lo stesso colore della nostra.
Per difendere la nostra identità, dobbiamo difendere le nostre tradizioni coniugandole
con la modernità e dobbiamo difendere la nostra lingua, senza pensare di chiuderci a
riccio, ma sostituendo al tentativo di imporre una lingua unica il plurilinguismo, cioè
la conoscenza di più lingue, come suggerito già molti anni fa dallo stesso Consiglio
d’Europa.
La lingua non è solo un mezzo di comunicazione: è l’espressione della cultura e
della civiltà di un popolo. E’ la sua stessa anima! Un’anima che si è sviluppata nel
corso dei secoli e dei millenni, creando poesia, musica, cattedrali, castelli e
monumenti di ogni genere, i quali esprimono un modo di intendere la bellezza al di là
di ogni definizione, perché nasce dal profondo dello spirito umano.
Quando ci imbarchiamo su un aereo della compagnia nazionale e ci consegnano la
carta d’imbarco con Roma e Milano scritte in lingua inglese dobbiamo provare
vergogna per chi permette che ciò si verifichi. Così come dobbiamo protestare
energicamente nei confronti di quei politici e quei giornalisti che pretendono di
cambiare la denominazione ufficiale del Ministero del Lavoro e dello Stato Sociale in
Ministero del Welfare.
Dobbiamo entrare all’interno delle Istituzioni per promuovere la difesa della nostra
cultura e della nostra lingua, da una parte con leggi che – così come avviene in
Francia – vietino l’uso di parole straniere nella pubblica amministrazione e
disincentivino l’uso delle stesse nelle insegne pubbliche; dall’altra favorendo
l’apprendimento delle lingue di quei paesi che a loro volta favoriscono
l’apprendimento della lingua italiana.
Scuola e istruzione:
Dalla scuola si misura l’importanza che uno Stato assegna alla formazione dei suoi
giovani e al suo stesso futuro.
Nel caso dell’Italia la scuola è lo specchio esatto dello sfascio generale, del degrado
delle istituzioni pubbliche, del totale disinteresse per l’educazione e l’istruzione dei
giovani.
Gestita per mezzo secolo dalla Democrazia Cristiana, essa è stata considerata, in
combutta con i sindacati e i partiti di sinistra, come strumento per creare clientelismo
attraverso il reclutamento di personale docente e non docente.
Anche l’Università ha risentito di questa logica perversa che prevedeva la
lottizzazione delle cattedre per sistemare amici e compagni di partito.
In questo sistema, l’allora Partito Comunista, meglio organizzato è stato quello che
maggiormente ha saputo avvantaggiarsi inserendo i suo uomini dappertutto.
Come se non bastasse c’è stato negli ultimi anni un proliferare di istituti privati che
sono dei veri e propri “diplomifici “a pagamento, dove l’alunno bocciato per tre
anni di fila nella scuola pubblica (dove, peraltro, bocciare qualcuno è un’impresa
titanica) diventa improvvisamente così bravo da fare – ovviamente a pagamento quattro anni in uno.
Si è allora innescata fra le scuole e gli istituti, a tutti i livelli, una concorrenza al
ribasso che porta a far di tutto per attirare l’alunno/cliente.
Fra poco arriveremo ad offrire due diplomi con la frequenza di un corso solo; anche
se l’obiettivo dei potentati economici resta quello dell’abolizione del valore legale
del titolo di studio.
Per intanto diplomiamo già quelli che agli esami affermano che “la Somalia si trova
sulle alpi Occidentali”, o che “la Guerra Fredda si chiama così perché si è
combattuta al nord”; o che “le imposte correnti sono quelle che vanno veloci”.
Sfasciata così la più importante istituzione ci si appresta a privatizzarla.
Già a fine novembre del 1998, un articolo sul Sole 24 Ore, in una pagina intera
dedicata alla tanto decantata “Autonomia” indicava chiaramente quale sarebbe stato
il destino della Scuola italiana;
Il modello americano, dove gia allora il 65% degli istituti era in mano ai privati e
dove la figura dell’insegnante va scomparendo perché si appaltano ad agenzie
“specializzate” anche i corsi di matematica.
Una scuola così è un ottimo luogo di diseducazione per alunni disinteressati e bulletti
da due soldi, i quali imparano sul campo che il dovere , l’impegno, il sacrificio,
possono tranquillamente essere sostituiti da una raccomandazione o da una minaccia.
Il progetto di privatizzazione di fatto portato avanti dalla riforma Moratti non è altro
che la prosecuzione di quanto fatto, negli ultimi trent’anni, con un’accelerazione
negli ultimi dieci ad opera dei D’Onofrio, Iervolino, Lombardi, Mattarella,
Berlinguer, De Mauro.
Dobbiamo stare però attenti a difendere il principio della scuola pubblica e gratuita –
soprattutto per gli alunni meritevoli – senza passare per coloro che difendono
un’istituzione corrotta e allo sfascio.
Istituzioni:
Le riforme istituzionali che si stanno approvando in Parlamento, soprattutto quella
federalista, non sono compatibili con la nostra idea di Stato.
Peraltro non si è mai visto uno Stato centralista che diventa volontariamente
federalista.
Gli stati federalisti sono nati, normalmente, per unire ciò che era diviso.
Eppure noi prima di ogni altro abbiamo sostenuto che questo Stato era da cambiare;
che esso non rispondeva più alle necessità di un mondo in sempre più rapido
cambiamento.
La nostra opposizione alla trasformazione federalista - che, non dimentichiamolo, è
stata avviata dai governi di centrosinistra – non nasce dalla volontà di conservare le
istituzioni così come sono: Nasce da un progetto diverso di società e di Stato che
hanno il loro fondamento nel Lavoro, inteso non come fatica e punizione divina,
non come merce da vendere al capitale, ma come espressione della creatività
umana.
Il lavoro così concepito deve essere parte essenziale delle massime istituzioni,
per cui noi proponiamo, in alternativa al “Senato Federale”, una Camera delle
rappresentanze del Mondo del lavoro, della produzione. delle arti, della scienza
e della tecnica, che abbia competenze primarie nella legislazione sociale e del
lavoro
Organizzazione del Partito:
Qualsiasi movimento o associazione che voglia incidere sulla realtà deve darsi
un’organizzazione efficiente.
L’efficienza non si misura dalla conformità ad un modello che ha avuto successo in
passato (ciò che valeva ieri può essere valido, ma può anche non esserlo!) , ma dalla
corrispondenza agli obiettivi e alle strategie.
In concreto bisogna tenere conto dei destinatari ai quali si intende dirigere il nostro
messaggio per catturarne l’attenzione e il consenso.
Ora, noi sappiamo che il 66% dell’elettorato è attratto dall’immagine, il 16% circa è
attratto dall’eloquio e solo il 6% dal contenuto del messaggio.
Il nostro messaggio è sicuramente, soprattutto sul piano sociale, il più avanzato e
chiaro, ma anche se riuscissimo a raccogliere il 10% degli interessati avremmo
soltanto un misero 1%.
Dobbiamo allora migliorare la nostra capacità di comunicazione e la nostra
immagine.
Dobbiamo creare una scuola di partito per la formazione politica e culturale, prima di
tutto dei nostri giovani, ma non soltanto dei giovani.
I nostri militanti operano in condizioni difficilissime e solo una superiorità
culturale può permettere loro di acquisire consensi nelle scuole, nelle università
e nel mondo del lavoro.
Certo anche questo è però da solo insufficiente.
Non basta essere accattivanti e convincenti se poi non abbiamo i mezzi per parlare
alla gente!
Dobbiamo quindi conquistare spazi sui mezzi di informazione, attraverso iniziative
originali, e a volte plateali, ma anche allacciando rapporti con i mezzi
d’informazione, soprattutto radio e televisioni locali.
Uno degli handicap che abbiamo finora manifestato è stato quello della mancanza di
tempestività: Arriviamo con i nostri commenti e le nostre iniziative in ritardo rispetto
agli avvenimenti.
E’ necessario perciò darci una struttura che sappia essere rapida ed efficiente,
smettendola di sprecare energie al nostro interno.
Gli Organi del Partito potrebbero essere così articolati:
- Comitato Centrale, eletto dal Congresso Nazionale.
- Presidente, eletto dal Congresso Nazionale
- Segretario Nazionale, eletto dal Congresso Nazionale.
- Direzione Nazionale, composta di 40 ( quaranta) membri, eletta dal Comitato
Centrale, (ma della quale facciano parte almeno un rappresentante di Gioventù
Nazionale e una rappresentante del Movimento femminile)
- Esecutivo Politico Nazionale, eletto dalla Direzione Nazionale.
.Al vertice del Partito, ci dovrà essere l’Esecutivo Politico Nazionale, formata
da poche persone ( 7), compreso il Segretario Nazionale , il Presidente e il Vice
Segretario
In questa Direzione le competenze dovranno essere ben distinte e ogni componente
dovrà avere chiare ed inequivocabili responsabilità, settoriali e non geografiche.
Non ci servono tanti vice segretari con le stesse competenze nei diversi collegi
elettorali!
Ci servono dei dirigenti responsabili dell’Organizzazione; della Cultura; degli
Enti Locali e dei Rapporti con le Istituzioni e con gli altri soggetti Politici.
L’amministrazione economico- finanziaria del Partito dovrà essere separata dalla
Direzione Politica e dovrà fare capo ad un Segretario Amministrativo (con
competenze professionali specifiche), eletto dalla Direzione Nazionale.
Le cariche di componente la Direzione Nazionale, di segretario Amministrativo, di
Revisore dei Conti, di Segretario Nazionale Giovanile, di Segretaria Nazionale
Femminile, sono incompatibili con altre cariche stabilite espressamente dallo
Statuto.
Il Comitato Centrale, eletto dal Congresso Nazionale, integrato dai Segretari
Regionali e da non più di 10 (dieci) membri cooptati dal Segretario Nazionale, ha le
competenze previste dallo Statuto.
I Segretari Regionali sono nominati dalla Direzione Nazionale su proposta
dell’Esecutivo Politico Nazionale e sono responsabili della immagine del Partito,
delle iniziative politiche e della formazione delle liste a livello Regionale.
La composizione della Segreteria Regionale è stabilita dallo Statuto.
Strategie:
Tutto ciò che abbiamo detto è destinato a restare solo un progetto se noi non
abbiamo il potere per farlo, o se altri non facciano proprio ciò che è nostro.
Escluso che noi si possa improvvisamente conquistare “il potere”, dobbiamo
elaborare le strategie e la tattica attraverso le quali conquistare del potere per creare
le condizioni che permettano la realizzazione di almeno una parte del progetto.
Il potere è l’obiettivo di chiunque faccia politica.
C’è chi lo vuole per trarne vantaggio per se stesso e per la sua cerchia; c’è chi lo
vuole solo come fine a se stesso e c’è chi lo vuole come mezzo per realizzare il
progetto di cui è portatore.
Noi dobbiamo essere questi ultimi. Dobbiamo essere dei missionari laici!
Tutti riconoscono che il nostro progetto è – soprattutto sul piano sociale –
ineguagliabile, e spesso anche gli avversari vi attingono.
Possiamo quindi trovare anche alleati con i quali condividere alcune proposte, ma il
problema principale è quello di trovare il modo per avere il potere necessario a far
conoscere il progetto e incominciare a realizzarlo.
Scartata l’idea che ci possa essere una via della violenza rivoluzionaria – idea fuori
da ogni logica e funzionale a quei poteri che vogliamo combattere - non rimane che
la via parlamentare e del consenso.
E questa la via che noi abbiamo scelto!
Dobbiamo porci come una forza che – per quanto numericamente ancora piccola – ha
un grande progetto e vuole realizzarlo assumendo responsabilità di governo.
Certo, il nostro Movimento non si riconosce nelle ideologie ottocentesche incapaci
di dare risposte ai problemi della modernità; non si riconosce né nella destra né
nella sinistra; anzi si pone come alternativa sia al liberalismo (di destra e di sinistra)
, sia al comunismo o postcomunismo, ma non può lasciarsi imbrigliare nella
immutabilità delle scelte, deve mantenere una autonomia che gli permetta di decidere
di volta in volta cosa fare,ed eventualmente con chi, mantenendo la sua identità.
Non dobbiamo avere paura di contaminarci
La sempre invocata e mai realizzata “unificazione dell’Area” non può e non
deve essere l’obiettivo ultimo ( e nemmeno principale!) del nostro agire politico:
Sia perché le diversità sono spesso maggiori delle comunanze;
Sia perché al suo interno operano elementi evidentemente disgregatori;
Sia perché essa è numericamente poco consistente.
Questo non vuol dire che noi chiudiamo le porte. Siamo pronti ad accogliere
chiunque condivida il nostro progetto, ma, contemporaneamente, dobbiamo cercare
di conquistare spazi per parlare a milioni di altre persone, per parlare alla gente
comune.
E quale ribalta migliore delle diverse sedi istituzionali?
Per fare arrivare un nostro sintetico messaggio attraverso un volantinaggio, che riesce
a raggiungere qualche centinaio di persone, andiamo incontro ad uno sperpero
enorme di energie con risultati poverissimi.
Lo stesso messaggio lanciato in pochi secondi di spazio televisivo raggiunge milioni
di persone.
Vogliamo rinunciarci?
Il messaggio, per quanto valido nei contenuti, non è però sufficiente ad acquisire
consensi:
Dobbiamo metterci tutti a studiare le tecniche di comunicazione e acquisire un
linguaggio moderno, adatto al pubblico a cui è diretto e dobbiamo individuare degli
argomenti sui quali concentrare la nostra attenzione e la nostra propaganda, ma questi
argomenti non possono essere quelli che Noi riteniamo più importanti.
Devono essere, principalmente, quelli che più attraggono la gente comune; quella
gente che quotidianamente deve fare i conti con la perdita del lavoro; con la
disoccupazione irreversibile; con la microcriminalità.
Il nostro principale tema deve essere il LAVORO, con la riproposizione
continua dell’applicazione dell’art. 46 della Costituzione come fondamento di
una società alternativa al liberal-capitalismo e al comunismo.
Anche questa resta, però, un obiettivo a lungo termine, mentre la gente ha
bisogno di risposte immediate.
Ci vogliono quindi proposte concretizzabili in poco tempo.
Mutate condizioni possono richiedere mutamenti nella strategia o nella tattica;
ma allo stato nessun dialogo sembra essere possibile con la Sinistra, con chi
sostiene che hanno fatto bene i partigiani ad assassinare Giovanni Gentile. Quel
Giovanni Gentile che nella sua superiorità etica aveva chiamato, Lui che aveva steso
il Manifesto degli Intellettuali Fascisti, a collaborare alla pubblicazione
dell’Enciclopedia Italiana ben sessanta dei firmatari del Manifesto degli Intellettuali
Antifascisti.
Ora, nel momento in cui le varie leggi elettorali, approvate o ancora in discussione,
si apprestano a darci un altro duro colpo e minacciano la nostra stessa esistenza,
non possiamo stare alla finestra ad aspettare che gli altri decidano il nostro
destino.
Il sistema proporzionale che alcuni propongono sarebbe, per noi, ancora
peggiore dell’attuale sistema maggioritario, perché avrebbe una soglia di
sbarramento tendente proprio all’eliminazione dei partiti minori.
Dobbiamo saper lavorare per sventare la minaccia.
E in questo senso tutte le strategie – sempre salvaguardata la libertà d’azione del
Partito - potranno, teoricamente, essere valide!
Dobbiamo guardare però con attenzione alla realtà per scegliere quella davvero più
appropriata.
Potrà essere, per alcuni o per molti, quella meno gradita; noi abbiamo indicato una
strada.
Adesso bisogna scegliere:
L’unica cosa che non ci è consentita è scegliere di “non scegliere”.
Il compito di una classe dirigente non può essere quello di stare ferma a ripetere
qualche slogan, ma quello di cercare la STRADA DELLA VITTORIA!
I promotori di questa mozione e tutti coloro che vi aderiranno vogliono cercare quella
strada.
INSIEME POSSIAMO TROVARLA.
Per questo, con spirito unitario, abbiamo rinunciato a presentare una candidatura a
Segretario del Partito.
La cosa più importante è che il Segretario si assuma la responsabilità di ricercare,
insieme a tutti noi, quella strada.