Le Supernovae Le Supernovae sono essenzialmente stelle che esplodono rilasciando un’energia tra le più grandi mai osservate in eventi astronomici a dir poco catastrofici. La luminosità di queste “superbombe” celesti supera di oltre un miliardo di volte quella solare. E si pensi che la luce emessa da questi “oggetti” è solo la decimillesima (10-4) parte dell’energìa totale emessa (fino a 1053 ergs). Il 99% di questa energìa è generalmente costituita da neutrini, particelle elementari senza carica elettrica e massa quasi nulla che interagiscono molto debolmente con la materia (un neutrino può attraversare indenne un ipotetico strato di piombo dallo spessore di mezzo anno luce). I neutrini sono prodotti nella fase di “outburst” che precede di qualche ora il grande spettacolo pirotecnico di luce della supernova. Il restante 1% è pura energìa cinetica, di cui solo lo 0.01% rappresenta la controparte ottica osservata dagli astronomi. Stiamo parlando di uno tra gli eventi più distruttivi che oggi si conoscano in natura, ma anche di uno dei più costruttivi, perché contribuisce in modo determinante alla creazione di elementi più pesanti (Silicio, Zolfo, Ferro. Nickel, …) e alla nascita di nuove stelle (causata dalla compressione dei gas interstellari). Il processo che caratterizza la nascita di una supernova è molto complesso, è diverso a seconda del tipo di supernova, come vedremo tra poco, e ad oggi non è stato ancora completamente “chiarito” dal punto di vista teorico, soprattutto nel caso delle supernovae di tipo Ia. Ciò che oggi si può affermare con ragionevole certezza è che questo processo distrugge quasi completamente la stella progenitrice della supernova o trasforma quest’ultima in una stella di neutroni o in un buco nero. Le supernovae sono eventi classificabili tra i meno frequenti dell’Universo. Allo stato attuale delle nostre conoscenze si pensa che tali eventi accadono una volta ogni 25-30 anni in galassie simili alla nostra e che in tutto l’Universo esplode una Supernova al secondo. Ci sono tracce evidenti delle passate esplosioni sia nella nostra Galassia che nelle galassie più vicine alla nostra, come vedremo più avanti. Ma prima di tutto dobbiamo parlare di come si studiano le supernovae, dai primi istanti in cui esse vengono “scoperte” dagli astronomi e dagli astrofili fino a giorni, mesi, anni, secoli o addirittura millenni dalla data della loro nascita (in questi ultimi casi se ne studiano i residui). (tassonomia) Gli astronomi osservano e studiano le supernovae utilizzando telescopi che lavorano su diverse lunghezze d’onda. Con i telescopi ottici terrestri, astronomi e astrofili misurano la quantità di luce emessa dalle supernovae, filtrata dall’atmosfera e da un certo numero di filtri nelle diverse bande di lunghezza d’onda, dall’ultravioletto all’infrarosso. Da queste misure si ricava la variazione nel tempo della luminosità, o brillantezza, e del colore di una supernova, espressa in curve di luce tipiche di ogni supernova. L’analisi dello spettro di luce emessa dalle supernovae, eseguita attraverso l’uso di dispositivi che vanno da un semplice prisma a sistemi più complessi di solito accoppiati a telescopi di diametro superiore ai 2 metri, consente di avere maggiori informazioni sulla natura di questi eventi. Lo spettro di luce fornisce agli astronomi elementi utili ad una prima classificazione delle supernovae in due tipi: Tipo I e Tipo II, come proposto dall’astronomo Rudolf Minkowski nel 1941. Le supernovae di tipo I non evidenziano presenza di idrogeno nello spettro a differenza delle supernovae di tipo II che evidenziano la presenza di questo elemento. Le supernovae di tipo II derivano da esplosioni di stelle di grande massa (>7.6 masse solari), generalmente più giovani delle stelle di massa minore da cui derivano le Sn di tipo I. Studi più approfonditi a partire dal 1985 hanno portato gli astronomi a riclassificare i due tipi in sottoclassi. Alcune supernovae di tipo I scoperte e studiate agli inizi degli anni 80 apparvero peculiari nella loro natura. Esse non esibivano la tipica presenza del Si-II, che firma lo spettro di molte supernovae di tipo I. Alcune di esse, poi, si caratterizzavano per 1 una forte presenza di He e per il fatto di provenire da galassie ricche di popolazioni di stelle di grande massa. Queste supernovae sono state riclassificate nel gruppo Ib. Altre supernovae peculiari di tipo I, cioè prive di idrogeno e silicio, apparivano anche prive di elio. Quest’ultime sono state riclassificate nel tipo Ic. La riclassificazione delle supernovae di tipo II è più complessa. La distinzione base tra le sottoclassi II-P e II-L è stata proposta in base all’esame della curva di luce, come vedremo nella prossima diapositiva. Le supernovae di tipo II attorno al massimo della curva di luce esibiscono uno spettro caratterizzato da una curva pressocchè continua (blue continuum). Occorre pertanto attendere un po’ di tempo e raccogliere altre informazioni prima di poter correttamente riclassificare questo tipo di supernovae. A complicare ulteriormente le cose è intervenuta la grande supernova SN 1987A, chiaramente di tipo II, ma con uno spettro che mostrava ben visibile una caratteristica tipica delle supernovae di tipo Ia, cioè la presenza di linee di assorbimento del SI-II, caratteristica scoperta per la prima volta nella variabile peculiare P Cygni (una stella di classe spettrale B2, il cui massimo di luminosità potrebbe essere 100.000 volte quello del Sole e la distanza di oltre 7000 anni luce). Per non parlare, poi della SN 1987K, classificata come tipo II dall’analisi dello spettro al massimo della curva di luce e riclassificata 6 mesi più tardi come supernova di tipo Ib, vista l’assenza di idrogeno e la presenza di ossigeno. Il processo di transizione di questa supernova dall’esplosione alla fase nebulare, ha riaperto il problema della classificazione delle supernovae. Oggi si pensa, ad esempio, che le supernovae di tipo Ib sono processi da correlarsi più a quelli delle supernovae di tipo II che non a quelli della supernovae di tipo Ia. (curve di luce) La diapositiva che state osservando mostra le curve di luce relative ai tipi di supernovae più studiate nel corso degli ultimi 15 anni. E’ ben visibile il “plateau” che caratterizza le supernovae di tipo II-rispetto alle supernovae di tipo II-L (linear), la cui curva di luce mostra un gradiente pressocchè costante di perdita di magnitudine sin dal picco di luce. Le supernovae di tipo Ia sono di fatto le più luminose, subito seguite dalle Sn di tipo II-L. Le supernovae sono eventi che accadono nelle galassie e in tutto l’Universo. Supernovae di tipo II e Ibc sono state osservate in regioni galattiche dove si sono formate (o sono in corso di formazione) stelle di grande massa nel corso degli ultimi 10 miliardi di anni. Non sono mai state osservate supernovae di tipo II e Ibc in galassie ellittiche. Le osservazioni e lo stato attuale della teoria ci dicono che queste supernovae hanno come progenitrici solo stelle di grande massa, più precisamente di massa superiore a circa 8 volte la massa solare. Supernovae di tipo Ia sono state scoperte, osservate e studiate in tutti i tipi di galassie (a spirale, ellittiche, irregolari), ma mai in regioni caratterizzate dalla formazione di stelle di grande massa. Le osservazioni e gli studi più recenti sulle SN Ia ci inducono a pensare che le progenitrici di questi eventi siano stelle piuttosto piccole e vecchie, al termine del loro processo evolutivo e caratterizzate dall’appartenere ad un sistema binario. Vedremo più avanti e con meggior dettaglio il processo che caratterizza questi eventi. Le prossime 2 diapositive vi mostreranno gli spettri di luce relativi a due recenti supernovae (sn2002bf, sn2001hh) . (sn2002bf) La diapositiva mostra la curva spettrale di luce della supernova sn2002bf, scoperta dal LOTOSS Team di Berkeley il 22.3 Febbraio di quest’anno nella costellazione dell’Orsa Maggiore. Lo spettro, ripreso dal telescopio Keck-I (Mauna Kea) il 7 Marzo (SN vicina al picco di luce), è tipico di una SN di tipo Ia. In ascissa la lunghezza d’onda del flusso di luce: tra 3700Å e 7600 Å 2 In ordinata l’energia del flusso di luce tra 0.5 e 3.5 espressa in ergs s-1 cm-2 Å-1 Si notano decisi assorbimenti centrati sulla linea del SI-II (615nm) e del Ca-II (395nm), oltre alla presenza di Ferro e Magnesio. Dall’analisi dello spettro e dalla misura del “redshift” gli astronomi hanno calcolato per questa supernova una velocità iniziale di espansione di 15200 Km/sec relativa al SI-II e una velocità di espansione di 19400 Km/sec relativa al Ca-II. Le velocità appaiono insolitamente alte, tenuto conto della velocità di recessione della galassia ospite (7254 Km/sec – NED database), la CGCG 266-31 di m=14.7, una galassia a spirale piuttosto brillante di classe SBR3* (catalogo RC3). (sn2001hh) La diapositiva mostra la curva spettrale di luce della supernova sn2001hh nella galassia MCG –2-57-22 di m=14.5 (costellazione dell’Acquario), una peculiare molto brillante con una velocità di recessione di 7445 Km/sec. La sn2001hh è stata scoperta dall’astrofilo M.Schwartz nell’ambito del programma LOTOSS di Berkeley il 4 Dicembre 2001 con il Tenagra III, un telescopio R/C robotizzato da mezzo metro di diametro. Lo spettro, ripreso dal telescopio Baade da 6.5-m (Las Campanas) il 7 dicembre 2001 è tipico di una supernova di tipo II subito dopo il picco di luce. La curva mostra il tipico “blue continuum” delle Sn’s di tipo II. Le linee di emissione degli elementi tipici di questo evento sono chiaramente visibili grazie alla precisione della curva spettrale e allo stretch dei valori di flusso (da 0.1 a 0.4 ergs s-1 cm-2 Å-1). La velocità iniziale di espansione dello shell è di 10000 Km/sec. Ma torniamo alla domanda iniziale: cos’è una Supernova? Troveremo altre risposte a partire da ciò che oggi presumiamo di sapere sulla fisica delle stelle. Partiamo dalle supernovae più interessanti sotto molti punti di vista e al tempo stesso le meno conosciute dal punto di vista strettamente teorico, le Sn di tipo Ia. (sistemi binari) Le supernovae di tipo Ia traggono la loro origine da un sistema binario di stelle nel quale una delle due componenti è costituita da una nana bianca. Le nane bianche sono stelle piuttosto comuni in tutte le galassie e rappresentano lo stadio finale di sviluppo di una stella delle sequenza principale, come ad es. il nostro Sole. La evoluzione di sistemi binari progenitori di supernovae di tipo Ia è stata a lungo oggetto di studi empirici e teorici da parte di astronomi e astrofisici. Ciò che oggi si pensa è che l’evento SN Ia dipenda essenzialmente dalla storia che precede la vera e propria esplosione. In altre parole, il processo evolutivo che caratterizza il sistema binario come progenitore di una SN Ia, deve essere caratterizzato da un modello pre-esplosivo i cui parametri trovino riscontro nella fisica complessa del processo esplosivo. Una nana bianca composta da carbonio e ossigeno e con una massa tra 0.6 e 1.1 masse solari può essere progenitrice di una Sn di tipo Ia solo se essa accresce la propria massa ad una velocità compresa in un intervallo ben definito. La velocità di accrescimento deve essere superiore a 0.5 miliardesimi di massa solare per anno solare ma non superiore a 1 milionesimo di massa solare per anno solare. Se la velocità di accrescimento di massa della nana bianca (a spese della compagna gigante rossa, come vedremo più avanti) è superiore a quest’ultimo valore, le reazioni esplosive nella nana bianca saranno a un certo punto diverse da quelle attese per evento di tipo Ia. La stella cambierà la propria composizione in neon, ossigeno e magnesio, collassando successivamente in una stella di neutroni, NON in una supernova. Per spiegare più semplicemente il processo evolutivo che porta alla nascita di una Sn Ia abbiamo ipotizzato come scenario iniziale un sistema binario di stelle di massa all’incirca pari a quella del nostro Sole. Dalla fisica moderna delle stelle che, come il nostro Sole, 3 appartengono alla Sequenza Principale, sappiamo che la più grande delle due stelle di questo sistema binario, esaurirà prima della compagna il proprio combustibile nucleare, l’idrogeno, espandendo il proprio involucro e diventando una gigante rossa. (gigante rossa) Come tutte le stelle il Sole splende grazie alla fusione termonucleare che all’interno del suo nucleo converte l’idrogeno in elio e libera una enorme quantità di energia, tra cui i famosi neutrini che a miliardi al secondo attraverso il nostro corpo, la terra e tutto il sistema solare senza provocare alcun effetto. La fusione termonucleare è il processo che mantiene in vita il Sole e che controbilancia la forza di gravità che ne causerebbe il collasso. Esaurito l’idrogeno interno, il nucleo di elio si contrae all’interno di un guscio esterno di idrogeno all’interno del quale la reazione termonucleare prosegue, mentre la parte esterma della stella si raffredda e si espande dando vita a una gigante rossa. (nana bianca) Il nucleo di elio, contraendosi, aumenta di temperatura fino a 100 milioni di gradi, limite in cui l’elio si fonde dapprima in carbonio e quindi in ossigeno, grazie a un processo chiamato “triplo alfa” che trasforma inizialmente 2 nuclei di elio nell’isotopo berillio-8, estremamente instabile, e successivamente, entro un centesimo di quadrilionesimo di secondo in un atomo stabile di carbonio-12. Un successivo urto con un'altra particella alfa (il nucleo di elio) trasforma il carbonio in ossigeno. Il processo genera una nuova fonte di energia che arresta la contrazione del nucleo ed espande il guscio esterno di idrogeno. Dopo meno di un miliardo di anni l’elio si esaurisce, lasciandosi dietro un nucleo spento di carbonio e ossigeno. Non contrastata da nuove forze interne al nucleo, la gravità vince e comprime nuovamente il nucleo, aumentandone la temperatura. La fusione dell’elio si trasferisce in un nuovo guscio compreso tra il nucleo di carbonio-ossigeno e il guscio esterno di idrogeno, dove avviene la fusione termonucleare. La stella diventa sempre più grande, più rossa e più luminosa che mai. L’involucro stellare si espande e diventa sempre più instabile, tale da far pulsare la stella come una variabile tipo Mira. La stella diventa sempre più grande e rarefatta, perdendo tutto il suo involucro esterno. Il nucleo, caldissimo, ionizza e allontana i gas stellari, dando vita a una “nebulosa planetaria”. Ciò resta alla fine del processo è una nana bianca non più grande della Terra e di massa pari a circa 0.7 masse solari (nel processo la stella ha perso il 40% della sua massa iniziale). (fase pre-esplosiva) Con il passare del tempo anche la seconda stella diventa una gigante rossa. Il processo è più o meno lo stesso che abbiamo prima descritto. Ma arrivati a questo punto entriamo in uno dei possibili scenari che caratterizzano i processi pre-esplosivi delle Sn di tipo Ia di cui abbiamo già parlato prima. L’attrazione gravitazionale della nana bianca è così intensa da risucchiare materia dalla gigante rossa. La nana bianca accresce la propria massa fino a un limite massimo di 1.44 masse solari (il famoso limite di Subrahmanian Chandrasekhar, calcolato dal celebre astronomo indiano nel 1931, mentre a bordo di una nave compiva in 18 giorni il viaggio da Bombay a Londra). Superato questo limite la nana bianca entra in una fase di instabilità termonucleare che può distruggere completamente la stella (dando luogo ad una supernova di tipo Ia) o trasformarla in una stella di neutroni dal diametro inferiore a 10 Km. 4 (nucleosintesi Fe-Ni) Se il processo genera una supernova, assistiamo a un evento di straordinaria potenza. L’esplosione produce un improvviso outburst di energia pari a 10 51 erg che spazza via l’involucro esterno della compagna (la gigante rossa) e ne allontana velocemente il nucleo. L’evento distrugge completamente la nana bianca e da luogo a formazione di residui di supernova che si allontanano a grandissima velocità (migliaia di Km/sec) dal luogo della esplosione. (Sn1a - remnants) Le supernovae di tipo Ib e Ic hanno invece origine da processi simili a quelli riscontrati nelle supernovae di tipo II che vedremo fra poco in dettaglio. Gli eventi Ib e Ic hanno hanno come progenitrici stelle giganti di massa pari a circa 20 masse solari. Man mano che queste stelle evolvono e perdono l’involucro esterno di idrogeno a causa dei propri venti stellari di protoni ed elettroni o per la forza di attrazione gravitazionale di una compagna binaria, il nucleo di elio collassa rapidamente in un nucleo di ferro-nickel, dando luogo ad una esplosione che, anche se meno spettacolare dell’evento Ia, è tuttavia considerata tra le più interessanti in quanto fornisce dati utili per meglio comprendere le relazioni tra eventi di tipo I ed eventi di tipo II. Negli ultimi 2 anni molte supernovae osservate e classificate di tipo II sono state in seguito riclassificate come Sn di tipo Ib/Ic. Parliamo adesso delle supernovae di tipo II. Le più moderne teorie individuano tra i possibili progenitori delle supernovae di tipo II stelle molto grandi, di massa compresa tra 8 e 60 masse solari. Ma c’è anche un altro aspetto che va considerato: la relazione tra processi di formazione di stelle di neutroni e supernovae di tipo II, postulata da Baade e Zwicki nel 1934). L’esistenza delle stelle di neutroni è stata successivamente confermata dagli astrofici che hanno altresì confermato la relazione esistente tra i due processi, sebbene l’uno (la formazione di stelle di neutroni) non implichi necessariamente anche l’altro (la SN II). Baade e Zwicki non hanno vissuto abbastanza da veder confermata la loro teoria, né da apprendere che l’enorme energìa, associata al processo di formazione di una stella di neutroni e alla contemporanea nascita di una supernova, è pari ad oltre 1053 ergs, di cui quasi il 99% è costituito da un poderoso “outburst” di neutrini che in qualche secondo appare più “luminoso” dell’intero Universo osservabile. Quale potrebbe essere uno dei processi che portano ad un evento di tipo II? (Sn II-1) Immaginate una stella di massa pari a circa 10 volte la massa del Sole. Stelle così grandi sono dotate di fornaci nucleari che bruciano il loro combustibile molto più rapidamente di quanto accade nel Sole. L’idrogeno del nucleo si esaurisce in meno di 35 milioni di anni. Più grande è la stella, più breve sarà il suo ciclo di vita. Il nostro Sole, stella decisamente più piccola ha un ciclo di vita stimato attorno ai 10 miliardi di anni. Stelle ancora più piccole del Sole, formatesi all’inizio dell’Universo, potrebbero vivere ancora per molti miliardi di anni prima di esaurire il proprio combustibile nucleare (l’idrogeno). (SN II-2) La forza di gravità spinge tutta la materia stellare verso il centro, contrastata unicamente dalla forza che scaturisce dalle reazioni termonucleari del nucleo della stella. Le due forze 5 interagiscono dando luogo a processi che stabilizzano la stella. La stabilità dura finchè dura il processo di nucleosintesi che trasforma l’idrogeno in elio. (SN II-3) La maggior parte del calore generato da una stella proviene dalle reazioni nucleari innescate dall’elevata pressione e temperatura all’interno della stella. Il processo di nucleosintesi fonde gli atomi di idrogeno in atomi di elio. L’energìa rilasciata da questo processo è pari a 6.55 MeV per nucleo di elio prodotto. La temperatura iniziale del nucleo è di 4 milioni di gradi ed aumenta progressivamente fino a 15 milioni di gradi. (SN II-4) Man mano che la stella esaurisce l’idrogeno, il suo nucleo, ora costituito essenzialmente da elio, più denso, si contrae generando maggior calore. Gli atomi di elio si fondono in atomi di carbonio e ossigeno, ma non tutti. Una parte di atomi di elio forma un guscio che separa il nuovo nucleo di carbonio e ossigeno dal resto della stella. Le reazioni nucleari più interne producono minor energìa, 0.61 MeV per nucleo di carbonio, e la temperatura del nucleo aumenta fino a 100 milioni di gradi. (SN II-5) Man mano che le reazioni nucleari esauriscono l’elio del guscio, il nucleo si contrae, pressione e calore aumentano e causano la fusione degli atomi di carbonio e idrogeno in atomi di neon, sodio e magnesio. Il nuovo nucleo di neon, sodio e magnesio è ora confinato in un guscio di carbonio e ossigeno, a sua volta circondato da un guscio più rarefatto di elio. L’energìa prodotta nel nuovo nucleo è ora di 0.54 MeV per nucleo di neon, e la temperatura aumenta fino a 600 milioni di gradi. (SN II-6) Il processo si ripete. Questa volta tocca al neon, al magnesio e all’ossigeno fondersi in atomi di silicio e zolfo. La pressione generata dalle nuove reazioni nucleari continua a bilanciare la forza di gravità che spinge la stella al collasso. Un nuovo guscio di neon e magnesio si aggiunge ai precedenti, interponendosi tra il nuovo nucleo di silicio e zolfo e il guscio di carbonio e ossigeno. L’energìa prodotta nel nuovo nucleo scende a 0.30 MeV, mentre la temperatura sale fino a un miliardo di gradi. (SN II-7) Gli atomi di neon, magnesio e ossigeno si fondono in ferro, nickel e cobalto. La stella assume l’aspetto di una cipolla. A partire dal guscio più esterno, ogni guscio più interno è costituito da elementi sempre più pesanti. La stella è ormai diventata una supergigante rossa. Ma i processi nucleari che la sostengono si sono fatti più deboli. L’energìa rilasciata dall’ultimo processo di fusione nucleare è inferiore a 0.18 MeV per nucleo di ferro. La temperatura sale fino a 3 miliardi di gradi. (SN II-8) Il prossimo step dovrebbe essere caratterizzato dalla fusione degli atomi di ferro in elementi più pesanti. Ma ciò non è più possibile, poiché la necessaria reazione endotermica richiede un’energìa di 2 MeV per nucleo. La fusione si arresta. La 6 temperatura del nucleo della stella ha superato il miliardo di gradi. E’ il punto critico. Sta per aver luogo un nuovo processo, la fotodisintegrazione, che causa una grave perdita di energia e provoca il collasso rapido del nucleo. (SN II-9) In una frazione di secondo il nucleo collassa e rilascia una spaventosa quantità di energìa gravitazionale che muovendosi verso l’esterno crea un’onda d’urto catastrofica. Il processo di collasso è piuttosto complesso. Le diverse parti del nucleo collassano con velocità diverse che possono raggiungere i 7000 Km/sec per le parti più esterne del nucleo. La densità massima del nucleo collassato arriva a 1018 Kg/m3, prima che si generi l’onda d’urto. E’ come se in un secondo il volume della Terra fosse ridotto a una sfera dal raggio di 50Km. Le parti più interne del nucleo si disaccoppiano da quelle più esterne e il resto della stella rimane per qualche istante sospeso in un equilibrio estremamente precario. L’onda d’urto si propaga verso l’esterno a partire dall’interno del nucleo e, grazie alle enormi temperature generate dal collasso gravitazionale, accelera la fotodisintegrazione. La fotodisintegrazione del ferro in protoni e neutroni provoca un rilascio di energìa pari a 1.7 x 1051 ergs per ogni decimo di massa solare di ferro. (SN II-10) L’onda d’urto si propaga attraverso gli strati della stella innescando un’esplosione cataclismica. Gli strati più esterni della stella vengono spazzati via alla velocità di oltre 15000 Km/sec. Dal collasso gravitazionale all’esplosione è trascorso meno di un secondo. L’energia totale spesa nell’espansione di questa materia è dell’ordine di 10 51 ergs. L’intensità degli eventi di tipo II variano soprattutto in funzione della massa iniziale della stella. Ma il processo non è ancora terminato. (SN II-11) Al centro del luogo dell’esplosione si forma una protostella di neutroni con un nucleo estremamente denso di circa 0.5-0.8 masse solari e raggio pari a 20Km, circondato da un mantello molto caldo che collassa in meno di un secondo dando vita a una stella di neutroni ed eventualmente a una pulsar (se la stella di neutroni ruota rapidamente). Questo processo che segue di pochi millesimi di secondo l’esplosione della Sn, libera un’energìa pari a 1053 ergs costituita essenzialmente da neutrini. La compressione generata dall’onda d’urto dell’esplosione è la prima causa della combinazione dei protoni e degli elettroni del nucleo in neutroni. Ma non tutti gli eventi di fotodisintegrazione danno vita ad una stella di neutroni. Se la massa del nucleo che sopravvive al processo di fotodisintegrazione supera 3 masse solari, la protostella di neutroni collassa in un buco nero (Balberg & Shapiro, 2001), una singolarità dello spazio-tempo ovvero un punto di volume zero e densità infinita, nascosto dietro a un orizzonte degli eventi a una distanza nota come raggio di Schwarzschild. In quest’ultimo caso, se la protostella di neutroni collassa troppo rapidamente in un buco nero, ad es. in meno di 1 ms, l’evento che caratterizza la nascita del buco nero potrebbe far abortire la supernova, poiché gran parte dell’energìa raggiante potrebbe essere catturata dal buco nero. 7 Cos’è una Hypernova? Osservazioni e studi teorici di quest’ultimo decennio hanno proposto l’idea che non tutte le stelle di grande massa producono supernovae. Se il nucleo di una protostella di neutroni in rapidissima rotazione su stessa, collassa in un buco nero e assorbe il circostante mantello senza dar luogo ad una esplosione pilotata da emissione di neutrini, il risultato è un “collapsar”, e l’enorme rilascio di energìa prodotta è l’essenza dell’evento chiamato “hypernova”. Le hypernovae hanno come progenitrici stelle di massa tipicamente superiori a 40 e fino a 150-200 masse solari ed esplodono (secondo quanto proposto da Nakamura nel 2001) con un output totale di energìa superiore a 10 52 ergs, un valore nettamente superiore a quello dell’output energetico di una tipica supernova. Tra le hypernovae osservate di recente figurano: la sn2002ap, scoperta da Yoji Hirose il 29 gennaio scorso in M74, classificata inizialmente come una supernova di tipo I-b/c di tipo peculiare con uno spettro molto simile a quello della sn1997ef, ma molto più blu di quest’ultima, e la sn2002bl, scoperta da Mark Armstrong il 2 marzo scorso nella galassia UGC5499 (costellazione del Leone). La sn2002ap, la stella blu che vedete nell’immagine di M74 in basso a destra della diapositiva, indicata da una freccia, è una hypernova più giovane e più energetica della celebre hypernova sn1998bw in ESO 184-G82, scoperta dal team ESO durante la ricerca della controparte ottica di un GRB (Gamma-Ray Burst) occorso il 25 Aprile 1998. La velocità di espansione delle hypernovae è molto più alta di quella registrata nelle supernovae. La sn1998bw esibì una velocità iniziale di 30000 Km/sec, pari al 10% della velocità della luce. Gli astrofisici ipotizzano che le supernovae siano associate ad eventi quali i GRB’s, poiché quest’ultimi si pensa siano generati durante il collasso di una protostella di neutroni in un buco nero. Spettro di una Hypernova Ciò che differenzia lo spettro di una hypernova dai tipici spettri delle supernovae di tipo Ia, Ib e II è innanzitutto la mancanza di linee dell’idrogeno, dell’elio e del silicio. Lo spettro di una hypernova è simile a quello di una supernova di tipo Ic o Ib/c. Ma la caratteristica che differenzia nettamente la hypernova da quest’ultima sottoclasse di supernovae è l’enorme velocità di espansione dei residui. Tutte le curve spettrali della 2002ap, ottenute succesivamente al 31 gennaio, evidenziano un “blue continuum” con una ripida discesa dopo i 650 nm e un forte assorbimento nel rosso tra i 660 e i 760 nm, che, se dovuto al tripletto del Ca-II, implicherebbe una velocità iniziale di espansione dell’ordine dei 45000 Km/sec. La velocità di espansione è stata calcolata dallo spettro ottenuto il 3 Febbraio scorso con lo spettropolarimetro da 350-860 nm montato sul Very Large Telescope UT3 dell’ESO. La 2002ap è tra i fenomeni più interessanti che siano mai stati osservati fino ad oggi. La sua comparsa ha riacceso gli studi sulle relazioni tra questi eventi e i GRB’s, ed in particolare quelli relativi alla possibile connessione tra la sn1998bw e il GRB 980425. Sulla sn2002ap è stata promossa una vasta campagna di osservazioni fotometriche e spettroscopiche che hanno portato a risultati molto interessanti. Il primo rapporto sulle osservazioni eseguite nel mese di febbraio 2002 è stato pubblicato il 31 marzo scorso. Nel rapporto viene suggerito per la prima volta di classificare le “hypernovae” come supernovae di tipo Id. 8 SN Remnants – sn1006 Cosa resta dopo l’esplosione di una supernova? Cosa è osservabile dopo mesi, anni, secoli, millenni dall’esplosione di una supernova? Quali sono effettivamente i resti delle supernovae esplose molto tempo fa nella nostra galassia e nelle galassie a noi più vicine? Per rispondere a queste domande gli astronomi partono dalle conclusioni e dai modelli teorici derivati dai più recenti studi sulle supernovae extragalattiche (l’ultima supernova osservata nella nostra galassia fu quella scoperta e studiata da Keplero il 9 Ottobre 1604), e su queste ipotesi analizzano le immagini e gli spettri di alcuni tipi di nebulose presenti nella nostra galassia, nelle galassie satelliti e in quelle più vicine, grazie anche all’aiuto fornito dai telescopi spaziali. Partiamo dalla nostra galassia. Alle 2 ben note supernovae galattiche osservate per la prima volta dai cinesi, rispettivamente il 6 maggio del 1006 e il 27 agosto 1054, e alle 2 celebri supernovae osservate da Tycho Brahe e da Keplero, rispettivamente il 6 novembre 1572 e il 9 Ottobre 1604, di cui oggi osserviamo con certezza i residui, dobbiamo aggiungere gli oltre 300 residui di esplosioni di antiche supernovae trovate fino ad oggi solo nella nostra galassia. La diapositiva che state osservando vi mostra l’immagine dei residui dell’esplosione della sn1006 osservata dai cinesi ai confini tra la costellazione del Lupo e quella del Centauro, in prossimità della stella κ centauri. L’immagine, che conferma la supernova del 1006 e ne individua con certezza la posizione, è stata ottenuta da Koyama nel 1995 con camere CCD X-Ray a bordo di ASCA, un satellite avanzato per studi di cosmologia e astrofisica. SN Remnants – sn1054 La ben nota nebulosa del Granchio (Crab nebula) è ciò che resta della sn1054 osservata dai cinesi. L’immagine, ripresa dall’osservatorio satellitare X-Ray Chandra, messo in orbita dallo Shuttle nel luglio 1999, ci mostra la zona centrale della nebulosa e al centro di essa una pulsar che emette impulsi radioattivi 30 volte al secondo. Gli anelli più esterni sono costituiti da particelle ad alta energia ed hanno un diametro di circa 1 anno luce. Il diametro dell’anello più interno è di circa un decimo di anno luce, più di 200 volte il diametro del sistema solare. Sn1054 raggiunse la magnitudine –6 a una distanza di 6500 anni luce. SN Remnants – sn1572 (ROSAT) I residui della ben nota “stella di Tycho”, che egli vide brillare più luminosa di Giove l’11 novembre del 1572 a circa 1.5 gradi a NNW di kappa Cassiopeiae (una stella di magnitudine 4.2) sono finalmente ben visibili grazie all’immagine ripresa il 23 giugno 1996 dal ROSAT (Roentgen Satellite), un osservatorio satellitare X-Ray posto in orbita nel 1990 e oggi non più operante. Sn1572 raggiunse la magnitudine –4 e fu visibile per oltre 18 mesi. La distanza è stata calcolata in circa 10000 anni luce. SN Remnants – sn1572 (XMM-Newton) In queste immagini riprese il 13 settembre 2000 dalle camere CCD a bordo del satellite XMM-Newton, X-Ray, sono ben visibili gli elementi proiettati nello spazio dall’esplosione della sn1572. Ciò che sorprende è la distribuzione spaziale NON uniforme di questi elementi. La supernova è stata con ogni probabilità un evento di tipo Ia. 9 SN Remnants – Cygnus Loop Il Loop del Cigno è ciò che resta di una tra le più antiche supernovae galattiche. Rappresenta ciò che rimane dell’esplosione di una stella avvenuta circa 20000 anni fa. L’immagine è stata ripresa con l’High Resolution Imager del ROSAT. SN Remnants – Puppis A Puppis A è ciò che resta di una supernova esplosa 4000 anni fa nella costellazione della Poppa a una distanza di 6000 anni luce. L’immagine, ripresa con l’High Resolution Imager del ROSAT, mostra al centro della nebulosa la stella di neutroni, scoperta dallo studente dell’MIT Christopher Becker nel 1995, formatasi dopo l’esplosione di una supernova la cui progenitrice era una stella di grande massa. SN Remnants – Vela SNR Nella costellazione della Vela, circa 11000 anni fa, esplose una supernova la cui progenitrice si pensa sia stata una stella di massa molto grande. L’immagine ripresa dal ROSAT mostra una sfera di gas distribuito abbastanza uniformemente e con una temperatura di circa 1 milione di gradi. Le disuniformità presenti nella sfera sono probabilmente dovute a concentrazioni di gas interstellari. Contrassegnati dalle lettere si vedono pezzi di materia che appaiono provenire da un’unica direzione contrassegnata da un punto bianco al centro della sfera, la stella di neutroni che si è formata dopo l’esplosione della supernova. SN Remnants – sn1987A Ciò che vedete sono le immagini riprese tra il 1999 e il 2000 di ciò che resta della grande supernova sn1987A nella nostra galassia satellite LMC, la grande Nube di Magellano. L’immagine in alto a sinistra è un’immagine ottica, cioè nel visibile, ripresa il 2 febbraio 2000 dal telescopio Hubble. In alto a destra un’immagine radio ottenuta tramite l’array ATC australiano il 9 settembre 1999. In basso, da sinistra a destra due immagini ottenute con il telescopio X-Ray Chandra rispettivamente il 6 ottobre 1999 e il 17 gennaio 2000. SN Remnants – sn1993J Concludiamo, infine, il nostro discorso su ciò che resta delle supernovae, presentando una suggestiva immagine di ciò che resta della supernova sn1993J scoperta il 28 marzo 1993 in M81, una ben nota e bellissima galassia a spirale di tipo b distante più di 7 milioni di anni luce. L’immagine, ripresa in X-Ray dal satellite ASCA, il 3 dicembre 1995, a più di 2 anni e mezzo dall’evento, mostra in dettaglio la materia calda proiettata nello spazio dalla supernova. Sono numerose le immagini di questo tipo che gli astronomi hanno ottenuto grazie agli strumenti di ripresa posti su satelliti artificiali in grado di intercettare i raggi X altrimenti assorbiti dall’atmosfera terrestre. Grazie a ciò si sono potuti osservare negli ultimi 10 anni centinaia di residui di supernovae esplose nelle galassie del gruppo locale e anche in galassie più lontane. G.Sala Milano, 3 Aprile 2002 10 11