LORINI 11.30-13.00 13 NOVEMBRE 2007 Quando l’uomo acquisì la posizione eretta dovette ruotare posteriormente il bacino di una 40ina di gradi. Per mantenere le anche nella posizione giusta per camminare bisognava agire sul collo del femore spostandolo più avanti cioè facendogli fare un movimento rotatorio in senso orario. A questo punto bisognava stabilizzare il bacino, e per fare ciò si doveva mettere in funzione i muscoli pelvi trocanterici (piccolo gluteo,medio gluteo, etc)i cui capi si inseriscono a livello dell’ala iliaca e del piccolo trocantere. Inoltre il collo del femore doveva salire in alto fino ad avere un angolo di inclinazione maggiore di quello di qualsiasi altro animale non eretto. In definitiva la nostra struttura della testa del femore deriva da questa postura che l’uomo ha assunto nell’evoluzione. C’era però anche un’altra struttura da sconvolgere completamente, il ginocchio. L’uomo a differenza di altri animali anche primati anche bipedi cammina con il ginocchio esteso e non flesso. A causa della forma anatomica di anca e ginocchio possono insorgere tutta una serie di patologie. Il femore ha un angolo di inclinazione dato dall’incrocio degli assi che passano rispettivamente per il collo e per la dialisi. Tale angolo alla nascita è pari a circa 138°-140°,poi diminuisce fino al valore di 128°-130° durante l’età adulta e il collo del femore raggiunge così la sua normalità auxologica. C’è anche in altro angolo molto importante nel femore detto di declinazione o antiversione,che si è creato a seguito della rotazione posteriore del bacino nell’acquisizione della postura eretta. L’angolo di antiversione è un angolo diedro. Mettendo il femore su un piano,nell’ambito dell’asse diacondiloideo cioè che passa attraverso i condili femorali vedete che la testa del femore non giace, come i condili, sul piano, ma si alza: abbiamo quindi un ulteriore piano che passa per la testa del femore. L’angolo di antiversione è molto variabile ma diciamo che va dai 18 ai 30 gradi e varia da individuo a individuo in relazione alla costituzione e alla razza, ad esempio le popolazioni dell’estremo oriente hanno un angolo di antiversione pari quasi a 0. C’è poi un terzo angolo detto di copertura cefalica: esso esprime quanto il cotile ricopre la testa del femore. Esso è dato dall’incrocio tra un’ipotetica retta perpendicolare al terreno passante per il centro della testa del femore e un’altra retta passante per il centro del femore e il ciglio condiloideo, e si aggira sui 35°. Quando questi angoli sono rispettati noi abbiamo una struttura eumorfica dell’articolazione coxofemorale e quindi un movimento normale della stessa. Però quando questi angoli sono alterati possono esserci delle patologie. Ad eccezione della displasia congenita dell’anca la patologia più frequente è la coxavara:l’angolo di inclinazione è inferiore a 126°-128°,a volte inferiore anche a 90°. L’arto è extraruotato e c’è anche una diminuzione dell’angolo di declinazione:la coxa è vara e introversa. Tale patologia può essere congenita -embrionaria o infantile. Il bambino ha un ritardo della deambulazione, ma in ogni caso ce se ne accorge pressoché alla nascita perché le manovre per l’individuazione della displasia congenita anche in questi casi danno una certa positività. Si aspetta che il bambino cresca così per poi intervenire nel momento in cui il nucleo di ossificazione della testa del femore è diventato quasi completamente osseo. L’intervento più conosciuto è l’osteotomia direzionale intertrocanterica: si taglia a livello dei trocanteri e si valgizza la coxa vara portando la testa verso l’alto facendola ricoprire dal tetto condiloideo, permettendo al bambino di camminare e rimettendo di nuovo in tensione i muscoli pelvitrocanterici, indispensabili per mantenere l’equilibrio del bacino e quindi per il nostro modo di camminare. Tant’è vero che se noi abbiamo un bambino con una coxa vara bilaterale –congenita o acquisita- questi cammina con un andatura altalenante, cioè il bacino non viene stabilizzato e va su e giù secondo qual è l’arto di appoggio; si tratta della cosiddetta andatura anserina perché simile a quella delle oche o anche detta segno positivo di Trendelenburg. Esso si ha anche nella displasia congenita dell’anca, qualora essa si trasformi in lussazione franca. Ci sono anche le coxae vare acquisite: sono secondarie a un sacco di eventi. Esse possono insorgere anche nell'adulto, per esempio in a una frattura operata male che consolida in maniera errata,oppure in bambini nati da madri diabetiche i quali sviluppavano infezioni articolari dell'anca che esitavano in una coxa vara(evento frequente in passato ma ora rare) , così come in seguito a infezioni tubercolari contratte in periodo puerile e adolescenziale con formazione di ascessi secchi a livello dell'anca. In ogni caso la coxa vara più importante è quella che si ha nell'adolescente in forma essenziale; essa è detta anche epifisiolisi, ha una notevole incidenza,che aumenta in relazione all'aumento dell'obesità infantile. Tale patologia può presentarsi o nell'ambito di una sindrome adiposo-genitale- s.di Froelich-(il 50% dei bambini con questa sindrome ha anche epifisiolisi) o isolata. Cosa avviene in questa epifisiolisi: l'epifisi che è ancora attaccata al collo femorale dalla cartilagine di accrescimento si è ruotata inferiormente e posteriormente perchè è rotta la cartilagine stessa. Continua a mantenere una certa continuità con il collo del femore ma non è agganciata a esso in maniera adeguata. Il bambino ha forti dolori che però scompaiono nel giro di poco tempo,ma il genitore si accorge che il bambino inizia a zoppicare sempre più, e poi facendo la radiografia si ha facilmente la diagnosi. I questi casi va fatto un piccolo intervento: senza aprire la capsula si fa esternamente ad essa una osteotomia bassa a livello del piccolo trocantere e si rialza adagio adagio l'articolazione fissandola con una placca e un piccolo chiodino. All'inizio il paziente potrà solo muovere l'anca senza sovraccaricarla ma dopo un mese e mezzo due mesi potrà ricominciare a fare la sua vita normale, ma nel frattempo è auspicabile che perda peso. Parliamo adesso della coxa valga, cioè l'angolo di inclinazione supera di gran lunga i 140° arrivando talvolta a essere prossimo ai 180°:ciò comporta che la testa del femore tende a uscire dal cotile, anche perchè, mentre nella coxa vara si va verso una retroversione dell'angolo di declinazione, in questo caso si va verso un aumento, e quindi avremo una coxa valga antiversa, chiamata anche in passato “coxa valga sublussans”. Ciò significa che non è una vera e propria sublussazione, ma tende ad una diminuzione della copertura del tetto acetabolare sulla testa del femore. Ciò teoricamente non comporta zoppia, perchè i muscoli pelvitrocanterici sono tesi benissimo e non c'è alcuna possibilità di alterazione, il giovane cresce benissimo e anche ortopedici di grande esperienza potrebbero no individuare il problema. La diminuzione della copertura acetabolare e la tendenza all'antiversione hanno portato sotto carico solo una piccola parte della superficie articolare, quindi là i carichi sono aumentati. Di conseguenza è un'artrosi da sovraccarico perchè non c'era un carico. E così verso i 16-18 anni si manifestano i primi dolori, all'inizio più lievi e poi più gravi, perchè si ha pian piano un'artrosi precoce. Per fortuna, anche in presenza di una diagnosi tardiva, se la cosa è molto grave, si può tener sotto controllo, sperando che la natura, che è molto più brava di noi, riesca a riportare alla normalità gli angoli di inclinazione e di antiversione, altrimenti nel momento in cui inizia la sintomatologia di tipo artrosico, bisogna immediatamente intervenire e centrare la testa del femore dentro l'acetabolo con un'osteotomia. Il più delle volte, con un buon intervento, mettendo sotto carico tutta quella parte di cartilagine che non lo era, e quindi ridistribuendo i carichi su una superficie maggiore, con diminuzione della intensità per unità di superficie, alla fine da un punto di vista terapeutico, le cose vanno bene, anche se si è intervenuti in ritardo. Prima di parlare del ginocchio parliamo della tibia. La tibia può mancare, di solito non tutta quanta. Le epifisi, prossimale e distale, ci sono, manca la parte intermedia. Essendoci le due epifisi, grazie anche all'ipertrofia compensatori del perone, con piccole operazioni chirurgiche, alla fine il paziente la gamba ce l'ha: l'unica complicanza è che l'arto è ipoplasico, talvolta di soli 4 centimetri, quindi corregibile, altre volte di più e quindi difficilmente riparabile. Il più delle volte si interviene con dei rialzi alle calzature, più raramente con interventi di allungamento, perchè non abbiamo il materiale per allungare, in quanto c'è solo il perone. Il piede è comunque normale, l'articolazione tibio-tarsica c'è, e così anche il ginocchio. Ci sono però altre 2 patologie, una rara e una meno. La prima è l'agenesia del perone, che porta anche all'agenesia dei 2 raggi esterni del piede. Quindi ci troviamo senza il 4' e il 5 metatarso, il 4' e il 5' dito del piede e senza il perone. E' una emimelia longitudinale completa. Sono casi rari, ma ci sono. Il perone in realtà non serve quasi a nulla, è un osso accessorio. E' però importante per una cosa, il mortaio tibiale, laddove l'astragalo si articola con l'articolazione tibio-peroneo-astragalica, cioè l'articolazione tibio-tarsica. Qui l'astragalo gioca in un mortaio che è composto da malleolo tibiale dal piatto tibiale distale e dal malleolo peroneale. Se manca quest’ultimo non c’è la stabilità del piede, il quale è già pesantemente inficiato dalla mancanza di due raggi. In questo caso si aspetta il più possibile finchè giunti alla fine dell’accrescimento si blocca la parte astragalica facendo un’artrodesi tibio-astragalica. In questo modo si dà la possibilità al paziente di camminare. Molto meno rara è invece la cosiddetta pseudoartrosi congenita di tibia, una patologia su base dismorfica. La tibia è un osso un po’ particolare perché ha una sola arteria nutritiva proprio al suo terzo medio. Proprio lì si ha la pseudoartrosi congenita,come se durante il periodo embrionario lì fosse successo qualcosa che non ha consentito un buon sviluppo a livello del vaso che doveva trofizzare la tibia. Perciò ci troviamo davanti ad una pseudoartrosi di tipo atrofico, con due monconi su cui si cerca di intervenire mettendo chiodi, facendo intorno tanti trapianti ossei, e con altre modalità che molto spesso si rivelano insufficienti. Così molto speso si è costretti ad amputare sotto il ginocchio e a sostituire la gamba con una protesi artificiale. Il ginocchio è un’articolazione impossibile dal punto di vista ingegneristico, però la biologia in questo caso ha la prevalenza e il ginocchio esiste. Immaginate cos’è il ginocchio: è un piano su cui ruota un’articolazione per così dire cilindrica, ha alcuni legamenti, due menischi per attutire i colpi,e non ha muscoli intorno come ad esempio ha invece l’anca: se vi toccate l’anca sentite i muscoli, se vi toccate il ginocchio sentite l’osso. E non è neanche come l’articolazione tibio-tarsica, che c’ha il suo bel mortaio tibiale bloccato al piede. Il ginocchio non ha una rotazione, non si sposta lungo un asse di cerchio, bensì lungo un asse di ellisse, cioè si sposta posteriormente(fino ad un certo punto): la flesso-estensione del ginocchio è pari a circa 150 gradi. Per camminare ce ne bastano circa 20 o anche meno, per correre 100-110 al massimo. Ciò fa capire quanto il ginocchio sia una struttura ben costruita. Però a volte esso può essere costruito male. In condizioni normali il ginocchio è un equilibrio di forze e momenti, gestito da due legamenti crociati,due collaterali e dai menischi, da un enorme tendine, il rotuleo,muscoli flessori, muscoli estensori e basta. Questo perfetto meccanismo non prevede che ci siano degli aumenti di gradi di libertà. Esiste una patologia chiamata ginocchio recurvato che colpisce soprattutto bambini di sesso femminile, spesso con lassità ligamentosa: quando essi stanno in piedi il ginocchio non sta in estensione,ma va oltre i gradi di libertà,cioè praticamente è recurvato posteriormente. Può essere una pre lussazione:il ginocchio è quasi normale, ma la tibia quando il ginocchio si recurva può scivolare un pochino anteriormente, dando uno scatto quando si flette il ginocchio, che però si flette e si estende quasi completamente, e si può anche iperestendere. In questi casi non c’ bisogno di nessun intervento terapeutico se non tenere in esercizio il quadricipite femorale e consigliare al paziente il nuoto. Poi c’è la sub-lussazione del ginocchio che comincia ad essere sicuramente grave, perché c’è ancora un contatto tra i condili femorali e il piatto tibiale, ma il piede si espleta solo posteriormente, nella parte posteriore tibiale. Essa è “a dorso del mulo”, cioè inclinata verso l’alto e non orizzontale. Succede che il giovane paziente è recurvato, probabilmente anche quando cammina perché se volesse mettere in estensione il ginocchio, dovrebbe far scavalcare ai condili questo avvallamento, per portare i condili a livello della parte anteriore della tibia. Il paziente non ci riesce se non con enormi difficoltà, e con uno scatto caratteristico, tanto che sembra che si sia rotto l’osso, è proprio un “clac”. Si può notare inoltre il segno della molla: quando si prende il ginocchio recurvato e si tenta di metterlo in estensione, ad un tratto ci sfugge e come una molla ritorna alla posizione originale. In tali casi è impensabile intervenire in modo non invasivo, ma si interviene in modo cruento, verso i 12 anni, liberando notevolmente tutta la parte di legamenti che si sono accorciati, allungando i legamenti stessi, togliendo delle briglie aderenziali, che si sono formate nel frattempo, e poi cercando di portar anteriormente il ginocchio, il quale non potrà andare in flessione neppure facendo un allungamento del tendine del quadricipite. In questo modo, con una correzione di pochi gradi, si può ricominciare a camminare. Questo non succede se il piatto tibiale “non riconosce” l’esistenza dei condili femorali. In tal caso si ha lussazione. Tale patologia è rarissima ma anche gravissima, e nonostante si possano fare molti interventi palliativi, da un punto di vista funzionale il ginocchio è assolutamente non integro. Quindi, ricordate la pre-lussazione, o ginocchio recurvato, la sublussazione, e la lussazione. Poi c’è la situazione di agenesia della rotula -abbastanza rara: in tal caso manca una struttura che blocca la condilo-artrosi del ginocchio, ma comunque il tendine del quadricipite in tali casi è un po' ipertrofico, e sostituisce in parte la rotula stessa. Spesso in passato, quando serviva dell'osso, ad esempio per riempire cavità lasciate da tumori ossei, oppure per ricostruire articolazioni, si faceva una patellectomia, cioè si asportava la rotula e la si posizionava per fare un impianto dove era necessario. In tal caso restava una situazione simile a quella dell'agenesia congenita. Ci può inoltre essere l'ipoplasia della patella, o la cosiddetta “rotula partita”, cioè frammentata in vari pezzettini, che può simulare una frattura. Ma un problema non banale è la lussazione abituale di rotula, che insorge principalmente nella donne, che hanno una lassità ligamentosa superiore all'uomo: ciò significa che in ginocchia tendenzialmente valghe, cioè “a X”, la rotula può spostarsi medialmente e rimanere così: basta un niente, come una flessione fatta male, perchè la rotula scavalchi il condilo laterale e si lussi medialmente. Questa lussazione di rotula può diventare abituale e ciò comporta una ricostruzione completa di tutto l'apparato estensorio in modo tale da rimettere in asse il ginocchio e la rotula nella sua sede. L'ultimo quadro patologico di cui parliamo oggi è abbastanza frequente, ed è il cosiddetto menisco discoide. I menischi sono cartilagini a forma di C, che cioè hanno al centro una parte vuota, laddove c'è la vera e propria articolazione tra la cartilagine articolare della tibia e quella del femore. Capita in alcuni soggetti che il menisco esterno abbia forma circolare, e ci sia cioè praticamente solo la cartilagine articolare. Questo è il menisco discoide, che dà dei problemi. Non è una patologia rara, è una patologia congenita, quasi indolore, con difficoltà funzionale, cioè tutta una serie di sintomi non gravissimi, come può essere invece la rottura meniscale. Ci sono dolori lievi, accade che ad esempio il bambino ha dei doloretti proprio in quella sede dopo una corsa, insomma una sintomatologia vaga ma costante. Basta fare in questo caso una risonanza per farci vedere che cosa c'è. Una volta si interveniva facendo una meniscectomia totale, oggi invece, con modalità artroscopiche, si cerca di salvaguardare la parte necessaria del menisco, rendendo il menisco alterato simile all'altro. Però talvolta si deve arrivare comunque alla meniscectomia, perchè altrimenti non si avrebbe un menisco adeguatamente funzionante. E per oggi abbiamo finito.