Caregiver protagonisti: prosegue il progetto Liguria

Progetto Caregiver Liguria
( II Edizione - 2007)
Assessorato
alla Salute
Assessorato alle
Politiche Sociali
prende cura
chi si prende cura della persona malata di A
Assessorato
A
Caregiver protagonisti: prosegue il progetto Liguria
L’intervento ha avuto origine dalla constatazione di alcune rilevanti criticità conseguenti
dallo straordinario allungamento della vita che connota in generale i paesi sviluppati e
progressivamente anche quelli emergenti; tra queste conseguenze negative di un fatto, in
sé più che positivo, rientra la maggiore incidenza di malattie legate all’invecchiamento, che
per lo più assumono un andamento cronico e generano quindi problemi legati
all’assistenza di cui l’anziano si trova ad aver bisogno.
Le sindromi demenziali, in particolare la malattia di Alzheimer, che è la forma più diffusa,
rappresentano una di queste temibili evenienze e pongono enormi problemi assistenziali.
Ciò in particolare in una regione come la Liguria, dove oltre un quarto della popolazione
residente supera i 65 anni di età, soglia temporale a partire dalla quale si evidenzia la
stragrande maggioranza delle demenze non ereditarie. E’ facile previsione, di
conseguenza, supporre un concomitante aumento dei soggetti affetti da una qualche
forma di demenza in tempi alquanto ravvicinati. Poiché i dati previsionali segnalano un
contemporaneo forte ridimensionamento delle classi d’età adulte, ovvero dei potenziali
caregiver, su costoro graverà pertanto un carico assistenziale ancora più elevato
dell’attuale. Il problema, già oggi molto grave , si presenta quindi come esplosivo già per il
prossimo decennio e richiede la progettazione di interventi mirati non solo alla cura in
senso stretto, bensì anche al sostegno delle reti informali che erogano “care”.
Il problema su cui intervenire
Le demenze si manifestano con una progressiva perdita delle normali funzioni cerebrali, a
partire da quelle superiori, perdita che si manifesta in un evidente deterioramento della
memoria, del linguaggio e della capacità di gestione autonoma della propria persona. In
Italia si stima intorno al milione il numero di persone affette da demenza conclamata più o
meno avanzata (di cui circa il 50-60% dei casi è costituito da malati di Alzheimer). Ne
deriva la necessità di un’assistenza che si fa da occasionale a costante, man mano che
l’anziano diventa sempre più inadeguato alla gestione della propria persona e delle proprie
attività. Questa situazione si protrae per un periodo estremamente prolungato, seguendo
la progressione della malattia.
La famiglia ha sempre rappresentato, e rappresenta tuttora nel nostro paese, il cardine
principale dell’assistenza. Tuttavia, i fenomeni sociali che ne hanno determinato la
“parcellizzazione” – riduzione del numero dei componenti, scomparsa del gruppo familiare
allargato e diffusione della famiglia nucleare – nonché, almeno nei centri di maggiori
dimensioni, il venir meno del senso della comunità, hanno significato anche la virtuale
scomparsa di una rete di mutua assistenza e di supporto solo parzialmente sostituita dalle
assistenze domiciliari e dal volontariato. Di solito, all’interno della famiglia, uno dei
componenti si assume il ruolo di caregiver principale, al quale è deputata l’organizzazione
dell’assistenza e al quale spetta la responsabilità delle decisioni più importanti. Su questa
persona grava il carico maggiore, ma in realtà tutta la famiglia risente di tensioni notevoli,
dovute ai “costi” in senso lato di questa malattia.
La conseguenza più grave della demenza risiede infatti nell’elevata compromissione
funzionale, in grado di determinare gravi deficit nella capacità di svolgere le normali attività
della vita quotidiana (ADL). Nel corso della malattia, ad esito fatalmente progressivo, il
paziente pone inoltre problemi diversificati, clinici e no, la cui gestione è essenzialmente a
carico dei servizi informali (famigliari, amici, vicinato, volontariato). L’80% dei pazienti
dementi viene infatti assistito, a casa propria, da familiari e/o amici, rappresentati per il
70% da donne, per lo più coetanee. Ciò comporta costi di varia natura: puramente
finanziari, dovuti alle spese sostenute per il supporto assistenziale o sanitario; sociali,
derivanti dall’isolamento sociale e dalla mancanza di tempo libero; emotivi, dovuti allo
stress e alle preoccupazioni derivanti dalla necessità di assistenza continua; fisici, in
quanto i caregiver sono spesso anziani quanto i loro assistiti e bisognosi di cure a loro
volta. D’altronde, i caregiver più giovani (i figli, per esempio) sperimentano grosse difficoltà
nella gestione contestuale dell’assistenza, dell’attività lavorativa e della cura della parte più
giovane della famiglia e sono spesso colpiti da forme depressive, che si manifestano
soprattutto in disturbi del sonno: da qui l’uso considerevolmente diffuso di farmaci
ansiolitici. In particolare i disturbi comportamentali dell’ammalato si sono dimostrati essere
una delle maggiori cause di stress per i caregiver , nei quali suscitano sentimenti
contraddittori di collera, colpa ed eccessivo coinvolgimento, peggiorando assai la qualità
dell’assistenza.
Paradossalmente, la crescita dello stress non è correlata linearmente alla durata del
caregiving, anzi, il caregiver sperimenta un momento particolarmente critico in
corrispondenza delle prime fasi della malattia, quelle dell’accettazione e dell’adattamento,
e soprattutto in presenza di disturbi del comportamento nell’ammalato, ma quando
progressivamente cresce la mancanza di autonomia del paziente, al pur accresciuto carico
di assistenza “fisica” si affianca una stabilizzazione del carico emotivo. I problemi legati
all’erogazione dell’assistenza appaiono a prima vista insormontabili, o comunque di
difficile approccio, per un caregiver il quale non solo è coinvolto emotivamente nella
malattia del proprio famigliare, ma nella stragrande maggioranza dei casi non ha alcuna
esperienza in campo clinico e/o infermieristico, e si trova catapultato all’improvviso in un
ruolo che si sente inadeguato a sostenere. Le richieste di aiuto da parte delle famiglie
sono di diversa natura: dal comportamento da tenere con un paziente conscio delle
proprie manchevolezze e per questo spesso depresso o aggressivo, alla gestione dei
disturbi del ritmo sonno-veglia, alla prevenzione degli incidenti domestici dovuti alle
improvvise incapacità dell’ammalato nell’esecuzione di compiti anche semplici. Dall’altra
parte, il caregiver sperimenta su se stesso disturbi depressivi, senso di inadeguatezza
rispetto al compito di cui è investito, ansia per il presente e soprattutto per il futuro.
Sorgente naturale di informazione e consigli dovrebbe essere rappresentata dal medico di
famiglia, che spesso però si limita all’invio presso la specialista e a generiche forme di
incoraggiamento e consolazione.
GRAFICO DESCRITTIVO DEL PROGETTO CAREGIVER REGIONE LIGURIA
Regione
INCARICA
Gruppo di
Progetto
(esperti varie
discipline)
ATTIVA
Società civile e
Servizi
ATTIVA
Ente Locale
(Dirigente
Servizi sociali)
ACCOGLIE
Caregiver
(famiglia e
volontariato)
PREPARA
Strumenti
(es. Manuale)
ORGANIZZA
E FORMA
UTILIZZA
ORGANIZZA
Preparazione e sostegno
dei caregiver
PARTECIPA
Gruppo
Formatori di
caregiver
ORGANIZZA
E FORMA
Il progetto Liguria
Predisposto e gestito da Istisss , in collaborazione con il Servizio di Neurofisiologia Clinica
dell’Università di Genova ed il Comune di Genova, il progetto è stato finanziato nella sua
prima edizione dalla Regione Liguria (Settore Promozione sociale e Interventi per la
famiglia) , e si è sviluppato dal febbraio 2003 al novembre 2004.
Nel 2007, il Progetto è stato rifinanziato per la seconda edizione, dalla Regione Liguria
( contestualmente dall’ Assessorato alle Politiche Sociali e dall’ Assessorato alla Salute).
La peculiarità di tale progetto sta nell’attenzione alla creazione/rinforzo di reti sociali
attorno ai caregiver, attenzione sottesa alle diverse azioni in cui è stato articolato il
percorso progettuale. Servizi, associazioni di volontariato, organismi territoriali che in varia
misura e a vario titolo operano nel campo dell’assistenza agli anziani sono stati
attivamente coinvolti nella costruzione e realizzazione di un percorso formativo “a
cascata”. Un gruppo di docenti esperti ha, infatti, condotto un seminario per preparare i
futuri formatori, i quali a loro volta hanno gestito a livello decentrato i corsi per i caregiver.
La figura del formatore risulta centrale in questo progetto, poiché rappresenta un punto di
riferimento costante per il caregiver, sia esso un famigliare, un volontario o un assistente
domiciliare; questo ruolo si connota soprattutto per la dimensione di presa in carico delle
situazioni che i caregiver riportano e ciò prosegue anche a percorso di formazione
concluso. La selezione dei formatori è stata preceduta da una fase di divulgazione e
confronto sul progetto con i vari enti e associazioni che ne hanno condiviso gli obiettivi e
che hanno segnalato i possibili formatori. La gamma di soggetti coinvolti in qualità di
formatori ha compreso operatori dei servizi pubblici, medici di famiglia, psicologi, volontari
provenienti da associazioni, incluse le organizzazioni dei pensionati, membri di
cooperative sociali.
Per facilitarne il lavoro, oltre che per sostenere l’attività concreta dei caregiver, è stato
predisposto un testo di agile consultazione, articolato in cinque parti corrispondenti alle
fasi evolutive della malattia, cui fa seguito un’appendice contenente un panorama il più
completo possibile delle informazioni essenziali sui servizi pubblici e le associazioni che
possono essere d’aiuto al caregiver nello svolgimento della sua attività di cura. Particolare
enfasi è stata conferita in questa pubblicazione nel suggerire al caregiver molta attenzione
alla cura di sé, a partire dalla consapevolezza che l’assistenza alla persona demente è
lunga e logorante e pertanto diventa fondamentale prevenire gli effetti negativi che questo
fardello inevitabilmente produce. Anche il caregiver, in altre parole, ha bisogno di cura.
I punti di forza del progetto
A due anni di distanza può essere interessante analizzare alcuni risultati di questo
percorso tuttora attivo, avendo la Regione Liguria rifinanziato il progetto per le zone non
ricompresse nella prima sperimentazione, ovvero Chiavari, Sestri Levante, Savona.
Partiamo da alcuni dati: nel capoluogo ligure sono stati realizzati tra il 2003 ed il 2004
tredici corsi, coinvolgendo circa 140 caregivers.
Sono almeno due le direzioni in cui cercare i risultati più significativi di questa prima
esperienza : da una parte l’effettiva capacità del progetto di attivare processi a cascata, ivi
incluse iniziative “imitative” avviate da altri attori venuti a contatto con il progetto. È infatti
un risultato positivo anche il fatto che associazioni e cooperative del terzo settore, avendo
partecipato alle attività di formazione dei formatori, abbiano deciso di riproporre analoghi
percorsi nei loro specifici ambiti di riferimento. In particolare un progetto rivolto alla
formazione di personale d’assistenza (“badanti”) proveniente da altri contesti culturali,
promosso e gestito da una cooperativa sociale è andato a integrare utilmente la gamma
dei destinatari, rivolgendosi ad una quota di caregiver difficilmente raggiungibile dalle
strutture pubbliche, ma fortemente coinvolta nell’attività di cura ed altrettanto esposta al
rischio sia di vivere situazioni logoranti, frustranti e poco riconosciute, sia di diventare
soggetto maltrattante anche in conseguenza delle precarie condizioni di lavoro e della
scarsa preparazione specifica ricevuta. Questi caregiver informali fanno quasi sempre
ricorso alla loro esperienza pratica e buon senso più che al sapere acquisito in percorsi
formativi formalizzati; pertanto le loro conoscenze potrebbero a volte presentare lacune,
pregiudizi ed altre distorsioni nell’approccio. D’altra parte la possibilità di una delega
sbrigativa da parte delle famiglie costituisce eventualità non improbabile, che aumenta il
senso d’insicurezza di fronte a situazioni e comportamenti dell’anziano difficili da gestire
per chiunque.
Si ricordi che il rischio di mettere in atto comportamenti aggressivi è molto diffuso in tutte
le situazioni che coinvolgono da una parte soggetti deboli, come sono tutti gli anziani non
più autosufficienti, e dall’altra caregiver (siano essi famigliari o soggetti esterni alla
famiglia) che sono chiamati ad un’assistenza continua, gravosa, nonché sovente molto
conflittuale sia nei rapporti con l’anziano, sia con gli altri attori a vario titolo prossimi al
malato.
Il ricorso a questa forma di aiuti esterna alle famiglie ha ormai assunto una rilevanza
molto significativa , soprattutto nelle realtà metropolitane ed ancor più in contesti, come
quello genovese, la cui composizione demografica vede oggi una presenza di over65 che
supera il 25 % della popolazione. A differenza, poi, di altre città del nord Italia connotate
da una massiccia presenza di anziani, ma collocate in ambiti territoriali meno anziani, la
Liguria nel suo insieme non si discosta molto dagli indici demografici genovesi.
L’altra direzione riguarda invece i caregiver stessi e gli eventuali benefici derivanti dal
progetto. Avevamo supposto di incontrare situazioni di grave affaticamento e stress, quindi
di logorio fisico e psichico, fardelli che le attività messe in atto si auguravano di alleviare.
Le situazioni di partenza ci hanno confermato la drammaticità di molte situazioni ed il
generale senso di solitudine di chi si trova a dover affrontare, nella generale
impreparazione e diffusa indifferenza, questa prova.
Procedendo nelle attività del progetto hanno cominciato ad emergere nei caregiver
competenze inizialmente inattese: la condivisione delle ansie, paure, incertezze ma anche
acquisizioni, esperienze, consapevolezze hanno “liberato” la loro capacità creativa e
propositiva, un’energia che si è tradotta in richieste strutturate, progetti con i quali queste
persone hanno dimostrato l’enorme potenziale presente anche nelle situazioni più gravose
e depressive.
La prima proposta progettuale formulata dai caregiver genovesi ha riguardato l’apertura di
uno spazio di incontro per anziani e loro caregiver esterno ai servizi; la positiva
accoglienza da parte dell’Amministrazione comunale e la disponibilità di uno spazio di
proprietà di una cooperativa sociale ha portato in tempi ragionevolmente brevi all’apertura
del “Caffè di Oz”, primo caffè Alzheimer aperto in Liguria. Questo locale è stato pensato e
organizzato con una duplice funzione: creare un punto stabile d’incontro per i caregiver e
offrire loro anche l’opportunità di un affido temporaneo del loro congiunto per poter
disporre di un breve tempo libero (il caffè si trova nel cuore del centro storico genovese e
quindi anche di una fitta rete commerciale e di servizi di pubblica utilità, facilitando quindi
la possibilità di accedervi).
Le più frequenti parole chiave che si ritrovano nei colloqui con i caregiver che hanno fatto
questa esperienza sono “solidarietà”, “condivisione”, “concreto aiuto” nelle emergenze: di
fronte a situazioni urgenti e difficili da affrontare, dichiarano molti di loro, la risposta
prevista dai servizi pubblici risulta sovente inadeguata, perché burocratica e troppo lenta
nei tempi di erogazione. Altra grave carenza lamentata coralmente riguarda non solo la
scarsità delle risposte, ma la diffusa difficoltà ad accedere alle informazioni in merito ad
esse, informazioni che in questo panorama di scarsità nell’offerta diventano ancora più
preziose. Da qui prende spunto la necessità di auto-organizzarsi per non disperdere tutto
quanto la diretta esperienza ha fatto acquisire; ha così preso corpo un’associazione
(Associazione Famiglie Malati di Alzheimer : AFMA) che riunisce i caregiver coinvolti nel
progetto genovese, con la finalità di protrarre oltre la fine del corso il concreto mutuo aiuto
lì sperimentato, ma anche di studiare nuove soluzioni alle molteplici problematiche che la
malattia fa emergere. Ne consegue il ruolo di pressione politica per adeguare le risposte,
ruolo esercitato all’interno di una rete di risorse territoriali, che si va costruendo.
Particolare attenzione viene dichiarata dai soci fondatori verso il sostegno e supporto
psicologico ai caregiver, nelle diverse fasi e passaggi decisionali che dovranno affrontare,
dalla decisione di ricorrere ad aiuti esterni, come può essere l’inserimento in una struttura
semiresidenziale, alla gestione dei sensi di colpa che alcune situazioni inducono, sino al
difficilissimo periodo di elaborazione del lutto e riorganizzazione della propria esistenza su
nuove direzioni.
Attualmente l’Associazione sta lavorando su un progetto di centro diurno che sia in grado
di soddisfare le specifiche esigenze di questi pazienti sia nell’organizzazione degli spazi
fisici (che si vorrebbero meno sanitarizzati di quanto normalmente progettato), che nelle
proposte di attività e più in generale nel clima complessivo che parenti e pazienti possono
avvertire all’interno della struttura.
I soci hanno previsto il supporto di un comitato scientifico composto da medici ed operatori
sociali resisi nel frattempo disponibili.
La costituzione in associazione ha anche un altro rilevante significato : la prosecuzione del
rapporto solidaristico tra caregiver anche dopo la morte del parente malato. Si tratta cioè
di una assunzione di responsabilità verso chi vive situazioni di pesante difficoltà , a
prescindere dal proprio immediato beneficio.
Chi è stato segnato da questa dolorosa esperienza e ha poi trovato conforto in un gruppo
di auto mutuo aiuto sembra considerarsi membro a vita di una comunità solidale, che forse
gli ha aperto anche nuove prospettive esistenziali.
Ci sembra, in conclusione, che anche sotto questo profilo l’esperienza in corso meriti di
essere seguita e accompagnata nei suoi sviluppi per gli aspetti innovativi che potrà
suggerire a chi studia e progetta l’evoluzione dei sistemi di welfare.
Un manuale a supporto del caregiver
Il testo che accompagna la realizzazione del Progetto, ha ovviamente una struttura
multidisciplinare, spaziando i contenuti dalle informazioni sanitarie minime che occorrono a
chi si prende cura di un malato di Alzheimer alle indicazioni per mettere in sicurezza
l’alloggio via via che le condizioni dell’anziano si aggravano.
Gli autori hanno posto particolare attenzione alla semplicità del linguaggio e della struttura
organizzativa del testo, che riproduce in ogni capitolo la stessa sequenza tematica :
- cosa occorre sapere
- con chi parlare
- cosa fare
- quali possono essere le conseguenze
- quali cure sono possibili
- come deve comportarsi il caregiver
Le indicazioni fornite, i suggerimenti sul come comportarsi, le attenzioni suggerite
riguardano sia l’assistenza al malato, sia la cura di sé, nella convinzione che uno dei
compiti più difficili per il caregiver sia trovare il giusto equilibrio tra la dedizione e la
salvaguardia del proprio benessere complessivo. La pagina che segue, tratta dal primo
capitolo del “Manuale del caregiver”, ben esemplifica questa attenzione.
Valutare gli impegni del “prendersi cura”
Se non si cede alla tentazione di rimuovere il problema, occorre una tempestiva e
adeguata riflessione, considerando prima di tutto che l’impegno del caregiver in genere
dura diversi anni. La gravosità di tale ruolo è fuori discussione; pertanto questa condizione
va “governata”, evitando di esserne travolti.
Per valutare concretamente la situazione e i rischi che i caregiver corrono, è necessario
costruire la mappa del proprio stile di vita, per evidenziare gli aspetti importanti e
irrinunciabili e quelli meno importanti e quindi non indispensabili. Lo stile di vita
naturalmente comprende le relazioni con gli altri, le abitudini, i piacere, gli hobbies, gli
impegni lavorativi e sociali e così via.
Sarà questa la base per decidere, nei confronti di se stessi e in accordo con i servizi, lo
spazio da riservare alla cura e all’assistenza della persona anziana malata.
Il lavoro di cura è un lavoro che presenta aspetti coinvolgenti, faticosi, impegnativi; è
opportuno perciò prevedere fin dall’inizio qualche aiuto, senza costruire allarmismi inutili,
ma anche per non essere colti di sorpresa.
Ecco gli aspetti su cui merita riflettere:
- la dimensione pratica (prendersi cura, fare assistenza, accudire materialmente
venendo a contatto con il corpo, compiendo gesti di cura inusuali in un rapporto tra
adulti, creare benessere,contenere/controllare, gestire molti aspetti a sostegno della
vita dell’altro, fare da mediatore con altri familiari, con operatori, con servizi, con le
risorse del territorio, ecc.);
-
-
la dimensione relazionale (sentirsi vicino a, creare un nuovo tipo di legame con,
essere solleciti verso i bisogni di, costruire una relazione di aiuto, entrare nel mondo
relazionale dell’altro, costruire collaborazione, gestire le aggressività, il conflitto,
fare da ponte tra persona malata e chi non conosce la malattia, vivere l’inversione
dei ruoli, cioè figli che curano i genitori ecc.);
la dimensione emotiva (essere preoccupati, in ansia per, avere a cuore il
benessere, provare affetto, tenerezza per, provare sentimenti ed emozioni sia
positive sia negative per, provare sentimenti di aggressività, di delusione, essere
assaliti da paure per sé, non riconoscere il proprio caro, vivere il proprio non essere
riconosciuti dal malato, ecc.);
l
---
a dimensione etica (sentirsi responsabili, sentirsi impegnati con, rispettare i valori
di, salvaguardare i propri valori, ecc.).
Bibliografia :
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