Nessuno nasce
cristiano, nemmeno in
un mondo cristiano e
da genitori cristiani
«Come ho scritto nell’Enciclica
Deus caritas est, all’inizio
dell’essere cristiano - e quindi
all’origine della nostra
testimonianza di credenti - non c’è
una decisione etica o una grande
idea, ma l’incontro con la Persona
di Gesù Cristo, “che dà alla vita un
nuovo orizzonte e con ciò la
direzione decisiva» (n. 1)
[Benedetto XVI, IV Convegno
ecclesiale nazionale di Verona].
Chi
in
questo
momento
si
sente
particolarmente in sintonia con il
giudizio di Benedetto XVI, in continuità
con la Tradizione per la quale
l’adesione alla verità è un “Fatto
cristiano”, è la fraternità di Comunione
e
Liberazione.
Per
questo
ha
pubblicato il libro, che è anche testo di
CL per la Scuola di comunità di
quest’anno, Il cammino al vero è
un’esperienza, che raccoglie tre scritti
di mons. Luigi Giussani risalenti
all’inizio del movimento di Comunione
e Liberazione (Imprimatur: 1959,
1960, 1964). Nel terzo scritto, Appunti
di metodo cristiano, descrive il fiorire
del cristianesimo nel mondo non come
frutto della nostra cultura, ma come
gesto della potenza di Dio, che “si
rivela in fatti, avvenimenti, che
costituiscono una realtà nuova dentro
il mondo, una realtà viva, in
movimento, e quindi una storia
eccezionale e imprevedibile dentro la
storia degli uomini e delle cose. La
realtà cristiana è il mistero di Dio che
è entrato nel mondo come una storia
umana” (vedi il capitolo “Una grande
promessa”,
p.
129).
Fatto
ad
immagine e somiglianza di Dio,
destinato a figlio nel Figlio, ogni essere
umano concreto esperimenta nel
proprio io, nel proprio cuore un
bisogno, una solitudine originaria,
“metafisica” cioè non contingente ma
che riguarda il proprio essere, che
niente e nessuno possono colmare se
non l’incontro con quel vissuto umano
in cui brilla il Mistero divino cioè il
volto umano di Dio dell’incarnazione in
volti concreti di comunione ecclesiale
nei
quali
l’incarnazione
cioè
la
presenza della Persona di Gesù Cristo
risorto continua. La parola “incontro”,
scrive Giussani e i suoi scritti sono,
poi, quello che è accaduto in lui,
“implica in primo luogo qualcosa di
imprevisto
e
sorprendente”,
l’imbattersi imprevisto con qualcosa di
reale “che ci arriva da fuori di noi”,
senza del quale il nostro cuore
rimarrebbe
rattrappito
o
si
corromperebbe. E’ l’incontro con la
Persona di Gesù Cristo risorto ed è la
comunione con Lui che ci rende liberi e
uniti in amicizia, ci dà il vero noi
fraterno, ecclesiale, come persone e
come comunità in Dio che regna.
Da qui emerge il metodo esistenziale
di solidarietà con tutta l’umanità
vivendo di fatto e realizzando, come
“in nucleo” con chi vive, studia, lavora,
si diverte, è “ambiente” con noi cioè
nel
“raggio”,
nella
“scuola
di
2
comunità”, l’incontro con la Persona di
Gesù Cristo come unico Salvatore e la
certezza di fede dell’inseparabilità
della
Chiesa
da
Cristo.
Una “novità carismatica” quella di
mons. Giussani, che colpiva i giovani
fin dagli inizi degli anni cinquanta, ma
che non era nient’altro che la semplice
ripresa
della
Tradizione,
come
sottolinea
il
cardinale
Christoph
Schonborn, arcivescovo di Vienna,
nella Prefazione al testo citato.
Di fronte a una prassi generalizzata
propria
di
chi
concepisce
idealisticamente la verità come un
continuo confronto dialettico Giussani
e oggi con insistenza chi guida la
fraternità, il movimento, cioè Julian
Carròn,
insistono
sul
racconto
personale
reciproco
dell’accaduto
scoprendo in esso i continui atti di Dio
in amicizia con ogni uomo per coglierlo
e
liberamente
accoglierlo.
Già Jean Daniélou ha sottolineato a più
riprese che la chiamata divina cioè “la
Rivelazione” ha un “qui e ora” continuo
e con essa ha sempre inizio una storia,
una relazione, e i vissuti di comunione
tra persone sono quelli che noi
chiamiamo
storia
perché
il
cristianesimo è essenzialmente fede in
un evento attraverso il quale irrompe
continuamente l’eterno nel tempo,
dandogli consistenza e trasformandolo
in storia, in visibilità di amore.
Parlando a Verona di una “razionalità
allargata” e dell’unità che tiene
insieme, nel pieno rispetto dei metodi
propri, teologia, filosofia e scienze, ha
incoraggiato l’avventura affascinante
nella quale merita spendersi, per dare
nuovo slancio alla cultura del nostro
3
tempo e per restituire in essa alla fede
cristiana
nuova
cittadinanza.
La fede è qualcosa che accade
Ma chi ha argomentato in modo
completo che l’evangelizzazione non è
mai un semplice adattarsi alle culture,
ma è sempre anche una purificazione,
un taglio coraggioso che diviene
maturazione
e
risanamento,
un’apertura a qualcosa di reale “che ci
arriva da fuori di noi” e che consente
di divenire anche soggettivamente
consapevoli che con il Battesimo siamo
divenuti oggettivamente, morendo e
risorgendo, quella “creatura nuova”
che è frutto dello Spirito Santo, è il
card. Joseph Ratzinger in Fede Verità
Tolleranza,
pp.
91-92.
L’icona dell’esodo, la frattura culturale,
col suo “morire per rinascere”, è un
tratto fondamentale del cristianesimo.
E ciò fin dal padre della fede Abram,
con l’imperativo che viene da Dio:
“Vattene dal tuo paese, dalla tua
patria e dalla casa di tuo padre” (Gn
12,1). L’esodo di Israele dall’Egitto, il
vero e proprio evento fondativo di
Israele, del nuovo Israele cioè di noi
Chiesa, è anticipato nell’esodo di
Abram, che come tale è stato anche
una frattura culturale. Nella linea della
fede di Abram, anche della fede
cristiana possiamo dire che nessuno se
la trova davanti come cosa già sua,
già rassicurata, nemmeno frutto di
consuetudine, di ambiente, di cultura
cristiana: Cristo ha affermato di essere
la verità, non la consuetudine. Non
viene mai da quel che è nostro
proprio. Irrompe dal di fuori. Ed è
sempre così. “Nessuno - netto il
4
giudizio di Ratzinger - nasce cristiano,
nemmeno in un mondo cristiano e da
genitori cristiani. Il cristianesimo può
avvenire sempre solo come nuova
nascita. L’essere cristiano ha inizio col
battesimo, che è morte e risurrezione
(Rm 6), e non con la nascita
biologica”.
Anche Romano Guardini (Daniélou,
Guardini, Ratzinger sono autori di casa
di Giussani) ha sottolineato questo
aspetto, questo tratto fondamentale
della fede cristiana, della fede biblica,
che non emerge dal proprio interno,
ma viene a noi dal di fuori. Il
cristianesimo, la fede cristiana non è
un prodotto delle nostre esperienze
interiori, ma un evento che ci viene dal
di fuori. Se ciò che è decisivo non è la
qualità dell’esperienza spirituale ed
etica personale, ma la chiamata, allora
tutti quelli che la accolgono comunque
ridotti, in ultima istanza sono nella
stessa condizione gratuita. “Mai e poi
mai si può desumere Dio da
esperienze interiori; al contrario, Egli
può irrompere, a dispetto di tutte le
esperienze, muovendo da un’origine
totalmente altra, che presuppone la
nostra capacità di essere toccati,
presi”, per il nostro bisogno, la nostra
solitudine: siamo fatti, destinati a
questo. La fede poggia sul fatto che ci
viene incontro qualcosa (o qualcuno) a
cui la nostra esperienza di per sé non
riesce a giungere. “Non è l’esperienza
- precisa Ratzinger - che si amplia o si
approfondisce (…) ma è qualcosa che
accade. Le categorie di “incontro”,
“alterità”, evento, descrivono l’intima
origine della fede cristiana e indicano i
limiti del concetto di “esperienza”.
5
Indubbiamente ciò che ci tocca ci
procura esperienza, ma esperienza
come frutto di un evento, non di una
discesa nel profondo di noi stessi. E’
proprio questo che si intende con il
concetto di Rivelazione: il non proprio, ciò che non appartiene alla
sfera mia propria, mi si avvicina e mi
porta via da me, al di là di me, crea
qualcosa di nuovo. Questo è ciò che
determina anche la storicità della
realtà cristiana, che poggia su eventi e
non sulla percezione della profondità
del proprio intimo, che poi è quel che
si chiama “illuminazione”. La Trinità
non è oggetto della nostra esperienza,
ma qualcosa che mi deve esser detto
dall’esterno, mi si avvicina dal di fuori
come “Rivelazione”. Lo stesso vale per
l’Incarnazione del Verbo, che è
appunto un evento e non può essere
trovato
nell’esperienza
interiore.
Questo arrivare dal di fuori è
scandaloso per l’uomo, che tende
all’autarchia e all’autonomia, è una
pretesa eccessiva per qualunque
cultura: quando Paolo dice che il
cristianesimo è uno scandalo per i
Giudei, e per i “gentili” stoltezza (1
Cor 1,23), con queste parole vuole
appunto esprimere tale peculiarità
della fede cristiana, che per tutti viene
“dal di fuori”. Ma proprio questo nuovo
intervento, che fa breccia nel nostro
spazio esperienziale, nella nostra
coscienza che siamo una cosa sola col
tutto, ci porta entro uno spazio più
grande, e proprio così ci apre la
possibilità di superare il pluralismo e di
accostarci
gli
uni
agli
altri”.
Per divenire soggettivamente quello
che il Battesimo oggettivamente ci ha
6
dato c’è un esodo da compiere, c’è un
morire alla propria solitudine, ma per
riavere in dono cento volte tanto, anzi
ciò che il bisogno, la solitudine
attendeva. “Io, ma non più io”: è
questa
la
formula
dell’esistenza
cristiana fondata sul Battesimo, la
formula della risurrezione dentro al
tempo, formula della “novità” cristiana
chiamata a trasformare il mondo. Qui
sta la nostra gioia pasquale.
AUTORE
Oliosi, Gino
CURATORE
Mangiarotti, Don Gabriele
FONTE
CulturaCattolica.it
7