Morte, Felicità e calcolo dei Danni Compensatori

dott. Giampaolo Marino*
* Medico Direzione Sanitaria Ospedale Regina Margherita di Castelfranco Emilia Ausl di Modena
Le conseguenze patologiche per i familiari
e i costi sanitari del lutto
Introduzione
Il termine "lutto" indica la reazione alla morte di una persona cara.
Si tratta di una risposta comune a tutti gli esseri umani tanto che, pur avendo un significato
soggettivo “catastrofico”, viene vissuto come un'esperienza "fisiologica".
In alcuni casi, tuttavia, vivere il lutto può anche diventare un morbo grave, al punto da sollecitare
l’insorgenza di una vasta gamma di problemi e malattie (M. Sgarro 2008), determinando addirittura
in certi casi un aumento del rischio di mortalità di coloro che lo hanno vissuto, come dimostrato da
numerose ricerche epidemiologiche svolte negli ultimi decenni.
Il termine “lutto” non è sinonimo di malattia, ma di un serio “fattore di rischio” per la salute che, se
viene trascurato o sottostimato, può contribuire all’insorgenza di una serie di patologie che
comportano anche un costo non trascurabile per i servizi sanitari.
La perdita di salute fisica, psichica e di benessere nei familiari che hanno subito un lutto ha dei costi
diretti, indiretti e intangibili.
Questi costi si ripercuotono sui bilanci della spesa sanitaria, su quella delle famiglie e dei singoli,
ma, come tali, non sono stati mai valutati e considerati.
Il paradosso è che, non essendo il lutto riconosciuto come un fattore di rischio d’insorgenza di
malattie, non entra nelle strategie di prevenzione sanitarie e sociali.
Se non si misura il fenomeno, evidentemente, non ci si pone neanche il problema di farvi fronte.
La stretta correlazione tra vissuto emotivo e patologia del corpo, è stata dimostrata in ambito
epidemiologico e clinico.
Lutto e psicopatologia
Per quanto riguarda l’insorgenza delle malattie cardiovascolari (che rappresentano la principale
causa di morte per le popolazioni dei paesi più industrializzati) la ricerca scientifica ha dimostrato
che i fattori di rischio biologici, al pari di quelli psicosociali, rivestono un ruolo fondamentale.
Il Journal of American College of Cardiology ha pubblicato una revisione della letteratura per
quanto riguarda i fattori psicosociali (rappresentati da depressioni, sindrome ansiosa, isolamento
sociale e stress vitale, acuto e cronico, tutti particolarmente frequenti nel lutto) che confermava lo
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stretto legame “concausale” nell’insorgenza delle patologie coronariche (A. Roncella, D. La Rocca
2008).
In uno studio condotto da Barefoot ed altri su 1.250 pazienti con cardiopatia ischemica, valutati per
la depressione (evento molto frequente nel lutto), seguiti con un follow up per quasi venti anni, è
stato individuato un aumento della mortalità nei pazienti depressi rispetto ai non depressi.
In particolare i pazienti con depressione da moderata a severa avevano, entro cinque anni, il 69% in
più di rischio di morte cardiaca (determinata prevalentemente da aritmie cardiache che si
verificano perlopiù nei pazienti affetti da cardiopatia ischemica) e il 78% in più di mortalità per
tutte le altre cause di morte rispetto ai non depressi.
Un fenomeno simile alla depressione e che si manifesta molto frequentemente nel lutto è
l’esaurimento vitale (vital exaustion). Si caratterizza per sintomi come la stanchezza, l’irritabilità e i
sentimenti di demoralizzazione. E’ stato dimostrato un suo ruolo nello sviluppo di una
coronaropatia e di nuovi eventi coronarici sia in soggetti sani che coronaropatici (Apples e Mulder
1988 e Kop et al. 1994).
Un altro studio realizzato in Spagna suggerisce una percentuale di 33.8 % di potenziale depressione
nei caregivers dopo il lutto e suggerisce di mettere in campo delle strategie di prevenzione per le
persone più esposte (P. Rebollo, J. Alonso et al. 2004).
Importante è il ruolo giocato in positivo o in negativo dal “supporto sociale” che rappresenta le
risorse offerte alla persona da altre persone durante e dopo eventi particolarmente stressanti come il
lutto. Diversi studi hanno dimostrato come uno scarso supporto sociale, rappresentato da una
mancanza di un adeguato contesto familiare, dall’assenza di legami di amicizia, da uno stato civile
“single”, dalla presenza di separazioni e divorzi, si correli a un aumento di due o tre volte del
rischio di malattia coronarica (Rozanski, Blumenthal, Kaplan 1999).
Sulla stessa linea d’onda sono gli studi relativi a un campione di persone rimaste vedove dove
l’indice di mortalità è addirittura risultato di sette volte maggiore rispetto ai gruppi di controllo
(Solano 2001, Rees e Lutkins 1967).
L’esperienza del lutto sebbene relativamente rara nel periodo dell’infanzia, presto o tardi diventa
parte inevitabile nell’esperienza di ognuno. Se solo il 3-4% dei giovani sotto i 18 anni vivono
l’esperienza del lutto per la perdita dei loro genitori (Christ Gh, Jama 2005; 288:1269-79), nella
popolazione più adulta il lutto di un coniuge è molto più frequente con circa il 45% di donne e il
15% di uomini oltre i 65 anni che diventano vedovi (Margaret S. Lancet 2007; 370: 1960-73).
In genere l’eccesso di mortalità nella popolazione vedova è più alto nei primi mesi, il picco è nella
prima settimana, e poi tende a decrescere in parallelo con la durata del periodo del lutto e la
mortalità è spesso correlata a cause violente, a patologie alcool correlate e a cardiopatia ischemica
(Martikainen P J. Epidemiol Community Health 1996; 50: 264-268).
Uno studio finlandese su 95.647 persone diventate vedove ha osservato che la più alta frequenza di
mortalità (tasso standardizzato di mortalità) si è verificata subito dopo il lutto, entro la prima
settimana e, prendendo in considerazione la sola cardiopatia ischemica, era di 2,3 volte superiore
per gli uomini e di 3,4 volte per le donne, alla frequenza di mortalità attesa per tutte le fascie d’età
(Kaprio, Koskenvuo e Rita, Am J Publich Health 1987; 77:283-287).
La percentuale più alta di mortalità per tutte le cause (inclusi incidenti stradali e morti violente) si
concentra nella prima settimana dopo il lutto, (44% per gli uomini e 49.2% per le donne
Kaprio1987).
Lo studio evidenzia nella popolazione vedova un tasso di mortalità per tutte le cause superiore del
6,5% rispetto all’atteso, del 93% per le morti violente e di un aumento del numero di suicidi del 242
%.
Altri studi avrebbero inoltre evidenziato una correlazione diretta tra lo “stress emozionale acuto”,
rappresentato spesso dal vissuto del lutto relativo alla perdita di una persona cara e l’insorgenza
dell’infarto miocardico acuto a coronarie sane, in assenza, quindi, di una pregressa ostruzione
aterosclerotica rilevabile mediante angiografia (Wittestein et al. 2005). A questo proposito,
nell’ambito di una ricerca condotta presso il Dipartimento di Malattie Cardiovascolari
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dell’Ospedale S. Filippo Neri di Roma, finalizzata a valutare il ruolo dei fattori di rischio
psicosociali tra cui il lutto, nell’insorgenza della cardiopatia ischemica e, in particolare dell’infarto
acuto, è stata proposto un ambulatorio di “cardiopsicologia”, finalizzato alla prevenzione primaria e
secondaria nel campo delle malattie cardiovascolari e rivolto a giovani e adulti senza limiti d’età.
Uno studio svedese ha, inoltre, osservato come circa il 46% dei familiari avrebbe bisogno di un
supporto terapeutico e di un follow up dopo il vissuto di un lutto (A. Milberg, E. Carin Olsson et al.
2008).
Gli “stressor psicosociali” agiscono dal canto loro sia indirettamente, favorendo un comportamento
disfunzionale (fumo, vita sedentaria, dieta ricca di grassi ecc..), sia direttamente a livello dei
sistemi che regolano tutto il nostro organismo, in particolare a livello della coagulazione, del
sistema neurovegetativo, della vasomotricità coronaria e vascolare in generale, del sistema
immunitario, endocrino e dell’apparato gastroenterologico.
Anche per quanto riguarda i tumori, che rappresentano la seconda causa di morte per la
popolazione, alcuni studi sembrano indicare una precisa correlazione tra l’incapacità a far fronte ad
eventi particolarmente stressanti (quali il lutto), e l’aumentato rischio d’insorgenza di neoplasie.
Uno studio eseguito a livello nazionale in Danimarca, inerente all’aumento del rischio d’incidenza
di neoplasie nei genitori che hanno perso un figlio ha rilevato un aumento sensibile del rischio
d’insorgenza di neoplasie nelle madri, in particolare correlato al fumo (*rischio relativo: 1,65) (Li J,
Johansen C, Hansen S, Olsen J 2002). Da sempre si sostiene che la perdita di un familiare sia una
delle cause scatenanti di malattie mentali. Spesso l’associazione era limitata alla depressione, o ad
altri disturbi affettivi, e sempre veniva sottolineato il rapporto tra l’intimità con lo scomparso e la
probabilità delle conseguenze. Tipico è il caso delle vedove, per le quali è stato provato un aumento
delle malattie mentali nel primo anno dalla scomparsa del coniuge. Meno si sa, invece, di quanto
accada ai genitori che hanno perso un figlio. Questo l’oggetto di una ricerca danese (Li J et al.
Hospitalization for mental illness among parents after the death of a child. N Engl J Med. 2005
Mar 24;352(12):1190-6.), che ha valutato la situazione in un campione di oltre un milione di
persone con almeno un figlio di età inferiore ai 18 anni nel periodo dal 1970 al 1999. E’ indubbio
che la perdita di un figlio è un evento drammatico e sconvolgente sul piano psicologico e fisico e
comporta, di per sé, un peggioramento dello stato di salute precedente. Tuttavia, ciò su cui si è
concentrato lo studio non sono stati gli episodi di disturbo mentale, in un certo senso inevitabili,
data la drammaticità dell’evento, ma le situazioni così serie da richiedere un ricovero in una
struttura psichiatrica specialistica. Nel campione così individuato, si sono verificate poco meno di
12.000 morti di figli entro i diciotto anni, per un totale purtroppo di oltre 17000 genitori “deprivati”,
come li definiscono gli autori dello studio.
*Il Rischio relativo (RR) indica il rischio di un paziente rispetto ad altri (Rischio=1 indica un rischio uguale; un valore 0,5
o 3 indicano rispettivamente che il rischio è la metà o il triplo rispetto al riferimento. Ma qual è il termine di riferimento? I
casi più frequenti sono due: un individuo di pari sesso ed età, con fattori di rischio medi per la popolazione, oppure, un
individuo di pari sesso ed età ma con i livelli ottimali di fattori di rischio (FR) ad es. quelli consigliati dalle linee guida. Le
differenze possono essere notevoli: il RR di un americano maschio di 47 anni, con rischio assoluto del 20% di eventi a
10 anni può essere 2 o 5 se consideriamo la prima o la seconda possibilità; il che ha profonde ricadute pratiche. Rischio
evitabile. È il vero nocciolo del problema ed è l’obiettivo vero della prevenzione, in quanto non è mai possibile azzerare il
rischio, ma solo limitarne la componente dovuta a FR modificabili. Riprendendo il concetto di RR, lo spazio della nostra
azione preventiva è il “delta” tra il rischio del nostro paziente e quello di un altro di pari età e sesso, con valori ideali di
FR. Dovendo noi portare il RR al valore di 1, tanto maggiore sarà il RR del nostro paziente e tanto maggiore sarà lo
“spazio” per gli interventi preventivi. Il concetto di rischio evitabile è molto importante non solo per la scelte delle strategie
di popolazione (aspetto qui non affrontato), ma anche per valutare i benefici attesi per i singoli pazienti.
I dati di tutto il campione sono poi stati incrociati con quelli del registro nazionale dei ricoveri
psichiatrici, questi ultimi sono stati suddivisi in tre grandi gruppi di cause:
 disordini affettivi (crisi di panico, depressione, ecc.)
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

schizofrenia
abuso di sostanze (alcol o droghe, ecc.).
Il dato generale ha confermato le aspettative: il rischio di un ricovero psichiatrico aumenta
complessivamente del 67% nei genitori che hanno perso un figlio. Il rischio è risultato essere più
alto nelle madri (78%) che nei padri (38%). Questa differenza si manteneva anche quando i figli
persi erano due: nelle madri era più che tripla la frequenza dei ricoveri psichiatrici, mentre, nei padri
era pari a 2,3 volte circa. L’età del figlio scomparso non influiva sul rischio di ricovero. Nelle madri
le malattie gravi erano più frequenti nel primo anno dopo la perdita, ma rimanevano comunque più
elevate anche a cinque e più anni di distanza dal lutto. Nei padri si osservava, invece, una
diminuzione con il tempo, ma solo per i disturbi “affettivi” e, solo il rischio di ricovero per abuso
di sostanze, rimaneva più elevato dopo i cinque anni.
Uno studio realizzato in Danimarca tra il 1980 e il 1996 che ha riguardato oltre 21.000 genitori che
hanno perduto un figlio, ha evidenziato un aumento del rischio di ricovero ospedaliero per
l’insorgenza di diabete di tipo I del 29% (rr 1.29) e un 44% per il diabete di tipo II (rr. 1.44) che
sale ulteriormente (rr. 1.88) se vengono considerate solo le madri che, quindi, sembrano essere,
davvero, le persone più a rischio (J. Olsen, J. Li and D. H. Precht 2005).
Uno studio inglese (C.L. Hart, D. J. Hole, A. Lawlor pubblicato sul Journal of Epidemiology and
Community Health 2007) conferma la presenza nei vedovi e nelle vedove, di un aumento
complessivo del rischio di morte (rr 1.27) rispetto al gruppo di controllo, per l’insorgenza di
patologie cardiovascolari, coronariche, ictus, neoplasie, neoplasie fumo correlate ed eventi violenti
come l’aumento del tasso di suicidi. L’American Journal of Publick health ha pubblicato nel 2008,
un articolo finlandese (Elina Nihtila, MSocCc et P. Martikainen) che ha analizzato un ampio
campione di ultrasessantacinquenni, in cui si evidenzia come il rischio di un ricovero prolungato
“long term” (per una durata di oltre novanta giorni), nel primo mese dopo la morte del coniuge, era
più alto del 231% per gli uomini e, del 262%, per le donne, rispetto al gruppo di controllo. Un anno
dopo, tuttavia, scendeva a circa il 40/50% per gli uomini e al 20/30% per le donne.
Vi sono tanti altri riscontri scientifici sulle conseguenze del lutto, tra cui il rischio di suicidi (Szanto
et al. 2006) che riscontra la presenza di pensieri suicidari nel 65% delle persone a cui è mancata una
persona cara, nel 29% dei casi la messa in atto di un qualche comportamento suicida anche
indiretto.
I costi sanitari
I costi sanitari relativi alle conseguenze del lutto sono rappresentati dai:



costi diretti, principalmente costituiti dalle spese relative all’attività di prevenzione,
diagnosi e cura dei pazienti. Esprimono il valore delle “risorse sanitarie” e “non
sanitarie” che devono essere impiegate e spese per la diagnosi, il trattamento e la
riabilitazione delle varie patologie (i farmaci, i ricoveri ospedalieri, le visite
specialistiche, le visite del medico di medicina generale, gli esami strumentali e
clinici);
costi indiretti, principalmente costituiti dalla perdita di produttività sul lavoro dovuta
all’assenza causata dalla patologia (comprendono inoltre anche il tempo impiegato
dai familiari per l’assistenza informale);
costi intangibili identificabili in tutti quegli effetti negativi provocati dalle
conseguenze patologiche che hanno determinato un peggioramento della qualità
della vita dei familiari e dei loro amici (il deterioramento dei rapporti sociali,
l’isolamento, l’angoscia, il dolore sono tutti elementi che incidono sulla qualità della
vita delle persone).
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Prendendo in considerazione, a titolo di esempio, tra le conseguenze patologiche del lutto,
unicamente il binomio depressione (33.8 % di potenziale depressione nei caregivers dopo il lutto)
in link con l’incidenza della cardiopatia ischemica (2,3 volte superiore per gli uomini e 3,4 volte per
le donne rispetto allo standard) e il rischio di morte cardiaca (69% in più di rischio di morte
cardiaca se è presente depressione di grado moderato o severo), si può stimare indicativamente
l’impatto che hanno sui servizi e sulla spesa sanitaria.
A questo proposito, i costi dei soli ricoveri ospedalieri, riferiti alla Regione Emilia Romagna
nell’anno 2007, ammontano per la cardiopatia ischemica a 25.689.520 euro (relativi a 4.813
dimessi) e per l’infarto miocardico acuto e pregresso a 75.153.712 euro (relativi a 11.395 dimessi).
A fronte di un numero totale di 46.307 (24.093 femmine e 22.214 maschi) persone decedute in
Emilia Romagna nel 2007, considerando almeno un familiare o due a rischio di potenziali
conseguenze psipatologiche (particolarmente esposti soprattutto i vedovi/e), si può desumere, anche
a livello intuitivo, come le ripercussioni sui costi e sulla spesa sanitaria abbiano un impatto tuttaltro
che trascurabile. Un ruolo non secondario potrebbe essere giocato dalla prevenzione, dalla
formazione e dalla comunicazione sanitaria.
La prevenzione
La prevenzione delle conseguenze patologiche del lutto (cardiopatie ischemiche, diabete,
depressione, ipertensione, ecc.) dovrebbe entrare a pieno titolo all’interno dei programmi di
prevenzione primaria già esistenti (per le cardiopatie ischemiche sono il controllo della dieta, il
praticare attività fisica, il controllo del colesterolo, l’astensione dal fumo, ecc..) essendo un fattore
concreto e documentato di rischio per l’insorgenza di cardiopatie (insieme ad altri fattori quali
diabete, dislipidemia, fumo, familiarità, comorbidità..).
La formazione
Molto potrebbe fare una buona formazione ECM rivolta ai professionisti e agli operatori della
sanità, se solo uscisse da una certa banalità di contenuti e di metodologie formative. Una
formazione che dovrebbe contribuire allo sviluppo delle “medical umanities” ed integrare la
conoscenza scientifica con la conoscenza umanistica delle esperienze del malato, nell’ambito della
propria storia personale, partendo dal concetto che la salute non è solo un benessere fisico, ma
anche uno stato psicologico, relazionale e sociale.
La comunicazione
L’utilizzo di una comunicazione sanitaria rivolta ai familiari e alle altre persone a rischio, potrebbe
sicuramente contribuire a migliorare la consapevolezza sulla propria condizione di salute in chi si
trova a vivere un momento, così difficile, quanto inevitabile della vita. Un modo per superare quella
barriera invisibile del “silenzio” e della rimozione che è presente, oltre che nella società anche
all’interno delle strutture sanitarie.
Uno strumento semplice, quanto efficace, come una lettera scritta dalla struttura ospedaliera o dalle
omologhe strutture delle cure primarie, inviata al familiare che ha svolto il ruolo di caregiver,
potrebbe contribuire a promuovere comportamenti e stili di vita, salutari e corretti.
Le patologie si prevengono, si affrontano e spesso si sconfiggono, non solo con le medicine e le
tecnologie ma anche con il valore e il significato delle parole giuste.
La lettera
Caro Amico/a,
esprimiamo a te e ai tuoi familiari le più sentite condoglianze.
Perdere una persona cara è sicuramente una delle esperienze più difficili e dolorose che ci possano capitare nella vita, è tuttavia
possibile ritrovare un equilibrio, anche se diverso da quello che si aveva prima e, con il trascorrere del tempo, riconquistare la
serenità.
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Il succedersi delle emozioni, causate dalla perdita di una persona cara segue in genere diverse fasi: da una sensazione iniziale
d’incredulità e rifiuto, si passa a momenti di dolore e di rabbia, a volte di senso di colpa e di paura, per arrivare all’accettazione
della realtà e, infine, a una sensazione di pace.
Ti vorremmo allora dare alcuni suggerimenti che potrebbero forse esserti di aiuto per superare questi momenti di difficoltà che stai
vivendo.
E’ importante, innanzitutto, che cerchi di volerti bene. Accetta di non riuscire a tenere tutto sotto controllo.
È normale che la tua vita e i tuoi abituali ritmi siano, in parte, scombussolati.
Non te la prendere se ti capita di fare cose stupide o sbagliate, se ti senti confuso e disorientato, è normale e, forse, in questa fase
non può essere altrimenti.
A questo proposito, non ti lasciare andare fisicamente. È molto importante mangiare, magari anche poco, ma spesso e, senza eccessi,
secondo una dieta equilibrata che preveda frutta e verdure che sono ricche in vitamine e più digeribili.
Cerca anche di riposare il più possibile e di evitare un uso inappropriato di sonniferi e di psicofarmaci e, comunque, consultati
sempre con il tuo medico curante prima di assumerne. Gli psicofarmaci possono essere utili in alcuni casi, nei primi giorni, ma alla
lunga possono creare assuefazione e dipendenza, rischiando di bloccare il processo naturale di elaborazione del lutto.
Se hai difficoltà ad addormentarti e dei momenti di veglia notturna e dei risvegli prematuri, prova a utilizzare dei semplici metodi
come bere una bevanda calda, fare un bagno rilassante e seguire una routine regolare prima di coricarti.
Ti consigliamo di fare un po’di esercizio fisico, magari anche solo una piccola passeggiata. Fare del moto e della ginnastica ti
aiuterà oltre che dal punto di vista fisico anche da quello psicologico.
Cerca di essere consapevole delle tue emozioni. Ad esempio, puoi scrivere quello che provi: i tuoi sentimenti e i tuoi pensieri, magari
la sera, prima di andare a letto, spesso questo aiuta a dormire meglio.
Se decidi di scrivere una lettera cerca di essere il più sincero e spontaneo possibile, scrivi tutto quello che senti nel cuore. Una volta
scritta e, riletta, puoi anche decidere di buttarla via.
Cerca di condividere il tuo dolore con altre persone, confidati con una persona amica. Qualunque sia la tua situazione, troverai
sicuramente delle altre persone che hanno vissuto la tua stessa esperienza e che, quindi, possono più facilmente capirti e aiutarti.
Nelle tue conversazioni parla anche dei momenti felici vissuti insieme con la persona scomparsa, senza angosciarti focalizzandoti
solo pensando ai suoi ultimi giorni.
In questa fase iniziale si possono anche manifestare dei sintomi come astenia, difficoltà di concentrazione, di respirazione e di
comunicazione, inappetenza e calo ponderale.
Ti consigliamo comunque di fare sempre riferimento al tuo Medico di Famiglia, per qualsiasi problema e sintomo di disagio di tipo
psicologico o fisico, Lui saprà darti un valido sostegno sia di tipo medico che psicologico e relazionale. Se vuoi puoi contattare
consigliandoti con il tuo medico curante anche i servizi sanitari e, in particolare, quelli di ambito psicologico e quelli afferenti alla
salute mentale e le varie associazioni di volontariato che troverai nell’elenco in allegato a questa lettera (…).
Nel tempo libero puoi leggere dei libri che trattano dell'esperienza della perdita e dei suoi significati e frequentare corsi e seminari
specifici e cercare di apprendere, se lo desideri, delle tecniche di meditazione e di rilassamento che possono aiutarti a ristabilire un
tuo equilibrio.
Cerca di mantenere vivo il ricordo della persona amata. Una volta si riteneva che il periodo del lutto doveva servire a interrompere
il legame con la persona scomparsa, in modo tale da favorire una sorta di rinascita di una nuova consapevolezza e identità
personale.
Attualmente, invece, si pensa che sia più naturale e, anche di maggiore utilità e aiuto, mantenere questi legami, ad esempio
continuando a parlare della persona amata, ripercorrendo le esperienze condivise. Ricordare i bei momenti passati insieme è
sicuramente doloroso, ma aiuta a sentire l'importanza della vita condivisa e a rivivere emozioni e sentimenti che aiutano a crescere,
a migliorarci e ci fanno in fondo anche sentire meglio.
Non sarebbe positivo cercare a tutti i costi di pensare sempre ad altro, come invece, sarebbe una buona idea stabilire all’interno
della tua routine quotidiana un tempo per i ricordi. Scegli se ti fa piacere un momento fisso della giornata per sederti e pensare alla
persona scomparsa: ma cerca di farlo in modo positivo, ricordando i suoi lati migliori e i bei momenti trascorsi insieme.
E’ più facile gestire dei ricordi scelti che non quelli che ci colgono di sorpresa durante un momento qualsiasi della giornata.
Cerca di ricordare i momenti e le cose belle che hai condiviso, mentre evita, se puoi, di passare il tempo pensando solo a quello che
hai perso e a rimpiangere tutte le cose che non avrai più.
Ti può facilmente succedere di provare un senso di colpa per delle parole dette o per dei comportamenti che hai tenuto in passato
verso la persona che è venuta a mancare.
Il senso di colpa fa naturalmente parte del dolore e come tale è giusto provarlo.
Non ti precipitare a prendere decisioni importanti (come, ad esempio, cambiare lavoro, iniziare nuovi rapporti o romperne di
precedenti).
Aspetta di sentirti pronto e di essere in grado di decidere con maggiore serenità quello che vuoi intraprendere.
Qualche cambiamento all’interno della tua casa, ad esempio nei colori e qualche nuovo arredo e soluzione d’'ambiente potrà
contribuire a trasmetterti una maggiore sensazione di benessere, come acquistare nuove piante, rendere il tavolo del soggiorno più
allegro, un acquario per guardare i pesci come un passatempo rilassante, un nuovo orologio a muro.. La casa deve offrirti nuovi
strumenti per combattere la solitudine, deve essere la tua prima amica e protettrice della tua nuova situazione
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Se al dolore per la perdita della persona cara ti si aggiungono anche preoccupazioni di ordine pratico, riguardanti ad esempio la
situazione finanziaria è importante che ti faccia consigliare da un esperto di fiducia. L’ultima cosa di cui hai bisogno è di sentirti
sotto pressione proprio quando, la situazione emotiva che stai vivendo, rende più che mai difficile pensare chiaramente e
razionalmente.
Frequentare la comunità sociale, relazionale e religiosa alla quale ti senti di appartenere, può essere sicuramente una fonte di
sostegno.
i Medici e gli Infermieri che hanno curato e assistito il tuo familiare
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