07/03/12, n° 1 Il capitalismo richiede alcune condizione, la cui mancanza renderebbe impossibile la sua esistenza. In particolare, requisiti di esistenza del capitalismo sono: Possibilità di comprare e vendere la terra; Esistenza di un lavoro civilmente libero, non più servile; Un ordinamento giuridico, che funga da meccanismo regolatore della vita collettiva. Mentre si sviluppa il processo di trasformazione da sistema di produzione feudale a sistema di produzione capitalistico, comincia a prendere forma un sistema politico indipendente e diverso dalla sfera economica e da quella sociale, ma ad esse connesso perché consente di dargli delle regole. Un grande cambiamento sarà, in quest'ottica, l'avvento della globalizzazione; gli studiosi si sono spesso interrogati se tale fenomeno vada inteso come una trasformazione epocale di rilievo uguale a quella che ha portato al superamento del feudalesimo e al sorgere del capitalismo, oppure se vada considerato come solo una fase, una tappa del capitalismo spesso. Nel compiere analisi sociale, molto importante è la contrapposizione, a livello di indagine, tra un livello di osservazione nei termini di society o di agent, ovvero a livello macro o a livello micro. Da una parte l'azione può essere considerata come fondata su simboli, rappresentazioni e prodotti collettivi, dall'altra come esito di un calcolo razionale individuale fondato sugli interessi degli attori atomizzati. Potere. ◦ capacità di un soggetto a di ottenere che b faccia qualcosa che altrimenti non farebbe, o che non faccia qualcosa che altrimenti avrebbe fatto; ◦ capacità di un attore o di un gruppo di attori di influenzare decisioni collettive a proposito della collettività. Politica. ◦ Insieme delle azioni e, più precisamente, dei processi decisionali attraverso cui, in presenza di relazioni di potere, vengono definite e ridefinite, cioè cambiate o confermate, regole dell'attività collettiva, ivi comprese le stesse regole decisionali. Governo ◦ Government: complesso di organi istituzionali; ◦ governance: insieme di processi politici, tali da: ▪ esercitare potere, allocando risorse attraverso azioni legittime; ▪ compiere l'azione di governare facendo politiche attraverso relazioni consensuali e conflittuali. Stato 08/03/12, n° 2 Lo Stato moderno E' possibile tracciare alcune caratteristiche di un idealtipo di Stato moderno. Tali caratteristiche cambiano nello spazio e nel tempo, ma devono essere tutte presenti in un idealtipo di stato. Territorio, con confini in cui è esercitato in modo indipendente il potere. Esercizio di sovranità: lo Stato nasce infatti con l'assolutismo. Nello Stato moderno la sovranità non si esercita più su basi dinastiche o ascrittive, ma perché lo stesso sovrano obbedisce a delle norme. Esercizio legittimo della forza, attraverso codici giuridici formalizzati. Presenza di cittadini, e non di sudditi. La cittadinanza è una forma di legame reciproco tra i cittadini, che si identificano culturalmente con una nazione, con diritti e doveri sanciti da un ordinamento giuridico. I diritti dei cittadini possono essere: ◦ Diritti civili (libertà di domicilio, parola, religione, proprietà privata, iniziativa economica). Il sistema feudale vedeva il lavoro come servile; dopo la rivoluzione industriale, il lavoratore divenne libero: anche questo era infatti conveniente per le grandi imprese, poiché gli consentiva di acquistare e licenziare autonomamente forza lavoro. Nel periodo di sviluppo dello Stato moderno, è stato proprio lo Stato, attraverso le sue articolazioni, a stabilire i tassi di interesse; adesso è l'Europea, la BCE a farlo: l'idealtipo di Stato moderno qui affrontato è ancora valido? ◦ Diritti politici: elettorato attivo e passivo. La borghesia, nell'800, chiedeva potere: no taxation without representation. Si vedeva costretta a pagare tasse assurde, perché da una parte molto alte e dall'altra non giustificabili; all'inizio questi diritti politici furono concessi solamente, appunto, alla borghesia; poi divennero appannaggio di ogni cittadino. ◦ Diritti sociali: al di sotto di una certa soglia di benessere, è compito dello Stato intervenire (art. 3 della Costituzione). Il concetto dei diritti sociali prende forma solamente dopo il sorgere delle politiche del welfare. Presenza di un apparato politico amministrativo: ◦ Militare; ◦ Fiscale; ◦ Di spesa; ◦ Con articolazione settoriale e territoriale. Presenza di un sistema di legittimazione politico e culturale: ◦ “diritto divino” a elezioni democratiche a suffragio universale; ◦ simboli e credenze che danno un senso di appartenenza alla comunità politica sovrana. Condizione per portare avanti un'analisi sociologica della politica è che vi sia la politica come sfera distinta da altre sfere di azione sociali, ed in particolare dall'economia e dalla cultura. Ci si riferisce dunque a due piani, distinti l'uno dall'altro ma comunque interrelati. Uno è quello dei fatti, dei processi storici, dei fenomeni reali; l'altro è quello analitico, della conoscenza. Quando si parla di trans-nazionalizzazione si parla di un processo reale ed effettivo, ma il superamento del nazionalismo metodologico porta invece al secondo piano, quello degli strumenti concettuali. Modelli e risorse per l'esercizio del potere Il potere si esercita attraverso il ruolo dello Stato, ma anche di altri attori. Resta da chiedersi quali siano le leve e i meccanismi, i modelli e le risorse in base a cui si esercita il potere. Autorità, data da leggi giuridiche e norme. Risorse, in questo caso, sono la cogenza e legittimità; ciò che consente ad alcuni più che ad altri di esercitare potere è l'autorità. Si può infatti esercitare potere politico solo se ne si ha l'autorità (decisioni fiscali) Scambio. Se si reputa che la società sia composta da individui atomizzati, ne deriva che colui che possiede l'autorità potrà esercitare potere senza incontrare opposizione. Se, invece, si considera la società fondata non da individui isolati, ma da individui in gruppo, con tutte le meccaniche che ne derivano, la situazione cambia; le decisioni ricadranno infatti non solo sugli individui in quanto tali, ma su gruppi sociali, ognuno dei quali sarà caratterizzato da un certo grado di coesione. Non sempre l'autorità sarà sufficiente ad esercitare il potere: vi sarà anche bisogno di consenso, di negoziazione tra le parti. Spesso lo scontro si configurerà come conflitto tra autorità, da una parte, e capacità di mobilitazione, dall'altro. I negoziati daranno luogo a meccanismi di scambio; lo scambio è spesso asimmetrico. Persuasione. Altra modello di esercizio del potere è quello che considera la messa in campo di risorse persuasive, caratterizzate da alcune connotazioni particolari: ◦ sono soft, non hard; ◦ hanno a che fare con conoscenze (ambientalismo) ▪ controllano risorse cognitive; ▪ controllano risorse valoriali. Queste tre polarità costituiscono uno spazio tridimensionale, su cui si può collocare ogni singolo processo decisionale. Autorità Norme coercitive Persuasione Risorse cognitive Risorse valoriali Scambio Negoziato, spesso asimmetrico Risorse negoziali Sociologia classica Marx. Introduce una dimensione, quella materiale, ritrovabile soprattutto nell'economica; la produzione di ricchezza avviene attraverso le relazioni sociali. Su questa base materiale, struttura della vita sociale, si innestano le altre componenti della vita sociale, come la dimensione culturale o quella politica, che hanno però carattere sovrastrutturale; in Marx, dunque, politica e cultura vanno intese come riflesso della dimensione economica. Conflitto fondamentale dell'età moderna è il conflitto tra capitalisti e proletariato; la regolazione politica dell'economia e della società attraverso lo stato è posta in gioco di conflitti sociali. Lo stato agisce come strumento al dominio di una classe, e favorisce la borghesia. Spesso Marx è stato accusato di determinismo economico. Per lo studioso, molto forte è il legame tra carattere descrittivo e carattere prescrittivo della sua teoria, caratterizzata dalla connotazione implicita della dimensione normativa. Weber. Lo studioso critica Marx, sostenendo che la sua visione è limitata: guarda solo alla collocazione nei confronti dei processi produttivi. Per Weber, infatti, la stratificazione sociale è data non solo dal differenziale economico e dal possesso dei mezzi di produzione, ma anche da status politico e potere. L'affermarsi dello stato moderno dipende dalla dimensione economica: entrambi discendono dai processi di razionalizzazione e secolarizzazione, tipici dell'età moderna, che trovano manifestazione nella burocratizzazione. La politica ha un grado di autonomia dall'economica: nello stato moderno, la burocrazia non va infatti intesa come effetto del capitalismo, ma come invece sua condizione. Weber sostiene l'esistenza di tre tipi di potere legittimo: tradizionale, carismatico, razionale. Sviluppi successivi Elitisti. Gli elitisti portano avanti le considerazioni weberiane sulla legittimità del potere e sulle caratteristiche e i limiti della leadership. In particolare, questi studiosi si interrogano su chi siano coloro che nello stato detengano veramente il potere; punto di partenza del loro pensiero è che i diritti politici sono in realtà di carattere fallace. ◦ Pareto. Se nella sociologia di Marx la distinzione in classi è fondamentale, in quella di Pareto è la distinzione tra masse ed élite ad essere decisiva. L'élite di governo, per lo studioso, raggruppa il piccolo numero di individui che, tra quelli che sono riusciti ad arrivare ad un gradino elevato della gerarchia professionale, esercitano funzioni di direzione politica o sociale. Le società sono caratterizzate dalla natura delle loro élite e soprattutto delle loro élite di governo. Tutte le società infatti hanno una caratteristica: i beni materiali e morali sono distribuiti in modo molto ineguali. Questa diseguaglianza è resa possibile dal fatto che in definitiva i meno governano i più, ricorrendo a mezzi di due tipi: forza ed astuzia (trasposizione della famosa contrapposizione fatta da Machiavelli tra i leoni e le volpi). Da qui la teoria della circolazione delle élite: queste nuove élite sorgono, con un incessante circolazione, dagli strati inferiori della società, salgono agli strati superiori, arrivano al loro pieno sviluppo, decadono e sono annientati. Questo per Pareto è uno dei fenomeni storici principali ed è indispensabile tenerne conto per comprendere i grandi movimenti storici. Perciò condizione per la stabilità sarà necessario trovare nella massa un piccolo numero di membri che meriti di appartenere all'élite ed eliminarli o assorbirli. ◦ Mosca. Per lo studioso, anche quando la società diviene più complessa, si formano gruppi sociali che possiedono delle competenze specifiche; coloro che controllano queste competenze dominano le masse. Le elezioni servono solamente alla circolazione delle élite, e la politica è concepita come lotta tra diversi gruppi organizzati che domineranno in seguito su elettori disorganizzati. ◦ Michels si interroga soprattutto sui meccanismi di funzionamento dei partiti di massa. Anche nelle organizzazioni cosiddette “democratiche”, per lo studioso, vige una ferrea oligarchia: il potere è infatti gestito da una piccola élite di politici di professione. Questo perchè il potere non può essere conservato se non attraverso l'organizzazione, che necessariamente comporta l'oligarchia. Il maggior apporto di Michels è forse quello relativo all'importanza di guardare più il contenuto che la forma dei fenomeni sociali. Carattere che accomuna le riflessioni di Pareto, Michels e Mosca è la considerazione che, sebbene sia fallace e non democratico, il sistema funzioni. Differente è la visione invece di Charles Wright Mills. ◦ Mills considera il potere come un gioco a somma zero, e la sua visione è opposta a quella degli altri elitisti, e differente da quella marxista: l'élite non corrisponde alla classe economicamente dominante, ma è derivante dall'intersezione tra i più alti ranghi delle gerarchie politiche, militari ed industriali; queste sfere non sono chiuse, ma vi è una costante collaborazione. Inoltre, mentre per gli elitisti classici l'esistenza di un élite è un fatto inevitabile, per Mills essa è un fatto storico che deve essere superato per la costituzione di un'effettiva democrazia. Da questi presupposti Mills porta avanti una critica al carattere fittizio della democrazia statunitense; L'americano medio appare totalmente condizionato e manipolato del potere, non ha opinioni personali né passione politica; i problemi che oggi determinano il destino degli uomini non sono certo sollevati o decisi da essi. 14/03/12, n° 3 Sviluppi successivi Pluralisti Secondo i pluralisti, quanto più le società moderne si complessificano, tanto più si articola e si frammenta la natura degli interessi sociali: raramente si darà una situazione in cui saranno pochi a prendere le decisioni in politica. Anche qualora fosse vero l'assunto degli elitista per cui sono pochi a comandare, essi non prendono comunque le decisioni in condizioni di assoluta libertà. Secondo i pluralisti, le società del capitalismo avanzato sono società in cui gli interessi hanno una loro articolazione; essi possono aggregarsi, possono cercare una voce per influenzare le decisioni politiche. Una qualsiasi scelta rilevante per la comunità e che distribuisca risorse, in quest'ottica, sarà influenzata da una serie di diversi attori. In una prima fase, tra gli anni '50 e i '60 del '900, gli studi dei pluralisti portano a una conclusione per cui nelle società occidentali la frammentazione sociale è abbastanza rappresentata attraverso i meccanismi istituzionali. In generale, dunque, i sistemi politici hanno carattere non autoritario ma sostanzialmente democratico. ◦ Un approfondimento di questa teoria viene da Robert Dahl; l'intellettuale studiò articolazioni del potere a livello locale, operazionalizzando i concetti. Prese tre aree di policy in cui il potere locale prende delle decisioni importante; se c'è un elite del potere, queste decisioni dovrebbero essere influenzate dagli stessi attori. Lo studioso condusse allora delle ricerche empiriche e si rese conto che tale assunto era fallace: piuttosto, le tre aree di policy erano caratterizzate dall'assenza di un soggetto o gruppo politico in grado di prevalere in tutte queste aree, comandando la politica di quella città. La conclusione di Dahl sulla natura del potere lo avvicina dunque molto più al pluralismo che all'elitismo, un pluralismo che non porta però a una democrazia effettiva: c'è un attore che effettivamente emerge come più in grado di influenzare le decisioni politiche, ovvero l'attore economico della grande impresa. Dahl parlò dunque di una poliarchia deformata, in cui il potere non è equidistribuito. L'esito delle grandi scelte complessivamente finisce per essere quello di un contributo alla sopravvivenza e alla riproduzione del sistema economico vigente, che favorisce il grande business. Antonio Gramsci Nel guardare il potere politico, ciò che di Gramsci è tornato ora attuale ed operazionalizzabile è il concetto di egemonia, che tiene conto e tenta di conciliare da una parte il riferimento al pensiero marxista, dall'altro sia le critiche di determinismo economico formulate contro Marx, sia quelle riguardo i rapporti tra la struttura economica e la sovrastruttura culturale. Per i marxisti, Stato e politica sono prodotto sovrastrutturali del sistema economico del capitalismo; i regimi di accumulazione subiscono crisi e hanno bisogno di riprodursi, e lo Stato serve sostanzialmente a svolgere tale funzione. Gramsci, negli anni '20 e '30, ammorbidisce questa visione. Lo Stato non è solamente “comitato di affari della borghesia”. Se i proletari volevano assumere il potere occorreva strappare alla borghesia la sua egemonia culturale. Se finora non era avvenuto quanto teorizzato scientificamente dalla dialettica marxista, secondo Gramsci questo era dovuto all'incontrastata preponderanza della cultura borghese su quella proletaria. In altri termini le rappresentazioni culturali della classe dirigente, cioè l'ideologia dominante, avevano influito più di quanto Marx avrebbe potuto pensare sulle masse lavoratrici. Nelle società industriali avanzate gli strumenti culturali egemonici come la scuola obbligatoria, i mezzi di comunicazione di massa avevano inculcato una "falsa coscienza" ai lavoratori. Invece di fare una rivoluzione che servisse a soddisfare i loro bisogni collettivi i lavoratori delle società industriali facevano propria l'ideologia borghese dominante cedendo alle sirene del nazionalismo, del consumismo e della competizione sociale abbracciando un'etica individualista egoistica oppure schierandosi tra le file dei capi religiosi borghesi. Era arrivato il tempo di abbattere l'egemonia culturale borghese e questo era il compito degli intellettuali. Lo Stato è espressione del gruppo sociale dominante, ma la politica si fonda almeno su due grandi elementi: ◦ la coercizione; l'uso della forza, dei carceri, della polizia. ◦ la persuasione; serve a riprodurre e a consentire il controllo dell'ideologia. Il potere, dunque, è basato sia sulla coercizione sia persuasione e organizzazione del consenso. Se prevale l'uso della forza, si sarà in condizioni di dominio; se invece a prevalere sarà la persuasione, la condizione sarà di egemonia. Potremmo concludere quindi che l’egemonia è la forma di potere basata essenzialmente sul consenso cioè sulla capacità di conquistare con la forza delle convinzione l’adesione a un determinato progetto politico o culturale. Il concetto fu elaborato da Gramsci riferendolo essenzialmente agli stati. La sua tesi è che gli stati moderni tendono a basare il loro potere sempre più sul consenso. In tal senso il ragionamento sull’egemonia tende a intrecciarsi con quello sulla democrazia. Questa tesi ritorna particolarmente attuale, se si pensa che gli intellettuali oggi sono quelle agenzie che immettono nella vita politica elementi di conoscenza e di valori. Dal “circolo virtuoso” keynesiano alla globalizzazione Possono essere identificate quattro fasi che portano alla configurazione dello Stato come lo conosciamo oggi: passaggio da feudalesimo a monarchie assolute; passaggio dall'assolutismo agli Stati liberali e liberisti, fino alla prima guerra mondiale; “30 anni gloriosi”, dalla fine della seconda guerra mondiale fino circa agli anni '70 del '900. La crisi sistemica e di sovrapproduzione del 1929, porterà alla seconda guerra mondiale, e può essere considerata come un forte spartiacque storico. Dopo tale crisi, nel 1944, le potenze mondiali si incontreranno a Bretton Woods per decidere cosa cambiare: non era più utilizzabile quelil sistema di liberismo, che fino ad allora aveva effettivamente funzionato ma che aveva poi portato alla guerra. Questa fase del dopoguerra innesca dei processi di modificazioni economiche caratterizzate dunque dalla presenza maggiore dello Stato nell'economia. Sono anni di sviluppo economico, di riduzione della povertà neile società occidentali, in cui vi è anche una diffusione dei sistemi politici di carattere democratico (suffragio universale); quel rapporto tra l'economia e la politica che si tratteggiava in senso essenzialmente liberista, in cui lo Stato fornisce le condizioni minime per garantire che il mercato possa funzionare, viene meno. Si ha una produzione elevata e crescente con consumi di massa di beni standardizzati. E' dunque necessaria una domanda di consumi di tali beni corrispondentente; a tal fine, si opera affinchè cresca l'occupazione. Intanto, lo sviluppo tecnologico permette di aumentare la produttività. Tutto questo rende possibile un incremento del gettito fiscale, a parità di aliquote e di imposte. Dall'altra parte questo determina una facilitazione dell'azione collettiva e nella sindacalizzazione; si intensificano i conflitti industriali, che provocano una tendenza crescente alla crescita delle retribuzioni, ma anche altre conseguenze politiche: questo processo tende a diventare sempre più oggetto di regolazione pubblica mentre prima lo era di meno. Questo costituisce una novità: protezione legale del lavoro vuol dire protezione delle condizioni del lavoro, ma anche di entrata e di uscita. Vi giunge così allo stato nazionale del welfare keynesiano. ◦ Stato: per dare una rappresentazione di un intero periodo di rapporti tra politica ed economia, viene usato questo termine. ◦ Nazionale: è la scala in cui, in tutta questa fase storica, si esercita il potere politico; non vi sono altre scale importanti, perchè è sulla scala nazionale che si mettono in moto processi economici che insieme divengono processi sociali, processi di welfare. In questo periodo, poiché ci sono queste condizioni idonee e il gettito fiscale lo consente, gli Stati spendono soldi della collettività creando, tra le altre cose, anche servizi; questo serve, in una fase di aumento delle tensioni conflittuali tra lavoratori e capitali, a spostare fuori da tale conflitto delle risorse da allocare per i lavoratori. I servizi sociali si sviluppano dunque perchè sono una prosecuzione, fuori dall'ambito del conflitto industriale, di ricchezza e benefici che vanno a vantaggio dei lavoratori. La spesa sociale per i servizi sociali è una spesa che non interessa il capitale, ma i lavoratori. Si spende inoltre in funzione anticrisi. In questo modo di garantisce un sostegno alla domanda in una situazione in cui la crisi è essenzialmente di sovrapproduzione. Altra importante funzione della spesa ha caratterizzazione spaziale importante. Lasciato da solo il mercato produce ricchezza, ma anche problemi, per esempio nella distribuzione della ricchezza; ed è per questo che si hanno i meccanismi di redistribuzione sociale. Altro tipo di diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza non è solo tra l'alto e il basso della società, ma anche nello spazio. Ci sono aree che si sviluppano di più ed aree che si sviluppano di meno; questo riequilibrio territoriale dello sviluppo entra nell'agenda degli Stati nazionali (meridionalismo italiano). Questo sistema regge circa fino alla fine degli anni '70, e garantisce un rapporto tra i processi economici e la politica e le sue funzioni tale da tamponare e limitare i possibili processi di disgregazione e conflittualità tra capitale e lavoro. Il periodo successivo è quello che porta dallo Stato interventista al neoliberismo e alla globalizzazione. Ad un certo punto, questo sistema entra in crisi. Negli anni '70, si sviluppa un processo di crisi che determina una macro/metarisposta che a sua volta darà luogo a trasformazioni importanti, non solo nel funzionamento nell'economia e della società, ma anche in ciò che la politica fa e nelle forme che essa assume. Il sistema del fordismo e del welfare keynesiano entra in crisi per tre ordine di cause: ◦ economiche. Il conflitto industriale, anziché essere sufficientemente tamponato dalla protezione legale e dalla spesa sociale, continua a crescere. Quanto più cresce l'occupazione, tanto più cresce la conflittualità. In una fase di crescita dell'economia, si ha crescita retributiva, che porta però ad aumento dell'inflazione. I paesi produttori del petrolio hanno fatto schizzare in alto il suo prezzo per ragioni politiche e questo ha reso non più sostenibile dal punto di vista economico questo tipo di situazione. ◦ Culturali. la crisi dell'industrialismo causata dal conflitto sociale. Prima era normale ritenere che lo scambio tra lavoro salariato più o meno alienato e retribuzione fosse l'unico modo in cui era possibile vivere; alla fine degli anni '70 vi furono forti critiche a tutto questo, così come si è diffusa una critica anticonsumistica e una ricerca di consumo più personalizzato e meno standardizzato. Il risultato di questo è stata una trasformazione dell'economia e della funzione della politica di conseguenza. ◦ politiche; Negli anni '90, Giddens ha dato una definizione della globalizzazione: essa è una relazione sociale mondiale che collega località e comunità distanti tra loro in modo che ogni avvenimento locale è influenzato da eventi molti distanti. Le interdipendenze, dal punto di vista spaziale, crescono esponenzialmente, mentre prima si riteneva che un fenomeno sociale o economico iniziasse e finisse in un dato luogo. Vi sono dunque delle trasformazioni che riguardano diverse aree della vita sociale. Una caratteristica di ciò che accadde alla fine di questa crisi è un insieme di trasformazioni che hanno una portata molto ampia, trasformano in modo molto significativo il panorama delle relazioni economiche e sociali. Le dimensioni della globalizzazione sono: ◦ Dimensione economica. ▪ I capitali e le merci circolano più facilmente e velocemente, ma anche il lavoro, anche se in misura minore. Il lavoro resta più ancorato localmente, ma ciò che cambia è che l'impresa va a cercare il lavoro. Questo perchè la risposta economica alla crisi degli anni '70 è stata quella di sfruttare alcune caratteristiche assunte dalla tecnologia (in particolare per quanto riguarda la mobilità di cose e di conoscenze) per riarticolare profondamente il sistema produttivo; in particolare, si ha il trasferimento delle industrie nei luoghi in cui non si ha conflittualità tra capitale e lavoro. Si parla dunque di processi di delocalizzazione e rilocalizzazione delle attività manifatturiere. Questo ha importanti conseguenze: il circolo virtuoso viene a rompersi nei paesi da cui le industrie vengono spostate, perchè va a mancare il pezzo dell'alta occupazione industriale, quindi il gettito fiscale che ne deriva, ecc. ▪ Un altro importante processo di cambiamento è il forte sbilanciamento o ribilanciamento, in economia, tra la dimensione economica e quella finanziaria. Questo vuol dire che la ricchezza viene prodotta non attraverso la merce quanto più attraverso transazioni finanziarie; ora come ora, il rapporto tra queste due dimensioni è di circa 1 a 5. Questo tipo di investimento finanziario è poco intercettabile dai confini nazionali, per esempio per ricavarne gettito fiscale. Un primo effetto della globalizzazione economica, mobilità del capitale, è quello di riuscire ad eludere alcuni vincoli imposti all'attività economica dalla presenza dello Stato. ◦ Dimensione tecnologica; si ha velocizzazione ed abbattimento dei costi. ◦ Dimensione culturale: riguarda le conoscenze ed i valori. C'è un grande sviluppo della dimensione transnazionale. Vi sono diverse risposte alla domanda se esiste una culturale globale oppure no. Secondo coloro che affermano che essa esista, questa cultura globale sarebbe data dalla capacità della cultura occidentale fondata sul mercato di portare gli stessi simboli e valori dappertutto nel mondo, portando modelli culturali e di consumo. Quello che più ha una diretta influenza sulla dimensione politica è il fatto che, coosì come circolano modelli culturali che spingono verso la standardizzazione dei consumi e dei valori, vi sono altri modelli culturali altrettanto importanti che sostengano la validità delle forme della politica a diversi livelli in un modo piuttosto che in un altro. ◦ Dimensione politica. Ci sono con la globalizzazione dei cambiamenti riguardo l'output della politica, le regolazioni che essa produce e le sue forme. 15/03/12, n° 4 LETTURA 1 - TRANSNAZIONALIZZAZIONE Secondo alcune interpretazioni, dunque, la globalizzazione è iniziata come processo economico, poi ha informato di sì anche le dimensioni culturali, per, alla fine, influenzare anche quelle politiche. Nell'ambito di una politica ancora fondata sui confini dello Stato nazionale, l'economia è diventata sempre più forte, sempre meno regolata dalla politica, ed arrivata infine a suggerire modelli precisi alla politica, influenzando fortemente le agende nazionali verso soluzioni market-friendly. Per la sociologia politica, nei processi di globalizzazione la politica cambia forma: il processo di transnazionalizzazione fa sì che gli Stati siano influenzati anche, dunque, da attori non statali – che possono essere tanto soggetti economici, quando cittadini privati magari inseriti in reti di associazionismo civile. Le risposte alla crisi economiche le danno dunque gli Stati, ma in un contesto in cui la sovranità degli Stati stessi viene sfidata dai mercati globale e il potere politico è privato di una base globale. 21/03/12, n° 5 Neoliberismo “radicale” Neoliberismo “temperato” Credenze di base (dimensione cognitiva) Lo stato, nella suo massiccio intervento Enfasi sui limiti del mercato e dello stato. nell'economia, ha fallito. E' dunque necessario Idea di sostenibilità, soprattutto dal punto di vista introdurre delle modificazioni di base. ambientale: vi è un'attenzione alla dimensione Il mercato è superiore e capace di rispondere al ambientale/sociale che smussa l'idea di creare fallimento dello Stato. ricchezza nella deregolamentazione. Ogni dimensione civile deve dotarsi di caratteri che Competitività insieme a coesione. favoriscano la competitività, anche locale. Ricette politiche (dimensione normativa) Riduzione del deficit e del debito pubblico: se le Come la ricetta radicale; risorse di risparmio vengono drenate dal debito Politiche per la sostenibilità. pubblico non potranno finanziare le imprese Politiche per la redistribuzione. private. Deregolamentazione: riduzione dei vincoli dello stato all'economia (art. 18) Presenza dello stato come attore economico: privatizzazione e liberalizzazione dei servizi pubblici. Dove avvia e quando si Diffusione da USA e Inghilterra, a partire da una Diffusione da USA e Inghilterra, a partire dai circostanza storico-politica particolare: l'emergere governi laburisti Clinton/Blair. dei governi conservatori Reagan/Thatcher. Su scala nazionale, trasnazionale, locale. Diffusione a partire dalla fine degli anni '70. Su scala nazionale, transnazionale, locale e glocale. Trasformazioni Governance: per mettere in atto un simile tipo di Come la ricetta radicale; connesse nelle forme politica, non è sufficiente lo Stato nazionale: è Maggiore enfasi sulla necessità di coinvolgere, oltre della politica necessario agire in cooperazione con altri attori, ad attori economici, società civile, community e soprattutto economici; ad esempio, le partnership capitale sociale pubblico/private nell'Inghilterra. La sociologia contemporanea ritiene che non è possibile l'esistenza di un government locale nell'ambito della globalizzazione. Per questo, Held ha parlato di una global governance: non c'è uno stato mondiale, ma esiste qualcosa attraverso cui vengono prese decisioni che influenzano i livelli inferiori. La global governance può essere assimilata a una rete, i cui fili sono costituiti dalle intese tra Stato ed attori statali. Esistono però delle istituzioni che esercitano potere a livello sopranazionale, come l'Unione Europea; essa è sicuramente risultato di accordi multilaterali tra stati, ma è anche qualcosa di diverso; poiché è risultato di una distribuzione di potere, si configura come un'istituzione. Questa rete, fatta di istituzioni, accordi, ecc investe molti aspetti della vita sociale, in diversi stati e diverse città. In particolare, Held l'ha definita: “una ragnatela sempre più fitta di accordi multilaterali, istituzioni, sistemi normativi e reti di policy, che investe e regola molti aspetti della vita nazionale e transnazionale, un'arena di policy-making globale, un sistema multistratificato, multidimensionale e multiattore, frammentato e competitivo al suo interno e nei quali i risultati delle politiche vengono perlopiù distorti a favore degli stati principali e degli interessi acquisiti”. Attori transnazionali/internazionali/supernazionali e formazione delle agente politiche ONU Unione Europea Reti di città Organizzazione internazionale, con specifici programmi e fondi per influenzare ciò che fanno gli stati stati membri Promuove conoscenze e benchmark Promuovono circolazione di expertise e conoscenze; best practices; policy transfer. Agende politiche nazionali Insieme dei temi affrontati e delle decisioni prese. La formazione di agende politiche nazionali è prerogativa della sovranità nazionale; ma questa e altre decisioni sono influenzate da poteri di governance globale WTO World Bank Fornisce agli Stati membri un ambito di organizzazione per ridurre le barriere al commercio internazionale (UE mercato unico → rescaling) attraverso promozione di accordi e attività di controllo che essi siano rispettati. Ha poteri proprio per l'applicazione di tali accordi, e si configura quindi come un'istituzione. Agenzie di rating Stimano quanto affidabile è un attore economico, esercitando forte influenza sulle agende politiche FMI La sua funzione è di garantire che non ci siano crisi monetarie. Presta denaro, ma a Riguarda soprattutto il Sud del mondo; nacque nel periodo condizioni ben precise: quelle di attuare, nei della ricostruzione dopo la Prima Guerra Mondiale. Adesso, la paesi debitori, politiche neoliberiste. sua funzione è di prestare denaro al Sud del mondo per Interessi finanziari; favorirne l'integrazione nell'economia mondiale, a patto però Condizionalità. che assuma misure neoliberiste radicali, in modo da rendere redditizi gli investimenti. Condizionalità; policy transfer. Sopranazionale WTO, UE; norme coercitive; risorse: autorità. Internazionale WTO, UE, WB, FMI contrattazione (scambio); condizionalità; risorse: negoziazione, in cui si può contrattare a seconda della quantità di risorse che si Transnazionale OECD, UE, WD, reti di città/scientifiche/sociali/civili, agenzie di rating benchmarking; rating; soft law; risorse: cognitive. possiede; 22/03/12, n° 6 LETTURA 1b - UE Secondo una particolare teoria, un sistema politico nazionale può avere alcune caratteristiche. Se lo si guarda dal punto di vista sociologico, può avere frammentazione sociale (significative line di divisione sociale) insieme a orientamenti culturali specifici che si traducono poi politicamente in forme di rappresentanze politiche specifiche: a volte, per esempio, determinate fedi religiose si traducono in rappresentanze politiche. A seconda di come sono i sistemi elettorali, il rapporto tra società e politica cambia profondamente. In presenza di una società articolata e frammentata, con tante culture politiche, un sistema elettorale proporzionale garantisce che tutte trovino una propria rappresentanza, e tendenzialmente frammenta la presenza politica nei parlamenti. Quando c'è molta frammentazione, per governare e prendere decisioni vi è una tendenza a cercare compromessi e mettersi d'accordo; dove ci sono sistemi maggioritari, chi vince le elezioni ha un premio di maggioranza, e l'opposizione è fortemente debilitata. Il sistema proporzionale consocia le diverse anime culturali rappresentati di interessi e attraverso sistemi di rappresentanze le fa interagire tra di loro con regole negoziali per produrre decisioni. Oggi queste caratteristiche sarebbe presenti nell'Unione Europea. La multilevel governance è sostanzialmente una compound polity. Secondo Piattoni, la multilevel governance nasce dal problema su “come riconciliare e fare interagire tra loro la sostanzialmente mutua interdipendenza di entità territoriali formalmente sovrane”. Essa è una classe di relazioni e soluzioni internazionali che facilitano ed incoraggiano l'ordinamento di queste entità territoriali interdipendenti in mancanza di poteri coercitivi sovraordinati o in presenza di poteri coercitivi sovraordinati deboli. L'unione Europea, se confrontata con altri modelli di sistema politico, spicca per la mancanza di una legittimazione democratica diretta delle istituzioni, come, formalmente, c'è negli Stati sovrani. Vi è un Parlamento Europeo, che ha poteri meno rilevanti dei parlamenti nazionali; non è in tale sede che si conclude la decisione. Viene eletto, sì, dai cittadini europei, con basso tasso di partecipazione elettorale, ma non è eletto sulla base di collegio europeo, ma sulla base di collegi nazionali. Alla polity europea corrisponde dunque politics organizzate su base nazionale: non vi sono partiti politici europei. La rappresentanza politica nel PE è frammentata su base nazionale, e la legittimazione è la rappresentanza degli interessi nazionali. Questi due aspetti di deboli poteri e di rappresentanza politica articolata nazionalmente mostrano come sul piano della democraticità l'UE non è comparabile con gli Stati nazionali. Questo crea un problema: quanto più cresce l'importanza dell'UE, tanto più grave è la questione del deficit democratico. La democrazia deliberativa è un sistema di assunzioni delle decisione e un modo di espressioen delle preferenze dei destinati delle preferenze che attraverso una specifica modalità procedurale porta a confrontare visioni e preferenze della rete di tutti coloro che hanno qualcosa da dire riguardo allo specifico tema di cui si discute; tale confronto è fondato non tanto sul negoziato, quanto più sul continuare a dibatterne finchè non viene trovata una soluzione, che non deve essere media delle opinioni di tutti o frutto di compromesso ma perchè è risultata convincente. La democrazia deliberativa è il regno della persuasione portata al massimo livello. L'UE si fa promotrice di esperimenti deliberativi su specifici temi, per esempio l'immigrazione. 28/03/12, n° 7 LETTURA 2 - PARTECIPAZIONE La tesi dell'autore è che i processi partecipativi non servono a contrastare i processi neoliberisti, ma anzi a stabilizzarli, sostenerli e a contribuire alla loro riproduzione. La partecipazione si configura così come una delle tante risorse disponibili per evitare crisi nel regime neoliberista. Giulio Moini cerca un modello interpretativo teorico, appoggiandosi su modello esistenti, anziché condurre uno studio empirico di caso, come spesso accade. Partecipazione e deliberazione sono concetti diversi. I processi deliberativi sono processi inclusivi, ma l'attenzione è puntata sui modi di interazione tra gli attori per arrivare a determinate decisioni; il focus è quindi sull'argomentazione razionale e sulla persuasione. Ci si trova all'interno di un processo deliberativo quando qualcuno, a seguito di opere di persuasione, cambia idea. Nei processi partecipativi, invece, si ha l'esigenza di includere tutti i punti di vista, ma non per forza di far cambiare idea agli attori coinvolti. Bob Jessop sostiene che il neoliberismo non va inteso come un monolite, e sottolinea alcune modalità attraverso cui si strutturano i rapporti tra politica e democrazia: neoliberismo stretto: la prevalenza è del mercato, si ha una recessione dello Stato e del pubblico e un fiorire di processi di deregolamentazione; neocorporativismo: non si lascia del tutto il processo decisionale in mano ad attori economici e mercantili; c'è deregolamentazione, ma sono introdotto anche punti di vista di attore non economici; neostatalismo: riconoscimento del ruolo pubblico ?!; neocomunitarismo: la centralità è degli attori locali per creare politiche neoliberiste anche attraverso processi di rescaling politico. Per quanto riguarda la tecnicizzazione delle pratiche partecipative, il primo assunto da fare è che tali pratiche vivono proprio di tecnicità che permettono di ristrutturare le decisioni nell'arena (facilitatori/esperti). La tecnicizzazione depotenzia il conflitto perché lo irregimenta proprio in queste pratiche tecniche. Anche l'istituzionalizzazione depotenzia il conflitto: comportamenti o forme di relazione si cristallizzano e sedimentano, diventando taken for granted, dei cerimoniali dunque che poco incidono. 29/03/12, n° 8 Il rapporto tra politica e società è quello della comunicazione politica. Essa è una comunicazione svolta dai partiti; si distingue dalla comunicazione sociale e da quella istituzionale. La comunicazione istituzionale è quella delle istituzioni pubbliche: del governo, del comune, della regione. Quella sociale, è quella essenzialmente delle campagne sociali, contro il fumo, l'alcol, e così via; e anche queste rientrano nella comunicazione pubblica, perchè il tema è di interesse pubblico. Anche la comunicazione politica è comunicazione pubblica, perchè ha un tema di interesse pubblico; è prodotta da partiti e gruppi organizzati, come sindacati o movimenti. La specificità della comunicazione politica rispetto a quella istituzionale è che il tema viene affrontato sin da subito da un punto di vista predeterminato; si legge sin da subito un orientamento specifico rispetto ad un tema. E' una tematizzazione specifica di un problema percepito dalla comunità di cui gli attori politici decidono di farsi carico. La comunicazione politica ha un'altra specificità: è una comunicazione a integrazione simbolica; cerca di condividere con gli elettori una visione della realtà, un insieme di simboli e di valori. Cerca di integrare l'universo cognitivo degli attori politici con quello del pubblico di riferimento degli elettori, attraverso una modalità di informazione simbolica e valoriale; essa cerca di promuovere atteggiamenti e comportamenti. Secondo Mancini la comunicazione politica attraversa tre grandi fasi. Comunicazione d'apparato. E' sostanzialmente la fase di istituzione dei partiti, all'inizio del '900. I partiti sono l'elemento centrale delle attività di comunicazione. Tutta la comunicazione politica di quel periodo proviene dall'apparato politico. In questo periodo i partiti hanno due grandi funzioni: intercettare i bisogni politici per poi rappresentarli, e poi, con tutte le limitazioni di questo periodo, come la mancanza del suffragio universale, organizzare tali bisogni. I partiti sono dunque partiti di notabili: solo alcune parti della popolazione hanno accesso alla rappresentanza politica e all'elettorato attivo e passivo. La caratteristica dei partiti di notabili è una capillarità sul territorio e un forte controllo del rapporto tra partito e limitato elettorato di riferimento. Dopo l'avvento dei partiti di massa, essi si configurano come nuovi per la forte capillarità sul territorio ma anche per la forte centralizzazione (per esempio, il PNF). Nel PNF, il rapporto tra il partito e l'elettorato è un rapporto di controllo diretto, in cui le sezioni dipendono direttamente dal centro. I mezzi di comunicazione di massa sono ancora canali, usati come strumenti; non sono ancora autonomi, ma direttamente controllati dagli apparati di partito. Comunicazione di massa pionieristica. Questa fase è nel secondo dopoguerra. Cominciano ad affacciarsi nella scena politica i mezzi di comunicazione di massa; il rapporto comunicativo tra l'apparato di partito e l'elettorato è un rapporto che comincia a fare i conti con questi mezzi. Negli apparati di partito, dal punto di vista organizzativo, si ha un'indebolimento delle elite, per l'allargamento del diritto di voto con il suffragio universale; i partiti devono integrare dunque anche i cittadini comuni nelle loro gerarchie. Questa fase è caratterizzata anche dall'articolazione della società in classi sociali ben definite, che esprimono anche forme politiche specifiche. I partiti di questo periodo raccolgono il voto di appartenenza: per esempio, un operaio difficilmente voterà per la DC. Con il passare del tempo il partito di massa diventa sempre più partito elettorale di massa; questo sta a significare che mentre il partito di massa svolgeva funzioni di attivazione, di socializzazione ed alfabetizzazione politica e di crescita civile, il partito elettorale di massa punta essenzialmente alle elezioni; nel ciclo delle attività del partito stesso la maggior parte delle attività sono volte a massimizzare i voti nelle elezioni. Nel partito elettorale di massa, dunque, la caratteristica fondamentale è la centralità delle elezioni e il fatto che le campagne elettorale sono sempre più dirette a rafforzare l'identità: il partito ha bisogno di cominciare a distinguersi dagli altri partiti, per rafforzare il voto di appartenenza. Si parla poi in questo periodo di un minimo rumore esterno: il messaggio non deve essere perturbato o modificato dai mezzi di comunicazione di massa. Comincia ad avviarsi il processo di modificazione dei media da canali a comunicatori. La comunicazione el partito si può dunque distinguere tra: ◦ comunicazione autoprodotta: è quella che viene svolta in questo periodo; il partito controlla direttamente il contenuto e i canali che vuole utilizzare. ◦ Comunicazione eteroprodotta: alla fine di questa fase, i partiti cominciano a preoccuparsene; è la comunicazione prodotta da soggetti esterni al partito, che può avere come oggetto però il partito, influenzando la sua comunicazione. Comunicazione di massa pervasiva. In quest'ultima fase, dagli anni '80 del 900, i mass media cominciano a diventare centrali nella comunicazione politica, soprattutto per lo sviluppo della televisione ed in particolare di quella commerciale. Si capovolge il rapporto tra apparato di partito e comunicazione di massa: mentre prima i media erano solo dei canali, in questa i mezzi di comunicazione di massa diventano comunicatori politici, al pari e in concorrenza con gli attori politici. E' un altro soggetto che interagisce con il proprio pubblico di riferimento. Gli attori non sono solo più i partiti ma sempre più i mezzi di comunicazione di massa: anche se con tempi diversi a seconda del media, essi diventano sempre più autonomi nelle proprie forme organizzative rispetto ai partiti. Cominciano ad influenzare il modo in cui i partiti fanno comunicazione, non solo perchè i partiti cominciano a considerare la comunicazione eteroprodotta, ma anche perchè i mass media cominciano ad imporre i propri registri linguistici ai partiti politici. Cambia il modo in cui i partiti propongono la loro visione simbolica all'elettorato di riferimento. Inoltre, dagli anni '70 si ha maggiore polverizzazione degli interessi a cui corrisponde ulteriore differenziazione delle organizzazione politiche. Si ha sviluppo dei sindacati che diventano attori politici in Europa, mentre in USA si sviluppano i political action committee; essi sono comitati di cittadini che organizzano le elezioni, soggetti politici che si offrono di fare campagna elettorale o raccogliere forme (Obama). Si afferma inoltre in questo periodo una nuova forma di partito, il catch-all party; i partiti cominciano ad avere una sempre minore identificazione con una base sociale, ma si rivolgono sempre di più all'elettorato, che si sposta da una fase di quasi totale immobilismo elettorale a invece un vero e proprio mercato elettorale, perchè gli elettori cominciamo a votare in base ad opinioni che maturano in maniera autonoma, ascoltando diverse fonti, rivolgendosi anche ad altre forme comunicative. L'elettore non vota più solo per il voto di appartenenza. Il partito diviene dunque partito elettorale professionale: rimane l'idea delle elezioni come momento centrale del partito; nel partito si cercano professioni competenti specifiche. I mass media diventano attori autonomi nella produzione di comunicazione politica, e si diffonde la comunicazione eteroprodotta. Secondo Mazzoleni, si può rappresentare lo spazio pubblico come un grande cerchio in cui figurano mezzi di comunicazione, partiti politici e società civile. Il modello ideale di relazione è il modello pubblicistico dialogico: uno spazio pubblico che prevede un dialogo, uno scambio di relazione tra questi tre soggetti. Vi è un'area A in cui il sistema politico entra in rapporto con i cittadini (fase di comunicazione d'apparato), vi è un'area B il cui tipo di relazione tra sistema politico e sistema dei media, in cui i media vengono usati come canali, ed un'area C in cui i media interagiscono direttamente con i cittadini, quando per esempio i mass media fanno comunicazione politica indipendentemente dall'input del sistema politico rispetto ai cittadini (campagne su specifici temi, proponendoli senza interpretare il punto di vista di un attore politici → campagna di Repubblica contro Berlusconi). L'ultima area è quella centrale di sovrapposizione, in cui si realizza la cosiddetta comunicazione politica mediatizzata; qui, i tre attori entrano in gioco in maniera simbolica e con egual peso. Pur essendoci un'area in cui i tre soggetti interagiscono, ognuno di essi ha comunque un'area di autonomia. Secondo Mancini, il modello attuale che descrive come questi soggetti entrano in relazione è il modello mediatico, in cui quell'area di comunicazione politica mediatizzata abbraccia tutte le relazioni: non c'è un momento in cui il sistema politico possa relazionarsi con i cittadini senza passare per i mass media. Si parla oggi della new media age, a partire dalle campagne elettorali di Nixon e di Kennedy. Gli anni '60 sono quelli in cui si afferma la televisione, che sarà proprio quel mezzo di comunicazione che scardinerà i mezzi tradizionali di fare comunicazione politica. La televisione per la prima volta ha giocato un ruolo determinante nell'orientamento degli elettori; in uno show si presentarono un Nixon vecchio e in difficoltà a gestire la televisione ed un Kennedy molto giovane e spigliato. Sondaggi condotti subito dopo fecero notare che coloro che ascoltarono il dibattito attraverso la radio si soffermarono sui contenuti con orientamento di voto favorevole a Nixon; coloro che avevano visto la TV, catturati dal carisma di Kennedy, dichiaravano che avrebbero votato per lui. La televisione poteva fare la differenza anche nell'orentamento di voto, e non faceva la differenza il contenuto quanto il modo in cui ci si poneva, e quanto il linguaggio fosse appropriato al medium di riferimento. Le prime tribute elettorali in Italia erano espressione di uun soggetto politico che non aveva capito il mezzo, trasposizione in TV dei tradizionali comizi in piazza: tempi molto lunghi, linguaggio forbito, tendenza a guardarsi reciprocamente piuttosto che in camera. Questo perchè in Italia i partiti continuano a proporre sui nuovi media la party logic piuttosto che la media logic, le modalità di organizzazione dei contenuti e scelta di linguaggio legate ai partiti, senza riuscire a cogliere la specificità e la rilevanza della necessità di scelta e tematizzazione di contenuti. Questa mediatizzazione della società e della politica e il fatto che alcuni soggetti politici non riescano subito a rendersi conto della sue potenzialità porta al fatto che ci si rende conto che è necessario avere professionalità e competenze adatte all'utilizzo di quei tempi: nasce così il partito professionale di massa. Le competenze che tale partito deve avere al proprio interno non sono solo quelle dei grandi ideologi, ma anche quelle dei consulenti dell'immagine. Nel momento in cui i partiti si rendono conto che è necessario mettersi sul mercato si rendono conto che non è più importante solo dotarsi di teorie ma anche di strategie di marketing. Gli elementi fondamentali di questa affermazione della comunicazione politica a fronte della forte mediatizzazione della sfera pubblica: forte personalizzazione e forti nuove professionalità, legate all'attività di conoscenza dell'elettorato, diventato così diversificato e non più legato all'appartenenza; è necessario dunque un sondaggista. Diventano importanti anche le attività professionali legate allo sviluppo di un'efficace promozione televisiva dei partiti politici, e quelle relative alla raccolta di fondi, proprio per pagare consulenti esterni; un altro elemento è che diventano sempre più centrali le tecnologie; si ha un incremento dei costi, il che porta a finanziamento pubblico dei partiti. I partiti di massa del '900 avevano metodi di autofinanziamento; gli attori politici sono sempre sempre più impegnati in una campagna politica permanente, proprio perchè i partiti sono partiti elettorali; la comunicazione politica si configura dunque più come comunicazione elettorale. 4/04/12, n° 9 LETTURA 3 - INTERNET Si parla dunque di sfera pubblica mediatizzata. La sfera pubblica è dunque mediatizzata perchè i media agiscono tanto sui sistemi politici e dunque sul modo in cui essi comunicano e funzionano, ma anche sui cittadini elettori; essi modificano dunque atteggiamenti e comportamenti dell'elettorato. Gli studi principali della mediatizzazione della politica riguardano essenzialmente due tipologie di aspetti. Aspetti sistemici. Agiscono sul sistema politico e su come esso funzionano si distinguono tra: ◦ aspetti mediatici, che fanno riferimento alle modalità di comunicazione del sistema politico: ▪ spettacolarizzazione. Grande presenza di elementi drammaturgici e teatrali; la comunicazione politica non è più tanto fondata su contenuti e valori ma su come essi vengano presentati; ▪ influenza sempre maggiore sull'agenda politica. Il soggetto politico sceglie i propri temi in funzione di incontrare i bisogni del proprio elettorato, ma poiché questo rapporto non è più cosi diretto i mass media contribuiscono a determinare l'agenda politica, tematizzando e enfatizzando specifiche questione; agenda building. Determinano quali oggetti entrano nell'agenda politica; agenda setting: i mass media contribuiscono a determinare l'ordine dei temi all'interno dell'agenda politica. E' quell'insieme di studi che vanno a valutare quanto l'ordine dei temi è uguale o diverso all'ordine per gli elettori; ▪ frammentazione dell'informazione politica. Questo fenomeno è espressione dell'attuale qualità dell'informazione nei media. L'informazione in TV è effettivamente sempre più contingentata e frammentata; i politici si adattano a questo tipo di linguaggio. Il canale è diventato comunicatore: detta le regole al politico a come esprimersi. ◦ Aspetti politici; i mass media cambiano anche il modo in cui lavorano i soggetti politici, le stesse regole di gestione del partito e il linguaggio. ▪ forte personalizzazione. Sempre più il partito è rappresentato dal candidato, da una sola persona; questo perchè il partito stesso deve entrare in un mezzo, quello della televisione: un soggetto deve bucare il video; ▪ leaderizzazione; il dibattito politico tra due diversi schieramenti si concentra su due leader. ▪ diversa modalità di selezione delle elite politiche. Questo non solo perchè siamo in un sistema elettorale proporzionale a lista bloccata, ma anche perchè i criteri che prevalgono sono quelli che devono rispondere alla media logic, piuttosto che alla party logic. Le elite vengono scelti non perchè grandi attivisti o conoscitori della storia del partito, ma perchè bucano il video o sono specialisti della comunicazione. ▪ Ricorso a rituali. Nel relazionarsi agli elettori, più che indulgere sui contenuti di un programma, lavorano sugli elementi drammaturgici e teatrali se non proprio su rituali e simboli. Aspetti psicosociali. 11/04/12, n° 10 LETTURA 4 – MOVIMENTI SOCIALI MANCA L'ULTIMA LEZIONE