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ScuolaMondo/Sistemi scolastici: esiti sociali della
scolarizzazione
Acosa serve la scuola?
Gli esiti sociali dei sistemiscolastici. Indifferenza e equità: obiettivi contrastanti
da Sito Norberto Bottani - 14settembre 2015
Iservizi scolastici statali sorti nell’ Ottocento e in genere i sistemiscolastici con una lunga vita, i
programmi scolastici ossia il canone delsapere scolastico, sono in crisi. Questa non è una novità.
Inun bel articolo di Gianluca Zappa pubblicato dal Sussidiario del 17 febbraio2015, intitolato: Il
«Segreto della riforma scolastica sta in un rotolo dicarta igienica» si constata che non è cambiato
nulla da quando molti anni fanoi andavamo a scuola. Scrive Zappa a proposito del sistema
scolasticoitaliano: «Intanto le graduatorie dei precari si sono ingrossate, il turnoverè diventato
endemico, starei quasi per dire «istituzionalizzato», nessunovaluta la capacità, la professionalità
di un docente, così che chi lavora e chinon lavora, chi fa del bene ai ragazzi e chi fa loro del male
sono sullo stessopiano».
Nelvolume pubblicato da Palgrave e Macmillan nella collana «Education, Economy andSociety»
ci sono saggi di diversi autori brillanti e assai noti nel campodell’ educazione comparata, delle
politiche scolastiche, dell’ evoluzione deisistemi scolastici, della sociologia dell’ educazione e
delle scienze politicheche analizzano l’ evoluzione degli apparati scolastici, le modalità della
lorogestione, i loro prodotti, come se ne misurano i risultati. I ricercatoriosservano quanto
succede ai sistemi scolastici e propongono vie di uscite dallacrisi. In questa raccolta di saggi gli
autori sono inglesi e francesi.
L’ insiemedei saggi pubblicati in questo volume infatti si presenta come una vetrina deilavori di
alcuni laboratori di ricerca inglesi e francesi. Il libro è dunqueuno spaccato particolare che
documenta le indagini svolte da due scuole dipensiero che in parte si incontrano e che magari
collaborano anche tra loro, maquesto non si sa. Si commetterebbe un errore se si ritenesse che il
volumeoffra una sintesi dei vari punti di vista sulla coesione sociale e sul ruolo chele scuole
possono svolgere o potrebbero svolgere per consolidare la coesionesociale e frenare la
frantumazione della società.
Assenza di specialisti italiani
Nonci sono Italiani tra gli autori, nemmeno tra i secondi o i terzi firmatari deisaggi ed è quindi
inutile attendersi che ci siano presentazioni di ricerchescientifiche sulla coesione sociale in corso
in Italia, che riflettano leperipezie della politica scolastica italiana, il contributo
allasocializzazione della scuola italiana, ossia di quel servizio in cui , a dettadegli studenti
dell’ ultimo anno di liceo di Gianluca Zappa ci sono studenti chepossono guardarsi indietro per
valutare la loro esperienza scolastica perchéhanno alle spalle ben quattordici anni di
scolarizzazione. Per loro, ilprincipale problema fu la mancanza di carta igienica e non la
coesione sociale,dato per scontato che la maggioranza di questi studenti non si pongono
nemmenoil problema perché dovrebbero provenire tutti dallo stesso ceto sociale,informazione
che Zappa non fornisce. In questo volume non si parla di cartaigienica. Si vola molto più in alto.
Si tratta di un volume per esperti cheoffre riflessioni assai interessanti ma che è molto distante
dall’ esperienzascolastica giornaliera degli studenti, degli insegnanti e delle famiglie
chemandano i figli a scuola.
Il merito
Unodei temi rilevanti del volume è quello del merito, concetto che fa moltodiscutere in Italia
senza però riferimenti a indagini rigorose come invece è ilcaso in Francia. Infatti le principali
elaborazioni sul merito sono diprovenienza francese e sono il frutto soprattutto di sociologi
dell’ educazionetanto per utilizzare una classificazione tipo assai nota che però non dicegran che
tranne a coloro che sono immersi nel mondo accademico. Cosa è ilmerito? Va premiato o meno?
I meritevoli concorrono alla coesione sociale?Esiste una relazione tra coesione sociale e
promozione degli studentimeritevoli? In Italia si parla di merito soprattutto rispetto agli
insegnanti eci si chiede come riconoscere questo merito e come premiarlo. Va da sé, tuttisu
questo punto concordano: ci sono insegnanti meritevoli e altri che non losono, ma come
distinguerli, quali criteri adottare per riconoscere imeritevoli? Gli insegnanti meritevoli sono
anche quelli che si danno da fareper potenziare la coesione sociale, per favorire la
socializzazione dei lorostudenti, per promuovere l’ integrazione sociale e l’ inclusione di
studenti diorigini diverse, di ceti diversi, nelle classi? Si discute assai poco in Italiadel merito
degli studenti. Di per sé tutti sarebbero meritevoli per il semplicefatto di andare a scuola, di
accettare il martirio della scolarizzazione (chenon è poi tanto generalizzato) e di arrabattarsi per
giungere alla fine dellaformazione e conseguire il diploma. Il merito risiede dunque nel
compierequesto percorso, nella furbizia o meno per trarsi d’ impiccio e arrivare allafine. I
Francesi sono meno semplicisti, non si accontentano di questa sogliaminima. Non tutti gli
studenti che giungono alla fine della formazione e checonseguono il diploma finale meritano di
essere premiati. Ce ne sono di quellimeritevoli ed altri che non lo sono. Il merito, nel sistema
scolasticofrancese, è connesso alla selezione, alla segregazione scolastica, all’ ottenimentodei
diplomi scolastici e quindi anche alla coesione sociale. Qui sta ilnocciolo del problema e
l’ autore che fa scuola è indubbiamente Pierre Bourdieu,il maestro della sociologia
contemporanea in Francia. Se si premiano imeritevoli con l’ accesso a luoghi di formazione
eccellenti grazie a unaselezione spietata e spesso ingiusta, si constata che i meritevoli hanno
quasitutti lo stesso profilo, provengono dalla stessa classe sociale, sono unapattuglia di
privilegiati. La meritocrazia è ingiusta ma è accecante. Tutti oquasi tutti la rivendicano come se
fosse un toccasana. I bravi studenti, e quipossiamo anche aggiungere i bravi insegnanti, sono
coloro che permettono allasocietà di stare unita, di non disfarsi nonostante le ingiustizie. Per
questaragione ci vogliono bravi studenti e insegnanti, persone motivate, che meritanoun
riconoscimento. Forse anche per le stesse ragioni il potere politico èincline a premiare coloro che
lo servono a puntino. La meritocrazia potrebbeessere un bel caso di effetto sociale della
scolarizzazione, ma non se ne parlamolto in questo libro nonostante la presenza tra i compilatori
di MarieDuruBellat dell’ Istituto di scienze politiche di Parigi che ha dedicatosvariati lavori a
questo tema e che ha denunciato con prove alla manoprovenienti da diversi sistemi scolastici gli
effetti perversi dellameritocrazia scolastica, non dal punto di vista degli insegnanti ma da
quellodegli studenti. DuruBellat è passata invisa a molti colleghi che non hannoaffatto
apprezzato le sue analisi feroci di questa dimensione dellasocializzazione. In questo volume, alla
meritocrazia si accenna solo distraforo. Nessun saggio è dedicato a questo tema anche se una
parte intera, laseconda parte, è imperniata sugli esiti sociali dell’ istruzione scolastica («The
Social Outcomes of Education Systems »).
Gli esiti sociali dellascolarizzazione
Siparla molto di esiti sociali della scolarizzazione. Gli operatori scolastici ingenere ritengono che
questa dimensione rappresenti uno dei principali prodottidella scolarizzazione, che poco ha a che
fare con l’ istruzione vera e propria:qui si sconfina nel campo dell’ educazione che di per sé
sarebbeincommensurabile. Il mistero sugli esiti è totale però si sbandierano come sefossero il
toccasana della scuola. L’ integrazione, la tolleranza, l’ inclusione,la razionalità, la giustizia, la
cittadinanza: ecco alcuni risultati grandiosiche gli operatori espongono come effetti fondamentali
della scolarizzazione edell’ educazione scolastica, poco importa se numerosissimi prove
indicano ilfallimento da questo punto di vista della scolarizzazione. Perché dopo otto,nove anni
di scuola o magari anche più, quindici o sedici, la socializzazionelascia a desiderare, i
comportamenti sociali sono intrisi di violenza, dipresunzione, di volgarità?
Il saggio di Dubet
Laseconda parte del volume è introdotta da un saggio di François Dubet,
sociologodell’ istruzione di primo piano in Francia, che si dilunga sulla coesionesociale. Come
ben noto la misura degli effetti sociali della scolarizzazione èun rompicapo notevole. Solo le
indagini longitudinali permettono di coglierequesta dimensione e di indagini longitudinali ce ne
sono poche in Europa perchéoccorre essere attrezzati per farlo, si devono disporre di notevoli
risorseumane e finanziarie ed è indispensabile padroneggiare metodologie statistichecomplesse.
Per l’ appunto gli Inglesi ed i Francesi posseggono queste tecniche egestiscono indagini
statistiche longitudinali di grande qualità e di notevoleimportanza.
Cosa dice Dubet?
Lacoesione sociale è un sintagma che è diventato un mantra non solo nellapedagogia progressista
contemporanea ma anche in tutte le politiche sociali.Infatti, anche le grandi organizzazioni
internazionali come l’ OCSE o la Banca Mondialese ne fanno i portavoce e indicano nella
coesione sociale uno degli strumentiper promuovere lo sviluppo delle società, il benessere
collettivo edindividuale nonché una via per permettere agli individui, ai singoli membridella
società di realizzare se stessi. Infatti la coesione sociale si ottienesolo se i membri della società
non sono frustrati nelle loro ambizioni, sepossono realizzare compiutamente se stessi. Questo
risultato si traduce poi inun beneficio per tutta la società.
Questoè uno dei pilastri del modernismo che è stato in modo eccellente segnalato epromosso dai
padri fondatori degli Stati Uniti. Si risale dunque come minimoall’ illuminismo. Il testo di Dubet
è suddiviso in tre parti. Nella prima parteDubet espone tre differenti risposte date alla domanda
iniziale: come lesocietà si costituiscono? La prima risposta si rifà al concetto di comunità.
Lesocietà sorgono quando le comunità (Gesellschaft) entrano in azione; la secondaè la solidarietà
e presuppone che si ammetta la frantumazione interna diqualsiasi società. Le società sono divise;
infine la terza è la coesionesociale considerata come un insieme di meccanismi che generano una
società. Adifferenza di Durkheim e Bourdieu, la società non è più determinata da fattorisociali e
culturali ma da meccanismi di coerenza e coordinamento deicomportamenti sociali. Le teorie
contemporanee della socializzazione pongonol’ accento sull’ individualismo. «La coesione
necessariamente implica che lesocietà siano individualiste» (pag. 144). L’ individualismo
contemporaneo nonrisiede solo nella capacità e nella possibilità di espressione in senso lato
equindi non concerne solo la sfera privata. Dubet tratteggia cosa significarappresentare le società
contemporanee come società individualistiche. Proprioqui si innesta il tema della coesione
sociale con tutte le sue implicazionipolitiche, economiche, educative. Si parla e si discute di
coesione socialeperché si è entrati in un sistema individualistico che premia l’ individualità.Si
potrebbe aggiungere anche l’ originalità, la creatività. Un altro spunto diriflessione proposto da
Dubet è lo slittamento dalla governabilità allagestione. Questa questione è connessa
all’ apparizione di una nuova forma didemocrazia, caratterizzata da un insieme di procedure e
prassi sviluppatesi perproteggere l’ individualità. Una delle conseguenze di questa tendenza
simanifesta nella trasformazione delle politiche pubbliche che diventano vieppiùlocali,
efemeriche e collettive. Non è più il centro che detta ed impone ilprogramma politico ma è la
base con una serie di iniziative politiche eamministrative che si avvalgono di esperti, consulenti,
professionisti,lobbisti che difendono le varie cause. Anche qui si indovina la presenza infiligrana
del tema della coesione sociale. Per vincere, occorre essereconvenientemente attrezzati, disporre
di argomenti solidi e questi sonosoprattutto costituiti da dati empirici, da tecniche di potere
padroneggiatedagli esperti il cui scopo non è tanto quello di creare uno stato stabile ma
dimodificare i sistemi di gestione per adattarli alle esigenze dei singoli gruppidi potere. In questa
congiuntura, la valutazione diventa uno strumentoprivilegiato di azione. Si indovina in queste
considerazioni la presenza di unaavversione tipicamente francese al localismo, al comunitarismo.
Il benesseresociale, la giustizia sociale non possono essere il frutto di egoismi, nonpossono
venire dal basso, ma devono essere calati o meglio indicati da chi stain alto. Gli insegnanti sono i
mediatori, gli interpreti di queste teorieformulate dai filosofi e dalle persone colte. Oltre al nuovo
concetto didemocrazia si ritrova l’ emergenza di un nuovo concetto di uguaglianza: si passadalla
ricerca dell’ uguaglianza dei punti di partenza ad uno di uguaglianzadelle opportunità. Lo sport
diventa una eccellente metafora di questatrasformazione. Si suppone che l’ uguaglianza delle
opportunità produca coesionesociale a condizione che il talento di ognuno possa esprimersi e
manifestarsi.Se ciò succede allora tutti ne possono beneficiare ma per giungere a questorisultato
occorre fiducia nelle regole e nel prossimo. Infine Dubet sviluppa ilconcetto per lui chiave nella
riflessione sulla coesione sociale ossia quellodi capitale sociale. Si rende come giusto omaggio
ad alcuni grandi padrifondatori come Bourdieu, Coleman e Putnam, figure centrali della
sociologiacontemporanea. Il capitale sociale promuove la fiducia nel prossimo e lafiducia è
necessaria per la democrazia come pure per gli affari. Questiconcetti si ritroveranno nel saggio
firmato da DuruBellat che li approfondiscecon dati provenienti dalle banche dati prodotte dalle
indagini internazionali.La coesione sociale: un sintagma recente
Ilsaggio di Dubet introduce la seconda parte del volume che è dedicata allacoesione sociale. Il
testo di Dubet è assai interessante proprio perché sitratta di un testo teorico, senza nessun
riferimento empirico. Dubet precisasubito che il sintagma «coesione sociale» entrato nel
linguaggio sociologico indata assai recente indica un cambiamento di paradigma nella
spiegazione deimotivi per i quali una società si costituisce e delle ragioni che spingono
gliindividui a stare assieme, ad unirsi. Infatti la domanda fondamentale è laseguente: «come le
società si costituiscono?» ( ‘ How are societies boundtogheter’ ?). Questa è la domanda iniziale,
che Dubet formula senza punto didomanda. Per Dubet non esiste nessun dubbio in materia. Il
ricorso al concettodi coesione sociale è l’ espressione di un cambiamento di fondo, per
l’ appuntodi uno slittamento di paradigma, nella spiegazione della costituzione dellasocietà. La
caratteristica principale del mondo contemporaneo risiede neltrionfo dell’ individualismo. Tutte
le iniziative in corso sul piano politico e culturaleattribuiscono al soggetto la responsabilità di
costruire la società. Lacoesione sociale è un insieme di meccanismi che forgiano e costituiscono
lesocietà (pag. 143). Tutto ciò si colloca al polo opposto tratteggiato daDurkheim o Bourdieu,
ossia quello dell’ integrazione sociale secondo il qualeesisterebbe, ciò è molto francese ed è
molto connesso al pensiero di Durkheim,un ordine culturale e sociale superiore che dirige le
pratiche degli attori, alquale gli attori, ossia gli individui, si conformano più o meno. Il
meccanismodi produzione della società è il prodotto di accordi e di coordinamento trapratiche
sociali multiple. I meritevoli di cui si parlava poco fa sarebberocoloro che conoscono sia gli
obiettivi che i meccanismi che regolano ilfunzionamento di una società. L’ apparizione del
sintagma «coesione sociale» nonsarebbe altro che la manifestazione del trionfo
dell’ individualismo comepilastro del vivere in comune. Le ripercussioni scolastiche di questa
teoriasono assai rilevanti. Infatti non c’ è dubbio che nelle politiche scolastichevigenti e nella
gestione delle scuole si ritrovi questa dimensioneindividualistica. Il personalismo pedagogico ne
è una manifestazione, come lo èl’ organizzazione dell’ istruzione per progetti.
Modelli di scolarizzazione
Laseconda parte del volume è una declinazione di questa concezione elaborata daDubet nel
saggio introduttivo. Vi si trova tra l’ altro un testo interessante diNathalie Mons , DuruBellat ,
Yannick Savina sui modelli scolastici e il loroimpatto sui comportamenti degli studenti (
Educational Models and Their Impacton Student Attitudes, pag. 183). Nathalie Mons è stata una
allieva diDuruBellat che ne ha diretto la tesi di dottorato. Del saggio di Duru Bellatse ne parlerà
tra poco. La seconda parte avrebbe potuto essere più densa, piùpedagogica dopo la brillante
introduzione di Dubet, ma sono carenti le ricerchedei sociologi francesi su questo tema oppure
gli autori mobilitati perpartecipare a questo lavoro sono stati scelti in funzione di criteri
nondirettamente connessi al tema del volume. Mancano per esempio in questo libro,dal punto di
vista francofono gli studi di Pons, di Agnès Van Zanten che sonostati svolti dal Centro di
sociologia delle organizzazioni dell’ Istituto francesedi scienze politiche, oppure non sono
nemmeno citati i lavori di Denis Meuret.Mancano anche sulla sponda inglese altri autori di
rilievo. Il volume fa piazzapulita dei concorrenti, li esclude, non li tiene in considerazione e
nemmeno licita. Si ha il sospetto che dietro i contributi riuniti nel volume ci sia unconflitto tipico
del mondo accademico che induce ad emarginare colleghi chedisturbano e che sono in
concorrenza con gli autori prescelti. A questo puntosi preferisce dare spazio ad un dottorando
piuttosto che al direttore di uncentro di ricerca che opera in modo diverso, con una prospettiva
teoricadifferente sullo stesso tema. Tutto ciò riduce il valore e l’ interesse delvolume che per
finire esprime un punto di vista e non la tendenza generaledella disciplina sul tema preso in
considerazione. Purtroppo i compilatori delvolume non ritengono opportuno spiegare questo
limite. Tra l’ altro ci sono cosebizzarrie nel testo: per esempio Dubet traduce dal francese in
inglese unpassaggio di Honneth che esiste in inglese. I curatori nella casa editrice delvolume non
si sono dati la pena di cercare il testo originale e nemmeno Dubetl’ ha fatto. Ci si aspetterebbe
una precisione migliore da questi autori o dallacasa editrice.
Cosa dice DuruBellat?
DuruBellatpropone come prima firmataria un testo sulla coesione sociale in
un’ otticacomparativista. Si sente in questo articolo la mano della specialistadell’ educazione
comparata anche se la sociologa francese si guarderebbe benedal rivendicare una simile
affiliazione. In molti suoi articoli DuruBellatsfoggia una conoscenza notevole dei dati comparati
e dimostra di possedere unabravura considerevole nello svolgere analisi comparate sui temi
dell’ istruzionee della politica scolastica e sociale. In questo volume pubblica duecontributi: il
primo con Nathalie Mons e Yannick Savina sui modelli scolasticie sul loro impatto sui
comportamenti degli studenti (in inglese: "Educationals Models and Their Impact on Student") e
il secondo di cui èprima firmataria con Antoine Vérétout e François Dubet sull’ educazione e
lacoesione sociale in una prospettiva comparata (in inglese: “ Education andSocial Cohesion in a
Comparative Perspective” ). Questo secondo contributo cisembra più rilevante anche perché
affronta un tema molto di attualità maaddirittura perché tratta di una questione centrale nel
volume, ossia quelladella coesione sociale. DuruBellat e i suoi coautori annunciano subito laloro
posizione: la coesione sociale mediante l’ istruzione è un mito. Non èaffatto vero che se si
istruiscono più a lungo i membri della società, illivello di coesione sociale si eleva e le
probabilità di instaurare nellasocietà relazioni più forti improntate sulla fiducia reciproca
aumentano. Secondogli autori di questo saggio i fattori chiave della coesione sociale
sonol’ occupazione e quindi il suo contrario la disoccupazione, le disuguaglianzesociali, la
povertà, ecc. Gli autori formulano dunque un’ ipotesi contraria alsenso comune e sostengono che
l’ impatto dell’ istruzione quando è significativopuò aumentare le disuguaglianze sociali e
promuovere la riproduzione delledisuguaglianze tra le generazioni. Gli autori non si limitano ad
utilizzare labanca dati dell’ OCSE. Questo è senz’ altro un pregio del loro saggio. Una
partedelle informazioni provengono infatti da un’ altra indagine internazionale,ovverosia dal
World Values Survey. Secondo gli autori, un forte impattodell’ istruzione può indebolire la
coesione sociale. Cioè più il livello diistruzione si alza nella popolazione, più si indebolisce la
coesione sociale.Questa non può essere distinta dalle disuguaglianze scolastiche ed è
quindiinutile proclamare i benefici della creatività pedagogica in materia dicoesione sociale
senza tenere in considerazione il dinamismo sociale chepotremmo chiamare semplicemente la
cultura, non però la cultura aulica, e losviluppo economico. La coesione può essere definita come
l’ insieme di valorisociali e di virtù che servono come fondamento alla solidarietà nelle
societàdemocratiche e che assicurano per riflesso lo sviluppo economico. Il saggio cheriflette
assai bene le opinioni molte volte espresse da DuruBellat siconcentra su due insiemi di attitudini:
il capitale sociale (da questo punto divista l’ autore di riferimento è Putnam ma non si scordano i
contributi di altriautori come per esempio Coleman) e la fiducia, tema particolarmente caro
aidiscepoli di Coleman. Gli autori del saggio inserito in questo volumedistinguono la fiducia
dalla tolleranza e costruiscono un indicatore compositofondato su tre qualità: il capitale sociale,
la fiducia, la tolleranza.L’ istruzione o le attività scolastiche che si prefiggono di promuovere
lacoesione sociale non sono che un aspetto secondario della coesione sociale.Infatti gli autori
dimostrano che la coesione sociale e le caratteristichedell’ istruzione non sono
significativamente correlate, contrariamenteall’ impressione iniziale prodotta dalla loro analisi.
Solo l’ integrazionescolastica è positivamente correlata con la coesione sociale: la mancanza
dicorrelazione tra disuguaglianze scolastica e coesione sociale possonosorprendere ma non si
deve scordare che le disuguaglianze scolastiche possonoaccentuare la distanza culturale tra gli
studenti e generare difficoltà dicomunicazione nonché ostacoli nella fiducia reciproca. Questa
posizione èdavvero interessante e potrebbe essere convalidata da ulteriori ricerche.Infatti, ci sono
molti aneddoti che comprovano l’ inefficacia dei livelli diistruzione dal punto di vista della
coesione sociale, della tolleranza ma leindagini scientifiche su questo aspetto sono carenti o
pressoché del tutto assenti.Ne parlano soprattutto i filosofi come Sloterdijk. Gli autori del saggio
nonforniscono osservazioni dettagliate sulle correlazioni tra coesione sociale,fiducia reciproca,
tolleranza. Tirano per i capelli la questione, forse ancheper sfruttare al meglio indagini esistenti
nei cassetti, gli autori analizzanosoprattutto l’ impatto dei diplomi scolastici sul mercato del
lavoro come unadelle variabili principali delle disuguaglianze e quindi dell’ evoluzione
dellivello di coesione sociale. Questa pista non è particolarmente originale. Inconclusione, gli
autori giungono ad una affermazione classica della sociologiache si occupa dei problemi di
disuguaglianze sociali: le caratteristichesocioeconomiche come per esempio la ricchezza
economica, le dinamiche delmercato del lavoro e dei livelli di disuguaglianza sono fattori molto
piùsignificativi di coesione sociale disuguaglianza sono fattori molto piùsignificativi di coesione
sociale che non quelli prettamente scolastici . Perarricchire l’ analisi, gli autori indagano il
livello di percezione dellacoesione sociale da parte degli attori sociali. Essi introducono quindi
unnuovo concetto, ovverosia quello della percezione delle disuguaglianze. Lasocializzazione
prodotta dalla scolarizzazione risulta meno incisiva che nonl’ insieme dei fattori socioeconomici
i quali sono più potenti anche perchéhanno un’ incidenza maggiore sulla percezione oggettiva e
soggettiva delledisuguaglianze. Quando le disuguaglianze sociali non sono percepite come
moltopronunciate, le società sono molto più coesive. Gli autori affermano chel’ effetto
dell’ istruzione scolastica dipende non solo da quanto è successoprima della scuola o durante la
scolarizzazione ma anche da quanto succede dopola scolarizzazione ovverosia dai meccanismi
che governano l’ impatto del livellodi istruzione sulla vita degli individui ossia dal punto di vista
che gliindividui maturano a proposito delle percezioni e della legittimità delledisuguaglianze
sociali. Per finire, questo saggio relativizza alquantol’ impatto dei programmi scolastici che
mirano a promuovere la coesione sociale.È senz’ altro interessante rilevare che la promozione
dei livelli di istruzionenonché un livello più elevato di istruzione della popolazione accentua
ledisuguaglianze economiche invece di ridurle e che la percezione soggettivadelle
disuguaglianze non è correlata in modo significativo dal punto di vista statisticoalla percezione
oggettiva delle disuguaglianze esistenti in una società.Società relativamente ingiuste dal punto di
vista delle analisi comparate comequella degli Stati Uniti o quella del Giappone possono
convivere con un livellodi coesione sociale elevato anche se la percezione dell’ ingiustizia
sociale daparte dei membri di queste società è soggettivamente errata. Ciò dimostraquanto
rilevante sia la percezione delle ingiustizie sociali. Questeconstatazioni aprono il campo a
molteplici piste di indagini che però fin quisono ancora assai carenti. Sarebbe auspicabile che gli
autori in un prossimofuturo approfondiscano ulteriormente queste ipotesi con prove inconfutabili
dicome l’ apparato istituzionale contemporaneo ed il discorso pedagogico
dominantecontribuiscano ad indebolire la coesione sociale nonostante le affermazioni edi
proclami che vanno in una direzione del tutto opposta.
La comparazione come chiave dianalisi
Isaggi di questo volume sono un omaggio reso all’ educazione comparata e sibasano sul
presupposto che non esiste una convergenza planetaria tra i sistemiscolastici che sono molto
diversi tra loro. Nessuno degli autori ha fattocarriera nel campo dell’ educazione comparata
anche se molti dimostrano di usarecon grande competenza i dati di vari sistemi nazionali nonché
le indagini internazionalicomparate. Qui si dovrebbe avviare un lungo dibattito sulla
rilevanzadell’ educazione comparata come strumento di conoscenza. La storiadell’ evoluzione
dell’ educazione comparata dagli inizi agli albori del XIXsecolo fino ad oggi è stata scritta
altrove e non è il caso di riprenderla inquesta sede, ma occorre pur dire che i contributi raccolti in
questo volume siinseriscono in una corrente disciplinare e come lo si può dedurre dallapremessa
dei curatori i quali contestano “ d’ emblée” l’ opportunità di collocarele loro analisi in una
prospettiva sovranazionale e globale come invece talunicomparativisti contemporanei ritengono
di dovere fare ( pagina 4). Nonostantequesto diniego, i lavori raccolti nel volume si inseriscono
nell’ ambitodell’ educazione comparata e sostengono un punto di vista specifico che contestala
validità delle affermazioni di altri specialisti dell’ educazione comparatasecondo i quali i sistemi
scolastici a livello mondiale evolvono nella stessadirezione e tendono a convergere tra loro.
Questo tema è un invito a nozze peri compilatori del volume che sono nomi famosi come Green,
DuruBellat , Dubetil quale non è tra i compilatori ma è uno degli autori di spicco. Dubet se nesta
alla larga dagli studi comparati ma sottoscrive un saggio di DuruBellatche è invece molto
imperniato sulla comparazione come lo sono la maggior partedegli ultimi lavori della sociologa
francese. Occorre anche dire che iltrattamento analitico dei dati statistici effettuato da DuruBellat
e Mons nonè affatto male. Non vale la pena qui discutere la pertinenza della gamma
dimetodologie usate dagli autori dei vari saggi. Si può soltanto rilevare lapresenza tipicamente
francese delle analisi fattoriali delle corrispondenze el’ assenza di altri approcci metodologici
che invece abbondano nelle analisidell’ OCSE per esempio le analisi di Douglas WiIllm
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