utilizzo degli enzimi in medicina

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SECONDA UNIVERSITA’DEGLI STUDI DI NAPOLI
Sede di CASERTA
Facoltà di Medicina e Chirurgia
Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia
ATTIVITA’ DIDATTICA OPZIONALE DI
BIOCHIMICA:
UTILIZZO DEGLI ENZIMI IN MEDICINA
Anno 1999/2000
TESTO A CURA DI:
firma
Costanzo Anita
Fabozzi Teresa
Maiorano Patrizia
Miranda Agnese
Granata Vincenza
Di Martino Grazia
Di Puorto Cristina
Savastano Beatrice
Marraffa Giovanna
Codella Umberto
Poccia Biabio
Cicalese Carmine
Casalino Guido
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n° di matricola
INDICE
CAPITOLO 1
1
2
3
4
Relazione tra struttura e funzione: meccanismo d’azione degli enzimi
Regolazione della attività enzimatica
Localizzazione intracellulare degli enzimi
Classificazione degli enzimi
CAPITOLO 2
1
2
3
4
5
6
7
8
pag. 3
pag. 4
pag. 6
pag. 7
GLI ENZIMI IN MEDICINA
Introduzione
Enzimi nell’infarto miocardico
Enzimi nelle affezioni epatiche
Enzimi nelle patologie coagulative
Enzimi nelle affezioni muscoloscheletriche
Enzimi nell’infarto polmonare
Enzimi nelle affezioni renali
Enzimi nelle neoplasie
CAPITOLO 3
1
2
3
GLI ENZIMI
pag. 10
pag. 11
pag. 16
pag. 19
pag. 38
pag. 38
pag. 39
pag. 42
ENZIMI IN TERAPIA
Introduzione
Classificazione degli enzimi terapeutici per apparati
Enzimi in terapia cardiologica
-3-
pag. 47
pag. 47
pag. 50
CAPITOLO 1
GLI ENZIMI
Gli enzimi possono essere definiti biocatalizzatori specifici di natura proteica; sono infatti
capaci di innalzare la velocità di reazioni termodinamicamente possibili senza alterarne la
costante di equilibrio. Essendo proteine il potere catalitico dipende dalla conformazione
nativa quindi struttura primaria, secondaria, terziaria e quaternaria sono essenziali per il
loro funzionamento. Alcuni di essi per assolvere alla loro funzione hanno bisogno di
componenti chimici addizionali o cofattori come gli ioni inorganici (Mg2+,Fe2+,Zn,Ca2+) e
diverse molecole organiche (coenzimi).
L’insieme cataliticamente attivo, dell’enzima più il cofattore prende il nome di oloenzima,
mentre la solo porzione proteica è detta apoproteina o apoenzima .
Alcuni enzimi vengono sintetizzati sottoforma di precursori inattivi chiamati zimogeni i quali
acquisiscono la loro piena attività enzimatica solo dopo la rottura proteolitica specifica di
uno o più legami peptidici.
Relazione tra struttura e funzione : meccanismo di azione degli enzimi
Abbiamo detto che gli enzimi sono catalizzatori specifici sia dal punto di vista delle
molecole su cui agiscono che dal tipo di reazione catalizzata.
Questa specificità dipende dalla struttura e dalla natura chimica del sito di legame per il
substrato che occupa una zona dell’enzima.
Nell’assumere la struttura terziaria , il ripiegamento, avviene in modo da creare sulla
superficie una regione ideale per legare uno specifico substrato (sito attivo) .
Il sito attivo è la tasca enzimatica all’interno della quale avviene la reazione enzimatica ed
è formato da un sito di legame e da uno catalitico.
Il sito di legame è dove si stabiliscono le prime interazioni per formare il complesso enzima
– substrato. Questo legame comporta una variazione della struttura terziaria dell’enzima
che favorisce l’avvicinamento delle zone di reazione.
La funzione dell’enzima è quella di aumentare la velocità di reazione cioè di far
raggiungere più velocemente l’equilibrio abbassando l’energia di attivazione in modo che
un maggior numero di molecole possa procedere verso la formazione del substrato o del
prodotto. L’enzima in effetti catalizza l’interconversione tra i due e non viene consumato
durante i processi.
Quando in una reazione sono presenti più tappe la velocità complessiva è determinata
dalla tappa con energia di attivazione ( *1 ) più elevata che viene detta “ tappa che limita la
velocità”.
(*1) quando una reazione avviene a temperatura costante la variazione di energia libera (G°) è determinata dalla variazione di
entalpia( H) ossia il tipo e il numero di legami non covalenti che si rompono e si formano e dalla variazione di entropia (S) che indica
la casualità del sistema. G° = H - TS
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Regolazione della attività enzimatica
L’attività enzimatica è regolata da numerosi fattori che sono essenziali per il
coordinamento di tutto il metabolismo .
La velocità enzimatica può essere rallentata in risposta all’accumulo del prodotto
(inibizione da prodotto) ed è determinata dalla disponibilità dei substrati e dei
cofattori.
Una strategia di regolazione enzimatica coinvolge anche modificazioni covalenti
dell’enzima che viene attivato o disattivato a seconda che sia legato o meno, in maniera
covalente e reversibile, ad un determinato gruppo chimico.
L’attività enzimatica inoltre può essere attivata o inibita anche attraverso interazioni non
covalenti tra l’enzima stesso e piccole molecole diverse dal substrato . Questo
meccanismo di controllo viene chiamato regolazione allosterica , poiché l’attivatore o
l’inibitore si legano ad un sito differente dal substrato .
All’incirca nell’ultimo decennio si è giunti alla convinzione che, in molti casi, l’attività
funzionale di una sequenza metabolica è modificata dall’effetto che un metabolita, che si
produce negli ultimi stadi della sequenza (eventualmente lo stesso prodotto finale),
esercita su un enzima chiave, in genere una di quelli che catalizzano i primi passaggi della
sequenza e spesso proprio l’enzima del primo passaggio.
Questo enzima chiave, la cui attività è posta sotto controllo metabolico, è detto “enzima
regolatore” e il processo di controllo “inibizione a retroazione” (feedback). Gli enzimi di
questo tipo hanno in comune molte proprietà, che si considerano connesse con la loro
funzione regolatrice.
Molti enzimi regolatori mostrano una dipendenza della velocità di reazione dalla
concentrazione del substrato che non è quella tipica, in quanto è espressa da una curva
sigmoide .
J. Monod, J. P. Changeux e F. Jacob misero in evidenza la somiglianza fra queste curve
sigmoide e la curva di ossigenazione dell’emoglobina, essa stessa contrastante con la
curva iperbolica di ossigenazione della mioglobina, e proposero che questi enzimi, che
denominarono “allosterici”, fossero costituiti da due o più subunità, ognuna con un sito
catalitico. Infatti la curva sigmoide è appunto espressione del fatto che la combinazione di
uno dei siti con il substrato (o con l’ossigeno nel caso dell’emoglobina) ha effetto
sull’affinità degli altri siti. La maggior parte degli enzimi allosterici si sono dimostrati
effettivamente a struttura polimerica e alcuni mostrano altre proprietà che senza dubbio
dipendono da questa struttura, come la sensibilità alle basse temperature e l’accresciuta
stabilità al calore in presenza di “effettori allosterici” (siano essi inibitori o attivatori).
Un sito allosterico è un sito che si combina con piccole molecole che hanno un effetto
sull’attività enzimatica e che esiste sull’enzima in aggiunta ai siti normali cataliticamente
attivi. La molecola del substrato può essere essa stessa capace di combinarsi con il sito
allosterico e allora l’enzima regolatore è detto “omotropico”; l’enzima è “eterotropico” se gli
unici effettori sono molecole diverse dal substrato.
Vari modelli sono stati proposti per spiegare questi fenomeni. Secondo il modello di
Monod, Wyman e Changeux,un enzima allosterico sarebbe costituito da due o più
subunità identiche, ognuna con un solo sito catalitico e con siti allosterici indipendenti, uno
per ogni effettore. Si ammette che le subunità possano esistere in due configurazioni e
che, in ogni data molecola polimerica, tutte le subunità debbano essere presenti nella
stessa configurazione. Gli effetti allosterici sono allora dovuti a variazioni dell’equilibrio tra
le due forme, in conseguenza delle differenti affinità che le due forme hanno per substrato
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ed effettore. In una altra formulazione, descritta diffusamente da Koshland e Neet, si
suppone che la combinazione di subunità con l’effettore provochi un cambiamento di
conformazione nella subunità stessa e che tale cambiamento influenzi la forma e la
stabilità della subunità adiacenti. Si pensa che possano formarsi degli stati
conformazionali ibridi.
Gran parte dell’abbondante letteratura sui singoli sistemi allosterici è stata diretta a
discriminare, sulla base di analisi cinetiche o d’altro tipo, fra i vari meccanismi possibili.
Bisogna ricordare che solo in alcuni casi l’esistenza di siti allosterici è stata dimostra
direttamente. Un esempio interessante è l’enzima aspartatotranscarbammilasi che,
quando viene estratto dall’Escherichia coli, ha un peso molecolare di 300.000 e 12
subunità. La dipendenza della velocità dalla concentrazione aspartato è sigmoide e
l’enzima è inibito dal citidintrifosfato (CTP), che è il prodotto terminale di una serie di
reazione cui partecipa l’enzima. L’ATP compete con il CTP per il sito allosterico, riducendo
l’effetto inibitorio. L’aggiunta di sostanze come il p-idrossimercuribenzoato provoca la
dissociazione dell’enzima, e allora la cinetica torna al classico tipo Michaelis-Menten.
L’enzima dissociato può essere separato in due tipi di subunità. Un tipo è cataliticamente
attivo, ma non è inibito dal CTP; l’altro è inattivo e capace di combinarsi con il CTP.
Sembra che l’enzima sia costituito da sei subunità, provviste di un sito catalitico ciascuno,
e da altre sei, differenti, ognuna con un sito allosterico.
Esiste un altro tipo di controllo metabolico. C. F. Cori e A. A. Green, nel 1943,
dimostrarono che la glicogenofosforilasi del muscolo esiste in due forme, fosforilasi a e
fosforilasi b. Esse differiscono nella composizione primaria, in quanto la forma b contiene
su ogni subunità un residuo di fosfato legato in maniera covalente.
La fosforilasi a può essere trasformata nella forma b per fosforilazione a opera dell’ATP,
sotto l’influenza di un enzima speciale (fosforilasichinasi); la trasformazione inversa è
catalizzata da una fosfatasi,che stacca il fosfato legato alla fosforilasi b.
I due enzimi differiscono in oltre per proprietà cinetiche, sicché questo sistema dar luogo a
un controllo metabolico in risposta al grado di fosforilazione dell’ATP nel sistema stesso
I meccanismi regolatori per questo enzima sono particolarmente complessi, perché
ambedue le forme sono esse stesse enzimi allosterici. La fosforilasi a è tetramero, la b è
un dimero, e la fosforilazione operata dalla fosforilasichinasi ha anche l’effetto di
dissociare l’enzima in due metà.
La fosforilasichinasi esiste nel muscolo in una forma inattiva, che si trasforma nella forma
attiva per azione della chinasi della fosforilasichinasi.
Anche quest’ultimo enzima è allosterico, essendo attivato dall’adesin-3’-5’-monofosfato
ciclico.
Bisogna ancora ricordare che gli isoenzimi presenti nella stessa cellula catalizzano la
stessa reazione ma sono sotto un diverso controllo metabolico.
Essi quindi sono proteine che hanno lo stesso sito catalitico ma differenti siti allosterici
come per le tre aspartochinasi nell’escherichia coli sottoposte a feedback da parte
rispettivamente, della lisina, della treonina e dell’omoserina.
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Localizzazione intracellulare degli enzimi
Le cellule sono costituite dal nucleo e dal citoplasma delimitato dalla membrana cellulare.
citoplasma non é una sostanza omogenea ma vi sono contenute strutture e formazioni di
diversa morfologia e grandezza.Tra le formazioni contenute nel citoplasma ci sono i
mitocondri in cui sono localizzati enzimi che catalizzano le reazioni di ossidoriduzioni e i
processi di fosforilazione ossidativa nonché le citocromossidasi Il e la glutammato
deidrogenasi.
Nei lisosomi si trovano molte idrolasi, fra cui la fosfatasi acida, la beta-glucuronidasi, la
ribonucleasi e le catepsine.Il nucleo contiene gli enzimi catalizzanti il metabolismo degli
acidi nucleici (RNA pol. DNA pol. etc...). Nello ialoplasma si trovano enzimi solubili che
catalizzano le reazioni della glicolisi (fosfoglicomutasi, aldolasi, LDH, etc.). Degli enzimi
comunemente determinati nel siero quale indice di lesione epatica alcuni hanno
localizzazione ialoplasmatica: la glutammato deidrogenasi, la ornitina carbamil transferasi
e l’isoenzima-2 della aspartato transaminasi sono localizzati nei mitocondri. Dal punto di
vista diagnostico, l’aumento nel siero degli enzimi a localizzazione mitocondriale starebbe
ad indicare una lesione delle cellule epatiche più grave di quando nel siero aumentano
prevalentemente gli enzimi a localizzazione ialoplasmatica.
La determinazione dell’attività di numerosi enzimi nel siero ha acquistato, in questi ultimi
decenni, una grande importanza clinica consentendo molte volte di giungere a diagnosi
precise e precoci. Molte volte il comportamento di un solo enzima nel sangue è sufficiente
per consentire la formulazione di una diagnosi sicura di lesione di un determinato organo o
tessuto:infatti le variazioni della concentrazione degli enzimi nel sangue sono
generalmente di un danno di quei tessuti nelle cui cellule gli stessi enzimi sono presenti.
Gli enzimi presenti nel plasma sono stati distinti in due grandi categorie:enzimi plasmaspecifici ed enzimi non plasma-specifici.
Gli enzimi plasma-specifici sono enzimi che svolgono la loro funzione nel plasma quali tutti
gli enzimi che regolano la coagulazione, la lipoproteino-lipasi, la lecitina-colesterolo
aciltransferasi.
Gli enzimi non plasma-specifici non esercitano nel plasma alcuna funzione fisiologica.
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CLASSIFICAZIONE DEGLI ENZIMI
E’ stato adottato un sistema internazionale di classificazione degli enzimi (EC)
(tab. n°1 )secondo il quale ogni enzima è indicato con un codice a quattro cifre.
TABELLA n° 1 Elenco di alcuni enzimi di interesse clinico
N° CODICE
NOME
(raccomandazione IFCC 1972)
ABBREVIAZIONE
( CISMEL 1974)
EC 1.1.1.27
EC –
EC 1.1.1.37
EC 1.1.1.42
EC 1.1.1.49
EC 1.4.1.3.
EC 2.1.3.3.
EC 2.3.2.2.
EC 2.6.1.1
EC 2.6.1.1.
EC 2.7.1.40
EC 2.7.3.2.
EC 3.1.1.2.
EC 3.1.1.7.
EC 3.1.1.8.
EC 3.1.3.1.
EC 3.1.3.2.
EC 3.2.1.1
EC 3.2.1.17
EC 3.2.1.20
EC 3.5.4.3.
EC 3.1.1.3.
EC 4.1.2.13
Lattato deidrogenasi
Idrossibutirrato deidrogenasi
Malato deidrogenasi
Isocitrato deidrogenasi
Glucosio-6-fosfato deidrogenasi
Glutammato deidrogenasi
Ornitina carbamil- transferasi
-Glutamil-transferasi
Aspartato amino transferasi
Alanina amino transferasi
Piruvato chinasi
Creatin chinasi
Aril esterasi
Acetil colinesterasi
Colinesterasi
Fosfatasi alcalina
Fosfatasi acida
- Amilasi
Lisozima
- Glucosidasi
Guanina deaminasi
Lipasi
Aldolasi
LDA
HBD
MAD
ICD
GPD
GLD
OCT
GGT
AST
ALT
PIK
CPK
ARE
ACC
CHE
ALP
ACP
AMS
LYS
AGD
GUD
LIP
ALD
ESEMPIO :
2.7.1.1
L’enzima è la glucosio- fosfotransferasi. Il 2 indica il nome della classe (trasferasi) , il 7 la
sottoclasse (fosfotransferasi), l’1 che è una fosfotransferasi che ha ,come accettore del
fosfato dall’ATP un gruppo ossidrilico e la quarta cifra 1 che l’accettore del gruppo
fosforico è il glucosio .
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Questo sistema divide gli enzimi in sei classi principali ognuna divisa in sottoclassi in base
al tipo di reazione catalizzata:
1. OSSIDOREDUTTASI
2. TRANSFERASI
3. IDROLASI
4. LIASI
5. ISOMERASI
6. LIGASI
OSSIDOREDUTTASI
Gli enzimi appartenenti a questa classe catalizzano reazioni di trasferimento di elettroni o
per meglio dire di ossido- riduzione.
Le ossidoreduttasi si dividono in :
 Ossidasi (enzimi che catalizzano il trasferimento di due elettroni da un donatore
direttamente all’ossigeno
 Ossigenasi (catalizzano l’incorporazione di ossigeno all’interno di una molecola
accettrice)
 Perossidasi (appartengono a questa sottoclasse enzimi che utilizzano come agente
ossidante l’acqua ossigenata)
Appartengono a questa classe cinque enzimi di interesse clinico :
1. Lattico deidrogenasi
2. 2-idrossibutirrico deidrogenasi
3. Glucosio-6-fosfato deidrogenasi
4. Glutamico-deidrogenasi
5. Glutatione-reduttasi
TRANSFERASI
Gli enzimi appartenenti a questa classe catalizzano reazioni di trasferimento di radicali o
gruppi funzionali da una molecola donatrice ad una accettrice. Quando tale trasferimento
non provoca dissipazione di energia la reazione è reversibile.
Le transferasi si dividono in :
 Amminotransferasi (catalizzano il trasferimento di un gruppo aminico da un aminoacido
ad un chetoacido
 Chinasi (catalizzano reazioni di fosforilazione attraverso il trasferimento di un gruppo
fosfato da una molecola di ATP ad un gruppo alcolico o aminico di una molecola
accettrice )
Si conoscono sei enzimi di interesse clinico :
1. Creatin chinasi
2. Piruvico chinasi
3. Asparto amino transfersi
4. Alanin-amino trasferasi
5. -glutamil transpeptidasi
6. Ornitin carbamil transferasi.
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IDROLASI
Gli enzimi appartenenti a questa classe catalizzano la scissione di substrati per idrolisi
ossia per addizione di una molecola d’acqua. Le idrolasi comprendono la maggior parte
degli enzimi digestivi e la loro distinzione in sottoclassi viene effettuata in base al tipo di
legame che viene idrolizzato :
 enzimi che idrolizzano il legame estere: fosfatasi,lipasi e colinesterasi
 enzimi che idrolizzano il legame peptidico : leucinoaminopeptidasi,tripsina e
chimotripsina
 enzimi che idrolizzano il legame (1,4)glucosidico e il legame C-N non peptidico: amilasi e guanasi.
LIASI
Le liasi sono gli enzimi che catalizzano la addizione di gruppi a legami doppi o la
formazione di doppi legami.
Tra le liasi di interesse clinico è da ricordare la aldolasi che catalizza la scissione del
Fruttosio-1,6-difosfato in gliceraldeide-3-fosfato e diidrossiaceton fosfato.
ISOMERASI
Sono un gruppo etereogeneo di enzimi in quanto catalizzano la trasformazione di un
substrato nel corrispondente isomero trasferendo gruppi all’interno della stessa molecola .
Tra le isomerasi è attribuita importanza ai fini clinici a due enzimi della via glicolitica (*1) :
1. Fosfoglicomutasi
2. Fosfoesosoisomerasi
LIGASI
Questi enzimi intervengono nelle reazioni di sintesi in cui due o più molecole si legano
covalentemente .
Queste reazioni avvengono accoppiate alla scissione di ATP .
(*1) la glicolisi è quella serie di reazioni sequenziali catalizzate da enzimi che portano alla degradazione del glucosio in due molecole di
piruvato per formare energia sotto forma di ATP.
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CAPITOLO 2
GLI ENZIMI IN MEDICINA
INTRODUZIONE
Per quanto riguarda le applicazioni nel campo della medicina dell’uso degli enzimi, la
questione va vista sotto due principali punti di vista: quello diagnostico e quello
terapeutico; di cui certamente il primo rappresenta, allo stato attuale, quello più noto e più
sviluppato, mentre il secondo è quello forse più affascinante e si spera foriero di successi
sempre maggiori al servizio della salute dell’uomo
Le conseguenze per la medicina dell’alterato controllo delle attività enzimatiche sono, di
grande portata perché è proprio l’alterazione dei meccanismi di controllo che conduce allo
stato di malattia. Se lo stato di vita normale dipende dal normale metabolismo, e questo a
sua volta dipende dall’appropriata coordinazione dei meccanismi di controllo che regolano
la velocità delle reazioni chimiche vitali, vi è da dire che la malattia non è altro che
un’alterazione del metabolismo, in altre parole, è un’alterazione dei meccanismi di
controllo delle attività enzimatiche.
La Biochimica, ed in particolare l’Enzimologia, appaiono così alla base stessa di ogni
fenomeno vitale, normale o patologico che sia, e quindi alla base della dottrina e delle
applicazioni pratiche della Medicina di oggi, ed è fin troppo semplice prevedere che ancora
maggiormente ciò sarà vero per la Medicina del domani.
Sono trascorsi circa 30 anni da quando furono proposti i primi dosaggi enzimatici fondati
su conoscenze scientificamente valide. Da allora il contributo della biochimica applicata
alla clinica è stato importante sia a livello quantitativo sia qualitativo. Quindi il richiamo
delle acquisizioni fondamentali, dei dati che hanno superato il vaglio severo dei criteri che
costituiscono la cosiddetta “efficienza diagnostica” può tornare più utile e dare un’idea più
precisa dell’enzimologia clinica moderna.
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-ENZIMI NELL’ INFARTO DEL MIOCARDIO –
L’infarto del miocardio è oggi una delle più frequenti cause di morte tra i soggetti di età
media ed anziana. Esso è provocato dalla brusca riduzione dell’apporto di sangue
attraverso le arterie coronarie, sangue dal quale il muscolo cardiaco deve trarre il
nutrimento e soprattutto l’ossigeno di cui ha bisogno in modo più elevato di qualsiasi altro
tessuto.La riduzione dell’afflusso di sangue arterioso causa una profonda sofferenza delle
cellule miocardiche (ischemia).
La fibrocellula miocardica è particolarmente ricca di alcuni enzimi (AST, LDH, CPK) si che
il disfacimento necrotico di estese zone di miocardio riesce ad innalzare il livello serico in
misura significativa.
LDH (lattico deidrogenasi) .Nell’infarto miocardico aumenta in particolare la LDH che
catalizza la riduzione dell’acido piruvico ad acido lattico.
Rispetto agli altri enzimi diagnostici la LDH è più tardiva in quanto l’aumento dell’enzima si
manifesta dopo circa dodici ore dall’inizio della sintomatologia dolorosa; esso ragginge il
massimo livello dopo circa 72 ore mantenendosi sopra i valori normali fino alla settimadecima giornata di malattia. Si comprende pertanto come la sua determinazione acquisti
un particolare valore nei casi di infarto o di sospetto infarto del miocardio che giungono
all’osservazione a qualche giorno di distanza dall’episodio.
CPK (creatin-fosfochinasi). E’ il primo enzima ad aumentare nel siero dopo un infarto del
miocardio.Comincia ad aumentare 4-6 ore dall’inizio della sintomatologia dolorosa per
raggiungere il massimo dopo 18-36 ore e ritornare ai valori normali dopo 3-4 giorni.
L’enzima si trova in quantità particolarmente elevate nel miocardio e in piccole quantità nel
plasma. La localizzazione intracellulare del CPK è prevalentemente citoplasmatica e solo
una piccola parte mitocondriale . Poiché il miocardio è uno dei tessuti con più elevato
contenuto in CPK si comprende come un aumento di questo nel siero si osservi
soprattutto nella relativa condizione morbosa.
La CPK è un dimero formato da due diversi monomeri (M e N) e i diversi accoppiamenti di
queste due unità danno origine a tre forme distinte che si trovano nei tessuti umani.
L’isoenzima MB è presente nel miocardio .L’ interesse clinico della determinazione
dell’isoenzima MB nel siero deriva dal fatto che esso aumenta quasi esclusivamente
nell’infarto del miocardio e può essere considerato un enzima “infarto miocardico
specifico”.
Nei casi di infarto del miocardio l’aumento dell’isoenzima MB è precoce ; comincia ad
aumentare nelle prime 4-6 ore ,raggiunge il massimo rapidamente (16-20 ore) e ,più
rapidamente della CPK totale ,torna nei limiti normali. Il ritorno a valori normali avviene
generalmente entro 48 ore e precede quindi di 24 ore quello della CPK totale .
Nella diagnostica dell’infarto miocardico acuto comunque altri marcatori stanno prendendo
il sopravvento come la determinazione della Troponina T ed I trattati sotto.
Il valore della determinazione del CK e del CK-MB rimane ancora molto utile anche per
l’affinamento della tecnica di determinazione che ormai sempre più è effettuata con
tecniche immunometriche standardizzate e non con tecniche biochimiche di cinetica
enzimatica. Come in seguito viene mostrato, infatti, nella fig.4 il confronto tra i vari
marcatori viene effettuato con il CK-massa e con CK-MB massa.
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Fig. 1 Comportamento degli isoenzimi della LDH (A)
e della CK (B) nell’infarto acuto del miocardio.
NOTA: il tracciato con linea continua si riferisce
all’individuo sano mentre la figura ombreggiata
riguarda il paziente infartuato.
Fig.2 Comportamento del CK totale e dell’isoenzima CK-MB in corso di infarto del miocardio .
AST : Per molti anni l’attività della transaminasi glutammico ossalacetico (SGOT),
attualmente nota come aspartato aminotransferasi, è stata determinata per la diagnosi di
IMA (infarto miocardico acuto).
I livelli oltre i valori normali entro 8-12 ore dall’esordio del dolore raggiungone il massimo
dopo 18-36 ore e scendono ai valori normali dopo 3-4 giorni. Tuttavia, poiché si verificano
innalzamenti falsamenti positivi , (con la maggior parte delle malattie epatiche e della
muscolatura scheletrica, dopo iniezioni intramuscolari, embolia polmonare e shock ) e
poiché il tempo di innalzamento e discesa delle AST è intermedio tra quello delle CPK e
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delle LDH la sua ulteriore utilità nella diagnosi di IMA è trascurabile e non viene più
utilizzata di routine.
Fig.3
TABELLA n° 2 Comportamento di alcuni enzimi sierici nell’infarto del miocardio
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MODIFICAZIONI DELL'ATTIVITA' SIERICA (*1)
ENZIMI
CK
A
5-6 ore
B
C
OSSERVAZIONI
ALTRE INDAGINI
20-24 ore 3°-4° giorno
specificità elevata se
si escludono danni
muscolari
dosaggio dell'isoenzima CK-MB
36-48 ore 4°-5° giorno
valori molto elevati si
osservano nell'infarto dosaggio dell'ALT (per escludere
scompensato (stasi
l'associazione di una eventuale
epatica acuta)
epatopatia
AST
6-8 ore
LDH
1° giorno 4° giorno 8°-15° giorno
dosaggio dell'HBDH
1) Sono indicati i tempi in cui (A) l’attività enzimatica supera il limite della norma, ( B ) raggiunge il valore massimo e ( C ) ritorna
nella norma .
MIOGLOBINA: Questa proteina viene liberata nel torrente circolatorio da parte di cellule
miocardiche lese e può essere evidenziata entro poche ore dall’inizio dell’infarto. I massimi
livelli di mioglobinemia vengono raggiunti prima di quelli delle CPK . Per la sua bassa
specificità miocardica la mioglobinemia può essere molto utile nel diagnosticare con
precocità un IMA se accompagnata da altre indagini. Molto utile comunque rimane nel
diagnosticare la riperfusione dopo trattamento farmacologico con streptochinasi o
urochinasi e nel reinfarto.
TROPONINA: Le troponine sono un complesso di proteine dell’apparato contrattile del
muscolo striato che presiedono ai processi di contrattilità muscolare regolando
l’interazione calcio mediata dell’actina con la miosina. Il complesso troponina è presente
unicamente nel muscolo striato ed è costituita dalla troponina T e troponina I .
Le diverse isoforme, prodotte da geni distinti, presentano strutture e funzioni differenti. I
livelli circolanti nel siero sono normalmente molto bassi, ma possono aumentare
rapidamente dopo necrosi miocardica. Le isoforme cardiache delle troponine T e I sono
quindi indicatori molto specifici e molto sensibili di danno miocardico. La presenza di
troponina nel plasma può essere conseguenza di un danno cellulare sia di tipo reversibile
che irreversibile.
- 15 -
Fig . 4
- 16 -
-ENZIMI NELLE AFFEZIONI EPATICHE Dato il consistente numero di enzimi contenuti nella cellula epatica, un eventuale lesione
dovuta a condizioni morbose che si accompagna ad una necrosi delle cellule epatiche
( epatociti) provoca un aumento di enzimi nel siero, che si accentua nelle condizioni
morbose.
Epatite virale
Nella fase iniziale dell’epatite virale vi è un aumento nel siero sia di enzimi citoplasmatici
( ALT), sia mitocondriali( OCT, GLDH ) sia di enzimi in parte citoplasmatici e in parte
mitocondriali(AST). Gli aumenti più accentuati sono quelli della OCT e delle due
TRANSAMINASI che possono aumentare diverse decine di volte rispetto ai valori massimi
normali.
Nell’epatite virale con normale evoluzione in guarigione i suddetti enzimi tornano
rapidamente( 15-20 giorni ) nei limiti normali. Il persistere di valori superiori alla norma
dopo 30-40 giorni dall’inizio della malattia fa sospettare l’evoluzione in epatite cronica
Epatiti croniche e Cirrosi epatica
Nell’epatite cronica sia persistente che attiva gli enzimi che più frequentemente si
presentano aumentati nel siero sono: OCT, TRANSAMINASI, GLDH.
Pur non potendo stabilire una netta diversità nel comportamento degli enzimi nella epatite
cronica persistente e nella epatite cronica attiva, si può dire in linea di massima che
mentre nella prima gli enzimi possono presentare notevoli variazioni durante il decorso
della malattia raggiungendo nei periodi di riacutizzazione valori assai elevati, nella forma
attiva essi si mantengono modicamente elevati in modo costante senza presentare
remissioni.
Il comportamento degli enzimi nel siero in caso di cirrosi epatica varia in rapporto alla
gravità delle lesioni epatiche.
Se l’attività protidopoietica del fegato è compromessa, vi è la diminuzione della PChE
(pseudo colinesterai) e la sua diminuzione è particolarmente accentuata negli stati finali
della cirrosi.
Nei casi in cui è presente una colestasi intra o extraepatica si verifica un netto aumento
della FOSFATASI ALCALINA, della 5 - NUCLEOTIDASI, della LAP e della
- GT.
Epatiti tossiche
I valori più elevati degli enzimi nel siero si osservano in corso di intossicazione con
sostanze epatotossiche capaci di determinare una necrosi diffusa del fegato: tra queste il
tetracloruro di carbonio e la falloidina.
In questi casi l’aumento delle TRANSAMINASI, OCT, LDH, GLDH può raggiungere valori
elevatissimi. L’aumento è di breve durata e al rapido innalzamento segue un ritorno verso i
valori normali, espressione non di miglioramento ma di esaurimento delle cellule epatiche.
Di particolare interesse è la determinazione della -GT negli etilisti cronici, nei quali questo
enzima è costantemente aumentato nel siero. Il comportamento della -GT nel siero di
questi pazienti è importante per seguire la cura di disintossicazione in quanto alla
sospenzione della introduzione di alcool segue rapidamente la normalizzazione del livello
sierico di questo enzima
- 17 -
Ittero ostruttivo
Nell’ittero ostruttivo gli enzimi che aumentano in modo più significativo nel siero sono la
FOSFATASI ALCALINA, 5’NUCLEOTIDASI, LAP e la -GT.
Nell’ittero epatitico si ha un netto aumento degli enzimi della citolisi e un modesto aumento
degli enzimi della colestasi mentre nell’ittero da occlusione delle vie biliari vi è un netto
aumento degli enzimi della colestasi mentre l’aumento degli enzimi della citolisi rimane in
limiti modesti. Per questo alcuni autori, nella diagnosi differenziale degli itteri, hanno dato
importanza al rapporto ALT / -GT. Quando l’ittero è instaurato da diverso tempo il
significato degli enzimi nel siero, ai fini di una diagnosi differenziale diminuisce, in quanto
negli itteri ostruttivi di lunga durata finisce con lo stabilirsi un danno delle cellule epatiche
che determina un aumento della OCT, delle TRANSAMINASI e della GLDH.
Neoplasie epatiche
Nei tumori, sia primitivi che metastatici del fegato, si ha frequentemente un aumento nel
siero di diversi enzimi.
TABELLA n°3 Frequenza dell’aumento nel siero di alcuni enzimi nei portatori di neoplasie epatiche
metastatiche.
N° CASI
PAZIENTI CON
VALORE ELEVATO
72
235
100
156
70
65
188
68
179
84%
81%
75%
69%
62%
53%
50%
47%
33%
ENZIMA
Fosfo esoso isomerasi
Fosfatasi alcalina
Aldolasi
LDH
MDH
ISDH
AST
Glutatione reduttasi
ALT
LEGENDA
OCT= Ornitina carbamil transferasi
GLDH = Glutammato deidrogenasi
SDH= Sorbitolo deidrogenasi
MDH= Malato deidrogenasi
-GT= Gamma glutammil transpeptidasi
LAP= Leucina amminopeptidasi
LDH= Lattato deidrogenasi
PChE= pseudo colinesterasi
AST= Aspartato amminotransferasi
ALT= Alanina amminotransferasi
- 18 -
Il quadro enzimatico caratteristico delle metastasi epatiche è il seguente:
 Aumenti da lievi a moderati delle attività transaminasiche
 GOT/GPT attorno a 2 e più elevato
 Aumento relativamente forte dell’attività GLDH
 GOT+GTP / GLDH inferiore a 15
 Attività di LDH normale oppure fortemente aumentata
 HBDH/LDH normale
 AP e LAP da chiaramente a fortemente aumentate( in caso di contemporanee
metastasi scheletriche, AP fortemente aumentata in misura non proporzionale)
 Forte aumento della gamma- GT
 Diminuzione da moderata ad evidente della CHE
Figura N° 5
- 19 -
-ENZIMI NELLE PATOLOGIE COAGULATIVENegli animali superiori e in particolare nei mammiferi, esiste un complesso di meccanismi
fisiologici, che permettono di determinare l’arresto delle emorragie dovuta alla fuoriuscita
di sangue attraverso soluzioni di continuo dei vasi sanguigni, di origine traumatica e di
altra natura. Questi meccanismi prendono il nome di emostasi che significa appunto
arresto delle emorragie. Gli stessi meccanismi si riscontrano in patologia quando si ha la
formazione di trombi o trombosi all’interno dei vasi.
La coagulazione del sangue porta alla trasformazione del sangue, normalmente fluido
nell’interno dei vasi, in una massa solida, gelatinosa, che prende il nome di coagulo e da
esso fuoriesce, dopo qualche ora, un liquido giallastro, il siero, in seguito alla retrazione
del coagulo.
La formazione del coagulo è dovuta alla trasformazione di una sostanza proteica,
contenuta nel sangue allo stato di soluzione, e cioè il Fibrinogeno, in una massa fibrosa,
compatta, la Fibrina, di colorito biancastro, in seguito all’azione di un enzima, la
Trombina. Questa deriva da uno zimogeno, la Protrombina, attraverso una serie di
reazioni, coinvolgenti trasformazioni di altri zimogeni in enzimi attivi.
Il coagulo di fibrina va incontro ad una progressiva dissoluzione spontanea che prende il
nome di Fibrinolisi .Anche questo è un meccanismo fisiologico che consiste nella
trasformazione del coagulo di fibrina in frammenti proteici in seguito all’azione di un
enzima la plasmina formatasi da un proenzima inattivo: il plasminogeno.
Esiste nell’organismo uno stato di equilibrio tra coagulazione del sangue e fibrinolisi che
va sotto il nome di bilancia emostatica. Questo stato di equilibrio permette di evitare da un
lato l’insorgenza di emorragie e dall’altro la formazione di coaguli intravascolari. Lo studio
dei vari fattori della coagulazione ha permesso di precisare per ciascuno di essi le
proprietà fisiche, chimiche e biologiche. (tabelle 4,5,6,7,8,9 fig. 6,7,8,9,10)
Il trombo quindi da quanto suddetto consiste nella formazione di un coagulo intravascolare
a partire da costituenti ematici in seguito all’attivazione dei meccanismi emostatici. Si tratta
di una reazione multifattoriale che coinvolge il rivestimento intravascolare( endotelio,
piastrine sistema emocoagulativo e cellule della serie bianca) il contatto del sangue con la
parete danneggiata innesca il processo trombotico che stimola la reattività piastrinica e
attiva il sistema coagulativo ( fig 11)
La formazione di un fattore attivato non richiede l’azione di un singolo enzima, ma di un
complesso multienzimatico legato ai fosfolipidi di membrane attivate, siano esse
piastriniche che endoteliali. Il processo di attivazione consiste, pertanto, nella
trasformazione a catena dei vari fattori della coagulazione presenti nel sangue, attraverso
un processo di proteolisi limitata e selettiva nell’ambito del singolo fattore. Queste reazioni
avvengono in maniera ottimale solo in presenza di piastrine, cellule endoteliali, ioni calcio
e cofattori proteici. (fig. 12,13)
Le attività procoagulanti e quelle anticoagulanti del plasma sono finemente regolate da un
complesso sistema di cofattori e inbitori. Gli anticoagulanti naturali, gli inibitori della via del
tissue factor ( T.F.P.I. ) (fig.14), l’Antitrombina III (AT III ) (fig. 15), la Proteina C (PC )
(fig.16), la proteina S (PS) (fig.16) e la resistenza alla PC attivata (fig. 17,18 )
rappresentano gli inbitori naturali dell’emostasi.
T.F.P.I. E’ stato recentemente dimostrato l’esistenza di un enzima in grado di inibire il T.F.,
il T.F.P.I..
Questo è in grado di inibire il complesso TF/fattoreVIIa, regolando così la cascata
coagulativa nel suo meccanismo di innesco sia intrinseco che estriseco.
- 20 -
TABELLA n° 4
(1) Il fattore VI non viene più considerato tra i fattori della coagulazione in senso stretto, in quanto risulta
dall’interazione tra fattore V, tromboplastina tessutale e calcio: è cioè un prodotto di reazione.
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TABELLA n° 5 Peso molecolare dei fattori della coagulazione
TABELLA n° 6 Fibrinogeno
TABELLA n° 7 Struttura molecolare del fibrinogeno
- 22 -
TABELLA n° 8 Fattori sintetizzati nel fegato
TABELLA n° 9
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Fig. 6
Schema della coagulazione in base alla “cascata” di reazioni (attivazione di un fattore inattivo da parte di un fattore già
attivo). A sinistra il sistema intrinseco, che prende l’avvio dal contatto con superfici estranee ( bagnabili ) e
dall’attivazione del fattore XII ( detto anche fattore contatto). Nel sistema estrinseco l’attivazione del fattore X può
avvenire per mezzo dell’uno o dell’altro dei due meccanismi indicati. I fattori attivati sono indicati per mezzo di una
lettera “a “ aggiunta al numero romano. PF3= fattore piastrinico 3 ( platelet factor 3).
- 24 -
Fig. n°7
Schema della trasformazione della protrombina in trombina, per azione del fattore Xa, con distacco di vari frammenti
Fig. n° 8
Analogie tra coagulazione e fibrinolisi: attivatori tissutali ed ematici, inibitori, attivazione di un proenzima
inattivo ( protrombina e plasminogeno ).
- 25 -
Fig. 9
Schema della fibrinolisi, che comprende pure, come per la coagulazione, un sistema intrinseco e uno
estrinseco.
- 26 -
Fig.n° 10
Schema della struttura dimerica del fibrinogeno
- 27 -
Fig n° 11
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Fig. n° 12
Schema dell’attivazione piastrinica
Fig. n° 13
Schema del meccanismo d’azione delle metilxantine e del dipiridamolo sull’aggregazione piastrinica.
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Fig. n° 14
- 30 -
Fig. n° 15
- 31 -
Fig. n° 16
- 32 -
Fig. n° 17
- 33 -
Fig. n° 18
- 34 -
ANTITROMBINA III. L’antitrombina III appartiene alla famiglia delle serpine, inibitori
naturali delle proteasi seriniche (fig.3), presumibilmente differenziatesi da un comune gene
ancestrale circa 500 milioni di anni orsono (2). I cloni di cDNA per antitrombina umana
sono stati isolati e sequenziati. Il gene codificante per AT III è localizzato sul cromosoma 1
tra 1q23 e 1q25; è di 13,480 Kb e contiene 7 esoni (1,2,3A,3B,4,5,6) (3).
Le serpine inibiscono l’attività delle proteasi seriniche attraverso la formazione di un
complesso stechiometrico 1:1 tra il sito attivo dell’enziama ed il sito attivo dell’inibitore. L’
Antitrombina III ed il cofattore eparinico II si legano entrambi all’eparina, all’eparansolfato
l’AT III e al dermatansolfato il cofattore eparinico II, producendo un significativo aumento
del loro potenziale inibitorio.
L’AT III è il più importante inibitore plasmatico della trombina, con una attività
anticoagulante di circa il 75% del potere anticoagulante del plasma (2) .
L’inattivazione delle proteasi plasmatiche avviene attraverso la formazione di un
complesso irreversibile, in cui l’Arg 393 forma un legame stabile con il sito attivo delle
specifica proteasi plasmatica.
Questo legame si instaura nel sito Arg 393-Ser 394 dell’inibitore e rappresenta il sito attivo
dell’AT III ed è comunemente definito come sito P-P’.
In genere , l’inibizione della maggior parte delle serino proteasi avviene lentamente
.Questa attività inibitoria viene potenziata di circa 1000 volte grazie al legame con l’eparina
o con sostanze eparino simili. L’AT III è in grado , inoltre di legare ed inattivare le serino
proteasi che agiscono da fattori della cascata coagulativa (IXa, Xa ,XIa, XIIa) ad
eccezione del fattore VII .Essa rappresenta un sistema regolatorio complementare a
quello della proteina C (fig.3).
Il deficit di AT III è di tipo eterogeneo(4). La sottoclassificazione dei deficit di ATIII è
basata sui risultati dei test immunologici e funzionali dei dosaggi plasmatici. Solo di
recente , attraverso lo screening delle possibili mutazioni del gene codificante, si è
ulteriormente modificata e perfezionata la classificazione dei vari deficit molecolari di AT III
(5). Le carenze congenite di questa proteina sono associate a frequenti episodi di
trombosi, anche giovanili, nel distretto venoso; molto più rare sono le trombosi arteriose
sia cardiache che cerebrali(6).
SISTEMA DELLA PROTEINA C . Il sistema della proteina C costituisce uno dei
meccanismi anticoagulanti naturali più importanti per il mantenimento di una corretta
regolazione emostatica(7).
Di questo sistema fanno parte (8) , oltre alla proteina C , il suo cofattore non enzimatico la
proteina S e la trombomodulina, una proteina integrata di membrana.
La trombomodulina legando la trombina, ad alta affinità, in un rapporto stechiometrico
1:1,favorisce l’attivazione della PC da parte di questo enzima(9). Una volta attivata, la P.C.
proteolizza i cofattori attivati della coagulazione V ed VIII e rallenta la formazione di fattore
Xa e di trombina stessa (fig. 16).
La proteina S è dotata principalmente della funzione di cofattore della proteina C ,è una
proteina non enzimatica vitamina k dipendente e la sua concentrazione nel plasma è di 25
g /ml in cui circola legata con la C4b-binding protein (C4BP) (9). Essa è in grado di legare
ad alta affinità la PC in modo da renderla funzionalmente e stechiometricamente attiva
nella sua funzione proteolitica di degradazione dei fattori Va ed VIIIa .
Recentemente è stata scoperta in una coorte di pazienti con fenomeni trombotici la
resistenza alla azione della proteina C per una mutazione puntiforme lungo il gene del
cofattore V (20) che altera il sito di clivaggio per la PC rallentando di fatto la proteolisi
massiva necessaria a ridurre la produzione di trombina intraplasmatica (22).
- 35 -
FIBRINOLISI. Il sistema fibrinolitico , anche chiamato sistema attivatore del plasminogeno,
è un sistema multienzimatico finemente regolato. (fig.19)
Questo sistema serve
 A degradare i complessi solubili di fibrina
 A limitare alla sede del danno vascolare i processi di formazione del tappo emostatico
 A rimuovere la fibrina dai fenomeni riparativi di diversa natura (infiammazione, malattie
croniche degenerative, tumori, metastasi)
Gli attivatori del sistema sono :
 La trombina che si forma nel corso dell’attivazione della cascata emocoagulativa
 La fibrina
 L’attivatore tissutale del plasminogeno (t-PA)
 Il fattore XII detto fattore di Hagemann
Il processo fibrinolitico è regolato da una serie di inibitori
 L’inibitore dell’attivatore tissutale del plasminogeno(PAI)
 La Urochinasi sintetizzata dal nefrone
 La alfa-2-antiplasmina che regola più a valle il processo fibrinolitico inibendo la
plasmina
La fibrinolisi non è importante soltanto per imuovere un trombo neoformato, ma anche per
la migrazione cellulare e la degradazione della matrice extra cellulare, processi chiave
nella infiammazione, nel rimodellamento tissutale, nell’angiogenesi, nell’impianto del
trofoblasto, nello sviluppo neoplastico e nella metastatizzazione.
Numerosi trials clinici hanno evidenziato il ruolo che il sistema fibrinolitico giocherebbe in
senso trombotico nelle malattie cardio-vascolari (27-28).
IPEROMOCISTEINEMIA. L’iperomocisteinemia viene in genere ritrovata nel 10-45% dei
soggetti con infarto del miocardio e/o stroke ischemico ed appare il difetto maggiore tra gli
individui con livelli bassi o normali di colesterolo plasmatico che è stato considerato uno
dei maggiori fattori di rishio di malattie cardiovascolari.
L’ omocisteina è un aminoacido che non entra nella composizione delle proteine ma
rappresenta un composto cruciale nel metabolismo degli aminoacidi solforati e quindi in
quel gruppo di reazioni che tendono ad essere donatrici di metili che sono essenziali per la
sintesi degli acidi nucleici. (fig 20)
L’elevazione dei livelli di omocisteina plasmatica può instaurarsi in seguito ad alterazione
funzionale congenita dell’enzima 5,10-metilen tetraidrofolato reduttasi (MTHFR) , enzima
che partecipa al metabolismo degli aminoacidi e alla metilazione della omocisteina per
formare metionina. La carenza di tale enzima si può instaurare anche per carenza di Folati
e vitamina B12.
Il deficit di cistationina-beta- sintetasi (CBS) causa altresì l’omocistinuria classica
caratterizzata da una aumentata escrezione urinaria di omocisteina che si presenta in due
forme principali una sensibile ed una insensibile a dosi farmacologiche di vitamina B6.
- 36 -
Figura 19
- 37 -
Fig.20
- 38 -
- GLI ENZIMI NELLE AFFEZIONI MUSCOLO SCHELETRICHE -
Fra le affezioni dei muscoli scheletrici le distrofie muscolari sono quelle nelle quali le
determinazioni enzimatiche rivestono particolare importanza . La piu’ tipica e la piu’ grave
e’ la distrofia muscolare progressiva ( malattia di Duchenne ) questa e’ una malattia
ereditaria e i sintomi si manifestano prima dei 4 anni di eta’ e consistono in atrofia con
diminuzione della forza dei muscoli del cingolo pelvico , degli arti inferiori e superiori . La
malattia e’ a decorso progressivo con esito letale in un periodo di 10 – 15 anni .
Gli enzimi più interessanti per la diagnosi della distrofia muscolare sono : CK ,
ALDOLASI, AST E LDH .
Nella malattia di Duchenne sia la CK che l’ ALDOLASI sono notevolmente aumentate nel
siero . E’ bene precisare che l’ attivita’ della CK( creatinchinasi ) e’ determinata dalla
presenza di 3 diversi isoenzimi :
1) Ck– MN (isoenzima muscolare)
2) Ck – MB (isoenzima cardiaco )
3) Ck– BB (isoenzima cerebrale)
Di questi 3 si ha un aumento in particolare dell’ isoenzima CK – MN, derivato da una
massiva distruzione muscolare, mentre la quantità di CK – MB , eventualmente presente ,
non ha un origine molto chiara infine, nei pazienti, e’ stata anche accertata la completa
assenza di CK– BB .
Cosi come la CREATINCHINASi anche per l’ ALDOLASI esistono vari isoenzimi , fra i
quali se ne distingue uno muscolare , uno epatico e uno cerebrale , ma la loro
identificazione non ha valore clinico . Diverso è il caso dei 5 isoenzimi della LDH , o anche
lattatodeidrogenasi , (LDH1 , LDH2 , LDH3 , LDH4 , LDH5 ) . Questi sono costituiti da
diverse subunità , definite H (heart) tipo cardiaco e M (muscle) o tipo muscolare , in
relazione ai tessuti in cui sono stati evidenziati originariamente . Infatti mentre gli isoenzimi
LDH5 aumenta (durante la sintomatologia dolorosa) la LDH1 e LDH2 presentano un
decremento .
Un comportamento analogo hanno i 2 isoenzimi dell’ ASPARTATO TRANSAMINASI
(AST) , ossia l’ isoenzima citoplasmatico definito come C – AST o AST1 ; e l’ isoenzima
mitocondriale definito come M – AST o AST2 . Infatti con la comparsa della malattia la M –
AST costituisce quasi tutto l ‘ AST totale , mentre lo C – AST decresce .
-GLI ENZIMI NELL’INFARTO POLMONAREPer infarto si intende un’area localizzata di necrosi ischemica (di regola di tipo coagulativo)
in un organo . Gli infarti polmonari si manifestano con una sintomatologia clinica solo nel
10% dei casi di embolia polmonare , e se vi e’ stata l’ occlusione di un’ arteria di media
grandezza e il circolo bronchiale non riesce a fornire ai tessuti una adeguata quantità di
nutrimento .
- 39 -
Nell’Embolia e nell’Infarto Polmonare gli enzimi più interessanti dal punto di vista
diagnostico sono la LDH , l’ AST, lo CK e l’  - HBDH .
Le determinazioni enzimatiche hanno particolare importanza diagnostica perché, dal punto
di vista clinico , la differenziazione fra infarto del miocardio e infarto polmonare non e’
sempre facile .
Durante tali sintomatologie dolorose la LDH nel siero e’ nettamente aumentata mentre
l’AST, la CK e l’  - HBDH sono normali .
Per aumento della LDH si intende un aumento degli isoenzimi serici LDH2 e LDH3 ; il fatto
che l’ AST e la CK rimangono generalmente nei limiti normali ha un particolare valore nella
diagnosi dell’infarto polmonare . Accanto a questo , che può considerarsi la condizione
generale dell’infarto polmonare , vi sono casi in cui oltre all’aumento dell’ LDH vi e’ anche
quello dell’ AST e della CK.
L’ embolia polmonare può essere spesso confusa con l’ infarto del miocardio , perché
presenta sintomi clinici simili . Sebbene i polmoni contengono un’ alta percentuale di LDH3
che difficilmente , nell’embolia polmonare , si ha un aumento di questo isoenzima , poiché
comunemente aumenta la LDH5 .
-GLI ENZIMI NELLE AFFEZIONI RENALINel corso delle affezioni renali si hanno variazioni nel siero del livello di alcuni enzimi e,
soprattutto, delle modificazioni nella eliminazione urinaria di diversi enzimi. Nelle cellule
dei tubuli renali si trovano, in concentrazione elevata, la LDH, la AST, la fosfatasi alcalina:
si comprende perciò come, in seguito alla necrosi delle cellule dei tubuli renali, si possa
avere un aumento di questi enzimi nel siero. Nella necrosi dei tubuli renali si ha infatti un
aumento nel siero della LDH aumento che si manifesta ventiquattro ore dopo la necrosi,
raggiunge il massimo livello dopo quattro o cinque giorni e si mantiene elevato per circa
due settimane. Aumentano anche la AST, che torna nei limiti normali dopo quattro o
cinque giorni, e la fosfatasi alcalina che può restare elevata per quindici giorni.
La determinazione degli enzimi nel siero non sembra fornire però, nel caso delle malattie
renali, indicazioni maggiori di quelle fornite da altre indagini diagnostiche per lo studio
della funzione renale e pertanto non è frequente il ricorso alla loro determinazione per
questo scopo. Risultati più interessanti possono derivare dalla determinazione degli enzimi
nelle urine. Nelle urine sono stati identificati non meno di una trentina di enzimi il cui
significato e il cui valore diagnostico è peraltro notevolmente diverso. Già l’origine degli
enzimi presenti nelle urine è molto diversa. Accanto a enzimi che provengono
esclusivamente dal siero in quanto assenti nel tessuto renale, quali l’amilasi, ve ne sono
altri che originano certamente dal rene perché presenti nel tessuto renale e assenti nel
siero, quali l’alfa – glucosidasi, ed altri che, essendo presenti sia nel tessuto renale che nel
siero, possono avere, almeno in condizioni patologiche, una duplice provenienza(LDH,
AST, fosfatasi alcalina, muramidasi, MDH, LAP). Infatti altri enzimi presenti nelle urine
possono avere un’origine del tutto diversa potendo derivare dalle secrezioni genitali, dai
leucociti, dalle emazie e dai batteri presenti in condizioni patologiche nelle urine. Le urine
- 40 -
non costituiscono un mezzo ideale per gli enzimi. Come è noto il pH delle urine può
variare notevolmente ed alcuni enzimi possono venire inattivati in urine acide con pH
intorno a 5. Inoltre nelle urine sono presenti degli inibitori che debbono essere eliminati
prima di procedere alla determinazione enzimatica; sono presenti degli inibitori della LDH
e della fosfatasi alcalina. Inoltre l’attività enzimatica deve essere rapportata al volume
urinario di un certo periodo: generalmente si fa riferimento alle urine emesse in
ventiquattro ore, tuttavia alcuni preferiscono riferire l’attività enzimatica alle urine di otto
ore utilizzando per la raccolta le urine della notte. Dei numerosi enzimi eliminati con le
urine quelli più comunemente determinate ai fini della diagnosi delle affezioni renali sono
la LDH, la LAP, la fosfatasi alcalina e la beta-glucuronidasi.
LDH. La LDH aumenta nelle urine in tutte le affezioni renali: nefrosi, glomerulonefrite,
pielonefrite acuta, necrosi tubulare acuta, rene policistico, infarto renale, glomerulosclerosi
diabetica, proteinuria in genere, ematuria, crisi di rigetto dopo trapianto renale, sofferenza
renale in corso di trattamento con salicilati. Nel rene sano la maggiore attività è dovuta alla
LDH1 e LDH2 ( il 45% di ognuno) e per circa il 10% alla LDH3. Solo raramente nelle
malattie renali si osserva nel siero un aumento della LDH1. Più interessante, nelle malattie
renali, è il comportamento degli isoenzimi della LDH nelle urine. Nelle urine normali si
trovano essenzialmente le frazioni LDH1, LDH2, LDH3 con prevalenza della LDH1. Nelle
urine di soggetti con ischemia renale è stata trovata una netta variazione del profilo
isoenzimatico urinario con aumento della LDH5.a seguito di questa osservazione è stato
ipotizzato che la frazione 5 possa essere un importante indice di danno renale. Inoltre un
netto aumento nelle urine della LDH5 è stato trovato nei pazienti con pielonefrite mentre
ciò non si verifica nei pazienti con cistite. Quindi si deduce che il comportamento delle
LDH5 nelle urine può costituire un utile testo per distinguere le infezioni delle alte da quelle
delle basse vie urinarie.
LEUCINA DEIDROGENASI La LAP aumenta nelle urine in diverse malattie renali ed
extrarenali. Fra le affezioni renali sono la glomerulonefrite acuta, la pielonefrite acuta, le
lesioni tubulari conseguenti alla introduzione di medicamenti quali i sulfamidici e gli
antibiotici, la necrosi tubolare acuta conseguente a ipossia, le neoplasie renali. Fra le
affezioni extrarenali sono i tumori della testa del pancreas, le neoplasie della sfera genitale
femminile, le malattie epatiche. Aumenti inoltre nella gravidanza.
In definitiva può dirsi che la LAP aumenta nelle urine in varie condizioni morbose per cui il
suo aumento non è caratteristico di una determinata lesione renale.
FOSFATASI ALCALINA Le fosfatasi (fosfoidrolasi dei monoesteri ortofosforici) sono un
gruppo di enzimi che catalizzano l’idrolisi del legame esterico fra alcoli ed acido fosforico
con liberazione di fosfato inorganico.
A seconda del pH ottimale si distinguono in due gruppi: alcalina e acida.
Un’attività fosfatasica alcalina è largamente diffusa nei vari tessuti: essa si trova infatti
negli osteoblasti dello scheletro, nella mucosa gastrointestinale, nel fegato, nella milza, nei
polmoni, nell’endotelio vascolare, nell’epitelio dei tubuli renali, nella tiroide, nelle cellule dei
dotti biliari, nelle cellule pancreatiche, nella placenta, nelle cellule della serie mieloide.
.Si tratta di un gruppo di glicoproteine di membrana contenenti acido sialico: le varie forme
molecolari manifestano lo stesso tipo di attività ma hanno una diversa composizione . Fino
ad ora sono stati identificati sette isoenzimi che, in base alla loro origine, sono definiti
come: biliare, epatico, osseo, renale, placentare, intestinale, carcinoplacentare. A questi si
aggiungono delle forme anomale costituite dalle macrofosfatasi.
- 41 -
In condizioni normali l’ALP presente nel siero è costituita dagli isoenzimi provenienti dal
fegato e dal tessuto osseo e, solo in particolari condizioni fisiopatologiche, da quelli
provenienti dall’intestino e dalla placenta, mentre i rimanenti isoenzimi sono reperibili nel
siero soltanto in condizioni patologiche.
.La presenza dell’isoenzima renale è stata dimostrata negli estratti di tessuto renale nei
quali si presenta suddiviso in due bande: una più veloce con velocità di migrazione
elettroforetica tra le bande epatica lenta ed ossea e l’altra più lenta dell’osseo. Non è
presente nel siero in condizioni normali e, in condizioni patologiche, la sua presenza è
stata rilevata solo in alcuni pazienti con trapianto renale. Per tali motivi esso non viene
generalmente ricercato nel siero.
La fosfatasi alcalina è normalmente presente nelle urine trovandosi in quantità elevata
nelle cellule dei tubuli renali. Nelle urine è presente peraltro un inibitore della fosfatasi che
deve essere allontanato mediante dialisi prima di procedere alla determinazione di questa
attività enzimatica. Anche la fosfatasi alcalina aumenta nelle urine in numerose condizioni
morbose renali ed extrarenali, aumenta inoltre nella gravidanza.
BETA-GLUCORONIDASI La beta-glucuronidasi è localizzata nei lisosomi e l’interesse
clinico della determinazione di questo enzima deriva dalla sua presenza, in elevata
concentrazione, nelle cellule neoplastiche. Così un aumento della beta-glucuronidasi è
stato osservato nel succo gastrico dei pazienti con carcinoma dello stomaco e nel secreto
vaginale di donne affette da cancro del collo dell’utero: peraltro il valore diagnostico di
questo reperto è modesto perché un analogo aumento si osserva nel corso dei processi
infiammatori nelle stesse sedi.
Le ricerche più numerose riguardano il comportamento della beta-glucuronidasi nelle
urine. Nei pazienti con neoplasie del rene e della vescica sono stati trovati valori elevati di
questo enzima nelle urine.
Il significato clinico dell’aumento della beta-glucuronidasi urinaria nei portatori di tumori è
però notevolmente limitato dal fatto che aumenti simili si trovano in numerose affezioni del
rene. (pielonefriti, necrosi tubulare acuta, tubercolosi renale, lupus erythematosus): la
beta-gluronidasi aumenta inoltre nella crisi di rigetto dopo trapianto renale, nella bilarziosi
vescicale e nella schistosomia vescicale ed intestinale. Valori normali,invece, sono stati
trovati nella affezioni renali croniche, quali la pielonefite cronica e la glomerulonefrite
cronica.
L’interpretazione del significato clinico della beta-glucuronidasi nelle urine è resa ancora
più complessa dalla presenza, nelle urine, di inibitori di natura non ancora ben determinata
dell’enzima.
L’ALFA-GLUCOSIDASI Aumenta in tutte le condizioni caratterizzate da lesioni
degenerative e necrotiche del tubo renale. La N-acetil-beta-D-glucosaminidasi, enzima di
sicuro di origine renale, aumenta nelle affezioni renali acute e croniche ed un indicatore
sensibile di danno renale e secondo alcuni è uno degli indici più sensibili e precoci di
rigetto dopo trapianto renale. L’aumento nelle urine della alanina amminopeptidasi, enzima
localizzato nell’orletto a spazzola delle cellule del tubolo renale è considerato un indice
molto sensibile di danno renale ed in particolare di rigetto. Le arilsulfatasi A e B sono state
trovate aumentate nelle urine nei pazient con carcinoma della vescica e, infine, significato
diagnostico è stato attribuito anche al comportamento nelle urine della malato
deidrogenasi e delle arilamidasi.
- 42 -
LISOZIMA Il lisozima (muramidasi) è un enzima ad azione batteriolitica; precisamente si
tratta di una mucopolisaccaridasi, capace di idrolizzare il legame beta-(1-4)-glucosidico dei
mucopolisaccaridi costituenti la membrana delle cellule batteriche.
Il lisozima è abbondantissimo nel bianco d’uovo e si trova nell’uomo in varie secrezioni
(latte, urina, muco nasale, saliva), nei leucociti e nel siero: il lisozima presente nel siero
sembra derivare dal lisozima dei leucociti in seguito ad distruzione di questi ultimi.
Dal punto di vista clinico riveste particolare interesse la determinazione del lisozima nel
siero e nell’urina.
Il livello del lisozima nel siero e nelle urine aumenta nelle affezioni mieloproliferative e i
livelli più elevati si trovano nella leucemia mielomonocitica.
Grazie al suo basso peso molecolare (circa 15.000) il lisozima filtra attraverso il glomerulo
renale e, in condizioni normali, viene riassorbito quasi interamente dalle cellule del tubulo.
Esso aumenta nelle urine nelle affezioni dei tubuli renali per il mancato riassorbimento di
questa proteina da parte delle cellule tubulari. Valori particolarmente elevati si trovano
nelle nefrosi, nella sindrome di Fanconi e nella pielonefrite acuta. L’enzima aumenta
inoltre nelle urine nella sindrome di rigetto dopo trapianto renale.
GAMMA GLUTAMMILTRANSFERASI(GGT) I tessuti umani in cui è maggiormente
presente sono rene, pancreas, fegato, intestino; alti livelli sono dimostrabili anche nella
bile, nel liquido seminale, nel siero e nelle urine. Nei tessuti di individui sani la GGT esiste
in due forme: una insolubile, legata alle membrane cellulari (circa 95%), ed una solubile.
Nel siero si presenta in forma libera ma non omogenea rispetto alla carica ed al contenuto
in carboidrati. Poiché a tale diversità molecolare non corrisponde un diverso
comportamento catalitico, non è possibile definire queste forme come veri isoenzimi e si
preferisce considerarle forme molecolari multiple con probabile origine post-traslazionale.
L’interesse clinico della determinazione della GGT nel siero risiede nel fatto che questo
enzima aumenta costantemente in tutte le affezioni del fegato e delle vie biliari e solo
saltuariamente in altre condizioni morbose. La sua localizzazione nel rene è
prevalentemente a livello dell’orlo a spazzola delle cellule del tubulo prossimale: tali cellule
particolarmrnte sensibili alla ischemia per cui questo enzima aumenta nelle urine in caso
di danno renale ischemico e durante la crisi dirigente di trapianto renale. In seguito a
malattie renali il valore del siero della GGT rimane generalmente normale.
-GLI ENZIMI NELLE NEOPLASIEDa indagini sperimentali “cellula neoplastica e tumore “possono essere definiti,
rispettivamente, una cellula e una popolazione cellulare che, per effetto di una
modificazione ereditariamente trasmissibile, riesce a sfuggire in modo permanente ai
meccanismi di controllo della proliferazione cellulare.
In breve, “cellula neoplastica e tumore” sono astrazioni, nella realtà esiste una grande
varietà di cellule neoplastiche costituenti tanti tumori, ciascuno differente dall’altro perché
insorto e sviluppato in un individuo diverso.
Nei portatori di numerose forme neoplastiche vi è un aumento di alcuni enzimi nel siero: se
però si fa eccezione per la fosfatasi acida il cui aumento è considerato specifico del
- 43 -
cancro della prostata, negli altri casi l’aumento delle attività enzimatiche manca di
specificità osservandosi in forme neoplastiche diverse e, soprattutto, osservandosi in
affezioni non neoplastiche. Fra gli enzimi la cui determinazione appare più interessante nei
portatori di forme neoplastiche ricordiamo:
 lattato deidrogenasi
 fosfoesoso isomerasi
 fosfatasi acida e alcalina
 leucina amminopeptidasi
 gamma glutammil transpeptidasi
 aldolasi
 malato deidrogenasi
 aspartato ammino transferasi
 alanina ammino transferasi
LATTICO DEIDROGENASI(LDH ) E’ un enzima ubiquitario, diffuso nei più svariati organi
e tessuti: miocardio, globuli rossi, reni, milza, pancreas, tiroide, linfonodi, fegato e muscoli
scheletrici.
L’attività dell’LDH nel siero è determinata da un gruppo di 5 isoenzimi provenienti da
tessuti diversi.
Gli isoenzimi sono enzimi aventi le stesse caratteristiche ma attività cinetica differente.
L’ LDH è un tetrametro formato da due tipi di monomeri: il tipo H presente
prevalentemente nel cuore e il tipo M nel fegato. A seconda della combinazione dei
monomeri si hanno 5 diverse combinazioni corrispondenti ad altrettanti isoenzimi che
vanno dall’isoenzima LDH1 prevalente nel miocardio all’isoenzima LDH5 prevalente nel
fegato.
Tabella N.10
ISOENZIMA
LDH1
LDH2
LOCALIZZAZIONE
Miocardio,globuli rossi, rene(corticale),muscoli scheletrici.
Miocardio,globuli rossi,rene(corticale),pancreas,polmoni e muscoli
Scheletrici
LDH3
Polmoni,placenta,muscolo scheletrico e pancreas
LDH4
LDH5
Rene(midollare), muscoli scheletrici, polmoni e placenta
Fegato, rene(midollare), muscoli scheletrici e pancreas
La larga diffusione della LDH nell’organismo spiega come questo enzima aumenti nel
siero in numerose condizioni morbose interessanti i diversi tessuti.
Nei tumori maligni l’aumento della LDH non è sempre associato ad un cambiamento del
quadro isoenzimatico normale.In alcuni casi è stato trovato un aumento dell’LDH2,LDH3,
LDH4 e LDH5: sembra che tale situazione sia da collegarsi con la proliferazione e la
necrosi delle cellule, oltre che con un aumento della glicolisi.Talvolta vi è una sintesi di
subunità M modificate e di LDH5 con affinità verso l’alfa idrossi butirrato.
Nei portatori di neoplasie maligne vi può essere un aumento della LDH nel siero: la
frequenza con cui tale aumento si verifica, varia nelle diverse statistiche dal 40 al 90 % dei
pazienti. E’ stato trovato anche un certo rapporto fra entità dell’aumento della LDH nel
- 44 -
siero e rapidità di crescita del tumore. Infine aumenti della LDH nel siero sono stati rilevati
nelle lesioni muscolari e nell’infarto renale.
Oltre che nel siero aumenti della LDH rispetto ai valori normali sono stati osservati nelle
urine nei casi di infarto renale, carcinoma renale e cistite acuta.
La lattico deidrogenasi aumenta nel siero nei portatori di varie forme di neoplasia sia
primitiva che metastatica (neoplasie del fegato, polmoni, reni, colon, testicolo, prostata e
cervello). La LDH aumenta nel siero anche nella leucemia mieloide cronica e nei linfomi.
FOSFOESOSO ISOMERASI (PHI) E’stata trovata aumentata nel siero nei portatori di
numerose forme neoplastiche e in particolare nei portatori di tumori della prostata,
mammella in fase metastatica, di metastasi epatiche, di tumori dell’esofago, dello
stomaco, del colon, del pancreas e dei polmoni.Il comportamento della PHI nel siero ha
particolare importanza per accertare la comparsa e seguire il trattamento terapeutico delle
metastasi, soprattutto della mammella e della prostata, aumentando o diminuendo in
rapporto alla crescita della metastasi.
LEUCINA AMMINO PEPTIDASI(LAP) La leucina ammino peptidasi è una ammino
peptidasi che idrolizza diversi peptidi e ammidi degli amminoacidi agendo a preferenza sul
residuo N –terminale della leucina .La LAP è largamente diffusa nell’organismo:la
concentrazione più elevata si trova nel pancreas e nel fegato:è presente anche nella
mucosa dell’intestino tenue del colon dello stomaco e nello epitelio dei dotti biliari. Valori
elevati della LAP nel siero si trovano nei casi dei tumori primitivi o metastatici del fegato in
conseguenza della stasi biliari che si instaurano in questa condizione morbosa. La LAP
non aumenta nelle affezioni ossee e pertanto la sua determinazione consente di
distinguere, nel caso di aumento della fosfatasi alcalina, se tale aumento è di origine
epatica e ossea. La LAP è stata consigliata inizialmente per la diagnosi di carcinoma
pancreatico e successivamente è stato visto che essa aumenta nel siero soprattutto nei
pazienti con itero ostruttivo e che il suo aumento è legato più alla colestasi che
accompagna spesso le neoplasie pancreatiche.
FOSFATASI ACALINA ( ALP) La ALP costituisce un sistema di forme molecolari multiple
di un enzima translazionale.
Si tratta di un gruppo di glicoproteine di membrana contenenti acido sialico :le varie forme
molecolari manifestano la stessa attività ma hanno una diversa composizione. Fino ad ora
sono stai identificati 7 isoenzimi che in base alla loro origine sono definiti come :biliare
pancreatico, osseo, renale, placentare, intestinale, carcinoplacentare.
In condizioni normali l’ALP presente nel siero è costituita dagli enzimi provenienti dal
fegato e dal tessuto osseo e solo in particolari condizioni fisiopatologiche da quelli
provenienti dall’intestino e dalla placenta mentre i rimanenti isoenzimi sono reperibili nel
siero soltanto in condizioni patologiche.
Isoenzima delle cellule epatiche
Questo isoenzima localizzato negli epatociti è normalmente presente nel siero e i suoi
livelli aumentano con il progredire dell’età. L’isoenzima delle cellule epatiche aumenta
quasi costantemente nei vari quadri di patologie epatiche:
 cirrosi
 ittero ostruttivo
 metastasi epatiche
- 45 -
Isoenzima osseo
E’ localizzato negli osteoblasti. Il suo aumento si verifica in una serie di condizioni
patologiche riguardanti il metabolismo del calcio e legate a molte patologie, quali:
 tumori ossei primitivi e secondari
 iperparatiroidismo primario e secondario
 malattia di Paget
 rachitismo
fratture in via di guarigione
Isoenzima intestinale
Esso è presente nel siero nel 25% dei soggetti normali ed i suoi livelli aumentano dopo i
pasti. Il suo livello nel siero aumenta in varie condizioni patologiche riguardanti l’apparato
digerente quali:
 retto colite emorragica
 diarrea cronica
 tubercolosi intestinale
 disturbi epatobiliari
 cirrosi epatica ed epatite virale
Isoenzima placentare
E’ rilevabile nel siero di donne in gravidanza a partire dalla 16-20 settimana fino a 6
giornni dopo l’espulsione della placenta. In caso di gravidanza complicata da ipertensione
o eclampsia è presente nel siero a livelli superiori da quelli normali. La sua funzione
riguarderebbe il trasporto attivo del fosfato, l’assorbimento dei principi nutritivi e la
fosforilazione e defosforilazione di alcuni subsrtati.
Isoenzima biliare
E’ assente nel siero di soggetti normali mentre vi compare nei pazienti con epatopatie
ostruttive specialmente epatica. Costituisce secondo alcuni il miglior test enzimatico per il
riconoscimento di metastasi epatiche. E’ facilmente riscontrabile nel siero di pazienti con:
 cirrosi epatica alcolica e nutrizionale
 epatiti virali e croniche
 ittero ostruttivo
 carcinoma epatico primitivo
 tumori metastatizzati al fegato
 sarcoidosi [ formazione linfoproliferativa di tipo granulomatoso (tumore dei linfociti
localizzato) ]
Isoenzima renale
Non è presente nel siero in condizioni normali e in condizioni patologiche la sua presenza
è stata rilevata solo in pazienti con trapianto renale.
Isoenzimi carcinoplacentari
Essi rappresentano un esempio di sintesi ectopica(*1) di un enzima da parte di un tumore
che si sviluppa in un tessuto che normalmente non lo produce, tra questi sono annoverati:
 l’isonzima di Regan
 l’isonzima di Nagao
- 46 -
FOSFATASI ACIDA La fosfatasi acida catalizza l’idrolisi del legame esterico tra alcoli e
acido fosforico ed ha un pH ottimale leggermente acido compreso tra 4.8 e 6.0.
E’ largamente diffuso nell’organismo e si trova oltre che nella prostata dove possiede la
concentrazione più elevata, nello stomaco, nel fegato, nella milza, nei muscoli, negli
eritrociti, nelle piastrine. A differenza di altri tessuti nei quali la ACP svolge la propria
azione all’interno delle cellule, nel caso della prostata la ACP è secreta nelle cellule
all’esterno e la sua azione si svolge soprattutto nel secreto prostatico. La prostata
sintetizza ACP sotto stimolo del testosterone e di altri androgeni.
Normalmente è presente nel plasma solo una piccola quantità di ACP. In condizioni
normali essa deriva principalmente dai globuli rossi e dalle piastrine e la ACP di origine
prostatica è presente in quantità molto modesta corrispondente a cira 1/3 dell’attività
totale. Il livello dell’ACP nel siero aumenta in maniera notevole ( circa 100 volte oltre i
valori normali ) nei casi di carcinoma prostatico metastatizzante. Nella maggior parte dei
casi di carcinoma prostatico le cellule eteroplastiche conservano la capacità di sintetizzare
elevate quantità di ACP anche nelle metastasi. Nelle metastasi ossee la ACP prodotta
dalle cellule neoplastiche si versa negli spazi extracellulari e raggiunge facilmente il
torrente circolatorio determinando aumenti particolarmente elevati. Un aumento di ACP nel
siero si osserva nei casi di distruzione delle piastrine ( porpora trombocitopenica acuta ),
nelle sindromi emolitiche per liberazione dell’enzima da parte degli eritrociti emolizzati,
nella malattia di Gaucher venendo l’enzima prodotto dalle cellule caratteristiche di questa
affezione.
ALTRI ENZIMI
Gli altri enzimi su nominati non hanno una importanza diagnostica nelle neoplasie
determinante ma, piuttosto, sono espressione della patologia d’organo interessato dalla
neoplasia o dalle sue metastasi.
- 47 -
CAPITOLO 3
ENZIMI IN TERAPIA
Introduzione
L’utilizzo degli enzimi in medicina non si limita alla loro ricerca e quantificazione nei vari
liquidi biologici ai fini diagnostici ma possono essere anche utilizzati come farmaci messi
a disposizione dalla ricerca farmacologica.
Negli ultimi anni si sta mettendo a punto inoltre una terapia genica volta alla cura delle
disfunzionalità degli enzimi stessi intervenendo sui geni che guidano la loro costruzione
nell’organismo umano ma questa trattazione esula dalla trattazione in atto.
Una ricerca sull’utilizzo degli enzimi nella terapia non poteva non essere basata
sull’esame del Sistema di Classificazione Anatomica Terapeutica Chimica (ATC) che
viene curato ed utilizzato dal Ministero della Sanità Italiana.
L’ATC è una classificazione di tipo alfa-numerica basata sugli stessi principi della
“Anatomical Classification “ sviluppata dalla “European Pharmaceutical Market Research
Association “.
Il sistema base divide i farmaci in 14 gruppi “Anatomici” principali (1° livello) con due
sottogruppi “Terapeutici” (2° e 3° livello) e due sottogruppi “Chimico – Terapeutico” e “
Chimico” per un totale di cinque livelli gerarchici .
Esempio :
la pepsina = A09AA03
A= apparato gastrointestinale e metabolismo
09=digestivi inclusi gli enzimi
AA= preparati a base di enzimi
03= pepsina
La ricerca effettuata con tale sistema permette di collegare i vari enzimi con l’utilizzo
clinico-terapeutico in quanto prende in considerazione l’apparato anatomico le disfunzioni
del quale va a curare .
CLASSIFICAZIONE PER APPARATI
A
APPARATO GASTROINTESTINALE E METABOLISMO
A09 digestivi inclusi gli enzimi
A09AA preparati a base di enzimi
01 diastasi
02 polienzimi (lipasi , proteasi etc)
- 48 -
03 pepsina
04 tilactasi
A09AC enzimi associati sostanze a carattere acido
01 pepsina e sostanze a carattere acido
A16 altri farmaci dell’apparato gastrointestinale e del metabolismo
A16AB enzimi
01 alglucasi
02 imuglucerasi
B
SANGUE ED ORGANI EMOPOIETICI
B01 antitrombotici
B01AB eparinici
01 eparina
02 antitrombina
04 dalteparina
05 enoxaparina
06 nadroparina
07 parnaparina
08 reviparina
09 danaparoid
10 tinzaparina
11 soludexide
51 eparina associazioni
01
02
03
04
05
06
07
08
B01AD enzimi
streptochinasi
alteplasi
anistreplasi
urochinasi
fibrinolisina
brinasi
reteplasi
saruplasi
B02 antiemorragici
B02A antifibrinolitici
B02AB inibitori delle proteasi
01 aprotinina
02 alfa-1-antitripsina
03 C1-inibitore
04 camostat
B02BD fattori della coagulazione del sangue
01 fattori IX,II,VII,X di coagulazione
02 fattore VIII di coagulazione
03 inibitore bypassante l’attività del fattore VIII
- 49 -
04
05
06
07
30
fattore IX di coagulazione
fattore VII di coagulazione
fattore di Von Willebrand e fattore VIII di coagulazione
fattore XIII di coagulazione
trombina
B02BB fibrinogeno
01 fibrinogeno umano parenterale
B06 altri agenti ematologici
B06AA enzimi
02 fibrinolisina e desossi rbonucleasi
03 ialuronidasi
04 chimotripsina
07 tripsina
10 desossiribonucleasi
11 bromelina
55 streptochinasi associazioni
C
SISTEMA CARDIOVASCOLARE
C04 vasodilatatori periferici
C04AF enzimi
01 callidinogenasi
C05 vasoprotettivi
C05BA eparine o eparinoidi per uso topico
01 eparinoidi organici
02 sodio apolato
03 eparina
04 pentosano polisolfato sodico
51 eparinoidi associazioni
53 eparina associazioni
C10 sostanze ipolipemizzanti
C10AA inibitori della HMG CoA reduttasi
01 sinvastatina
02 lovastatina
03 pravastatina
04 fluvastatina
05 attorvastatina
06 cerivastatina
- 50 -
D
DERMATOLOGICI
D03 preparati per il trattamento di ferite ed ulcerazioni
D03BA enzimi proteolitici
01 tripsina
02 clostridiopeptidasi
52 clostridiopeptidasi in associazione
ENZIMI IN TERAPIA CARDIOLOGICA
Un cenno a parte merita l’utilizzo degli enzimi nella terapia dell’infarto miocardico acuto in
cui si è assistito ad una svolta determinante con l’impiego dei farmaci a base di enzimi
fibrinolitici che hanno drasticamente ridotto la mortalità e gli esiti post-infartuali.
Gli enzimi utilizzati in queste terapie sono: rt-PA, STREPTOCHINASI e APSAC associati
ad Eparina e Acido acetil-salicilico. Dalla pubblicazione dello studio GISSI su oltre 11000
pazienti nel 1986, in cui la somministrazione endovenosa di streptochinasi comportava
una significativa riduzione della mortalità nei pazienti trattati entro 6 ore dalla comparsa dei
sintomi, l’utilizzo di un trombolitico nell’IMA è diventato routinario. I farmaci meglio studiati
sono rappresentati dalla streptochinasi(SK), dall’attivatore tissutale del Plasminogeno
(rt-PA) e APSAC.
Il meccanismo con cui tutti questi farmaci agiscono è quello di indurre la lisi del trombo
presente nei rami della coronaria occlusi e quindi riperfondere la zona di miocardio lesa.
La riperfusione è dimostrata da un innalzamento della mioglobinemia.
Tabella n° 11 Caratteristiche dei vari trombolitici
DOSE
SK
1,500,000 UI in 60'
APSAC
30 mg in 5'
rt-PA
100 mg in 90'
EMIVITA PALSMATICA
20 minuti
90 min
36 min
SELETTIVITA' PER ILTROMBO
+
++
++
COSTO
+
++
+++
REAZIONI ALLERGICHE
SI
SI
NO
Tabella n° 12 Controindicazioni alla terapia trombolitica






ICTUS RECENTI (6 mesi)
INTERVENTO CHIRURGICO RECENTE (15 giorni)
TRAUMI RECENTI (15 giorni)
ULCERA PEPTICA (6 mesi)
IPERTENSIONE ARTERIOSA
PAZIENTI IN TERAPIA CON ANTICOAGULANTI ORALI
- 51 -
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