Seminario MOBBING: UN MALE OSCURO RELAZIONE di Renato Gilioli Neuropsichiatra - Centro del Disadattamento lavorativo - Clinica del Lavoro Soggetti a rischio, frequenza ed estensione del fenomeno nel nostro paese: un'analisi quantitativa Le riunioni e i seminari riguardo al problema del mobbing si stanno moltiplicando perché corrispondono a un reale bisogno d'informazione su di un tema che è ancora largamente inesplorato, sia come conoscenza del fenomeno in sé che come sua diffusione. Eppure il mobbing è antico quanto l'uomo, è sempre esistito e tutti, in qualche modo, ne abbiamo sentito parlare. La novità è che oggi questo fenomeno, al di là del termine usato per definirlo, è stato studiato e approfondito, in particolare da Heinz Leymann, psicologo e psichiatra di origine tedesca, che lavorava all'Istituto di Medicina del Lavoro nazionale svedese. Questo studioso per primo ha utilizzato il concetto di un comportamento già noto nel campo dell'etologia - quello del branco che accerchia un componente del gruppo per eliminarlo – e lo ha esteso ai rapporti umani nel lavoro, alle relazioni interpersonali. Così ha cominciato ad approfondire l'argomento dai più diversi punti di vista, analizzandone l'epidemiologia, la frequenza, gli ambiti lavorativi in cui è maggiormente presente, gli effetti indotti sulla salute, quella psichica in particolare, le possibili misure di prevenzione. In altre parole ha costruito un campo di conoscenze nuovo che poi ha definito mobbing, il termine usato in etologia appunto per indicare l'accerchiamento del branco nei confronti di un suo componente. Il fenomeno non è quindi nuovo, anche se in Italia se n'è cominciato a parlare solo da pochi anni: in Svezia gli studi sul mobbing sono iniziati nei primi anni ottanta e in seguito si sono diffusi gradualmente negli altri paesi europei, dal Nord Europa alla Germania, dove sono stati approfonditi. Su questo tema la Clinica del Lavoro di Milano, insieme ad altri studiosi, ha avuto modo d'impostare valutazioni e studi a carattere prevalentemente clinico, non perché intendiamo “medicalizzare” il problema (come alcuni ci accusano) ma perché ci troviamo di fronte a persone che vengono da noi perché soffrono, perché sono affette da una patologia e vogliono ottenere un’assistenza. Esistono diverse definizioni di mobbing. Secondo la più recente (vedi tab.1), si tratta in sostanza di un abuso di potere sul posto di lavoro che causa nell'aggredito sentimenti di disperazione, umiliazione, vulnerabilità e stress. Questa definizione è sicuramente calzante in quanto le conseguenze dello stress sono un esito frequentissimo delle situazioni che abbiamo incontrato. Chi è colpito dal mobbing? Si tratta di un punto delicato che suscita molte discussioni e notevole disaccordo. Secondo noi il mobbing può colpire chiunque, è un fenomeno ubiquo, diffusissimo, che può riguardare qualsiasi individuo, qualsiasi lavoratore. Tuttavia alcune persone, in situazioni particolari, possono esserne maggiormente colpite (tab.2). Nella tabella ho elencato alcune categorie che noi incontriamo più di frequente, per esempio i «creativi». Intendo individuare con questa parola quella categoria di persone che hanno capacità di proposta, d'innovazione, che in qualche modo si diversificano dal gruppo a cui appartengono, che sono particolarmente brillanti. Il gruppo tollera difficilmente comportamenti diversificati rispetto ai valori medi, in particolare le persone che vogliono far di più, far meglio, proporre; oppure, al contrario, le persone che hanno capacità lavorative ridotte e che quindi si attestano su rendimenti inferiori alla media. I creativi sono facilmente esposti alla reazione dei colleghi di lavoro, attraverso il cosiddetto mobbing trasversale o emozionale, perché si scatenano delle reazioni nei confronti dei lavoratori che vogliono in qualche modo emergere, non necessariamente per ambizione, ma perché spinti dalla voglia di fare. Gli «onesti» rappresentano un'altra categoria di casi che incontriamo di frequente. Molti lavoratori si sono rivolti alla Clinica del Lavoro perché affetti da una situazione di disturbi emotivi. Spesso si tratta di persone che operavano in un ambiente nel quale esistevano cordate di potere, gruppi molto coesi dove chi non collabora o si estranea è facilmente sottoposto a trattamenti di emarginazione, di esclusione, di dequalificazione, di eliminazione dal gruppo con la tecnica del mobbing. Si tratta di una dinamica molto frequente non solo nei casi di grande criminalità, emersi durante “tangentopoli”, ma anche in quelli di microcriminalità. Personalmente all'inizio ero molto sorpreso di fronte a questo fenomeno, perché nel corso della mia non breve esperienza professionale non avevo mai incontrato situazioni del genere. Ma di fronte al ripetersi di questi casi mi sono convinto che non sono rare le piccole manifestazioni di disonestà sul posto di lavoro e che in tali situazioni chi si discosta dai comportamenti più diffusi viene punito mediante comportamenti di mobbing. C'è poi la figura dei «disabili», che sono tra i soggetti più deboli e quindi più facilmente colpiti da trattamenti di esclusione, emarginazione, ghettizzazione. Negli ultimi tempi altre figure di lavoratori sono divenute a rischio, come gli «anziani» e i «superflui». Si parla di anziani non riguardo all'età anagrafica, ma a quella lavorativa: non dimentichiamo che un quadro di 45 anni costa il doppio di un impiegato di 25 anni il quale, nell’ottica dell’azienda, ha per lo più la medesima capacità lavorativa del suo collega più maturo. Da qui il rischio di venire sostituiti da colleghi più giovani.. È emersa anche la categoria dei «superflui», che rappresenta un fenomeno in un certo senso più nuovo, anche se non del tutto. In questi ultimi anni attraverso le fusioni, gli accorpamenti, le grandi operazioni di merger anche a livello internazionale, le imprese si riorganizzano e riducono gli addetti, creando personale in esubero. Queste dinamiche possono indurre le direzioni aziendali a ricorrere a strategie che spingono i lavoratori a dimettersi. Sono note le tecniche più comunemente utilizzate a questo scopo, per esempio quella della «scrivania vuota», realizzata togliendo al dipendente i contenuti del lavoro e mettendolo in condizioni d’inattività forzata. I casi di mobbing esercitati sulla categoria dei «superflui» sembrano in crescita, anche se non è chiaro se si tratti di un fenomeno reale, come a me sembra, o semplicemente apparente, determinato dal fatto che solo oggi una serie di episodi viene analizzata in quest'ottica. Il mobbing è un fenomeno che può svilupparsi secondo due tipi di meccanismi, quello emozionale o trasversale oppure quello verticale o strategico (tab.3). Il primo tipo, il mobbing emozionale, si riferisce ai sentimenti, alle emozioni. Le emozioni rappresentano una componente essenziale nella vita delle persone, quando però diventano emozioni particolarmente intense che stimolano l'individuo a comportamenti poco accettabili, quando superano una certa soglia, questi sentimenti possono facilmente provocare conseguenze nelle interazioni con le altre persone, portando a situazioni di vero e proprio mobbing trasversale. Nella letteratura straniera questo tipo di mobbing sembra il più diffuso, mentre si parla meno di mobbing strategico, o verticale, che si sviluppa dall'alto in basso, dal dirigente al subordinato, e che corrisponde a una strategia lucida, deliberata, tesa a ottenere le dimissioni spontanee della persona che ne viene colpita. Al contrario, in Italia, sulla base alle nostre statistiche, risulterebbe in forte aumento il mobbing verticale o strategico. Quanto alla diffusione in Europa, in base alle statistiche dell'Istituto di Dublino (European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions), l'Italia sarebbe il paese con l'incidenza più bassa di mobbing, il 4 per cento di casi sul lavoro dipendente, vale a dire da 800 mila a un milione di persone coinvolte (tab. 4). Sorprende la marcata differenza esistente tra l'Italia e i paesi del Nord Europa, differenza che potrebbe avere due tipi d'interpretazione. Essa potrebbe corrispondere a un dato reale, determinato da una trasformazione socioeconomica che in altri paesi è avvenuta in anticipo rispetto all’Italia e che avrebbe provocato una maggiore frequenza del fenomeno. Oppure si spiegherebbe in base a un dato culturale. Probabilmente quando l'istituto di Dublino ha compiuto quell'indagine, basata su 16 mila interviste, non ha sufficientemente tenuto conto del fatto che gli svedesi o gli inglesi hanno un atteggiamento diverso in relazione ai rapporti interpersonali. Mi riferisco al fatto che nei paesi del Nord Europa il comportamento del superiore che alza la voce, che si dimostra un pò arrogante verrebbe considerato assolutamente inaccettabile, e sarebbe immediatamente contestato. Lo stesso comportamento invece nel nostro paese appare non dico normale, ma frequente e in qualche modo accettato. In quest'ottica si spiegherebbero delle differenze così marcate. Qualunque sia l’interpretazione di questo dato, l'Italia ha comunque un gran numero di casi. Nella stessa ricerca dell'Istituto di Dublino si è parlato di doppio mobbing, cioè del fatto che un lavoratore che subisce questo tipo di molestia morale sul luogo di lavoro porta comunque a casa le proprie esperienze negative e tende a scaricare sulla famiglia e sugli amici le tensioni accumulate. Famiglia e amici rappresentano all'inizio un sostegno, ma a lungo andare, poiché il mobbizzato diventa terribilmente ripetitivo, monotematico, ossessivo (è quello che in psichiatria si chiama pensiero intrusivo) intervengono atteggiamenti di scarsa tolleranza, di contrasto all’interno della famiglia (con le conseguenti separazioni o divorzi) oppure d’isolamento, nel caso degli amici. Alla Clinica del Lavoro abbiamo predisposto un questionario per la rilevazione del fenomeno (tab. 5), che prende in esame diversi aspetti per valutare i suoi effetti sulla salute. I casi riportati nelle statistiche riguardano un insieme di 250 persone, ma sono ormai attorno al migliaio i lavoratori che hanno preso contatto la Clinica del lavoro per questo disturbo. Dall'analisi dei dati (tab. 6) emerge che oltre la metà di coloro che vengono da noi sono già in terapia con psicofarmaci. E questo primo dato dimostra la serietà del problema. Per quanto riguarda il sesso (tab. 7) abbiamo constatato una lieve prevalenza delle donne mentre secondo le statistiche di altri paesi la prevalenza femminile è molto più marcata, 73 donne contro 27 uomini secondo un'indagine condotta in California (tab. 8). Sono maggiormente colpite le classi di età medio alte (tab. 9) almeno per quel che riguarda i soggetti che fanno ricorso alla Clinica del Lavoro. Anche in base alla scolarità vi è una netta prevalenza dei titoli medio alti, vale a dire persone con diploma o laurea. Per le mansioni avviene la stessa cosa, prevalgono gli impiegati, per lo più di concetto (tab. 10). I quadri sono molto rappresentati, seguiti dai dirigenti e dagli insegnanti. Gli operai al contrario sono chiaramente sottorappresentati. La loro scarsa presenza andrebbe discussa a fondo. Noi della Clinica del Lavoro pensiamo che per gli operai il mobbing assuma caratteristiche diverse e che comunque sia più difficile che un operaio venga a farsi curare, anche perché probabilmente conosce di meno questo fenomeno. Quanto al settore di provenienza (tab. 11) abbiamo constatato una prevalenza dei dipendenti pubblici, non perché in Lombardia il fenomeno sia più frequente in questo settore, ma semplicemente perché gli impiegati pubblici sono più sensibilizzati al problema, per ovvi motivi di vicinanza. Rispetto all'insieme dei casi esaminati, metà delle persone proviene dalla Lombardia e il resto dalle altre regioni italiane (tab. 12), anche dalla Puglia o dalla Sicilia. Quanto alla durata del mobbing, sembra che gli italiani tollerino a lungo questo tipo di situazione (tab. 13): per esempio la durata del mobbing degli italiani è mediamente doppia rispetto a quella dei tedeschi e supera in alcuni casi addirittura i nove anni. È comprensibile che gli effetti sulla salute (tab.14) siano rimarchevoli, anche se molti psichiatri lo negano. Molti colleghi non sono d'accordo sulle nostre interpretazioni, sostengono che si tratti di disturbi fittizi, che non corrispondono alla realtà. Noi siamo convinti invece che i disturbi esistano realmente sotto forma di ansia e di depressione, con tutte le manifestazioni a esse associate come la perdita di autostima e di progettualità. Gli effetti di queste situazioni possono durare anche molto a lungo. Secondo una statistica americana (tab. 15) un quarto circa delle persone interpellate, a distanza di dieci anni, avrebbe ancora la persistenza di un’ideazione ossessiva, cioè di un pensiero ricorrente da cui non ci si riesce a liberare relativo a una situazione di lavoro sfavorevole, pesante, persecutiva (tabelle 16 e 17). Quel che in psichiatria si chiama disturbo dell'adattamento o, in alcuni casi, disturbo post traumatico da stress .