Sallustio Paragrafo 1 Latino Falso queritur de natura sua genus humanum , quod imbecilla atque aevi brevis forte potius quam virtute regatur . Nam contra reputando neque maius aliud neque praestabilius invenias , magisque naturae industriam hominum quam vim aut tempum deesse. Sed dux atque imperator vitae mortalium animus est . Qui ubi ad gloriam virtutis via grassatur , abunde pollens potensque et clarus est , neque fortuna eget , quippe probitatem , industriam , aliasque artis bonas neque dare neque eripere cuiquam potest . Sin captus pravis cupidinibus ad inertiam et voluptates corporis pessumdatus est , perniciosa lubidine paulisper usus , ubi per socordiam vires , tempus , ingenium diffluxere , naturae infirmitas accusatur ; suam quisque culpam auctores ad negotia transferunt . Quod si hominibus bonarum rerum tanta cura esset quanto studio aliena ac nihil profutura multaque etiam pericolosa < ac perniciosa > petunt , neque regerentur magis quam regerent casus , et eo magnitudinis procederent ubi pro mortalibus gloria aeterni fierent . Italiano A torto il genere umano si duole della propria nature perché , debole e di breve durata , è dominata dal caso più che dal valore . Se vi si riflette , al contrario , non si troverà al mondo cosa più alta e mirabile ; ciò che manca alla natura umana non è il vigore , non è il tempo , è la costanza nell\' operare . La vita dell\' uomo scorre sotto la guida , il dominio dello spirito e quando , percorrendo il sentiero della virtù , procede verso la gloria , possiede forza , potere , fama , fortuna ; ma , del resto , non c\'è bisogno di fortuna , poiché non è essa che possa infondere onestà e tenacia o altre doti morali ad alcuno né toglierle a che li ha . Ma se , schiavo di basse cupidigie , l\' uomo affonda nell\' ozio e nel piacere dei sensi , dopo essersi giovato per breve tempo di voluttà deleterie e aver dissipato neghittosamente in esse forza , tempo e ingegno , allora se la prende con la debolezza della natura : ciascuno infatti , imputa le proprie colpe alle circostanze . Ma se gli uomini dedicassero al bene l\' impegno che mettono nella ricerca di cose disdicevoli , inutili e spesso anche pericolose e dannose , anziché trovarsi in balia dei casi della vita sarebbero loro a dominarli ; e raggiungerebbero tale eccellenza da diventare , per la loro gloria , da mortali immortali . Paragrafo 2 Latino Nam uti genus hominum compositum ex corpore et anima est, ita res cuncta studiaque omnia nostra corporis alia, alia animi naturam secuntur. Igitur praeclara facies, magnae divitiae, ad hoc vis corporis et alia omnia huiusce modi brevi dilabuntur; at ingeni egregia facinora sicuti anima immortalia sunt. Postremo corporis et fortunae bonorum ut initium sic finis est, omniaque orta occidunt et aucta senescunt: animus incorruptus, aeternus, rector humani generis agit atque habet cuncta neque ipse habetur. Quo magis pravitas eorum admiranda est, qui, dediti corporis gaudiis, per luxum et ignaviam aetatem agunt, ceterum ingenium, quo neque melius neque amplius aliud in natura mortalium est, incultu atque socordia torpescere sinunt, cum praesertim tam multae variaeque sint artes animi, quibus summa claritudo paratur. Italiano Infatti, poiché l\'uomo è composto di corpo e di anima, tutte le nostre attività e inclinazioni si conformano alla natura dell\'uno o dell\'altra. 2 Pertanto la bellezza, la ricchezza, nonché la prestanza fisica e tutte le altre doti di questo genere in breve dileguano: ma le grandi opere dell\'ingegno sono, come l\'anima, immortali. 3 Insomma le qualità fisiche e i beni della fortuna, come hanno un inizio, così hanno una fine e tutto ciò che sorge tramonta e ciò che cresce invecchia; lo spirito, invece, essendo guida incorruttibile ed eterna del genere umano, muove e domina tutto e da nulla si lascia dominare. 4 Tanto più deve suscitare meraviglia, quindi, la perversione di coloro che, dediti ai piaceri dei sensi, trascorrono la vita nel lusso e nell\'indolenza, e lasciano intorpidire nell\'ignoranza e nell\'apatia l\'intelligenza, di cui nulla vi è di meglio e di più grande nella natura umana, mentre sono così numerose e varie le attività dello spirito, con cui si può ottenere chiara fama. Paragrafo 3 Latino Verum ex eis magistratus et imperia , postremo omnis cura rerum publicarum minime mihi hac tempestate cupiunda videntur , quoniam neque virtuti honos datur neque illi , quibus per fraudem is fuit , tuti aut eo magis honesti sunt . Nam vi quidem regere patriam aut parentes , quamquam et possis et delicta corrigas , tamen inportunum est , cum praesertim omnes rerum mutationes caedem , fugam aliaque hostilia portendant . Frustra autem niti neque aliud se fatigando nisi odium querere , extremae dementiae est : nisi forte quem inhonesta et perniciosa lubido tenet potentiae paucorum decus atque libertatem suam gratificari . Italiano Tra queste peraltro ai tempi nostri mi sembrano da evitare le cariche politiche , i comandi militari , insomma le attività al servizio dello stato , dato che gli onori non vanno al merito e neppure coloro che li sono accaparrati con l\' intrigo sono più sicuri e onorati ; chè se poi nel governo del paese e della propria famiglia si volesse adottare il metodo forte , quand\' anche servisse a correggere il vizio , è pur sempre sconsigliabile , perché le rivoluzioni comportano immancabilmente uccisioni , esilii e altri atti ostili . Impegnare se stessi senza costrutto , lavorare per non procurarsi che inimicizie è insensatezza suprema : a meno che uno non sia dominato da quella passione ignobile e perniciosa che consiste nel sacrificare la propria dignità e libertà al potere di pochi Paragrafo 4 Latino Ceterum ex aliis negotiis quae ingenio exercentur , in primis magno usui est memoria rerum gestarum . Cuius de virtute quia multi dixere , praetereundum puto , simul ne per insolentiam quis existumet memet studium meum laudando extollere . Atque ego credo fore qui , quia decrevi procul a re publica aetatem agere, tanto tamque utili labori meo nomen inertiae inponant , certe quibus maxuma industria videtur salutare plebem et conviviis gratiam quaerere . Qui si reputaverint et quibus ego temporibus magistratus adeptus sum et quales viri idem adsequi nequiverint , et postea quae genera hominum in senatum pervenerint , profecto existumabunt me magis merito quam ignavia iudicium animi mei mutavisse , maiusque commodum ex otio meo quam ex aliorum negotiis rei publicae venturum . Nam saepe ego audivi Q. Maxumum , P. Scipionem , praeterea civitatis nostrae praeclaros viros solitos ita dicere , cum maiorum imagines intuerentur , vehementissume sibi animum ad virtutem accendi . Scilicet non ceram illam neque figuram tantam vim in sese habere , sed memoria rerum gestarum eam flammam egregiis viris in pectore crescere neque prius sedari quam virtus eorum famam atque gloriam adaequaverit . At contra , quis est omnium his moribus quin divitiis et sumptibus , non probitate neque industria cum maioribus suis contendat ? Etiam homines novi , qui antea per virtutem soliti erant nobilitatem antevenire , furtim et per latrocinia potius quam bonis artibus ad imperia et honores nituntur : proinde quasi praetura et consulatus atque alia omnia huiuscemodi per se ipsa clara et magnifica sint , ac non perinde habeantur ut eorum qui ea sustinet virtus est . Verum ego liberius altiusque processi , dum me civitatis morum piget taedetque ; nunc ad inceptum redeo. Italiano Tra le varie attività che si esercitano con l\' ingegno , la più utile di gran lunga è la rievocazione degli avvenimenti passati : molti ne hanno già decantato i pregi , perciò ritengo sia meglio che non mi dilunghi su questo argomento , anche perché qualcuno potrebbe pensare che con l\' elogio di ciò che forma oggetto dei miei interessi io intenda esaltare me stesso . Inoltre , ho stabilito di vivere lontano dalla vita pubblica ; quanto a coloro che definiscono oziosa una fatica nobile e utile come questa , per mio conto sono quelli che considerano attività altamente utile ingraziarsi la plebe e sollecitarne i favori a furia di banchetti ; ma se considerassero quali personalità non riuscirono a raggiungere le cariche ai tempi in cui ne fui investito io e di quale livello invece fossero gli individui che ebbero accesso al senato in seguito si convincerebbero che ho avuto ragione a mutare i miei propositi e non fu per ignavia ; chè , anzi verrà maggiore profitto alla repubblica dall\' ozio mio cha dall\' affaccendarsi di tanti altri . Spesso ho udito narrare che Q. Massimo , P. Scipione e altri personaggi insigni della nostra città solevano dire che nulla accendeva l\'animo loro a egrege cose quanto la vista dei ritratti degli avi . Non era la cera né le effigi a provocare quella emozione ma la memoria delle imprese ; essa alimentava in petto a quei magnanimi una fiamma che non si estingueva se non quando con i propri meriti avevano eguagliato la fama di quelli . Ma , con i costumi vigenti , c\'è forse qualcuno che aspiri a superare i suoi maggiori nell\' austerità , nel lavoro ? piuttosto , per le ricchezze e gli sperperi . Persino gli uomini nuovi che solevano esser migliori dei nobili per le doti dell\' animo , oggi cercano di procurarsi titoli e comandi non con la buona condotta ma per vie traverse , con mezzi disonesti come se la pretura , il consolato e cariche del genere fossero illustri e insigni per se stesse e non ritenute tali per i meriti di quelli che le rivestono .Ma invero troppo mi sono allontanato dall\' argomento : gli è che il modo di vivere dei miei concittadini mi offende e mi disgusta . Torno dunque al mio assunto . Paragrafo 5 Latino Bellum scripturus sum quod populus romanus cum Iugurtha rege Numidarum gessit , primum quia magnum et atrox variaque victoria fuit , dehinc quia tunc primum superbiae nobilitatis obviam itum est. Quae contentio divina et humana cuncta permiscuit , eoque vecordiae processit ut studiis civilibus bellum atque vastitas italiae finem faceret. Sed priusquam huiuscemodi rei initium expedio , pauca supra repetam quo ad cognoscendum omnia inlustria magis magisque in aperto sint . Bello Punico secundo , quo dux Carthaginiensium Hannibal post magnitudinem nominis romani italiae opes maxume adtriverat , Masinissa rex Numidarum , in amicitiam receptus a P . Scipione , cui postea Africano cognomen ex virtute fuit , multa et praeclara rei militaris facinora fecerat .Ob quae , victis carthaginiensibus et capto Syphace , cuius in africa magnum atque late imperium valuit , populus romanus quascumque urbis et agros manu ceperat regi dono dedit . Igitur amicitia Masinissae bona atque onesta nobis permansit . Sed imperi vitaeque eius finis idem fuit . Dein Micipsa filius regnum solus obtinuit , Mastanabale et Gulussa fratribus morbo absumptis . Is Adherbalem et Hiempsalem ex sese genuit , Iugurthamque , filium Mastanabalis fratris , quem Masinissa , quod ortus ex concubina erat , privatum dereliquerat , eodem cultu quo liberos suos domi habuit. Italiano Intendo scrivere sulla guerra condotta dal popolo romano contro Giugurta re dei Numidi , primo perché fu aspra e accanita e di alterne vicende , indi perché allora per la prima volta si contrastò la boria dei nobili ; questa opposizione fu causa della sovversione di tutte la leggi divine e umane e pervenne a tale grado di accanimento che solo la guerra e la devastazione dell\' Italia pose fine alle guerre civili . Ma prima di dare inizio a questo racconto , mi rifarò indietro per rammentare alcuni avvenimenti precedenti , che renderanno più chiaro ed evidente ciò che avvenne .Nella seconda guerra punica , nel corso della quale Annibale , alla testa dei Cartaginesi , aveva logorato le forze dell\' Italia come mai da quando il nome di Roma era salito alla sua grandezza , il re dei Numidi , Masinissa , per essersi distinto in molti e gloriosi fatti d\' arme , fu ammesso alla nostra amicizia da P. Scipione , poi , per le sue gesta , soprannominato l\' africano . Sconfitti i Cartaginesi e catturato Siface , che possedeva in africa un vasto e potente impero , il popolo romano concesse in dono al re tutte le città e i territori che aveva conquistati con il suo braccio . L\' amicizia di Masinissa restò ferma e fedele ai romani ; ma con la sua vita finì anche il suo impero . In seguito , essendo morti per malattia Mastanabale e Gulussa , suoi fratelli , il figlio di Masinissa , Micipsa , restò solo sul trono . Egli aveva due figli , Aderbale e Jempsale e allevò in casa con lo stesso affetto Giugurta , figlio di suo fratello Mastanabale : perché era nato da una concubina , Masinissa l\' aveva lasciato in disparte . Paragrafo 6 Latino Qui ubi primum adolevit, pollens viribus, decora facie, sed multo maxime ingenio validus, non se luxu neque inertiae corrumpendum dedit, sed, uti mos gentis illius est, equitare, iaculari; cursu cum aequalibus certare et, cum omnis gloria anteiret, omnibus tamen carus esse; ad hoc pleraque tempora in venando agere, leonem atque alias feras primus aut in primis ferire: plurimum facere, [et] minimum ipse de se loqui. Quibus rebus Micipsa tametsi initio laetus fuerat, existimans virtutem Iugurthae regno suo gloriae fore, tamen, postquam hominem adulescentem exacta sua aetate et parvis liberis magis magisque crescere intellegit, vehementer eo negotio permotus multa cum animo suo voluebat. Terrebat eum natura mortalium, avida imperi et praeceps ad explendam animi cupidinem, praeterea opportunitas suae liberorumque aetatis, quae etiam mediocris viros spe praedae transversos agit, ad hoc studia Numidarum in Iugurtham accensa, ex quibus, si talem virum dolis interfecisset, ne qua seditio aut bellum oriretur, anxius erat. Italiano Costui (Giugurta), divenuto un giovane gagliardo ed attraente, ma soprattutto ragguardevole per l’intelligenza, non si lasciò corrompere dalla lussuria e dagli ozi, ma, secondo gli usi della sua gente, cavalcava, lanciava il giavellotto, gareggiava con i coetanei nella corsa: e, benché superasse tutti, tuttavia, era caro a tutti. Inoltre trascorreva la maggior parte del tempo a caccia, era il primo o fra i primi a ferire il leone e simili fiere: agiva moltissimo, di sé parlava pochissimo. Dapprima Micipsa era stato contento di tutto questo, credendo che dal valore di Giugurta sarebbe venuta gloria al suo regno; tuttavia, vedendo il valore di quel giovane aumentare sempre più, mentre egli era vecchio e i suoi figli piccoli, iniziò a preoccuparsi profondamente per tale stato di cose, rivolgendo in sé molti pensieri. Lo spaventava la natura umana, avida di potere e decisa a soddisfare le proprie passioni, e inoltre l\'opportunità della sua età e di quella dei suoi figli, adatta con la speranza di un facile successo a sviare anche gli uomini meno ambiziosi; lo atterriva, infine, la grande simpatia dei Numidi per Giugurta, era timoroso che nascesse la qualche rivolta o una guerra civile, se avesse ucciso con gli inganni un tale uomo. Paragrafo 7 Latino His difficultatibus circumventus ubi videt neque per vim neque insidiis opprimi posse hominem tam acceptum popularibus, quod erat Iugurtha manu promptus et appetens gloriae militaris, statuit eum obiectare periculis et eo modo fortunam temptare. Igitur bello Numantino Micipsa, cum populo Romano equitum atque peditum auxilia mitteret, sperans vel ostentando virtutem vel hostium saevitia facile eum occasurum, praefecit Numidis, quos in Hispaniam mittebat. Sed ea res longe aliter, ac ratus erat, evenit. Nam Iugurtha, ut erat impigro atque acri ingenio, ubi naturam P. Scipionis, qui tum Romanis imperator erat, et morem hostium cognovit, multo labore multaque cura, praeterea modestissime parendo et saepe obviam eundo periculis in tantam claritudinem brevi pervenerat, ut nostris vehementer carus, Numantinis maximo terrori esset. Ac sane, quod difficillimum in primis est, et proelio strenuos erat et bonus consilio, quorum alterum ex providentia timorem, alterum ex audacia temeritatem afferre plerumque solet. Igitur imperator omnis fere res asperas per Iugurtham agere, in amicis habere, magis magisque eum in dies amplecti, quippe cuius neque consilium neque inceptum ullum frustra erat. Hoc accedebat munificentia animi atque ingeni sollertia, quibus rebus sibi multos ex Romanis familiari amicitia coniunxerat. Italiano Fra tante difficoltà, non potendo né con la forza né con l\'inganno eliminare quell\'uomo così gradito al popolo, pensò, sapendo Giugurta temerario e desideroso di gloria militare, di tentare la fortuna con l\'esporlo ai pericoli. 2 Durante la guerra numantina, dunque, Micipsa, nell\'inviare truppe ausiliarie di cavalleria e di fanteria ai Romani, lo mise a capo del contingente numidico distaccato in Spagna, sperando che facilmente o per far mostra del proprio valore o per la ferocia dei nemici avrebbe trovato la morte. 3 Ma gli avvenimenti delusero le sue aspettative. 4 Pronto e astuto com\'era, Giugurta, quando conobbe il carattere di Publio Scipione, che allora comandava l\'esercito romano, e la tattica dei nemici, con la sua attività incessante e la sua grande diligenza, e inoltre obbedendo scrupolosamente e affrontando spesso i pericoli, si conquistò in breve tale reputazione, che divenne ai nostri carissimo, terribile agli occhi dei Numantini. 5 E veramente egli si distingueva, cosa che assai raramente si verifica, per coraggio in battaglia e per saggezza nelle decisioni, mentre nei più l\'una, per eccesso di prudenza, genera timore, l\'altro, per troppa audacia, temerarietà. 6 Scipione, perciò, si valeva di Giugurta per quasi tutte le imprese più rischiose, lo voleva tra i suoi amici e lo apprezzava di giorno in giorno sempre di più, vedendo che nessuna delle sue decisioni e delle sue iniziative aveva cattivo esito. 7 A queste doti Giugurta univa un animo generoso e un\'intelligenza vivace, grazie a cui aveva stretto una familiare amicizia con molti Romani. Paragrafo 8 Latino Ea tempestate in exercitu nostro fuere complures novi atque nobiles, quibus divitiae bono honestoque potiores erant, factiosi domi, potentes apud socios, clari magis quam honesti, qui Iugurthae non mediocrem animum pollicitando accendebant, si Micipsa rex occidisset, fore uti solus imperi Numidiae potiretur: in ipso maximam virtutem, Romae omnia venalia esse. Sed postquam Numantia deleta P. Scipio dimittere auxilia et ipse reverti domum decrevit, donatum atque laudatum magnifice pro contione Iugurtham in praetorium abduxit ibique secreto monuit, ut potius publice quam privatim amicitiam populi Romani coleret neu quibus largiri insuesceret: periculose a paucis emi quod multorum esset. Si permanere vellet in suis artibus, ultro illi et gloriam et regnum venturum; sin properantius pergeret, suamet ipsum pecunia praecipitem casurum. Italiano In quel tempo nel nostro esercito v\'erano molti, sia "uomini nuovi" che nobili, i quali apprezzavano assai più le ricchezze della rettitudine e dell\'onestà, influenti in patria, potenti presso gli alleati, famosi più che stimati. Questi infiammavano l\'animo già tutt\'altro che umile di Giugurta, promettendogli spesso che, se fosse venuto a mancare il re Micipsa, il regno di Numidia sarebbe toccato a lui solo: d\'altronde egli aveva tutte le qualità necessarie e a Roma tutto era in vendita. 2 Ma quando, distrutta Numanzia, Publio Scipione decise di congedare le truppe ausiliarie e di ritornare in patria, dapprima al cospetto dell\'esercito ricompensò e lodò splendidamente Giugurta, poi, condottolo nel pretorio, in privato gli consigliò di coltivare l\'amicizia del popolo romano pubblicamente piuttosto che privatamente e di non abituarsi a elargire denaro ad alcuno: è un rischio comprare da pochi ciò che appartiene a molti. Se avesse continuato nella via intrapresa, gloria e regno gli sarebbero venuti da soli; se invece avesse avuto troppa fretta, proprio il suo denaro lo avrebbe fatto cadere in rovina. Paragrafo 41 Latino Ceterum mos partium et factionum ac deinde omnium malarum artium paucis ante annis Romae ortus est otio atque abundantia earum rerum, quae prima mortales ducunt. Nam ante Carthaginem deletam populus et senatus Romanus placide modesteque inter se rem publicam tractabant, neque gloriae neque dominationis certamen inter civis erat: metus hostilis in bonis artibus civitatem retinebat. Sed ubi illa formido mentibus decessit, scilicet ea, quae res secundae amant, lascivia atque superbia incessere. Ita quod in aduersis rebus optauerant otium, postquam adepti sunt, asperius acerbiusque fuit. Namque coepere nobilitas dignitatem, populus libertatem in libidinem vertere, sibi quisque ducere trahere rapere. Ita omnia in duas partis abstracta sunt, res publica, quae media fuerat, dilacerata. Ceterum nobilitas factione magis pollebat, plebis vis soluta atque dispersa in multitudine minus poterat. Paucorum arbitrio belli domique agitabatur; penes eosdem aerarium prouinciae magistratus gloriae triumphique erant; populus militia atque inopia urgebatur; praedas bellicas imperatores cum paucis diripiebant: interea parentes aut parui liberi militum, uti quisque potentiori confinis erat, sedibus pellebantur. Ita cum potentia auaritia sine modo modestiaque invadere, polluere et vastare omnia, nihil pensi neque sancti habere, quoad semet ipsa praecipitauit. Nam ubi primum ex nobilitate reperti sunt, qui veram gloriam iniustae potentiae anteponerent, moveri civitas et dissensio civilis quasi permixtio tarare oriri coepit. Italiano Del resto, la divisione invalsa fra partito popolare e gruppi nobiliari, con tutte le sue conseguenze negative, aveva avuto inizio a Roma pochi anni prima, causata dalla pace e dall\'abbondanza di tutti quei beni che gli uomini considerano di primaria importanza. Prima della distruzione di Cartagine, il popolo e il senato di Roma governavano insieme la repubblica con misura e con moderazione e i cittadini non lottavano tra loro per ottenere gloria e potere: la paura dei nemici teneva i cittadini sulla giusta condotta. Ma svanito quel timore dai loro animi, subentrarono, com\'è naturale, la sfrenatezza e l’arroganza, compagne inseparabili della prosperità. Così quella pace che avevano tanto desiderata nei momenti difficili, una volta conseguita, si rivelò ancora più dolorosa e acerba. Infatti la nobiltà incominciò a trasformare in abuso la propria autorità, il popolo la propria libertà: ognuno si diede a prendere per sé, a rubare. Così tutto fu diviso fra due partiti e la repubblica, che era sempre stata un bene comune, fu dilaniata. Peraltro i nobili erano più forti per la loro salda coesione, mentre la forza della plebe disunita e dispersa nella massa si faceva sentire meno. Sia in pace sia in guerra si viveva sotto l\'arbitrio di pochi; nelle loro mani vi erano l’erario, le province, le magistrature, gli onori e i trionfi. Il popolo era oppresso dal servizio militare e dalla miseria, mentre i condottieri dividevano il bottino con pochi altri. Intanto i padri e i figli piccoli dei soldati, se per caso era loro vicino uno più potente, venivano estromessi dalle loro terre. Così la cupidigia, stimolata dal potere, si diffuse ovunque, senza modo né misura, portando con sé corruzione e devastazione e non avendo rispetto né timore religioso, finché precipitò in rovina da sola. Infatti, non appena alcuni uomini si distinsero dalla fazione dei nobili che preferivano la gloria a un poetre iniquo, la città si scosse e scoppiò la lotta civile come un terremoto. Paragrafo 42 Latino Nam postquam Ti. Et C. Gracchus, quorum maiores Punico atque aliis bellis multum rei publicae addiderant, vindicare plebem in libertatem et paucorum scelera patefacere coepere, nobilitas noxia atque eo perculsa modo per socios ac nomen Latinum, interdum per equites Romanos, quos spes societatis a plebe dimouerat, Gracchorum actionibus obviam ierat; et primo Tiberium, dein paucos post annos eadem ingredientem Gaium, tribunum alterum, alterum triumuirum coloniis deducendis, cum M. Fuluio Flacco ferro necauerat. Et sane Gracchis cupidine victoriae haud satis moderatus animus fuit. Sed bono vinci satius est quam malo more iniuriam vincere. Igitur ea victoria nobilitas ex libidine sua usa multos mortalis ferro aut fuga extinxit plusque in relicuum sibi timoris quam potentiae addidit. Quae res plerumque magnas civitatis pessum dedit, dum alteri alteros vincere quouis modo et victos acerbius ulcisci volunt. Sed de studiis partium et omnis civitatis moribus si singillatim aut pro magnitudine parem disserere, tempus quam res maturius me deseret. Quam ob rem ad inceptum redeo. Italiano Quando Tiberio e Gaio Gracco, gli avi dei quali durante la guerra Punica e in altre guerre avevano molto giovato alla repubblica, incominciarono a rivendicare la libertà della plebe e a denunciare i reati dell\'oligarchia, la nobiltà, sapendosi colpevole, fu presa dal terrore. Essa si era opposta, perciò, all\'esecuzione dei progetti dei Gracchi, ora per mezzo degli alleati e dei Latini, ora per mezzo degli Equestri, che erano riusciti a distaccare dalla plebe la speranza di associarsi ai nobili. Per primo soppressero Tiberio, qualche anno dopo Gaio, che seguiva le orme del fratello, tribuno della plebe il primo, triumviro per la deduzione delle colonie il secondo; e con loro M. Fulvio Flacco. A dire il vero, per smania di vincere ,che i Gracchi non abbiano saputo mantenere una condotta moderata. Ma per l\'uomo onesto è meglio essere vinto che trionfare sull\'ingiustizia con mezzi illegali. Infatti i nobili abusando di quella vittoria secondo il loro capriccio, annientarono molti cittadini con le armi o con l\'esilio e furono da allora più temuti che potenti. Questa è la causa che ha mandato spesso in rovina stati potenti, in quanto gli uni vogliono prevalere ad ogni costo sugli altri e infierire sui vinti ferocemente. Ma se io volessi esporre in particolare e con l\'ampiezza che il soggetto merita delle lotte dei partiti e dei costumi di ogni stato, mi mancherebbe il tempo prima che l’argomento. Riprendo perciò il mio racconto.