Fenomenologia e interazionismo simbolico

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Fenomenologia e interazionismo simbolico
Sandro Segre
Associazione Italiana di Sociologia
Sezione “Teorie Sociologiche e Trasformazioni Sociali”
Seminario di Studi su Fenomenologia e teoria sociologica
Modena, 23 febbraio 2001
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Introduzione. Ci si intende qui soffermare sui rapporti concettuali, teorici ed
epistemologici tra le prospettive sociologiche dette, rispettivamente, fenomenologica
ed interazionista-simbolica, allo scopo di compiere un tentativo di individuare e
descrivere questi rapporti. Si tratta, appunto, solo di un tentativo di contribuire al
dibattito fra quanti si sono occupati del tema, tra i quali non pare che vi sia pieno
consenso. Nella prima parte del saggio si ricaveranno dalla letteratura indicazioni, per
ciascuna delle due prospettive, circa gli elementi definitori e si accennerà alla loro
reciproca congruenza o incongruenza. Nella seconda parte gli elementi definitori
verranno rapportati da un punto di vista, di volta in volta, concettuale, teorico,
epistemologico. Nella terza parte, infine, si farà riferimento a questi elementi
definitori per una classificazione ragionata di alcuni indirizzi teorici tra i
rappresentanti dell’una o dell’altra prospettiva, o piuttosto come partecipanti ad
entrambe, per aspetti tuttavia distinti.
Prima parte: i rispettivi campi di studio della sociologia d’orientamento
fenomenologico e dell’interazionismo simbolico.
Non vi è attualmente pieno consenso nella definizione dei campi di studio della
sociologia d’orientamento fenomenologico e dell’interazionismo simbolico, né di
conseguenza nella definizione dei rapporti fra le due prospettive e nella
classificazione di singoli autori e correnti teoriche. A tali questioni si può accennare
separatamente.
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La problematica definizione del campo di studio per la sociologia d’orientamento
fenomenologico. Una sociologia coerente con l’insegnamento fenomenologico di
Husserl deve assumere il punto di vista dell’osservatore disinteressato. Deve, in altri
termini, prescindere da (ossia, “mettere tra parentesi” o “fuori azione”, “sospendere”)
giudizi, interpretazioni, valutazioni circa l’esistenza, la desiderabilità, il carattere
causale o qualsiasi altro attributo che si intenda attribuire ai fenomeni sociali oggetto
di studio (Husserl 1976a, pp.62-67; Schutz 1962, pp.133-139). Una sociologia così
orientata ha per oggetto i significati che vengono socialmente imputati a questi
fenomeni dagli attori sociali e gli schemi interpretativi da essi impiegati, nel mentre
nel corso della loro vita quotidiana interpretano le attività proprie ed altrui, e
conferiscono ad esse un senso condiviso che viene dato per scontato (il cosiddetto
“atteggiamento naturale”, vale a dire, prefenomenologico) (Husserl 1976a, pp.57-62).
Si presuppone quindi che vi sia intersoggettività, che gli attori siano in grado di
comunicarsi tra loro (Husserl 1976a, p.61; 1976c, pp.899-903). S’indaga su come ciò
avvenga, come l’esperienza vissuta sia interpretata mediante categorie costruite e
mantenute collettivamente (tipizzazioni, nella terminologia di Schutz) (Schutz 1962,
pp.60-62, 74-76; 1976, pp.37-56).
La costituzione del mondo sociale, inteso come mondo della vita costruito
socialmente, ed in particolare le strutture di senso intersoggettive, sono dunque il
campo d’indagine peculiare di questa prospettiva sociologica. Tale campo d’indagine
è tuttavia controverso, per più ragioni. Non solo infatti la ricerca fenomenologica si
connota per una continua riflessione sulla propria attività e quindi sul proprio campo
d’indagine, ma anche qualsiasi studio scientifico – compresi quelli condotti
nell’ambito delle scienze sociali, con i “numerosi e complessi problemi” di come da
esperienze intersoggettive si ottengano conoscenze oggettive – conserva un
atteggiamento prefenomenologico “naturale”, ossia, non libero dai presupposti degli
indagatori (Husserl 1976b, pp.766-782; 1976c, pp.902-903; 1997, pp.310-327. Al
riguardo, cfr. anche: Ferguson 2001, pp.243-244; Vaitkus 2000, pp.272-277; Wolff
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1978, pp.502-503, 523-527; tra gli studiosi italiani, in modo particolarmente
approfondito ha trattato quest’ultimo tema Muzzetto 1997, pp.119-134).
Queste osservazioni sono state formulate per indicare l’impossibilità di condurre
un’indagine sociologica, la quale si conformi rigorosamente al procedimento di
riduzione fenomenologica e stabilisca un campo d’indagine ben determinato. Una
sociologia d’orientamento fenomenologico si espone allora a diverse obiezioni, parte
delle quali è stata rivolta ad alcuni fra i più accreditati esponenti di
quest’orientamento, come in particolare Schutz. In primo luogo, la realtà della vita
quotidiana assume il carattere di realtà oggettiva, mantenendosi quindi non solo un
atteggiamento “naturale” (nel senso prima indicato), ma anche la contrapposizione fra
soggetto ed oggetto, trascesa dalla fenomenologia husserliana (Ferguson 2001,
p.244). In secondo luogo, ogni distinzione fra “province finite di significato” –
secondo le note indicazioni di Schutz (Schutz 1962, pp.229-259, 340-347) – non è
accettabile da un punto di vista sociologico, se non si indicano le regole cognitive che
caratterizzano ogni “provincia” ed i criteri per delimitare il loro numero (Goffman
1974, pp.5-6; Muzzetto 1997, p.196. Per un confronto fra Schutz e Goffman, cfr. De
Biasi 2001). Che tali regole e criteri debbano essere adeguati in base al senso dal
punto di vista degli attori sociali, che si conformino perciò al postulato
dell’adeguatezza, nel linguaggio non univoco di Schutz (Schutz 1962, p.44; 1976,
pp.19, 85, 88; cfr. al riguardo Carroll 1982; Muzzetto 1997, pp.144-197), non esime
il sociologo dall’indicarli con precisione. In terzo luogo, una sociologia che vuole
ispirarsi all’insegnamento di Husserl non ha un apparato concettuale e teorico che la
distingua con sufficiente evidenza da una sociologia di diversa ispirazione, in
particolare dall’interazionismo simbolico, con cui condivide un approccio
“soggettivo” o “interpretativo” (Ciacci 1983, pp.14-15; 1996, p.26; Denzin 1970,
p.28; 1983b; Wilson 1970; Wolff 1978, pp.520-521).
Dal primo punto consegue l’impossibilità di fondare fenomenologicamente la
disciplina sociologica, sicché si può avere al più una sociologia orientata
fenomenologicamente. Dal secondo e dal terzo punto, consegue che un’indagine
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sociologica che intenda essere così orientata resta indeterminata nel suo campo
d’indagine. Vi sono peraltro alcuni requisiti cui un’indagine siffatta deve
conformarsi: l’impiego di un metodo interpretativo o ermeneutico; il mantenimento
solo parziale dell’atteggiamento “naturale” da parte dello studioso, nel senso di non
mettere in dubbio la realtà della vita quotidiana, assunta come realtà fondamentale o
primaria, ma al tempo stesso evitare di darla per scontata ed evidenziarne quindi il
carattere di costruzione sociale; l’impiego – da parte degli studiosi – di tipi ideali,
ossia di tipizzazioni di secondo ordine, per la descrizione e spiegazione di questa
realtà; il tentativo di mettere in luce particolari “provincie finite di significato”,
internamente omogenee dal punto di vista del senso e della rilevanza attribuiti dagli
attori: costoro fanno valere un comune patrimonio di conoscenze nel costruire e
mantenere una medesima realtà, mettono tra parentesi altri aspetti della realtà sociale
esperita, che non sono prioritari nell’ordine di rilevanza di quel particolare momento,
e partecipano congiuntamente ad una medesima situazione ed un medesimo ambiente
comunicativo, giacché vale per essi la condizione d’intersoggettività e quindi di
reciprocità di motivi e prospettive. Le ricerche di Schutz sulla situazione sociale dello
straniero o del reduce, o sull’interazione fra compositore, esecutore ed ascoltatore nel
corso dell’esecuzione di un brano musicale, o ancora sul problema della realtà per
Don Chisciotte ed il suo scudiero, e sulla distribuzione sociale della conoscenza
possono essere considerate altrettanti esempi d’indagini sociologiche orientate
fenomenologicamente. Collaboratori o continuatori di Schutz, come Gurwitsch,
Luckmann, Grathoff, Natanson ed altri, hanno condotto indagini così orientate su cui
non è possibile qui soffermarsi, approfondendo – tra altri temi – il problema
dell’intersoggettività, le strutture del mondo della vita, la costruzione sociale della
realtà (Schutz 1962, pp.207-259, 312-318, 340-347; 1976; cfr. anche Muzzetto 1997,
pp.127-144, 201-228; Vaitkus 2000, pp.278-295; Wagner 1970). Resta tuttavia il
problema di definire questo genere d’indagini nell’ambito di una prospettiva unitaria
e coerente, distinta rispetto all’interazionismo simbolico.
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La problematica definizione del campo di studio per l’interazionismo simbolico.
Problemi definitori del campo di studio si riscontrano pure per la prospettiva
dell’interazionismo simbolico. E’ noto il tentativo, compiuto da Herbert Blumer, di
stabilire il suo oggetto indicandone le premesse: gli esseri umani agiscono verso un
qualcosa sulla base del significato che ciò possiede per loro, tale significato deriva
dall’interazione con altri ed infine esso è modificato mediante un processo
interpretativo dalla persona mentre si rapporta con il mondo esterno (Blumer 1969,
pp.2-6, 79; 1980). Questa definizione delle premesse, ed implicitamente dell’oggetto
di ricerca di questa prospettiva (mettere in luce le interpretazioni dei significati, che
gli attori conferiscono a ciò che fanno, e che si costituiscono nel corso e per mezzo di
processi interattivi) presuppone che vi sia una linea di continuità teorica ed
epistemologica fra Blumer ed altri studiosi, che sono generalmente situati all’interno
di questa prospettiva, come in particolare Mead. Sebbene la definizione blumeriana
abbia continuato ad esercitare influenza (Fine 1990, p.118; 1993, p.64; Meltzer,
Petras, Reynolds 1980, p.9), si è preferito da parte di alcuni studiosi che si
richiamano all’insegnamento di Mead – sin dagli anni cinquanta e sessanta con la
cosiddetta “scuola di Iowa” – non sottolineare tale continuità tra Mead e Blumer. Si è
messo piuttosto l’accento sui vincoli strutturali, ossia macrosociologici (normativi, in
particolare), cui sono sottoposte le interazioni e, di conseguenza, anche le definizioni
delle situazioni e la formazione dei sé individuali. Di questi ultimi, si è messo
l’accento sulla stabilità e ci si è proposti di individuare gli elementi costitutivi e
misurarne la rilevanza soggettiva (salienza) mediante una scala di Guttman (Kuhn,
McPartland 1954. Cfr. anche Fine 1993, pp.63-64; Meltzer, Petras, Reynolds 1980,
pp.59-67; Turner 1982, pp.322-342). Più recentemente è stata formulata
–
in
consonanza con la “scuola di Iowa” ed in aperto contrasto con Blumer –
un’interpretazione di Mead che l’avvicina al comportamentismo sociale, sottolinea la
convergenza di risposte rispetto ad un simbolo significativo e quindi la possibilità di
significati condivisi, e propone di conseguenza metodi d’indagine impiegati dalla
psicologia sociale comportamentista (McPhail, Rexroat 1979; 1980).
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E’ stata così messa in discussione la versione blumeriana, peraltro tuttora molto
influente, della prospettiva interazionista-simbolica. La ricezione attuale di Mead ha:
1) cercato di meglio inquadrare l’autore da un punto di vista sociologico e filosofico,
senza tuttavia pervenire a risultati conclusivi; 2) approfondito le sue tesi sulla
formazione del sé, non soddisfatta delle precedenti e troppo rigide interpretazioni
funzionaliste al riguardo; 3) sviluppato il suo pensiero in direzioni diverse, di volta in
volta sottolineando la stabilità, o al contrario la fluidità, dell’immagine di sé che
hanno gli individui nella contemporanea cultura americana; 4) esplorato nuovi ambiti
di ricerca con riferimento, in particolare, alla concezione meadiana dell’ordine
temporale. Di Blumer si rileva attualmente l’interesse per temi macrosociologici di
ricerca, come le relazioni industriali e razziali, in contrasto con precedenti
interpretazioni
che
sostenevano
l’ambito
esclusivamente
microsociologico
dell’interazionismo blumeriano. Degno di nota, per quanto riguarda in genere
l’interazionismo sociale contemporaneo, è il tentativo di mettere in luce i fondamenti
al tempo stesso macrosociologici di questa prospettiva (Fallding 1982; Fine 1990,
pp.119-120; 1991; 1993, pp.68-69, 78-79; Fisher, Strauss 1978, p.485; Joas 1987,
p.83; 2001, pp.96-98; Plummer 2000, pp.197-198, 206; Sandstrom et al. 2001, p.220;
Strauss 1977, pp. XIV-XVII).
Ne è risultata l’assenza di un’univoca definizione del campo di studio
dell’interazionismo simbolico post-blumeriano, compensata peraltro da una sua
apertura ad una pluralità di nuovi oggetti d’indagine, come i presupposti della
coordinazione sociale fra membri di piccoli gruppi (riformulando temi della “scuola
di Iowa”) e la sociologia delle emozioni, delle organizzazioni, delle disuguaglianze
razziali e di genere, dei mass-media, dell’età post-moderna. Questi oggetti d’indagine
si sono aggiunti ai tradizionali, ma sempre attuali, temi del sé e dell’identità, dei
movimenti sociali, della devianza e dell’etichettamento, e della costruzione di
problemi sociali e di mondi sociali (Fine 1993). L’ampliamento ed approfondimento
dei campi d’indagine è stato facilitato dal frequente impiego di concetti
“sensibilizzanti” (sensitizing concepts). Questi concetti – secondo Blumer, che per
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primo formulò il termine – dovrebbero fornire “un generale senso di riferimento e
guida nell’avvicinarsi ad esempi empirici” (Blumer 1969, p.148). Nel loro impiego
contemporaneo, essi sono stati ritenuti utili per lo studio di “mondi” sociali
segmentati e fluidi (Ciacci 1996, pp.27-28; Fine 1990; 1993, pp.71-78; Musolf 1992;
Plummer 2000, pp.202-212; Sandstrom et al. 2001, pp.219-228).
Delineare gli elementi definitori della prospettiva, e quindi del campo di studio,
dell’interazionismo simbolico è perciò compito difficile ed opinabile. Si riporteranno
qui, ciononostante, alcune indicazioni al riguardo, preferite rispetto ad altre perché
tengono conto al tempo stesso delle formulazioni classiche, in particolare di Mead e
Blumer, e degli sviluppi più recenti. Queste indicazioni ricapitolano gli elementi
definitori dell’interazionismo simbolico, specificandone le premesse - guida: 1) gli
esseri umani posseggono capacità simboliche rilevanti nelle loro interazioni, fra cui
in particolare la mente ed il sé, perciò il loro comportamento non risponde in modo
automatico a stimoli, diversamente da quanto avviene per gli animali; 2) gli individui
non nascono esseri umani, ma lo divengono in virtù di queste capacità simboliche ed
interazioni sociali; 3) gli individui impiegano la mente ed il sé per interagire in modo
attivo e consapevole con il mondo, dialogando con se stessi ed altri, e plasmando il
loro comportamento pur nei limiti dei condizionamenti ambientali; 4) nel corso delle
interazioni si formano definizioni della situazione, cui gli individui contribuiscono e
di cui tengono conto per i fini che si propongono; 5) la società non esiste
indipendentemente dalle interazioni e dai significati che ad esse sono conferiti. Al
contrario, essa è costituita – in modo strutturato non rigidamente – per mezzo di
queste interazioni e dei significati connessi; 6) lo studio di tali interazioni e significati
comporta l'impiego di metodi idonei, che consentano la comprensione simpatetica
degli individui o gruppi che sono oggetto d’indagine (Sandstrom et al. 2001, pp.218219).
Queste premesse - guida, ricapitolando gli elementi definitori dell’interazionismo
simbolico, consentono un confronto concettuale, teorico ed epistemologico fra questa
prospettiva e quella d’orientamento fenomenologico.
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Seconda parte: i rapporti fra sociologia d’orientamento fenomenologico ed
interazionismo simbolico.
Il tema dei rapporti fra le due prospettive non è nuovo, ma non pare che sia stato
approfondito a sufficienza né con risultati univoci. Si procederà dapprima a indicare
alcune posizioni al riguardo, di cui si terrà conto in seguito, al momento di proporre il
confronto in questione.
Alcune tesi circa i rapporti fra queste prospettive. Il confronto è stato condotto, più
che fra le prospettive intese come schemi concettuali unitari, fra singoli autori ritenuti
rappresentativi dell’una o dell’altra prospettiva, ed in particolare fra Mead e Schutz.
Un influente ed autorevole studioso della prospettiva interazionista ha accennato ad
un confronto generale (ossia, a livello di prospettiva e non di autore), sostenendo che
questa prospettiva “è nel suo nucleo sociale e relazionale, laddove l’approccio
fenomenologico mette l’accento sulla costruzione individuale del mondo, un mondo
di attori distinti e separati” (Fine 1990, p.139. Evidenziazione grafica dell’autore). La
distinzione mette in luce le diverse unità di analisi delle due prospettive, la coscienza
intenzionale dei soggetti per i fenomenologi, le interazioni significative per gli
interazionisti. Essa non chiarisce tuttavia che per la sociologia fenomenologica, a
partire da Schutz, l’ego degli attori è solo una costruzione analitica che permette di
soffermarsi sui loro flussi di coscienza. Gli attori empirici possono intendersi e
comunicare
fra
loro
in
modo
diretto
(“prepredicativo”,
nel
linguaggio
fenomenologico), rivolgendo ciascuno la propria attenzione ai flussi di coscienza di
altri con cui si è in contatto faccia – a – faccia; oppure, in modo indiretto o
predicativo, mediante giudizi interpretativi che si avvalgono del patrimonio di
conoscenze disponibili ai singoli attori (Schutz 1962, pp.312-318; 1976, pp.20-62,
159-178. Cfr. anche Muzzetto 1997, pp.235-251).
Un confronto generale fra le due prospettive non è stato frequente. Interessante al
riguardo è la posizione di Jonathan H. Turner, il quale affermava nel 1982 che “la
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fenomenologia attuale, per quanto si debba distinguerla dall’interazionismo simbolico
della Scuola di Chicago, deve ancora diventare una prospettiva teorica unificata o
coerente”. L’autore, a sostegno di questa tesi, indicava la corrispondenza fra alcune
nozioni di Schutz da un lato, di Mead ed altri interazionisti dall’altro: patrimonio di
conoscenze (Schutz) e “altro generalizzato” (Mead); il mondo dato per scontato, in
quanto formato da un patrimonio di conoscenze (Schutz), e le nozioni di
comportamento abituale o di routine (interazionisti); acquisizione di un patrimonio di
conoscenze (Schutz) e processo di socializzazione (interazionisti); reciprocità di
prospettive e processo di tipizzazione (Schutz) e assunzione del ruolo dell’altro
(interazionisti). L’originalità della prospettiva fenomenologica rispetto a quella
interazionista consisterebbe solo nella tesi, secondo cui gli attori presuppongono che
le proprie esperienze della realtà siano intersoggettive (Turner 1982, pp.398-399).
L’asserzione di Turner, per cui la tesi dell’intersoggettività differenzierebbe la
prospettiva fenomenologica da quella interazionista, merita attenzione, sebbene
sembrino forzate le analogie che egli riscontra fra Schutz da un lato, Mead e
l’interazionismo simbolico in genere dall’altro. In particolare, Schutz non ha prodotto
una teoria dell’assunzione del ruolo altrui, ma ha preferito far riferimento (seppure
con riserva) agli scritti di James e Mead in tema (Schutz 1962, pp.18-19, 216-217.
Cfr. anche Muzzetto 1997, p.238). Un confronto analogo è stato tentato anche da
Perinbanayagam, che ha preferito tuttavia comparare il pensiero di Schutz con quello
di Cooley e Mead per quanto riguarda, specificamente, il rispettivo concetto di
“altro”. La comparazione lo ha portato a contrapporre un presunto “ego solitario” di
Schutz, che sarebbe incapace di rapportarsi all’altro, ad un sé di Cooley e Mead in
rapporto di “reciproca influenza” con l’altro (Perinbanayam 1975, pp.518-519).
La replica di Muzzetto mette in evidenza che “il sociale è presente in ogni
aspetto del pensiero di Schutz”, poiché gli attori possono rivolgere l’attenzione al
flusso di coscienza dell’altro, e segnala inoltre il carattere analitico, anziché
empiricamente descrittivo, del concetto schutziano di sé. Non vi sarebbero invece
obiezioni, per quanto riguarda l’interpretazione che Perinbanayagam offre di Mead.
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“Le idee di self, di io, di me ...sono di fatto inglobate, almeno nei loro aspetti
fondamentali, nella fenomenologia di Schutz”, scrive Muzzetto riferendosi a James e
Mead, e soggiunge che è “empiricamente corretta” l’assunzione di Mead che “il self
sia socialmente prodotto, che la comprensione dell’altro dipenda dal processo di
socializzazione”, ma vi sarebbe una lacuna di Mead nell’affrontare il problema
dell’intersoggettività.
Muzzetto è dunque in sintonia con Turner: questo problema sarebbe stato
discusso solo nell’ambito della fenomenologia, e non dell’interazionismo. Mead
avrebbe trattato nella sua opera più nota – Mind, Self, & Society – “il problema
dell’esperienza sociale dal punto di vista della società”, senza riuscire in altre opere
ad introdurre in modo soddisfacente “il punto di vista della soggettività”. A questa
lacuna Schutz (sempre secondo Muzzetto) avrebbe inteso porre rimedio: “Sul piano
sociologico le analisi di Schutz possono essere ritenute complementari a quelle di
Mead...se l’analisi di Mead è centrata principalmente sui modi in cui il sociale
produce il self, Schutz tenta di analizzare i modi in cui il self (ri)costituisce il sociale”
(Muzzetto 1997, pp.69, 234-235, 238-240, 246-251).
Lo stesso Schutz obietta in effetti a ciò che chiama “pragmatismo volgare”, di
non considerare “i problemi della costituzione della vita cosciente insiti nella nozione
di un ego agens o homo faber, da cui come un dato prendono le mosse la maggior
parte degli autori”. Qualche autore della scuola pragmatista avrebbe tuttavia (a
giudizio di Schutz) fatto eccezione, offrendo un’interpretazione della nostra vita
cognitiva secondo cui una condizione di massima attenzione del sé attivo avrebbe
indicato il segmento del mondo pragmaticamente rilevante, e quindi la forma ed il
contenuto del nostro flusso di pensiero (Schutz 1962, p.213). Sebbene di quale
pragmatista si tratti non sia indicato esplicitamente, Schutz sostiene poco oltre che è
“grande merito di Mead aver analizzato... l’esperienza delle cose fisiche all’interno
dell’area soggetta fisicamente al nostro controllo ”, che comprende “gli oggetti che
possono essere sia visti, sia maneggiati”, e che quest’area “costituisce la realtà
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specifica della vita quotidiana”. Lo stesso Schutz segnala a questo proposito una
convergenza fra la propria posizione teoretica e quella di Mead (Schutz 1962, p.223).
Con ciò non si intende qui sostenere che Schutz ritenga completa questa
convergenza: al contrario, egli prende le distanze dalla teoria meadiana dell’origine
sociale del sé e dai suoi presupposti comportamentistici, che porterebbero Mead (ma
non James, ritenuto quindi più persuasivo) a spiegare tale origine in termini di stimoli
e risposte (Schutz 1962, pp.217, 223). Si tratta perciò di una convergenza solo
parziale fra i due autori, ed in generale fra le prospettive fenomenologica ed
interazionista-simbolica. Una piena convergenza è, d’altronde, ostacolata da
“sostanziali differenze di fondo” fra fenomenologia e pragmatismo: nonostante la
grande stima di Husserl per James, l’indagine di quest’ultimo è psicologica, ossia,
prefenomenologica, poiché non ricerca come si costituisca l’oggetto del pensiero
nell’immanenza della coscienza, né si propone di “costruire una dottrina pura e a
priori dell’esperienza” (Civita 1982, pp.100-101, 114-115).
L’ambito di convergenza è tuttavia più ampio di quanto non sia apparso a Schutz,
poiché per Mead, come per Schutz, il rapporto fra soggetto e società è reciproco: se
per Schutz il mondo della vita quotidiana è un mondo intersoggettivo, “il nostro
proprio e quello delle altre persone, contemporanei e predecessori” con cui
condividiamo una cultura, ossia un universo di significato (Schutz 1962, p.10), per
Mead “gli individui umani sono messi in grado, dal loro possesso di menti o capacità
di pensare, di rivolgersi indietro criticamente, per così dire, verso la struttura
organizzata della società alla quale appartengono (e dai cui rapporti sono derivate in
primo luogo le loro menti)” (Mead 1967, p.308; cfr. anche Morris 1967, pp.XXIVXXVI; Strauss 1977, pp.XXVII-XXVIII).
L’indagine sinora condotta circa i rapporti fra sociologia d’orientamento
fenomenologico ed interazionismo simbolico ha consentito di pervenire ad alcune
conclusioni: 1) la condivisione da parte delle due prospettive di un approccio
soggettivo o interpretativo; 2) il loro distinto oggetto d’indagine e la loro diversa
unità d’analisi: la coscienza intenzionale dei soggetti per i fenomenologi, le
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interazioni significative per gli interazionisti; 3) la tesi, comune a Schutz e Mead,
secondo cui l’intersoggettività è possibile mediante, nel linguaggio di Schutz,
“l’esperienza delle cose fisiche all’interno dell’area soggetta fisicamente al nostro
controllo”; 4) la comune tesi della reciprocità dei rapporti d’influenza fra individui e
la loro società d’appartenenza. Si procederà ora ad un confronto più approfondito.
Un confronto fra sociologia d’orientamento fenomenologico ed interazionismo
simbolico. In questa sede gli elementi definitori delle due prospettive saranno
rapportati da un punto di vista concettuale, teorico ed epistemologico. Da un punto di
vista concettuale, se si eccettuano i termini di “significato” ed “interpretazione” o
“comprensione”, ed ancora i termini di “situazione” e “definizione della situazione”
(che Schutz ha derivato dall’interazionista Thomas) (Schutz 1962, pp.9, 348), le due
prospettive impiegano per il resto categorie diverse. Tra queste categorie si segnalano
in particolare: realtà della vita quotidiana, tipizzazioni, provincie finite di significato,
patrimonio di conoscenze, ordine di rilevanza, come concetti appartenenti al lessico
fenomenologico; capacità simboliche, interazioni sociali, mente, sé, conversazione di
gesti, come concetti appartenenti invece al lessico interazionista (ancorché usati
talvolta anche dai fenomenologi). Le differenze di vocaboli e concetti, sebbene non
complete, possono contribuire a spiegare la frequente ostilità, almeno negli Stati
Uniti, fra sociologi prossimi all’una o all’altra prospettiva (Fine 1990, p.147, nota
14). Per entrambe le prospettive, l’apparato concettuale è funzionale alle
formulazioni teoriche.
Da un punto di vista teorico, ossia concernente nessi comprovabili (almeno in
via di principio) fra proposizioni, la comune tesi secondo cui vi è influenza reciproca
fra gli individui e la loro società d’appartenenza è stata diversamente argomentata.
Per una sociologia d’orientamento fenomenologico, gli individui possono interagire
mediante il loro patrimonio di conoscenze con il patrimonio simbolico che connota
una o più provincie finite di significato, o comunità culturali, d’appartenenza, poiché
questo patrimonio simbolico è relativamente ristretto, e quindi sufficientemente
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prossimo all’esperienza diretta della realtà sociale ed alle conoscenze che ne derivano
per gli individui. Inoltre, la formazione ed il mantenimento di un patrimonio di
conoscenze, individuale e sociale, presuppongono che siano stati messi tra parentesi,
perché non prioritari nell’ordine di rilevanza, aspetti della realtà estranei alle
provincie finite di significato cui appartengono gli individui e che essi prendano
parte assieme, nella vita quotidiana, ad una medesima situazione ed ad un medesimo
ambiente comunicativo. Poiché l’esistenza di un patrimonio simbolico, e la
partecipazione congiunta ad una situazione e ad un ambiente comunicativo, si
presuppongono a vicenda, entrambe queste condizioni sono fatte dipendere da una
teoria della socializzazione – quella di Mead – che non può richiamarsi a pieno titolo
ad una sociologia d’orientamento fenomenologico.
Per una sociologia d’orientamento interazionista simbolico sono rilevanti alcune
proposizioni teoriche: 1) l’interazione interpersonale a carattere cooperativo dipende
dalla regolazione consapevole del proprio comportamento e dallo stabilire un dialogo
continuo con sé ed altri; 2) queste condizioni dipendono dal modo significativo,
attivo e consapevole con cui gli esseri umani rispondono a stimoli; 3) la capacità di
rispondere in tal modo a stimoli consegue a sua volta dal possesso di capacità
simboliche, come la mente e il sé, le quali caratterizzano la specie umana e si
sviluppano in un contesto iniziale di interazioni già significative, ma non ancora
cooperative. Queste proposizioni sono concatenate, nel senso che, per le prime due
proposizioni, la validità empirica di ciascuna dipende dalla validità di quella
successiva.
Da un punto di vista epistemologico, che cioè riguarda i presupposti conoscitivi ed
il campo di studio di una disciplina, i due diversi orientamenti condividono alcuni
presupposti: che gli esseri umani interagiscono in modo significativo e che tali
significati possono in genere, e comunque in via di principio, essere compresi,
direttamente o mediante interpretazione, dai partecipanti all’interazione e da un
osservatore esterno (persona comune, o studioso di scienze sociali, che deve perciò
impiegare un metodo interpretativo o ermeneutico). Il campo di studio è indicato
15
genericamente
come
l’ambito
di
realtà
sociale
significativa,
costituito
consapevolmente da individui mediante le loro interazioni. Per il resto, presupposti e
campi di studio non coincidono.
Per i sociologi d’orientamento fenomenologico, presupposti specifici sono che la
vita quotidiana sia assunta come realtà fondamentale dai soggetti e dallo studioso, che
essa sia dotata di senso condiviso, e che – come presupposto di secondo ordine –
essa sia quindi comprensibile per entrambe queste categorie di persone (soggetti e
studioso). Oggetto d’indagine è l’attività della coscienza intenzionale dei soggetti,
che si esplica nell’ambito della vita quotidiana. Le due proposizioni teoriche – che
gli individui sono in grado d’interagire con altri poiché, e nella misura in cui,
condividono con essi un patrimonio simbolico, e che questo patrimonio si forma e si
mantiene in virtù della compartecipazione nella vita quotidiana di più individui ad
una situazione e ad un ambiente comunicativo – sono coerenti con i presupposti e
l’oggetto d’indagine ora indicati.
Per i sociologi d’orientamento interazionista, presupposto specifico è che gli
esseri umani sono forniti di capacità simboliche rilevanti per le loro interazioni.
Oggetto d’indagine sono le interazioni significative attuate dagli individui
nell’ambito delle loro comunità d’appartenenza, la più ampia delle quali è la società.
Sono
conformi
con
il
presupposto
specifico
e
l’oggetto
d’indagine
dell’interazionismo simbolico le proposizioni teoriche prima individuate: gli
individui possono interagire fra loro, e quindi con la loro società d’appartenenza,
poiché essi – a differenza degli animali – sono in grado di plasmare il loro
comportamento, pur con i vincoli dei condizionamenti ambientali, e di stabilire un
dialogo continuo con sé e con gli altri. Ciò avviene giacché essi posseggono capacità
simboliche rilevanti per le interazioni, in particolare la mente ed il sé, che consentono
loro di rispondere a stimoli in modo non automatico, bensì significativo, attivo e
consapevole.
Terza parte: una classificazione ragionata di alcuni indirizzi teorici ibridi.
16
Sono stati compiuti accostamenti fra alcuni indirizzi teorici, quali l’etnometodologia
ed il costruzionismo sociale, e la prospettiva fenomenologica o quella interazionista.
Tuttavia, l’uno o l’altro di questi indirizzi non è stato sinora rapportato ad entrambe
le prospettive. In questa sede, si presenteranno dapprima le conclusioni cui sono
pervenuti gli autori che hanno rapportato l’etnometodologia alla sociologia
fenomenologica o – meno frequentemente – all’interazionismo simbolico.
Si
cercherà quindi di integrare queste conclusioni, alla luce dei risultati del confronto
sinora condotto fra queste prospettive. L’intento è di argomentare la tesi, secondo cui
questi indirizzi appartengono, per aspetti distinti, ad entrambe le prospettive.
L’etnometodologia fra sociologia fenomenologica ed interazionismo simbolico. Si
considererà dapprima la sociologia fenomenologica, mostrando i rapporti fra
l’etnometodologia
e
questa
prospettiva.
Non
ci
si
soffermerà
qui
né
sull’etnometodologia in quanto indirizzo teorico a se stante, per la quale si può
rinviare ad introduzioni (Giglioli 1993; Giglioli, Dal Lago 1983; Heritage 1987;
Muzzetto 1997, pp.269-291; Sharrock 1989; 2001), né sulle diversità dei rispettivi
termini lessicali. La sociologia fenomenologica (in particolare, la sociologia di
Schutz) condivide con l’etnometodologia: 1) l’attenzione verso le strutture di senso
del mondo sociale, in particolare anche verso forme precomunicative d’interazione;
2) una concezione dell’azione come non determinata da condizionamenti esterni
rispetto agli attori, in particolare da condizionamenti normativi; 3) l’accento sulla
situazione, situata in uno specifico contesto spazio – temporale, come oggetto
privilegiato di studio. Costituiscono oggetto di studio anche le situazioni
caratteristiche di ambiti organizzativo – istituzionali, come uffici, laboratori, aule
giudiziarie, che sono caratterizzati da routines, ossia, da azioni prevedibili e stabili.;
4) un atteggiamento di neutralità o “indifferenza metodologica” verso le
interpretazioni o spiegazioni offerte dai soggetti nel rendere conto di ciò che fanno
(Fele 2001; Ferguson 2001, p.244; Giglioli 1993; Heap, Roth 1973, p.363; Heritage
17
1987, pp. 229-232, 240-248; Lynch 1999, pp.220-221; Muzzetto 1997, pp.312-313;
Psathas 1968, pp.513-515).
Nel linguaggio di Schutz, ciò significa che il sociologo
è “l’osservatore scientifico disinteressato del mondo sociale”, che vuole bensì
conoscere, ma senza partecipare ai progetti, rapporti, sentimenti degli attori, al
“flusso vivente delle intenzionalità” (Schutz 1962, p.137; 1976, p.92). Nel linguaggio
dell’etnometodologia, ed assumendo il suo punto di vista e metodo, ciò significa che
“ogni caratteristica del mondo della vita quotidiana è mantenuta intatta...Ciò che è
mutato” è che le “caratteristiche di tale mondo”, le “descrizioni, spiegazioni e
racconti che accompagnano i rapporti che si stabiliscono con esso...diventano
disponibili... come fenomeni a pieno diritto” (Zimmerman, Pollner 1983, p.111; cfr.
in genere le pp.104-117).
L’interesse verso “il carattere ordinato delle faccende quotidiane”, conseguito ed
al tempo stesso interpretato secondo categorie di senso comune dagli attori sociali
(compreso lo studioso) nell’ambito di contesti specifici che essi stessi costituiscono
congiuntamente, connota sia l’indirizzo etnometodologico, sia anche quello
fenomenologico. Lo specifico intento etnometodologico è tuttavia di apprendere
come le azioni pratiche e le conoscenze di senso comune delle persone nella loro vita
quotidiana posseggano proprietà formali, siano metodi da esse attuate in modo
generalmente competente per rendere sensate e spiegabili queste stesse azioni e
conoscenze. L’intento è, in altre parole, riscoprire il senso comune i cui contenuti
non sono normalmente esplicitati, analizzare l’organizzazione della vita sociale nel
suo manifestarsi quotidiano, alla luce delle “proprietà invarianti” delle sue pratiche
costitutive in microcontesti locali (Garfinkel 1984, pp.VII-VIII, 1-4, 37-38, 75;
Zimmerman, Pollner 1983, pp.107-108; cfr. anche Giglioli, Dal Lago 1983, pp.25-26;
Heritage 1987, pp.229-236; Muzzetto 1997, pp.285-286; Sharrock 2001, p.252).
A questo accostamento fra sociologia fenomenologica ed etnometodologia è stato
tuttavia obiettato che per la riduzione fenomenologica il mondo sociale è costituito da
atti intenzionali delle coscienze, mentre per la riduzione etnometodologica il mondo
sociale è costituito dalle procedure interpretative ed esplicative con cui a tale mondo i
18
soggetti conferiscono senso in specifici contesti sociali (Giglioli 1993, p.666; Heap,
Roth 1973, p.363). Data la comune premessa di neutralità o “indifferenza
metodologica”, studiosi d’orientamento fenomenologico ed etnometodologico
condividono inoltre l’esigenza d’impiegare metodi di osservazione – come
rispettivamente il weberiano tipo ideale e il metodo documentario d’interpretazione –
con cui interpretare e spiegare in modo obiettivo il senso dell’agire. Questi metodi
comportano l’interpretazione del mondo sociale in conformità a presupposti
preesistenti, che si conformano con le interpretazioni di senso comune della realtà
sociale, ed interagiscono quindi con i contenuti e le modalità delle osservazioni
(Garfinkel 1984, pp.76-79, 100-103; Schutz 1962, pp.40-44. Cfr. anche Heap, Roth
1973, p.364; Muzzetto 1997, pp.289-290, 313-314; Sharrock 2001, p.252).
Anche in questo caso, è stato osservato che ad un accostamento tra
fenomenologia ed etnometodologia è d’ostacolo il diverso intento metodologico: per
la sociologia d’orientamento fenomenologico, il metodo consente un’interpretazione
relativamente oggettiva di aspetti del mondo sociale, la cui intersoggettività è assunta
a priori, mentre per l’etnometodologia l’intersoggettività consegue da pratiche
contingenti ed il metodo è una fra queste pratiche (Heap, Roth 1973, p.364). A queste
osservazioni si possono aggiungere altre, che riprendono le formulazioni precedenti a
proposito della prospettiva fenomenologica. Lo specifico apporto conoscitivo
dell’etnometodologia rispetto alla prospettiva interazionista è mettere in luce le
“proprietà invarianti” delle pratiche che creano ed ordinano un particolare contesto
sociale, e nel contempo gli danno senso. Alcune acquisizioni concettuali e teoriche di
questa prospettiva non sembrano tuttavia mantenute, o almeno impiegate a fondo,
dall’etnometodologia. A queste acquisizioni fa invece riferimento la tesi
fenomenologica, secondo cui è possibile individuare una simultanea pluralità di:
1) strati di realtà significative, cui gli attori sociali accedono direttamente o
indirettamente, con tipizzazioni di varia generalità. La compresenza di più strati di
realtà, e la possibilità di accesso diretto o indiretto ad essi, non sono oggetto
precipuo dell’indagine etnometodologica, che si limita a prendere in
19
considerazione situazioni, la cui esistenza consegue da pratiche contingenti che
gli attori realizzano in ambiti locali di azione e di senso;
2) “provincie finite di significato”, dotate di senso per un numero vario di attori
(anche uno solo). La sociologia d’ispirazione schutziana non pone quindi
l’accento solo o prevalentemente, come gli etnometodologi, sulla “provincia”
della vita quotidiana e quella della conoscenza d’esperti accreditati nel campo di
volta in volta rilevante (scientifico, legale, medico, ecc.);
3) sistemi di rilevanza, che sono socialmente trasmessi ed impiegati dagli individui
per dare senso ai loro mondi di significato. Sebbene questo senso sia mantenuto
collettivamente da particolari gruppi nel corso di rapporti diretti fra i membri,
ogni individuo ha un proprio sistema di rilevanza a seconda dei suoi interessi
pratici e teorici del momento. Per Schutz ed in genere per la sociologia
d’orientamento fenomenologico, il patrimonio di conoscenza è derivato da
conoscenze disponibili socialmente, ma gli interessi personali indicano ai singoli
ciò che merita di essere appreso in una particolare situazione, con quale grado di
chiarezza e precisione, e con quale grado di fiducia nella fonte d’informazione,
sicché questo patrimonio individuale è stratificato in più sensi. L’insistenza da
parte dell’etnometodologia sulle conoscenze di senso comune, il cui possesso è
presupposto reciprocamente dagli attori sociali che partecipano a specifiche
situazioni, non sembra promuovere la ricerca né dei loro particolari sistemi di
rilevanza, né della struttura del loro patrimonio di conoscenze.
Seppur senza volere disconoscere l’influenza dell’insegnamento di Husserl,
Gurwitsch e Schutz, che lo stesso Garfinkel ricorda (Garfinkel 1984, p.IX), si può
perciò
dubitare
della
contiguità
dell’etnometodologia
con
la
sociologia
fenomenologica, da un punto di vista sia epistemologico, sia anche concettuale e
teorico (se è lecito qui impiegare il termine di teoria, così inviso agli etnometodologi)
(Lynch 1999, pp.212-217; Sharrock 2001, pp.251-252). Problemi di contiguità si
riscontrano d’altronde anche con l’interazionismo simbolico. Che vi sia contiguità è
stato sostenuto con questi argomenti: da un punto di vista epistemologico, è conferito
20
rilievo da entrambe le prospettive al problema del significato e vi sono comuni campi
d’indagine, come la socializzazione, la devianza, l’organizzazione e la condotta
scientifica. Da un punto di vista teorico e metodologico, entrambe le prospettive si
oppongono a teorie e metodi lontani dal mondo della vita quotidiana, e si riconoscono
invece nella tesi, secondo cui il significato è costruito nel corso d’interazioni faccia a
faccia fra attori, socialmente competenti e consapevoli di partecipare ad una comune
situazione, e può essere ricostruito o messo in luce con metodi idonei ad una
sociologia interpretativa.
E’ stato tuttavia osservato che l’interazionismo simbolico, quanto meno nella più
nota versione di Mead, non condivide con l’etnometodologia la valutazione di
estrema precarietà e contestualità che essa attribuisce all’ordine sociale (Denzin
1983a; Meltzer, Petras, Reynolds 1980, pp.78-79). Si aggiunga che la prospettiva
interazionista dispone di un apparato concettuale e teorico che le permette di
affrontare l’indagine di processi (ad esempio, il processo di socializzazione, e di
formazione del sé e dell’identità) e di strutture continuative (ad esempio,
organizzazioni o campi organizzativi), di cui si sottolinea il carattere simbolico ed il
cui senso è negoziato nell’ambito di limiti prestabiliti, intesi come significati
sedimentati (Fine 1993, pp.78-79; Sandstrom et al. 2001, pp.219-221, 224-225).
L’attenzione dell’etnometodologia verso situazioni contingenti, prodotte all’interno
di tali processi e strutture, comporta invero una particolare capacità di mettere in luce
le proprietà invarianti delle pratiche costitutive del senso comune in microcontesti, al
prezzo tuttavia di delimitare drasticamente l’oggetto di ricerca.
Le connessioni dell’etnometodologia con entrambe le prospettive qui considerate
sono dunque parziali, ma sufficienti per attribuirle il carattere di indirizzo teorico
ibrido. Questo medesimo carattere può attribuirsi al costruzionismo sociale. Nella
versione della nota opera di Berger e Luckmann (1967), concernente la realtà come
costruzione sociale, questo indirizzo è stato – sebbene con riserve – situato all’interno
della sociologia fenomenologica (Ferguson 2001, p.244; Vaitkus 2000, p.286).
L’opera di Berger e Luckmann dichiara la propria derivazione dall’insegnamento
21
teorico di Schutz, di cui riprende concetti, proposizioni teoriche e presupposti
epistemologici, ma rinvia frequentemente a concetti e teorie dell’interazionismo di
Mead ed ha a sua volta influenzato l’interazionismo simbolico contemporaneo (Fine
1993, p.67), sicché ha collocazione teorica non ben definita all’interno di due
prospettive, che si è qui cercato di tenere quanto possibile distinte.
Considerazioni simili possono formularsi per un altro filone del costruzionismo
sociale: “l’approccio costruzionista è l’orientamento interazionista contemporaneo
dominante nell’ambito della teoria dei problemi sociali”(Sandstrom et al. 2001,
p.223). L’orientamento interazionista di questo approccio consegue dall’accento
posto sulla definizione di una situazione, come problema sociale ad opera di persone
che interagiscono con vari ruoli (di portatori di lamentele, di iniziatori di movimenti
d’opinione, di organizzazioni che si fanno carico di rispondere alle istanze), e sulle
conseguenze di tale definizione (Rubington, Weinberg 1995, p. 292). Applicato alla
teoria dei problemi sociali, l’approccio costruzionista può interpretarsi in senso stretto
e privilegiare così un punto di vista interazionista – etnometodologico, per cui non vi
sono problemi sociali oggettivi, che cioè prescindano dalle pratiche e procedure di
senso comune con cui essi sono costruiti; oppure questo approccio può interpretarsi
in senso contestuale, per cui si assume che condizioni sociali oggettive favoriscono la
costruzione di problemi sociali (Best 1995, pp.343-347; Fine 1993, pp.75-76; Hester,
Eglin 1995, pp.269-271; Sandstrom et al. 2001, p.224). Nel primo caso, esso va
considerato nell’ambito dell’interazionismo etnometodologico, sul cui rapporto con la
prospettiva dell’interazionismo simbolico ci si è già pronunciati. Nel secondo caso,
questo rapporto va valutato non in astratto, bensì a seconda di come una specifica
applicazione di questo approccio impieghi le premesse – guida e le proposizioni
teoriche prima indicate.
Conclusione. In questo saggio ci si è proposto l’obiettivo di indicare quali siano i
rapporti (concettuali, teorici ed epistemologici) tra le prospettive fenomenologica ed
interazionista-simbolica. Nella prima parte del saggio sono stati precisati gli elementi
22
comuni tra queste prospettive, i requisiti di un’indagine ispirata alla prospettiva
fenomenologica e gli elementi definitori dell’interazionismo simbolico. Nella
seconda parte, si sono precisati i rapporti fra queste prospettive e si è condotto un
confronto tra di esse, sempre da un punto di vista concettuale, teorico ed
epistemologico. Infine, nella terza parte, si è cercato di fornire una classificazione
ragionata di alcuni indirizzi teorici che partecipano ad entrambe le prospettive, quali
l’etnometodologia ed il costruzionismo sociale, mostrando con quali argomenti si
possa sostenere la contiguità di questi indirizzi con la sociologia d’orientamento
fenomenologico e con l’interazionismo simbolico.
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