10) Venere dei Balzi Rossi (Ventimiglia) - Gravettiano (h = cm. 4,7). 11) Molto interessante è il sito di Laussel. La cosiddetta “Venere di Laussel” è un piccolo bassorilievo parietale (h = cm. 42). Nelle sue vicinanze sono state rinvenute altre tre figure mobiliari simili al bassorilievo, una con due corpi intrecciati ed una maschile. Tutti questi ritrovamenti riguardano un'area delimitata di mt. 6 x 12 all'interno di uno spazio abitativo, molto probabilmente un santuario o un'area di culto. Le forme accentuate di queste figure femminili ci dicono che qui abbiamo a che fare con una estrema visibilità, un realismo totale del ruolo della donna, contrapposto all’invisibilità del maschio nella riproduzione. L’idea che l’amplesso fosse collegato alla gravidanza probabilmente affiora solo a partire dal Neolitico. La coscienza della funzione del seme maschile per la gravidanza, quindi per la vita, doveva essere emersa da poco. Il passaggio a tutt’altre concezioni lo possiamo riassumere con la sanzione di Apollo narrata da Eschilo. Nell’Orestea di Eschilo si afferma esplicitamente l’idea che la vita germina solo dal seme maschile: Apollo: «Anche questo dirò, e vedrai quanto rettamente. La madre non è genitrice di quello che si dice suo figlio essa nutre soltanto il seme. Generatore è l’uomo che feconda. Ed essa, come 62 ospite, salva il germoglio a un ospite, se un dio non l’abbia prima distrutto. Ecco la prova. Vi può essere un padre anche senza madre. Qui vicina è testimone la figlia di Zeus Olimpio, che non fu nutrita in un ventre tenebroso: nessuna dea avrebbe potuto generare questo germoglio.» Il parto mascolino, androcentrico, è concepito come una generazione meramente noetica. Si tratta di un’idea che discende dall’invenzione di una esistenza intelligibile. Oltre all’aistheton (il sensibile, il reale) c’è il noetón, una esistenza intelligibile, “in carne ed ossa”. Nascono le dicotomie. E si comincia a considerare la Grande Dea in base ai concetti di physis, natura, materia, ecc. La distinzione materiale/spirituale diviene una concettualizzazione indispensabile per comprendere la Grande Dea. Il logos occidentale riduce così la Dea a materia, hyle: esistenza atona, cieca, oscura, insensata. Il logos, ancora una volta, si costruisce sulle macerie del crollo dell’affidabilità della Dea. Per contrastare il terrore della morte senza ritorno ora vengono impiegate strutture di senso vuote, che servono per legare, strutturare, spiegare qualcosa che non ha più un suo senso autonomo. Il Canone egiziano 12) Hesire, alto dignitario, scriba reale alla corte di Djoser (Terza Dinastia), noto grazie agli undici ritratti su legno scoperti nella sua mastaba. (h = m. 1,157, proveniente da Saqqara; Cairo, Museo Egizio). Nel noto "Canone” egiziano viene fissata una rappresentazione del corpo umano con la testa di profilo, l'occhio di prospetto, le spalle frontali, il bacino assottigliato e sfuggente, come visto di 3/4, le gambe di profilo, una avanti all'altra, entrambe con la parte interna della coscia a vista, con i due alluci dei piedi simultaneamente visibili. Si tratta di una costruzione paratattica, non sintattica come le nostre costruzioni prospettiche. Vedere un occhio di prospetto dentro ad un viso di profilo comporta una aberrazione spaziale e 63 temporale che difficilmente possiamo comprendere, a meno di non abbandonare i nostri modelli abituali di spazio e di tempo: lo spazio prospettico, che si dà sempre per lati e profili, mai tutto in una volta, ed il tempo storico, in cui gli eventi si svolgono nel tempo, uno dopo l’altro, uno diverso dall’altro, in cui non possono mai essere coevi degli eventi che si svolgono in tempi diversi. Qui la figura è composta per piani accostati con violenza, e quindi c'è una distorsione dello spazio e del tempo. Abbiamo notato le gambe una avanti all'altra, con gli alluci entrambi a vista. Costui non sta camminando. In realtà la presentazione (questa non è una rappresentazione) vuole mostrare tutte e due le gambe: se fossero accostate, come chi sta sull'attenti, se ne vedrebbe soltanto una. È chiaro che anche qui non c'è un testimonio oculare (per usare ancora il termine impiegato da Ernst Gombrich), perché se ci fosse, questa immagine sarebbe sbagliata, così come di norma l'abbiamo considerata noi, proprio perché pensavano che fosse la rappresentazione di un corpo che esiste al di là del segno e che rimanda ad un osservatore. Invece in questa cultura non abbiamo né l'uno né l'altro. 13) Questo tipo di composizione è abbastanza diffuso, addirittura sull'intero pianeta. Si tratta di un'immagine di cui si ritrovano numerose analogie presso altre culture. Questa piccola lastra scolpita proviene dal Congo. Si tratta di una donna che tiene il bimbo nell'incavo del fianco, come usano ancora le donne africane. Notiamo che la testa del bambino è di profilo e l'occhio di prospetto, e notiamo poi la frontalità delle spalle. Le spalle viste di profilo sembra che non ci siano, è difficile modellarle, appaiono sfuggenti. Nella composizione frontale abbiamo invece tutta l'ampiezza del busto, del tronco, del petto. Possiamo notare anche la composizione delle gambe, entrambe di profilo, e dei piedi, aggiunti come se fossero visti dall'alto, mentre le gambe sono viste di lato. 64 14) Cnosso. «Principe dei gigli». Civiltà micenea (XVI-XV sec. a.C., Iraklion, Museo archeologico). L'impaginazione della figura è come quella egizia: occhio di prospetto, viso di profilo, ecc. Questo tipo di immagine è diffusissimo, e comprende un'area vasta che arriva addirittura in Mesoamerica, passando lungo l'Oriente. 15) Tutto ciò che appare, è, ma tutto ciò che è deve apparire. Non è possibile nascondere ciò che una cultura considera essenziale per l'esistenza. Se si considera essenziale per l'esistenza la visione completa di profilo delle due gambe, esse vengono mostrate. Questo poi diventa convenzione stilistica. Se si considerano essenziali perché un corpo possa esistere, tutte questi aspetti devono quindi apparire, perché apparendo indicano, presentano, attestano l'esistenza in carne ed ossa. 65 Qui la profondità comincia ad essere espressa secondo un modulo preciso. Loro non hanno la prospettiva in senso occidentale, ma considerano tutto ciò che sta in basso in primo piano, tutto ciò che sta in alto in secondo piano, per cui la profondità viene espressa qui per registri sovrapposti. 16) Il canone egizio riportato sopra è un disegno archeologico (molto più interessante e attendibile di tante fotografie). Ci rendiamo conto che qui ci sono molte cose disturbanti, ad esempio, lo spazio è come se fosse ubiquo, cioè è come se il soggetto che osserva una simile immagine fosse simultaneamente in luoghi diversi. Oppure, come se potessimo rappresentare una figura dello spazio stando simultaneamente per lo meno in tre o quattro luoghi differenti. In realtà non occorre che un soggetto simile abbia il dono dell'ubiquità: semplicemente il soggetto non c'è, non c'è un io, un osservatore, un testimonio oculare. Allo spazio dell'ubiquità, che comporta un'assoluta distorsione della nostra concezione di spazio prospettico, va associato il tempo della ripetizione, il tempo pluridromo. Per noi il tempo viaggia in una sola direzione, ha un solo corso, è monodromo. Noi abbiamo degli eventi che si succedono l'uno dopo l'altro, seguendo la freccia del tempo, uno dietro l'altro, e non tornano mai indietro. Tant'è vero che l'occidentale pensa il tempo in termini di consumazione e di morte. Il tempo che è presente qui, invece, è un tempo che non ha un solo decorso, bensì può viaggiare in avanti e indietro, come tempo della ripetizione e della anticipazione. Questo tempo non è un tempo strano: è un tempo semplicemente altro rispetto al nostro. Dobbiamo tenere presente che spazio e tempo sono grandezze coniugate, vanno sempre insieme: ad un certo tipo di spazio corrisponde soltanto un certo tipo di tempo e viceversa. Così come non è possibile che ci sia uno spazio che non si coniughi adeguatamente ad un certo tipo di tempo. 66 17) Intorno al III millennio in Mesopotamia. Ricompare l'occhio di prospetto e il viso di profilo. Questo è il signore della città che prega. È una stele con il gonnellino di paglia che è tipico dell'abbigliamento sumero, siamo in età Neolitica ( III millennio). Qui abbiamo uno spazio che coniuga paratatticamente, uno spazio in cui piani che non possono stare insieme vengono coniugati con violenza: occhio di prospetto e viso di profilo, busto frontale e bacino di tre quarti. Questi spazi non possono stare insieme, stanno insieme – abbiamo detto – come se lo spettatore, l'osservatore fosse situato in più punti simultaneamente. Allora c'è anche una struttura temporale particolare. Vale a dire, non soltanto sono distorti gli spazi che sono stati coniugati – lo spazio del viso, lo spazio dell'occhio, ecc. – ma sono distorti anche i tempi, perché ogni spazio ha il proprio tempo. Il tempo dell'occhio di prospetto è altro dal tempo del viso di profilo: prima vedo l'occhio di prospetto e dopo il viso di profilo, o viceversa, ma non possono essere simultanei, non sono simultanei, non appartengono alla stessa fase del tempo, hanno fasi differenti. O prima l'occhio di prospetto e poi il viso di profilo o viceversa. Ma stanno insieme, allora se stanno insieme che cosa significa questo? Significa che hanno un tempo in cui il passato si può ripresentare restando passato, come se fosse presente attuale, e il futuro invece può essere, si può anticipare nel presente, come se fosse presente in carne ed ossa, restando però futuro: e questo non è il tempo del rito, il tempo della profezia, dell'oracolo, della mantica? Questo è un tempo pluridromo, nel senso che può andare avanti e indietro. Il passato si può ripresentare nel presente in carne ed ossa, ora come allora, restando passato, e così il futuro si può anticipare. Nella mantica, nell'oracolo, nella profezia vedo nel presente in carne ed ossa ciò che avverrà nel futuro, ma l’evento che vedo resta futuro, non è diventato presente. Tutto ciò comporta una razionalità nella impaginazione della struttura dello spazio e del tempo che sfugge a quelle analitiche che proiettano regolarmente le nostre convinzioni, le nostre credenze, i nostri paradigmi. Perché le nostre credenze, come abbiamo più volte ribadito, sono altre rispetto a queste, ma se sono le nostre credenze a dettare legge, ad essere ritenute dei paradigmi assoluti, è più che possibile, quasi fatale, che le altre modalità di costruzione dello spazio e del tempo vengano considerate delle forme di analfabetismo, delle incapacità, dei limiti tecnici, 67 e non vengano invece viste e riconosciute come un'autentica alterità. In realtà queste immagini sono immagini di culture che hanno una razionalità altra, culture che hanno un altro spazio e un altro tempo, quindi costruiscono le immagini e vedono la realtà in altro modo. 18) Egitto. Questo è un disegno, tratto dall'affresco originale che in realtà è molto meno perspicuo e si trova al Museo del Cairo. Scena di caccia su un ramo del Nilo, in mezzo a un canneto. Si tratta di una battuta di caccia condotta sulla tipica imbarcazione piatta da palude. L'impaginazione del signore morto è abbastanza usuale, convenzionale. Canneto, papiri, animali. Sotto si caccia il cinghiale e si pesca. Scena vivente, perché si trova in una tomba. Il signore, insieme al proprio corpo mummificato, si porta con sé suppellettili, strumenti, cibo e anche questo mondo acquatico, pieno di selvaggina, per continuare a cacciare nell'al di là. Si tratta dunque non di una rappresentazione, ma di una presentazione in carne ed ossa di un appezzamento di terreno che probabilmente era di sua proprietà. 19) Lo stesso si può dire di questo splendida immagine, dove il signore viene trascinato secondo l'uso da schiavi, che con le corde tirano la sua imbarcazione. Apparentemente si tratta di uno stagno, piccolo lago circondato da alberi da frutto e da palmeti. Ci rendiamo subito conto che qui la rappresentazione dello spazio 68