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Popolazioni in fuga per i cambiamenti climatici: nel 2050 i “profughi” potrebbero
diventare 200 milioni
Cinquanta milioni di persone in fuga, costrette ad emigrare per i cambiamenti climatici e, nel 2050,
potrebbero divenire oltre 200 milioni.
Sono i profughi ambientali, i nuovi migranti che lasciano le proprie terre a causa del riscaldamento globale,
della desertificazione e della siccità, lo scioglimento dei ghiacciai e la crescita dei livelli del mare, gli eventi
meteorologici estremi come alluvioni e uragani, fino alle guerre per il controllo delle materie prime.
A denunciare l’emergenza umanitaria è il dossier “Profughi ambientali”, di Legambiente.
Secondo il dossier di Legambiente, se fino a qualche anno fa erano le guerre la principale causa delle
emigrazioni di massa, a rappresentare il principale fattore determinante oggi è il riscaldamento globale.
Basta pensare che nel 2008, a fronte dei 4,6 i milioni di profughi in fuga da guerre e violenze, sono state 20
milioni le persone costrette a spostarsi temporaneamente o definitivamente in seguito a eventi meteorologici
estremi.
E il fenomeno che già nel 1990 riguardava 25 milioni di persone sembra destinato ancora ad aumentare.
Solo tra il 2005 e il 2007 l’agenzia dell’Onu ha risposto a una media annua di 276 emergenze in 92 Paesi,
oltre la metà delle quali causate da calamità, il 30% da conflitti e il 19% da emergenze sanitarie.
Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) e l’International Organization for
Migration (Iom) entro il 2050 si raggiungeranno, infatti, i 200-250 milioni di persone coinvolte (una ogni 45
nel mondo), con una media di 6 milioni di uomini e donne costretti ogni anno a lasciare i propri territori. Ma
se le vittime di catastrofi naturali improvvise, come l’onda di tsunami in Asia nel dicembre del 2004 o
l’uragano Katrina, sono visibili e di solito beneficiano di sostegno e aiuto umanitario pubblico e privato, non è
così per milioni di persone costrette a sfollare da cambiamenti ambientali più graduali, come la
desertificazione, la diminuzione delle riserve idriche, o l’innalzamento del livello del mare.
Marocco, Tunisia e Libia perdono ciascuno oltre 1.000 km quadrati di terra produttiva ogni anno a causa
della desertificazione.
In Egitto metà della terra arabile irrigata soffre di salinizzazione e in Turchia 160 mila km quadrati di terra
agricola subiscono l’effetto dell’erosione.
E ancora la desertificazione, l’innalzamento dei mari e l’erosione delle coste, come accade in Louisiana che
perde circa 65 chilometri quadrati l’anno di costa “mangiata” dal mare o in Alaska dove centinaia di piccoli
centri abitati sulle coste settentrionali sono a rischio di franare nel mare Artico via via che il permafrost si
scioglie.
Daniele Scuccato
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