VI Domenica di Pasqua Antifona d`ingresso Con voce di giubilo date

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VI Domenica di Pasqua
Antifona d'ingresso
Con voce di giubilo date il grande annunzio,
fatelo giungere ai confini del mondo:
il Signore ha liberato il suo popolo. Alleluia. (cf. Is 48,20).
Colletta
Dio onnipotente,
fa’ che viviamo con rinnovato impegno
questi giorni di letizia in onore del Cristo risorto,
per testimoniare nelle opere
il memoriale della Pasqua che celebriamo nella fede.
Oppure:
O Dio, che ci hai amati per primo
e ci hai donato il tuo Figlio,
perché riceviamo la vita per mezzo di lui,
fa’ che nel tuo Spirito
impariamo ad amarci gli uni gli altri
come lui ci ha amati,
fino a dare la vita per i fratelli.
PRIMA LETTURA (At 10,25-27.34-35.44-48)
Anche sui pagani si è effuso il dono dello Spirito Santo.
Dagli Atti degli Apostoli
Avvenne che, mentre Pietro stava per entrare [nella casa di Cornelio], questi gli andò incontro e si
gettò ai suoi piedi per rendergli omaggio. Ma Pietro lo rialzò, dicendo: «Àlzati: anche io sono un
uomo!».
Poi prese la parola e disse: «In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone,
ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga».
Pietro stava ancora dicendo queste cose, quando lo Spirito Santo discese sopra tutti coloro che
ascoltavano la Parola. E i fedeli circoncisi, che erano venuti con Pietro, si stupirono che anche sui
pagani si fosse effuso il dono dello Spirito Santo; li sentivano infatti parlare in altre lingue e
glorificare Dio.
Allora Pietro disse: «Chi può impedire che siano battezzati nell’acqua questi che hanno ricevuto,
come noi, lo Spirito Santo?». E ordinò che fossero battezzati nel nome di Gesù Cristo. Quindi lo
pregarono di fermarsi alcuni giorni.
SALMO RESPONSORIALE (Sal 97)
Rit: Il Signore ha rivelato ai popoli la sua giustizia.
Cantate al Signore un canto nuovo,
perché ha compiuto meraviglie.
Gli ha dato vittoria la sua destra
e il suo braccio santo. Rit:
Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza,
agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.
Egli si è ricordato del suo amore,
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della sua fedeltà alla casa d’Israele. Rit:
Tutti i confini della terra hanno veduto
la vittoria del nostro Dio.
Acclami il Signore tutta la terra,
gridate, esultate, cantate inni! Rit:
SECONDA LETTURA (1Gv 4,7-10)
Dio è amore.
Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo
Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio
e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore.
In questo si è manifestato l’amore di Dio in noi: Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito,
perché noi avessimo la vita per mezzo di lui.
In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il
suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati.
Canto al Vangelo (Gv 14,23)
Alleluia, alleluia.
Se uno mi ama, osserverà la mia parola, dice il Signore,
e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui.
Alleluia.
VANGELO (Gv 15,9-17)
Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici.
+ Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi.
Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho
osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la
mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un
amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che
io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi
ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il
vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda.
Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».
Preghiera sulle offerte
Accogli Signore, l’offerta del nostro sacrificio,
perché, rinnovati nello spirito,
possiamo rispondere sempre meglio
all’opera della tua redenzione.
PREFAZIO PASQUALE I, II, III, IV, V
Antifona di comunione
“Chi rimane in me e io in lui, porta molto frutto,
perché senza di me non potete far nulla”.
Alleluia. (Gv 15,5)
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Preghiera dopo la comunione
Dio grande e misericordioso,
che nel Signore risorto
riporti l’umanità alla speranza eterna,
accresci in noi l’efficacia del mistero pasquale
con la forza di questo sacramento di salvezza.
Lectio
“Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi”.
Queste parole di Gesù costituiscono il cuore della liturgia di questa V domenica di Pasqua e ci
guidano a scandagliare la profondità della nostra esperienza cristiana: un amore smisurato che ci ha
raggiunti e trasformati, dandoci la possibilità di amare allo stesso modo.
La pericope della vite e i tralci (15,1-8) trova uno sviluppo intorno al tema del 'rimanere' nei
versetti successivi, e precisamente in Giovanni 15,9-17.
Il simbolo della vite cede il posto alla realtà di cui esso parlava: l’amore, del quale il Padre è la
fonte. Se la finalità ultima della fecondità dei tralci era la glorificazione del Padre, ora Gesù
identifica il fine con la fonte, proprio perché il Padre è l’origine dell’amore. Il Padre ama Gesù, e
tale amore fonda quello che egli nutre per gli uomini. Dal modo con cui il Padre ama Gesù e con cui
questi ama i discepoli (V. 9), scaturirà anche la modalità dell’amore reciproco che deve esistere tra i
discepoli (v. 12). E’ un unico amore che fluisce dal Padre al Figlio, dal Figlio ai discepoli, e da
ciascuno verso gli altri.
v. 9 Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore.
Il Padre ama teneramente il Figlio tanto da formare con lui un solo essere, e per questo gli ha
dato in mano ogni cosa (3,35;5,20;17,24). Con lo stesso amore con cui è amato dal Padre, Gesù ama
i suoi discepoli. Dopo aver menzionato l’origine assoluta dell’amore, Gesù fa un appello:
«Rimanete nel mio amore». Il restare del discepolo è un rimanere fermo nella fede, un aderire e
vivere nell’amore che, attraverso Gesù, viene dal Padre. Rimanere nell’amore di Gesù non è un
rapporto affettivo o sentimentale, ma è un restarvi unito obbedendo ai suoi comandamenti.
v. 10 Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i
comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore.
In questo versetto Gesù esplicita che, per rimanere nel suo amore il discepolo deve
impegnarsi a vivere sempre più profondamente la sua parola. Il discepolo deve rimanere in Gesù,
facendo penetrare nel suo cuore le sue parole. Si dimora nel Cristo, perseverando; si rimane
nell’amore di Gesù, osservando il suo precetto. In Gv 4,31 Gesù diceva di amare il Padre operando
ciò che il Padre gli aveva comandato. Qui Gesù stabilisce una continuità tra la sua fedeltà di Figlio
del Padre e la fedeltà dei discepoli a lui.
v. 11 Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Il tema della gioia era già stato sfiorato nel primo discorso ( Gv.14,28); ora trova il suo
approfondimento e verrà sviluppato ulteriormente nel cap. 16. Al tema della gioia Giovanni apporta
un pensiero nuovo: è la gioia del Figlio a passare nei credenti, così come la linfa della vita passa nei
tralci. L’obiettivo di Gesù è comunicarci la gioia dell’amore che c’è tra lui e il Padre. Possiamo dire
che la gioia è il colore dell’amore che vive nella reciprocità: gioisce chi ama ed è amato. Di questa
gioia viene rimarcata la pienezza:« e la vostra gioia sia piena», il che era già evidente a proposito di
Giovanni Battista (Gv.3,29): «Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l’amico dello sposo,
che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo».
v. 12 Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi.
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Nel quarto Vangelo si parla di vari precetti o comandi: di quello del Padre dato a Gesù
(Gv.10,18;12,49s;14,31), di quelli di Gesù ai suoi discepoli (14,15.21;15,10); però quando si parla
del comandamento nuovo che ha per oggetto l’amore fraterno, è adoperato il singolare: il mio
comandamento (15,12), nuovo comandamento (13,34). In realtà vari sono i precetti dati da Gesù ai
suoi amici, ma il comandamento specifico di Gesù è uno: l’amore scambievole fra i discepoli. Nella
sua prima lettera Giovanni fa riferimento a questo comandamento del Signore: «Questo è il suo
comandamento che ci amiamo gli uni gli altri secondo il precetto che ci ha dato». (1Gv 3,23);
«questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello». (1Gv4,21).
Questo amore deve essere scambievole, reciproco, senza esclusioni. (Gv13,34s;15,17).
v. 13 Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici.
Siamo al vertice del brano. Gesù evoca la propria morte come testimonianza suprema
dell’amore. Letteralmente il testo parla di un deporre la propria vita per quelli che si ama. Giovanni
usa questa espressione per indicare la morte volontaria del Figlio, la sua donazione libera. Il testo
greco inizia in un modo ancora più forte rispetto alla nostra traduzione: «più grande di questo amore
nessuno ha: qualcuno la vita propria deponga per i propri amici». E’ l’esclusività dell’amore che
deve motivare la fedeltà quotidiana del discepolo al comandamento dell’amore fraterno.
L’affermazione 'deporre la vita per coloro che si ama' vuole indicare il motivo dell’offerta della
vita, e cioè l’amore ,l’unica realtà che dà ragione della Croce.
vv. 14 15 Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il
servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito
dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi.
Se i discepoli fanno ciò che Gesù comanda loro, cioè se amano e credono, il Figlio li
riconosce come amici (vv14-15). Qui si contrappone la condizione di servo a quella dell’amico. Qui
non ha il significato che ha nella tradizione biblica quando è riferito al rapporto con Dio, ma ha il
significato che presenta allorché si è in presenza di un rapporto di sottomissione rispetto ad un
padrone.
E’ grandioso questo appellativo di 'amici' con cui Gesù si rivolge ai suoi discepoli.
Nell’Antico Testamento questo nome è riservato da Dio soltanto ad Abramo e a Mosè (cfr per
Abramo Is 41,8; 2Cr20,7; per Mosè Es.33,11). Entrambi i personaggi hanno potuto comunicare con
Dio quasi “faccia a faccia”, per conoscere il suo disegno. Nel Libro della Sapienza il titolo di amici
si allarga a coloro che vivono con la Sapienza. Ma Gesù nel Vangelo ci presenta l’amicizia come il
vertice dell’amore. Nel v. 15 Gesù dichiara i suoi discepoli “amici” e identifica il segno
dell’amicizia con essi nel fatto di aver rivelato quanto ha udito dal Padre.
v. 16 Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e
il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda.
Il versetto evidenzia l’iniziativa di Gesù nei confronti dei discepoli, analoga a quella che la
tradizione deuteronomista riferisce a proposito di YHWH nei confronti di Israele (Dt 7,7-8). Qui
elezione e amicizia si incontrano. Nell’amicizia di Gesù per noi la sua iniziativa resta prioritaria e
trascendente. Siamo stati scelti non per essere servi, ma amici di Dio uniti a lui nell’unico amore.
Vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga. Qui non si parla della
scelta dei dodici e del loro invio in missione, ma dei discepoli che devono andare dove Gesù stesso
è andato: verso la pienezza dell’amore del Padre amando e mettendosi a servizio dei fratelli. Questo
è il « molto frutto» che glorifica il Padre.(cf v 8) E’ quel « molto frutto» che porterà il figlio
quando, dando la sua vita per i fratelli (12,24) attirerà tutti a sé (12,32). Questo frutto è proprio di
chi osserva il suo comando e dimora in lui: è il distintivo dei discepoli di Gesù.
Questa è la missione della Chiesa, sale della terra, luce del mondo (Mt 5,13ss) e profumo di Cristo
per tutti (2 Cor2,14).
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Quel Dio che nessuno ha mai visto, noi l’abbiamo visto nel volto del Figlio (1,18), che ha detto:
«Chi ha visto me, ha visto il Padre». (14,9).
v. 17 Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri.
Ecco che cosa chiedere al Padre nel nome del Figlio: il suo stesso amore per i fratelli. Oltre
questo amore non c’è più nulla, se non l’amore perché Dio è amore (1Gv4.8.16) e «chi sta
nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in Lui» (1Gv4,16b).
Possiamo concludere che il frutto che Gesù attende dai suoi amici è l’irradiamento nel mondo della
fede e dell’amore per la gioia del Padre, il Vignaiolo, gioia che diventa poi del Figlio e partecipata
ai discepoli.
Appendice
Rimanete, dunque, dice, nel mio amore, cioè, cercate, con ogni diligenza e cura, di essere degni del
mio amore, lo stesso amore che io ricevo da Dio Padre. Infatti, mi sono sottomesso al Padre, ho
compiuto la sua volontà: per questo rimango, costantemente amato da lui.
Ma se anche voi osserverete i miei comandamenti, rimarrete, allo stesso modo, nel mio amore.
La vostra pigrizia non sarà per nulla giustificata: non compirete, infatti, senza ricompensa la vostra
fatica. Vi darò tanto amore quanto ne ho io stesso dal Padre, e coronerò, quasi con gli stessi onori,
chi osserva le mie parole. […]
Quanto grande poi sia la misura dell’amore di Cristo, di nuovo, egli stesso lo ha indicato dicendo
che nulla è più grande di quell’amore che porta a dare la stessa propria vita per gli amici.
Da tutto questo si può capire pressappoco che Cristo comanda ai suoi discepoli di non dover aver
paura delle lotte per salvare gli uomini, ma anzi di essere molto pronti ad affrontare
coraggiosamente la morte della carne. A tanto, infatti, giunse, e fino a questa misura, la forza
dell’amore del nostro Salvatore.
Esprimersi in questo modo non significa altro che esortare i discepoli a un coraggio soprannaturale
ed eccelso e ad un grandissimo amore dei fratelli e scolpire in loro un animo generoso e pio, e
risvegliare una forza imbattibile e insuperabile, per essere pronti ad affrontare tutto quello che a lui
sta a cuore. […]
È dolce la fatica per chi ama Dio, quando la ricompensa è vicina e abbondante. Ma cosa c’è di più
grande e di più splendido dell’essere chiamato amico di Cristo? Considera, infatti, quanto questo
privilegio superi i limiti della natura umana. […] Mentre, dunque, tutte le cose sono soggette, e
piegano il collo a Dio, il Signore dà una gloria che supera la natura ai santi che vogliono obbedire ai
suoi comandamenti, e, quasi a guisa d’un dono, concede loro una sottomissione irreprensibile. […]
Non si può certamente dubitare che l’amicizia di Dio deve essere preferita alla parentela terrena e
carnale, e che l’amore di Cristo è di gran lunga più importante per quelli che lo seguono. (Cirillo di
Alessandria, Commento al Vangelo di Giovanni, X, II)
Rimanete nel mio amore.
Tutto nasce dalla fede operante per mezzo dell'amore. Ma come potremmo amare se prima non
fossimo stati amati da Dio?
[Siamo opera di Dio, creati in Cristo Gesù.]
Richiamando con insistenza l'attenzione dei discepoli sulla grazia che ci fa salvi, il Salvatore dice:
Ciò che glorifica il Padre mio è che portiate molto frutto; e così vi dimostrerete miei discepoli (Gv
15, 8). Che si dica glorificato o clarificato, ambedue i termini derivano dal greco
. Il greco
, in latino significa "gloria". Ritengo opportuna questa osservazione, perché l'Apostolo dice:
Se Abramo fu giustificato per le opere, ha di che gloriarsi, ma non presso Dio (Rm, 4, 2). E' gloria
presso Dio quella in cui viene glorificato, non l'uomo, ma Dio; poiché l'uomo è giustificato non per
le sue opere ma per la fede; poiché è Dio che gli concede di operare bene. Infatti il tralcio, come ho
già detto precedentemente, non può portar frutto da se stesso. Se dunque ciò che glorifica Dio Padre
è che portiamo molto frutto e diventiamo discepoli di Cristo, di tutto questo non possiamo
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gloriarcene, come se provenisse da noi. E' grazia sua; perciò sua, non nostra, è la gloria. Ecco
perché, in altra circostanza, dopo aver detto ai discepoli: Risplenda la vostra luce davanti agli
uomini, acciocché vedano le vostre buone opere, affinché non dovessero attribuire a se stessi queste
buone opere, subito aggiunge: e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli (Mt 5, 16). Ciò che
glorifica, infatti, il Padre è che produciamo molto frutto e diventiamo discepoli di Cristo. E in grazia
di chi lo diventiamo, se non di colui che ci ha prevenuti con la sua misericordia? Di lui infatti siamo
fattura, creati in Cristo Gesù per compiere le opere buone (cf. Ef 2, 10).
Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi: rimanete nel mio amore (Gv 15, 9). Ecco
l'origine di tutte le nostre buone opere. Quale origine potrebbero avere, infatti, se non la fede che
opera mediante l'amore (cf. Gal 5, 6)? E come potremmo noi amare, se prima non fossimo amati?
Lo dice molto chiaramente, nella sua lettera, questo medesimo evangelista: Amiamo Dio, perché
egli ci ha amati per primo (1 Io 3, 19). L'espressione poi: Come il Padre ha amato me così anch'io
ho amato voi, non vuole significare che la nostra natura è uguale alla sua, così come la sua è uguale
a quella del Padre, ma vuole indicare la grazia per cui l'uomo Cristo Gesù è mediatore tra Dio e gli
uomini (cf. 1 Tim 2, 5). E' appunto come mediatore che egli si presenta dicendo: Come il Padre ha
amato me, così anch'io ho amato voi. E' certo, infatti, che il Padre ama anche noi, ma ci ama in lui;
perché ciò che glorifica il Padre è che noi portiamo frutto nella vite, cioè nel Figlio, e diventiamo
così suoi discepoli.
Rimanete nel mio amore. In che modo ci rimarremo? Ascolta ciò che segue: Se osservate i miei
comandamenti - dice - rimarrete nel mio amore (Gv 15, 10). È l'amore che ci fa osservare i
comandamenti, oppure è l'osservanza dei comandamenti che fa nascere l'amore? Ma chi può
mettere in dubbio che l'amore precede l'osservanza dei comandamenti? Chi non ama è privo di
motivazioni per osservare i comandamenti. Con le parole: Se osserverete i miei comandamenti
rimarrete nel mio amore, il Signore non vuole indicare l'origine dell'amore, ma la prova. Come a
dire: Non crediate di poter rimanere nel mio amore se non osservate i miei comandamenti: potrete
rimanervi solo se li osserverete. Cioè, questa sarà la prova che rimanete nel mio amore, se
osserverete i miei comandamenti. Nessuno quindi si illuda di amare il Signore, se non osserva i suoi
comandamenti; poiché in tanto lo amiamo in quanto osserviamo i suoi comandamenti, e quanto
meno li osserviamo tanto meno lo amiamo. Anche se dalle parole: Rimanete nel mio amore, non
appare chiaro di quale amore egli stia parlando, se di quello con cui amiamo lui o di quello con cui
egli ama noi, possiamo però dedurlo dalla frase precedente. Egli aveva detto: anch'io ho amato voi,
e subito dopo ha aggiunto: Rimanete nel mio amore. Si tratta dunque dell'amore che egli nutre per
noi. E allora che vuol dire: Rimanete nel mio amore, se non: rimanete nella mia grazia? E che
significa: Se osserverete i miei comandamenti rimarrete nel mio amore, se non che voi potete avere
la certezza di essere nel mio amore, cioè nell'amore che io vi porto, se osserverete i miei
comandamenti? Non siamo dunque noi che prima osserviamo i comandamenti di modo che egli
venga ad amarci, ma il contrario: se egli non ci amasse, noi non potremmo osservare i suoi
comandamenti. Questa è la grazia che è stata rivelata agli umili mentre è rimasta nascosta ai
superbi.
Ma cosa vogliono dire le parole che il Signore subito aggiunge: Come io ho osservato i
comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore (Gv 15, 10)? Certamente anche qui vuole
che ci rendiamo conto dell'amore che il Padre ha per lui. Aveva infatti cominciato col dire Come il
Padre ha amato me così anch'io ho amato voi; e a queste parole aveva fatto seguire le altre:
Rimanete nel mio amore, cioè, senza dubbio, nell'amore che io ho per voi. Così ora, parlando del
Padre, dice: Rimango nel suo amore, cioè nell'amore che egli ha per me. Diremo però che questo
amore con cui il Padre ama il Figlio è grazia, come è grazia l'amore con cui il Figlio ama noi; e ciò
nonostante che noi siamo figli per grazia non per natura, mentre l'Unigenito è Figlio per natura non
per grazia? Ovvero dobbiamo intendere queste parole come dette in relazione all'umanità assunta
dal Figlio? E' proprio così che dobbiamo intenderle. Infatti, dicendo: Come il Padre ha amato me
così anch'io ho amato voi, egli ha voluto mettere in risalto la sua grazia di mediatore. E Gesù Cristo
è mediatore tra Dio e gli uomini non in quanto è Dio, ma in quanto uomo. E' così che di Gesù in
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quanto uomo si legge: Gesù cresceva in sapienza e statura e grazia, presso Dio e gli uomini (Lc 2,
52). Dunque possiamo ben dire che, siccome la natura umana non rientra nella natura divina, se
appartiene alla persona dell'unigenito Figlio di Dio lo è per grazia e per una tale grazia di cui non è
concepibile una maggiore e neppure uguale. Nessun merito ha preceduto l'incarnazione, e tutti
hanno origine da essa. Il Figlio rimane nell'amore con cui il Padre lo ha amato, e perciò osserva i
suoi comandamenti. A che cosa deve la sua grandezza umana se non al fatto che Dio l'ha assunta
(cf. Sal 3, 4)? Il Verbo infatti era Dio, era l'Unigenito coeterno al Padre; ma affinché noi avessimo
un mediatore, per grazia ineffabile il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi (Gv 1, 14). (Agostino,
Commento al Vangelo di Giovanni, Omelia 82)
Cari amici! La prima Lettura ci ha presentato un momento importante in cui si manifesta
proprio l’universalità del Messaggio cristiano e della Chiesa: san Pietro, nella casa di Cornelio,
battezzò i primi pagani. Nell’Antico Testamento Dio aveva voluto che la benedizione del popolo
ebreo non rimanesse esclusiva, ma fosse estesa a tutte le nazioni. Sin dalla chiamata di Abramo
aveva detto: «In te si diranno benedette tutte le famiglie della terra» (Gen 12,3). E così Pietro,
ispirato dall’alto, capisce che «Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica
la giustizia, a qualunque nazione appartenga» (At 10,34-35). Il gesto compiuto da Pietro diventa
immagine della Chiesa aperta all’umanità intera. Seguendo la grande tradizione della vostra Chiesa
e delle vostre Comunità, siate autentici testimoni dell’amore di Dio verso tutti!
Ma come possiamo noi, con la nostra debolezza, portare questo amore? San Giovanni, nella
seconda Lettura, ci ha detto con forza che la liberazione dal peccato e dalle sue conseguenze non è
nostra iniziativa, è di Dio. Non siamo stati noi ad amare Lui, ma è Lui che ha amato noi e ha preso
su di sé il nostro peccato e lo ha lavato con il sangue di Cristo. Dio ci ha amato per primo e vuole
che entriamo nella sua comunione di amore, per collaborare alla sua opera redentrice.
Nel brano del Vangelo è risuonato l’invito del Signore: «Vi ho costituiti perché andiate e
portiate frutto e il vostro frutto rimanga» (Gv 15,16). E’ una parola rivolta in modo specifico agli
Apostoli, ma, in senso lato, riguarda tutti i discepoli di Gesù. La Chiesa intera, noi tutti siamo
inviati nel mondo per portare il Vangelo e la salvezza. Ma l’iniziativa è sempre di Dio, che chiama
ai molteplici ministeri, perché ognuno svolga la propria parte per il bene comune. Chiamati al
sacerdozio ministeriale, alla vita consacrata, alla vita coniugale, all’impegno nel mondo, a tutti è
chiesto di rispondere con generosità al Signore, sostenuti dalla sua Parola che ci rasserena: «Non
voi avete scelto me, ma io ho scelto voi» (ibidem). (Papa Benedetto XVI, Omelia del 13 maggio
2012)
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