FISCHER, J. K. La rivolta delle folle. In: FISCHER, J. K. La crisi della democrazia, 2. ed. Torino: Giulio Einaudi, 1977. p. 70-78. Página 70 Capitolo sesto La rivolta delle folle 1. Un ugual diritto alla libertà può essere rivendicato in buona fede solo se a qualcuno esso viene negato. Ma poi esso significa necessariamente la limitazione della liberta ineguale di qualcun´altro. È possibile costruire um caso ideale dove tutti avrebbero uguale libertà; ma garanzia di questa uguaglianza dovrebbero diventare vincoli che limitano le libertà di tutti appunto in parti uguali; se cosí non sarà si avrà libertà nella disuguaglianza, accompagnata dalla illibertà dei non uguali. Si può equilibrare questo squilibrio soltanto instaurando una nuova uguaglianza di libertà generale, ma a differenza dalla precedente libertà ineguale la misura di questa nuova libertà sarà minore, tanto minore quanto maggiore dovrà essere l’ambito della nuova uguaglianza. Quanta piú uguaglianza tanta meno libertà. Ebbene, la democrazia vuole risolvere questo conflitto dialettico dei suoi ideali fondamentali nel nome della libertà: nuovi diritti all’uguaglianza saranno motivati sempre col diritto alla libertà. Il procedimento è piú o meno questo: la causa della ineguaglianza degli uni è la loro illibertà. Quindi se avranno anche essi la libertà, vi saranno tutti i presupposti perché scompaia la loro ineguaglianza. Allora il senso della democrazia diventerà: attraverso la libertà verso l´uguaglianza. In confronto con la democrazia originaria si è avuto qui un certo spostamento. Prima la parola d´ordine suonava: attraverso l´uguaglianza verso la libertà. Ora essa è stata capovolta. Prima il centro intorno al quale ruotava l´idelogia era l’individuo libero. Ora al posto di questo troviamo diversi collettivi che lottano per i propri diritti. Ma lottano con l´arma della precedente lotta individualistica:con la libertà. Soprattutto questa circostanza farà sí che sfugga all’attenzione il Página 71 cambiamento di fatto subito dalla concezione libertaria della democrazia, sempre più sostituita da una concezione egalitaria. Pérciò si continuerà a parlare di liberalismo politico, anche se la democrazia liberale vera e propria sarà passata già da tempo in democrazia collettiva. Abbiamo già visto una sua forma, la democrazia sociale, e abbiamo già visto il suo legame col liberalismo politico da un lato e con la nuova ideologia socialista dall’altro. Il senso di questa democrazia sociale era la liberazione politica degli operai, ma gli operai non furono il solo strato sociale che raggiunse nel corso del secolo scorso la coscienza politica. Un processo analogo si ha negli strati contadini, allora ancora i più numerosi. Osserviamo ora l’intero problema dal punto di vista della volontà politica generale. Nella democrazia liberale esisteva una volontà politica unitaria portata e rappresentata dal «terzo stato». Se ora chiedono i diritti politici anche gli altri strati sociali, se la base dalla quale deve nascere questa volontà si allarga sempre piú, non corrisponderà necessariamente a ogni nuovo allargamento un suo mutamento? Questi mutamenti sono davvero avvenuti? In un primo momento saremmo inclini a credere - e io stesso ho creduto - che con l´ingresso degli operai organizzati sulla scena politica avviene non solo un cambiamento della volontà politica ma addirittura una sua frattura, che contro la volontà dalla quale era portata la nuova società borghese si pone, in netta opposizione, una volontà nuova tendente a instaurare una società proletaria. La forma nella quale doveva esprimersi questo cambiamento doveva essere la lotta di classe. Ho tentato di dimostrare nel capitolo precedente che questo presupposto è errato. Gli operai accolgono la nuova ideologia politica creata à marxismo, ne traggono un conforto morale estremamente efficace, ne traggono non poco dalla propria decisione politica, tuttavia la prassi politica per la quale si decidono non sarà socalista, sarà quella prassi che trovano già elaborata, la prassi democratica. Ciò vale sia per gli strumenti politici organizzativi che per l’armamentario ideologico. Questa lotta è condotta nel nome della vecchia libertà democratica, reclamata ora per gli operai come strumento per realizzare l’uguaglianza sociale. Poiché questa era fondata prevalentemente sulla economia, è stata posta al servizio délle richieste sindacali operaie, che saranno messe Página 72 in discussione in misura uguale sul terreno politico conmezzi politici, cioè tramite i sindacati. Quale doveva essere la conseguenza per la formazione della volontà politica generale? Da un lato restò l’apparenza della sua continuità, perche le nuove richieste operaie venivano fatte nel nome di principî noti anche se perfettamente mutati. E dall’altro il carattere generale di questa volontà fu turbato dall’intervento di interessi particolari, che raggiunsero un riconoscimento soprattutto per il peso del loro potere. (Per essere giusti: non soltanto cosi; gran parte delle richieste operaie era sostenuta dall’opinione pubblica «progressista» e parte di esse furono realizzate ancor prima che gli operai potessero raggiungerle con le proprie forze politiche. Qui la forza motrice politica era la «coscienza morale» della societa, che dalla sfera dell’élite culturale si diffondeva in tutta la societa). Ebbene questo tipo di pressione politica degli operai doveva diventare il modello per tutta la prassi politica nel periodo della collettivizzazione della democrazia. Tutti i nuovi diritti reclamiti dai singoli strati sociali dovevano esser accolti nel nome della libertà; ma ciô significa che puô essere liberamente reclamato qualsiasi diritto particolare, perche ne decida il rappresentante delegato della volontà generale della società, iI parlamento. Se tutto nasce liberamente, allora anche la volontà generale. Se tutti i membri della societa la creano liberamente, e data con ciô anche la garanzia della sua più ampia generalità. Di qui la condusione: la volontà generale sorge dal basso come manifestazione della volontà politica di tutti. Non entra qui in scena Rousseau? Riflettiamo un attimo. Secondo lui, la volontà generale dovera nascere dal basso, per intervento diretto di tutti i cittadini. Per Rousseau però, formare la volontà civile significava rinunciare all’arbitrio puramente individuale e agire per il bene comune. La libertà di formare la volonta politica equivaleva per Rousseau a un dovere libero, non era dunque un diritto nel senso della democrazia libertaria. E per garantire quella volontà politica Rousseau isolava il suo cittadino da tutti i suoi interessi concreti, personali e di gruppo. Ora che la democrazia lebertaria diventa collettiva, coninuando crescere dal suo ideale di libertà( e non di dovere libero), in luogo dei cittadini di Rousseau abbiamo collettiPágina 73 vi «liberi» che formano liberamente la volontà politica, la quale non sarà ora orientata né individualmente né «civilmente», bensi nella direzione dei singoli interessi spesifici collettivi. Ma non cesserá allora di essere volontà generale? Indubbiamente. Diventerà un conflitto di volontà di gruppo, risolto in direzione della maggior forza. In questo processo si avrà la contaminazione della concezione libertaria e rousseauiana della volontà politica, nel senso che dalla prima sarà mantenuta la presunta libertà con la quale essa si forma, dalla seconda il presupposto che questa volonta nasce in qualche modo automaticamente dal basso (dove nei casi di disaccordo decide ii meccanismo della maggioranza). Una caratteristica essenziale della volontà generale e la sua unitarietà. Commentando criticamente la concezione liberale e la concezione rousseauiana della democrazia avevamo detto che questa unitarietà non nasce mai e non pue nascere come risultato spontaneo della semplice somma delle volonta individuali o di un meccanismo spontaneo di legalità «naturale» = «ragionevole», bensí nasce sempre e solo come risultato di uno sforzo cosciente che deve essere unitariamente indirizzato, se deve essere unitariamente indirizzato, se deve raggiungere un risultato unitario. Se la democrazia liberale peccava contro questo imperativo, ciò si spiega bene con il suo individualismo; se la democrazia collettivistica ripete lo stesso errore, lo si più spiegare solo con la forza di inerzia di formule che hanno perduto proprio senso originario e inoltre con il dominio dei principî meccanicistici, principî che se riflettuti fino alle loro conseguenze estreme aboliscono qualsiasi «liberta», anche la libertà politica; il mondo cammina da solo significa ora: non conosce il dominio della libertà, bensí della necessità impersonale. Ma questa è la fine e i difensori della democrazia non vi avevano mai pensato. 2. Se osserviamo i cambiamenti nella teoria e nella prassi della democrazia durante il XIX secolo, troviamo che dei suoi contenuti originari è restata soltanto la forma, che maschera la propria formalità con un radicalismo democratico esteriore, accentuatamente legalitario: la voIontà politica nella società deve crescere da tutta la società in parte uguale, quindi deve essere formata con un diritto di voto universale, uguale, segreto (=libero), in modo che il le programma di Página 74 governo che la deve realizzare si proponga come conseguenza automatica quali si è distribuita delle relazioni quantitative tra i singoli collettivi politici nei l’attività politicosociale. Tenendo conto di questa formalità, definiamo formale tale democrazia e riformuliamo la sua saggezza politica dicendo che il suo programma è di non avere nessun programma, perchè qualsiasi programma politico deve nascere secondo essa per un procedimento meccanico, del quale si presuppone che rifletta nel modo più fedele le opinioni politiche della società in quanto le accerta dal basso. Continuiamo: Rousseau postulava un rapporto diretto tra cittadini e volontà generale, vietando loro perciò qualsiasi associazione sulla base di interessi comuni. Nelle societa che realizzeranno questo postulato rousseauiano, il parlamento come rappresentante della volontà generale sara quindi l’unico organo autorizzato a risolvere tutte le questioni dell’organizzazione sociale. Il divieto di coalizione fu realizzato agliinizi della democrazione per soddisfare la richiesta della massima libertà individuale, soprattutto economica; tuttavia i risultati di questo divieto furono gli stessi che abbiamo potuto dedurre dal postulato di Rousseau: in nome della libertà le singole attività sociali, e prima di tutto le attività economiche, si pongono al di fuori del potere sociale; e nel nome della stessa libertà il portavoce dei diritti politici diventa l’individuo, socialmente isolato come in Rousseau, sicche la struttura sociale corrisponde allo schema rousseauiano, dove il parlamento domina su tutta la società, orizzontaImente vista, senza elemen’ti mediatori. Possiamo definire un tale stato di cose mancanza diancora amministrativo dei regimi parlametari democratici accennando a tutte le difficoltà in esso nascoste. La prima e che le richieste dei singoli gruppi sociali non trovano altro foro se non proprio quello dal quale dovevano restare piil lontane: ii parlamento; e non trovano altre forme organizzative cui appoggiarsi se non quelle dalle quali dovevano nuovamente restare più lontane: i partiti politici. Questo stato di cose non fu naturalmente previsto dai teorici e dai politici liberali. Secondo loro lo stato doveva intervenire il meno possibile nell’attivita del liberi individui, e non vi era necessita di prendere provvedimenti affinchè potesse assolvere compiti di cui non si supponeva che Página 75 gli sarebbero stadti affidati. Con la progressiva democratizzazione della societa, non appena strati sempre più numerosi fanno valere i propri diritti, non appena la crescita dell’ «uguaglianza» sociale porta alla immagine cambia completamente. La necessità di far fronte alle richieste di questi strati significa quasi sempre un nuovo dovere per lo stato. Inoltre la maggiore densità dei rapporti sociali porta a nuavi compiti che bisogna in qualche modo risolvere, e anche qui ciò significa nuovi doveri per lo stato. Istanza risolutiva resta sempre parlamento, il quale ora di fatto deciderà di tutto. Eppure continueta a non avere direttive unitarie secondo cui risolvere tutti questi compiti, e come se non bastasse non avrà spesso nemmeno i mezzi tecnici necesari. È naturale che diventi oggetto di aspiri attacchi, e con esso la democrazia. Sarà loro rimproverata l’incompetenza, la mancanza di programmi e di principî, una pesantezza che giunge all’inefficacia e sempre di più una assoluta incapacita. Ma non siamo giunti ancora cosi lontano. Per ora abbiamo potuto vedere come ciò che per Rosseau doveva garantire che nella società non prevalessero le volontà particolari dei gruppi conduce al fine opposto: poi che queste volontà di gruppo non hanno altro modo, saranno rappresentate dai partiti politici cui destinazione originaria non era corporativa o sindacale ma generale. Ciò non avverrà subito. Come la democrazia formale mantiene una continuità almeno apparente con la democrazia liberale, con sí la mantengono anche le organizzazioni formalmente democratiche e con esse i partiti politici. Se essi dovevano prima trasmettere le richieste atieste programmatiche politiche in senso proprio e se percie si rivolgevano a tutti gli strati sociali per quanto avevano diritti politici, essi mantengono l’apparenza di questa generalistà, compresi i partiti nuovi e in particolare quelli socialisti. Poichè la loro nascita è dovuta al graduale allargamento del diritto di voto, essi avranno a differenza dei partiti precedenti un carattere di massa, che richiede mezzi politici e organizzativi maggiori. Poichè tuttavia le richieste che saranno trasmesse tengono sempre comincerà a scomparire in relazione a ciò il carattere politico di questi partiti. Nasceranno partiti la cui destinazione particolaristica sarà espressa Página 76 gia nel nome. Il contenuto della parola «politica» cambia completamente; essa non significherà piú tentativo di conduizione unitaria delle cose sociali, bensí tentativo di soddisfazione unitaria delle cose sociali, bensì tentativo di richieste di tipo corporativo nell’arena parlamentare. Lo stato diventa uno stato di partiti che si dividono il monopolio del potere. Presupposto di ciò è una dura disciplina di partito, di cui furono modello i partiti socialisti. Garanzia di successo sono i quadri del partito, soprattutto durante le elezioni. Il monapolio dei partito porta alla conseguenza che l’elezione dei «rappresentanti del popolo» sarà stabilita dai partiti stessi e l’espresione della libertà politica si limiterà al diritto di voto. È stata in particolare la democrazia cecoslovacca, che teneva presenti i modelli imperial-tedeschi, a portare all’assurdo questa prassi formalmente democratica. Ma anche là dove la democrazia postbellica non raggiunse tali estremi, la libertà politica che era un tempo l’orgoglio della democrazia è discesa a un’espressione formale del diritto politico. La forza e il potere decisivo sono pasati da fattori individuale e liberi a fattori impersonali e materiali. Quando abbiamo seguito i destini dell’ordine di produzione capitalistico, non finivano con la vittoria della materia capitalistica; autonomizzata, sul suo creatore, sull’uomo? Quando abbianio seguito i destini della rivolta operaia contro questo ordine, non finivano nuovamente con la vittoria della stessa materia capitalistica sul suo avversario? Non era anch’egli condannato all’innocuità per essersi lasciato assimilare alla materia capitalistica, transformandosi in materia sociale, che condurrà con la prima una lotta su un campo di nuovo materiale? (Sarebbe ingiusto non sottolineare con forza che tale non era il socialismo originario come lo vagheggiavano i suoi primi sostenitori e come forse non ha cessato di vivere nella coscienza dei suoi migliori difensori odierni). Cosí gli operai e cosí il resto della società. Non solo i partiti politici, mutatisi anch’essi in materie politiche che conducono per fini materiali e con mezzi di massa le proprie lotte. Ma anche le rimanenti attività sociali, la cui sorte stereotipa diventerà una analoga spersonalizzazione e meccanizzazione. Così il fatto che il lavoro significhi lavoro eseguito senza interesse, impersonalmente, in tutto e per tutto meccanicamente, se corrisponde alle intenzioni impersonali e spersonalizzanti Página 77 di tutta questa epoca che giustamente si chiama capitalistica, è il fenomeno al quale porta abbastanza paradossalmentae quella strada che doveva portare alla libertà suprema dell’individuo. La rivolta della materia creata dall’uomo comincia a soffocare il proprio creatore in tutti gli angoli e in tutte le sfere della sua vita. E sotto la sua pressione si dissecca anche il frutto piú valido della democrazia politica: la rivendicazione del dovere libero, che costituisce il senso proprio e positivo, il presupposto dell’autonomia sociale. In luogo di un autonomo inserimento nell’esercizio delle funzioni politiche e sociali, il formalismo del loro esercizio puramente meccanico. In questo ordine, il vincitore ultimo diventerà la finzione della materia omogenea che si fa avanti col suo peso materiale: l’individuo si trasforma in atomo omogeneo, che trova ora la propria destinazione nel comportamento omogeneo della materia sociale, la quale si associa e dissocia secondo la legge della materia: come folla nella folla per interessi di folla. Quale destino delle finzioni illuministiche di individui «uguali»! Quale destino del loro sviluppo «libero» = «ragio nevole» = «naturale»! La «libertà», presa nel meccanismo di forze sociali impersonali, è finita non con l’«uguaglianza» dei diritti sociali e della sorte sociale bensí con l’omogeneità livellata di una società mutata in «folla». Ortega y Gasset nella sua Rivolta delle folle ha chiarito acutamente e convincentemente questi destini delle società cadute in preda allo «spirito della gravità» e ha visto il senso della loro rivolta nella di quell’elemento medio omogeneo contento di sé, in nulla e per nulla diversificato, che è la folla contro minoranza «scelta» dalla quale è portato il progresso culturale e sociale; la sua analisi culmina con la constatazione rilevante e significativa che questa folla in rivolta si è impossessata di tutti i vantaggi materiali della civiltà dimenticando però le condizioni della loro nascita, dimenticando la creazione teorica, essenzialmente disinteressata, e la creazione culturale in generale. Se osserviamo da questa prospettiva i destini della rivolta culturale contro il capitalismo, la rivolta dell’élite culturale (se volete, contro la rivolta delle folle), ci apparirà chiaro il suo sfondo sociale; ma anche la sua sterilità. Si può infatti Página 78 tanto poco negare la folla nel nome di una élite autonoma quanto negare la ragione nel nome di una intuizione ribellatasi e resasi autonoma, in quanto né per la prima né per la seconda di queste vie si abbatte il predominio dello «spirito della gravità». Ne troviamo innumerevoli prove nel terzo decennio di questo secolo, decennio angosciato e irrequieto, durante il quale l’élite culturale si è resa conto delle prospettive proprie e della società dominata da questa divinità, per giungere poi a riconoscere che l’unica via di uscita può essere e deve diventare un nuovo ordine culturale, che comprenda ad immagine di nuovi principî l’intero cosmo sociale.