III Settimana Biblica Vicenza, 29 Giugno 2011 L`uomo

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III Settimana Biblica
Vicenza, 29 Giugno 2011
L'uomo contemporaneo e la
questione del "SENSO"
E' ormai un luogo comune molto diffuso l'affermare che la nostra
società sta attraversando da tempo una crisi di senso; che la
condizione fondamentale dell'uomo d'oggi è il dis-orientamento,
l'assenza di riferimenti solidi, l'incapacità di guardare oltre
l'orizzonte immediato in cui viene schiacciato dalla logica del
consumo, unico linguaggio universale sopravissuto alla caduta
delle ideologie.
Alcuni fra i più importanti sociologi viventi sembrano corroborare,
con le loro analisi, queste percezione dell'uomo comune. Citiamo
due libri, come esemplificazione:
a) Z. BAUMAN, Il disagio della postmodernità, Bruno Mondadori
2002
b) P.L. BERGER-T. LUCKMANN, Lo smarrimento dell'uomo
moderno, Il Mulino 2010.
Bauman è famoso soprattutto per aver coniato l'espressione
"società liquida" (dell'incertezza, individualizzata); gli altri due
autori sono fra i più importanti sociologi della religione a livello
mondiale.
Sulle tesi di fondo di questi studiosi torneremo verso la fine della
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relazione; per ora ci basta osservare che nel lessico utilizzato nel
titolo troviamo già delle indicazioni piuttosto eloquenti sul nostro
tema.
Leggiamo ora e soffermiamoci brevemente su due brani che
sembrano dare voce ad un disagio diffuso rispetto al nostro
tempo. Interessante soprattutto il fatto che siano di due autori molto
diversi per impostazione culturale:
1. "Purtroppo, non lo possiamo negare, la cultura
contemporanea sembra non aver più nulla da dire né ai
giovani né agli adulti, perché pare non credere al valore
dell'uomo: la libertà è identificata col capriccio
individuale, la felicità con il successo, il piacere e il denaro.
La ragione – capacità diconoscere la verità delle cose e dei
valori – è sfiduciata.
Il senso del limite e delle regole sembra un insulto alla
dignità: l'individuo è il centro di se stesso.
La vita viene presentata come il mito dell'eterna
giovinezza, fatta di trionfi e soddisfazioni, dove tutto è
facile e spesso dovuto, dove la fatica e il sacrificio sono
banditi, dove l'essenziale è apparire, essere visti e
ammirati. è l'affermazione del nulla: nulla di senso, nulla
di valore, nulla di rapporti veri e costruttivi. È il
nichilismo".
2. “I giovani, anche se non sempre lo sanno, stanno male. E
non per le solite crisi esistenziali che costellano la
giovinezza, ma perché un ospite inquietante, il nichilismo,
si aggira tra loro, penetra nei loro sentimenti, confonde i
loro pensieri, cancella prospettive e orizzonti, fiacca la loro
anima, intristisce le passioni rendendole esangui.
Le famiglie si allarmano, la scuola non sa più cosa fare,
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solo il mercato si interessa di loro per condurli sulle vie del
divertimento e del consumo, dove ciò che si consuma non
sono tanto gli oggetti che di anno in anno diventano
obsoleti, ma la loro stessa vita, che più non riesce a
proiettarsi in un futuro capace di far intravedere una
qualche promessa. Il presente diventa un assoluto da vivere
con la massima intensità, non perché questa intensità
procuri gioia, ma perché promette di seppellire l´angoscia
che fa la sua comparsa ogni volta che il paesaggio assume i
contorni del deserto di senso".
Il primo brano è del card. Angelo Bagnasco, presidente della CEI,
ed è tratto dalla Lettera Pastorale 2010/11 sull' educazione; il
secondo è di un intellettuale fra i più noti soprattutto per la sua
presenza frequente in programmmi televisivi e per la sua
collaborazione con giornali ad ampia diffusione: il prof. Umberto
Galimberti.
I due testi ci suggeriscono un'immagine piuttosto preoccupante
della società attuale, con particolare riferimento al mondo giovanile
e alla difficoltà di proporre un'educazione adeguata per le nuove
generazioni.
Se le due analisi presentano molteplici affinità, decisamente diverse
sono le proposte per tentare una via d'uscita: naturalmente il card.
Bagnasco sottolinea che il messaggio di Cristo è la risposta alla
sete profonda di senso che è dentro ciascun uomo, mentre per il
prof. Galimberti il cristianesimo è parte del problema (nichilismo) e
non può dunque esserne al contempo la soluzione.
Se questo sembra essere il terreno in cui ci muoviamo, l'aria che
respiriamo quotidianamente e che i media ci attestano con
un'insistenza talvolta insopportabile, proviamo a fare un passo
indietro rispetto all'attualità per rivolgerci alla tradizione filosofica,
alla ricerca di qualche strumento ulteriore per capire il problema di
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cui stiamo discutento.
Partiamo da alcune domande:
 Rispetto a questo tema che cosa può dirci la filosofia?
 Che cosa possiamo/dobbiamo aspettarci da essa?
 Che cosa non è in grado invece di offrirci?
Propongo tre brevi citazioni, per circoscrivere l'ambito di senso
all'interno del quale la filosofia può muoversi:
«Nec ridere, nec lugere, neque detestari, sed intelligere»
(Spinoza, Trattato politico)
"Del resto, a dire anche una parola sulla dottrina di come
dev'essere il mondo, la filosofia arriva sempre troppo tardi. Come
pensiero del mondo, essa appare per la prima volta nel tempo,
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dopo che la realtà ha compiuto il suo processo di formazione ed
è bell'e fatta. Questo, che il concetto insegna, la storia mostra,
appunto, necessario: che, cioè, prima l'ideale appare di contro al
reale, nella maturità della realtà, e poi esso costruisce questo
mondo medesimo, còlto nella sostanza di esso, in forma di
regno intellettuale. Quando la filosofia dipinge a chiaroscuro,
allora un aspetto della vita è invecchiato, e, dal chiaroscuro,
esso non si lascia ringiovanire, ma soltanto riconoscere: la
nottola di Minerva inizia il suo volo sul far del crepuscolo".
(G.W.F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto)
«Quanto più ci avviciniamo al pericolo, tanto più chiaramente
cominciano a illuminarsi le vie verso ciò che salva, e tanto più
noi domandiamo. Perché il domandare è la pietas del pensare»
(M. Heidegger, La questione della tecnica,
in Saggi e discorsi)
Dopo una premessa piuttosto articolata cominciamo a confrontarci
con il pensatore che più di tutti ha contribuito a portare in profondità
la riflessione sulle tematiche di cui stiamo discorrendo, con
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particolare riferimento al concetto di NICHILISMO: si tratta
naturalmente di F. NIETZSCHE (1844-1900).
Anche in questo caso diamo spazio ai testi dell'autore, senza
contaminarli troppo con interpretazioni più o meno brillanti.
Innanzitutto un testo lapidario, che incornicia le altre riflessioni:
"Nichilismo: manca il fine; manca la risposta al <perchè?>; che
cosa significa nichilismo? -che i valori supremi si svalutano"
Il nichilismo appare, al primo impatto, come la "mancanza di
senso" che sopraggiunge nel momento in cui viene meno la forza
vincolante delle risposte tradizionali al "perchè?" della vita e
dell'essere, ovvero quando i supremi valori tradizionali (Dio,
Verità, Bene), perdono il loro valore.
Sul fatto che si tratti di un evento che non può essere facilmente
liquidato come contingente Nietzsche ha le idee piuttosto chiare,
come si evince da questi frammenti composti nell'inverno 1887/88:
“Descrivo ciò che verrà: l’avvento del nichilismo (...) L’uomo
moderno crede ora a questo, ora a quel valore, per poi lasciarlo
cadere; il circolo dei valori superati e lasciati cadere è sempre
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più vasto; si avverte sempre più il vuoto e la povertà dei valori;
il movimento è inarrestabile (...) Alla fine l’uomo osa una critica
dei valori in generale; ne riconosce l’origine; conosce
abbastanza per non credere più in nessun valore; ecco il
pathos, il nuovo brivido (...) Quella che racconto è la storia dei
prossimi due secoli”.
"Ciò che io racconto e' la storia dei prossimi due secoli. Io
descrivo ciò che viene, ciò che non può fare a meno di venire:
l'avvento del nichilismo. Questa storia può già ora essere
raccontata; perché la necessità stessa e' qui all'opera. Questo
futuro parla già per mille segni, questo destino si annunzia
dappertutto; per questa musica del futuro tutte le orecchie sono
già in ascolto. Tutta la nostra cultura europea si muove in una
torturante tensione che cresce da decenni in decenni, come
protesa verso una catastrofe: irrequieta, violenta, precipitosa;
simile ad una corrente che vuole giungere alla fine, che non
riflette più ed ha paura di riflettere. - Chi prende qui la parola
sinora non ha fatto altro che riflettere: come filosofo ed eremita
d'istinto, che ha trovato vantaggio nell'appartarsi, nel restar
fuori, nel ritardare, come uno spirito audace, indagatore e
tentatore che già si e' smarrito in ogni labirinto
dell'avvenire;…che guarda indietro mentre narra ciò che
avverrà, come il primo nichilista compiuto d'Europa, che ha
già vissuto in sé il nichilismo sino alla fine, e ha il nichilismo
dietro di sé, sotto di se, fuori di se".
(F. NIETZSCHE, Wille zur Macht)
L'interpretazione della cultura occidentale come intrinsecamente
segnata dal nichilismo è connessa con l'annuncio della MORTE DI
DIO, al quale Nietzsche dedica più di un testo. Il più noto è
senz'altro l'aforisma 125 della Gaia scienza, che merita di essere
letto integralmente.
Aforisma 125
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(lettura)
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Il testo, che si propone non come un ragionamento ma come un
annuncio, racchiude una straordinaria pluralità di spunti per la
nostra riflessione. Vediamone qualcuno:
a) L'annuncio dell'uomo folle avviene in un contesto particolare, il
"mercato", cioè uno spazio in cui vale la legge dell'acquistare e del
vendere;
b) I primi a deridere il folle uomo sono alcuni che non credono in
Dio;
c) L'evento annunciato ha una portata sconvolgente, al tempo
stesso tragica e liberatoria, ma i presenti non avvertono il
significato delle parole pronunciate dall'uomo folle;
d) A fronte di questo evento, che sta procedendo da molto tempo
(anche se in forma latente) nella storia occidentale, viene chiesto
all'uomo un cambiamento radicale: l'essere umano non può più
essere lo stesso.
L'aforisma precedente (il 124), intitolato "Nell'orizzonte dell'infinito",
offre ulteriori elementi per capire il peso che l'uomo deve portare
dopo aver riconosciuto il significato dell'evento racchiuso
nell'espressione "Dio è morto":
"Abbiamo lasciato la terra e ci siamo imbarcati sulla nave!
Abbiamo tagliato i ponti alle nostre spalle – e non è tutto:
abbiamo tagliato la terra dietro di noi. Ebbene, navicella!
Guardati innanzi! Ai tuoi fianchi c'è l'oceano: è vero, non
sempre muggisce, talvolta la sua distesa è come seta e oro e
trasognamento della bontà. Ma verranno momenti in cui
saprai che è infinito e che non c'è niente di più spaventevole
dell'infinito. Oh, quel misero uccello che si è sentito libero e
urta ora nelle pareti di questa gabbia! Guai se ti coglie la
nostalgia della terra, come se là ci fosse stata più libertà – e
non esiste più <<terra>> alcuna!".
Nietzsche offre anche una chiave di lettura storico-filosofica
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(naturalmente secondo il suo peculiare stile) di questo processo.
Troviamo questo compendio di storia del nichilismo all'interno del
Crepuscolo degli idoli (1888), in un breve testo intitolato "Come il
mondo vero finì per diventare favola".
Lettura del testo
E' difficile sopravvaluare l'influsso di questi testi sulla filosofia e (più in
generale) sulla cultura del '900 (in particolare della prima metà del
secolo). Per averne un'idea è sufficiente dare un'occhiata all'indice del testo
di F. Volpi citato nella Bibliografia.
Ricordiamo solo, fra le moltissime piste di approfondimento, le parole di
M. Heidegger contenute nel saggio "La sentenza di Nietzsche <Dio è
morto>"
“Così l'espressione “Dio è morto” significa che il mondo
ultrasensibile è senza forza reale, non dispensa vita alcuna.
La metafisica, cioè -per Nietzsche- la filosofia occidentale
come platonismo, è alla fine (...). Se Dio, come causa
ultrasensibile e come fine di ogni realtà, è morto, se il
mondo ultrasensibile delle idee ha perduto la sua forza
normativa, e soprattutto la sua forza di risveglio e di
elevazione, non resta più nulla a cui l'uomo possa attenersi
e secondo cui possa regolarsi. E' per questo che nel passo
che abbiamo citato è scritto : “Non andiamo forse errando in
un nulla infinito?”. (...) Il nichilismo, “il più inquietante
degli ospiti”, è alle porte”.
Sarebbe un errore clamoroso, secondo Heidegger, interpretare quei
testi come la posizione personale di un pensatore ateo, posizione
alla quale si può obiettare che esistono ancora (allora come oggi)
persone che credono in Dio e che frequentano la Chiesa.
In realtà Nietzsche vuole essere compreso ad un livello diverso, e
precisamente come pensatore che cerca di portare alla luce un
dinamismo "spirituale" che viene da molto lontano e che è proprio
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dell'essenza della nostra civiltà occidentale.
Così Heidegger alla fine degli anni '30. E oggi? Quali caratteristiche
assume questa tematica?
All'inizio del nostro incontro abbiamo citato alcuni sociologi che sul
tema della crisi della civiltà attuale hanno proposto delle riflessioni
puntuali. In questa fase conclusiva è senz'altro utile ritornare alla
concretezza e alla "scientificità" del sapere sociologico per
capire concretamente quale riflesso sulla realtà produce questo
mutamento epocale.
Ci facciamo aiutare in particolare dal testo di Berger e Luckmann,
che descrive la condizione contemporanea dell'individuo con il
termine "smarrimento". Partendo dal presupposto secondo cui
nessuna società può prescindere da un qualche orizzonte comune
di senso ("sistema di valori", "patrimonio di significati") nel quale i
singoli individui possano riconoscersi, i due autori sottolineano il
fatto che la cosidetta "crisi di senso" di cui parla spesso in
riferimento alle società "evolute" non è un fenomeno transitorio o
accidentale, ma rappresenta l'essenza stessa della modernità,
perchè ad essa è associata una dimensione fortemente dirompente
rispetto ad un orizzonte stabile di significati: il PLURALISMO.
Il pluralismo moderno scalza l'idea che esista una sola e vera
interpretazione del mondo, della vita, della società. Tutto ciò
produce inevitabilmente nelle persone un senso di apertura e di
liberazione, ma al tempo stesso un senso di insicurezza e
disorientamento, perchè un mondo in cui tutto (o quasi) deve
essere quotidianamente interpretato e scelto dall'individuo, in
assenza di riferimenti a solidi modelli interpretativi, è un mondo
faticoso e usurante.
Questo spiega -secondo gli autori- il motivo per cui nel cuore delle
società moderne rispunta sempre un desiderio dell'antico, la
nostalgia di un mondo in cui tutto funzionava perfettamente.
Naturalmente questo cambiamento ha investito in particolare la
sfera della religione: l'appartenenza religiosa non è più scontata, ma
è il frutto di una scelta.
Esiste una possibile soluzione al disagio dell'uomo contemporaneo,
a parte la lamentela sul fatto che non ci sono più i valori di un
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tempo? Tenuto conto che è la struttura stessa della società
moderna la causa della percezione della "crisi di senso", secondo
Berger e Luckmann un ruolo fondamentale può e deve essere
svolto dalle "istituzioni intermediarie", che aiutano l'individuo nella
costruzione di senso per la propria esistenza. Tra queste istituzioni,
naturalmente, le chiese possono essere davvero preziose, senza
però pretendere posizioni monopolistiche.
Concluderei con la provocazione di uno psicanalista lacaniano,
anche per evidenziare come i percorsi del nichilismo siano
molteplici e talvolta inaspettati.
Nella sua ultima, recentissima pubblicazione, Massimo Recalcati
inizia con un interrogativo piuttosto netto:
"E' giusto insegnare ai nostri figli a pregare, se Dio è morto?"
E aggiunge subito dopo:
"Ma cosa significa pregare? Significa alimentare nei nostri figli l'illusione
di un Dio che non esiste più, in un mondo dietro al mondo? Significa,
come pensa una certa cultura del disincanto, alimentare un rituale
superstizioso?"
Al di là delle risposte che l'autore offre, mi sembra che gli
interrogativi sollevati dalla tematica che è stata trattata investano in
pieno la coscienza credente e non possano lasciarla indifferente:
 Che cosa è in grado di dire la fede cristiana rispetto alle
questioni sollevate?
 In che modo la Bibbia può aiutare l'uomo a trovare una sua
dimensione di profondità in un mondo così complesso e privo
di certezze?
Certamente il confronto con il libro del Qohelet è un buon punto di
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partenza.
Bibliografia essenziale
CARD. A. BAGNASCO, Educare. Dialogo con la vita, San Paolo 2011
P.L. BERGER-T. LUCKMANN, Lo smarrimento dell'uomo moderno, Il
Mulino 2010
U. GALIMBERTI, L'ospite inquietante, Feltrinelli 2007
M. HEIDEGGER, La sentenza di Nietzsche "Dio è morto", in ID., Sentieri
interrotti, La Nuova Italia 1984
F. NIETZSCHE, La gaia scienza, Adelphi 1988
F. NIETZSCHE, La volontà di potenza, Bompiani 1996
M. RECALCATI, Che cosa resta del padre?, Raffaello Cortina Editore
2011
F. VOLPI, Il nichilismo, Laterza 2004
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