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I Paleoveneti erano una popolazione indoeuropea stanziata nell'odierna Italia nord-orientale, che
sviluppò una propria originale civiltà durante il I millennio a.C..
Caso unico tra i popoli a loro contemporanei nell'Italia settentrionale, si può stabilire l'identità tra la
popolazione e la cultura veneta, ovvero ai Paleoveneti è attribuito quanto realizzato sul piano
materiale e spirituale nel loro territorio di stanziamento: la Venezia. Questa forte identità si crea
durante un lungo periodo, lungo tutto il I millennio a.C., anche se nel tempo subì diverse influenze.
Di questa popolazione e identità la documentazione archeologica è particolarmente ricca.[1]
I Paleoveneti si stanziarono inizialmente nell'area tra il Lago di Garda ed i Colli Euganei,
allargandosi successivamente fino a raggiungere confini simili a quelli del Veneto attuale, anche se
bisogna considerare che la linea di costa del Mar Adriatico era più arretrata rispetto ad oggi.
Secondo i ritrovamenti archeologici (che concordano anche con le fonti scritte) i confini occidentali
del loro territorio correvano lungo il Lago di Garda, quelli meridionali seguivano una linea che
parte dal fiume Tartaro, segue il Po e raggiunge Adria, mentre quelli orientali giungevano fino al
Tagliamento, anche se tra questo e l'Isonzo era comunque forte la presenza veneta, tanto che si può
parlare di popolazione veneto-illirica.[2] I confini settentrionali erano invece meno definiti e
omogenei, ma il territorio veneto risaliva soprattutto i fiumi Adige, Brenta e Piave verso le Alpi,
che fungevano comunque da confine naturale. La presenza veneta sulle Alpi è attestata soprattutto
nel Cadore.
La storia dei Paleoveneti si può dividere in due momenti: uno antico, che va dalle origini fino al V
secolo a.C., in cui è più evidente l'originalità culturale veneta, e uno più recente che va fino al I
secolo d.C., che vede prima un influsso celtico, e poi una lenta assimilazione romana.
Nel periodo antico vi erano rapporti culturali con la Civiltà villanoviana, con l'Egeo e l'Oriente, e
successivamente anche con gli Etruschi. Nel periodo più recente i Paleoveneti vennero circondati
dai Galli: ad ovest si stanziarono i Galli Cenomani (con cui si sarebbero alleati, insieme ai Romani),
a sud i Boi e ad est i Carni. Anche all'interno del Veneto vi fu qualche stanziamento di Galli, anche
se in minima entità, e senza influenza sul mondo veneto. L'influsso culturale celtico diventò
importante, e la cultura veneta lentamente mutò e si adeguò ai tempi. Successivamente divenne
sempre più importante il contatto con la civiltà romana, da cui quella veneta venne assimilata.
Il mito nella storiografia romana [modifica]
Secondo la storiografia romana,[5] i Paleoveneti sarebbero stati una popolazione proveniente dalla
Paflagonia, regione dell'Asia Minore sul Mar Nero. Essi furono da lì espulsi, e per questo
parteciparono alla Guerra di Troia, dove l'anziano saggio Antenore implorò i troiani stessi di
restituire Elena ai Greci. A Troia morì anche il capo degli Eneti (venivano così chiamati), che, senza
patria e senza guida, si rivolsero ad Antenore che, dopo varie vicende, approdò sulle coste
occidentali del Mar Adriatico settentrionale. Qui la popolazione scacciò gli Euganei, una
popolazione di cui oggi non rimangono tracce rilevanti.
Nel racconto di Virgilio,[6] Antenore viene addirittura presentato come fondatore di Padova. Ai
Paleoveneti viene associato pure Diomede, eroe divinizzato, il quale avrebbe fondato, oltre a Spina,
anche l'importante città portuale di Adria, anche se l'abitato, pur avendo in effetti origini venete, è
più conosciuta come emporio greco, come centro etrusco e successivamente gallico.
Plinio il Vecchio parla dei Paleoveneti riferendo ciò che aveva scritto Catone:
(LA)
« Venetos troiana stirpe ortos auctor est
Cato »
(IT)
« Catone attesta che i Veneti discendono dalla stirpe
troiana »
I migranti che giunsero nell'area veneta dalle regioni nord-orientali erano più probabilmente piccoli
gruppi di colonizzatori, piuttosto che un'intera popolazione. Al di là delle questioni sulla loro
origine, i Paleoveneti erano di cultura progredita, abili guerrieri e commercianti arrivati alla fine del
II millennio a.C. È probabile che i nuovi colonizzatori si siano sovrapposti alle popolazioni nativa
(gli Euganei preindoeuropei).[14]
L'apogeo (VIII-II secolo a.C.) [modifica]
I Paleoveneti crearono una cultura unitaria che ebbe il suo massimo sviluppo tra l'VIII e il II secolo
a.C., una cultura ben differente rispetto alle altre dell'Italia protostorica. Peculiarità di questa
popolazione, presenti in tutto il territorio in cui erano stanziati, erano soprattutto le produzioni
bronzee e fittili, le forti credenze religiose, le espressioni artistiche, l'agricoltura, armature e vestiti,
lo strutturarsi di nuclei prima protourbani e quindi urbani, e l'allevamento di bestiame. Eccellevano,
in particolare, nell'allevamento dei cavalli: al di là dell'esaltazione dei cavalli "veneti" compiuta da
Omero nell'Iliade,[15] che faceva riferimento a un popolo che nulla aveva a che fare con i
Paleoveneti, la fama di questa loro attività è attestata dal fatto che il tiranno di Siracusa, Dionigi I,
aveva voluto importare cavalle venete per creare allevamenti di razza, poiché i destrieri veneti erano
molto richiesti per i Giochi Olimpici.[16]
La regione cispadana era abitata nel III secolo a.C. da numerose popolazioni bellicose - in
particolare, i Galli che a partire dal secolo precedente avevano fatto irruzione nella regione - e i
Romani si rivolsero, per ottenere aiuto, ai Paleoveneti, poiché li ritenevano consanguinei per via
della leggenda di Antenore.[17] Romani e Paleoveneti stabilirono rapporti di amicizia e di alleanza
(già nel 283 a.C. il Senato romano aveva stretto un patto con i Paleoveneti ed i Galli Cenomani per
rallentare l'invasione gallica). Probabilmente i contatti avevano avuto inizio più anticamente, già nel
390 a.C.: infatti, quando i Galli Senoni di Brenno occuparono la stessa Roma, fu forse proprio
grazie ad un'azione diversiva dei Paleoveneti che potrebbero essere stati costretti a venire a patti con
i Romani.[18]
Nel 225 a.C. i Romani mandarono ambasciatori presso i Paleoveneti ed i Galli Cenomani per
stringere un'alleanza contro i Galli Boi e gli Insubri, che minacciavano le frontiere romane, ed essi
rimasero dalla parte romana anche durante la Seconda guerra punica, mentre tutte le altre
popolazioni galliche si erano schierate con Cartagine,[19]. Al termine della guerra, per poter
completare la sottomissione della Gallia cisalpina (Galli e Liguri non accettavano la supremazia
romana), Roma cominciò una vera e propria guerra di conquista, sempre sostenuta da Veneti e
Cenomani. È probabile che in questo momento storico i Paleoveneti fossero legati ai Romani
tramite amicitia, diversamente dai Galli legati a Roma dal foedus: questo legame era utilizzato
soprattutto negli Stati ellenistici, e prevedeva la neutralità, che poteva diventare alleanza solo in via
eccezionale[20]
I Paleoveneti non appaiono come un popolo bellicoso, e non furono coinvolti in battaglie o guerre
importanti. Tuttavia non furono isolati, anzi intrattennero rapporti commerciali e culturali con la
vicina Etruria e mutuarono certe caratteristiche artistico-sociali dai mercanti greci delle colonie.
Ebbero con Roma rapporti amichevoli e si giovarono dell'aiuto della città laziale per allontanare la
minaccia costituita dall'invasione dei Galli: in cambio di protezione, permisero ai Romani di
stabilirsi pacificamente nel loro territorio, e in definitiva di colonizzarlo costruendo strade, ponti e
villaggi. Il Veneto non venne quindi conquistato con la forza dai Romani, ma fu inglobato
pacificamente e, con il tempo, la cultura veneta si perse e venne sostituita (in parte assimilata) dalle
usanze di Roma.
I Paleoveneti si stanziarono dapprima in piccoli villaggi, principalmente tra l'Adige e il Lago di
Garda, ma anche nelle zone prealpine della Valbelluna, essendo allora la pianura Padana ricoperta
da boschi e zone paludose. Una delle maggiori necropoli venete, perfettamente conservata, si trova
infatti a Mel, tra Belluno e Feltre. I centri abitati sorgevano lungo i corsi d'acqua su dossi sabbiosi
(dato che la sabbia è molto permeabile e si asciugava velocemente) e sulle colline.[21] I nuovi
abitati erano costituiti di poche capanne rettangolari raggruppate e collegate le une alle altre;
quando il villaggio si espandeva, si costruivano abitazioni con più ambienti, e con parti riservate ad
attività artigiane.
Le case erano formate da pareti con uno scheletro in legno, che veniva solitamente ricoperto di
argilla, mentre la base era in pietra, in modo da ridurre l'umidità. I pavimenti erano di argilla
battuta, mentre il tetto era di paglia. Il cuore delle abitazioni era il focolare, realizzato da una base di
argilla sulla quale erano stesi frammenti di ceramiche e ciottoli (in modo che trattenessero il calore,
agendo da isolante); attorno a esso si raggruppava la famiglia. I centri maggiori erano dotati anche
di porti: non solo quelli lungo la costa, ma anche quelli situati lungo fiumi con sufficiente portata
d'acqua. In quest'ultimo caso veniva scavata una rete di canali, consentendo così l'attracco di
barche.[22]
Sempre attorno ai centri più grossi i Paleoveneti iniziarono il disboscamento delle foreste, e si
organizzarono in centri abitati sempre più grossi, soprattutto lungo i fiumi Adige, Brenta e Piave. Le
maggiori città furono Este, Altino, Padova, Montebelluna, Oppeano e Gazzo Veronese.[23]
Le abitazioni sorte in aree montagnose erano differenti rispetto a quelle costruite in pianura o
collina: si trattava di case seminterrate, con fondamenta in pietra ed elevazione in legno, esposte
preferibilmente verso sud, in modo da ricevere la maggior quantità possibile di luce e calore.[22]
Dai reperti archeologici, tra i quali abbondano le rappresentazioni di sacerdoti, capi e notabili, si
può inferire che i Paleoveneti portavano grandi mantelli di lana pesante, che venivano appoggiati
sulle spalle. Sotto il mantello, donne e uomini portavano una tunica di stoffa (più leggera rispetto al
mantello), con maniche che potevano essere lunghe o corte, simili a quelle portate da Romani ed
Etruschi. Nelle donne la tunica era spesso trattenuta da un cinturone (il quale veniva utilizzato
anche dagli uomini e dai ragazzi), da cui, nella parte inferiore, si formavano delle pieghe. In alcuni
casi esse vi sovrapponevano dei grembiuli. Le donne portavano anche, in testa o sulle spalle, uno
scialle (o mantellina), simile a quello utilizzato in Veneto (soprattutto a Venezia e nella fascia
montana) fino al Novecento.[25] I Paleoveneti portavano anche i cappelli, segni di distinzione e
dalla tesa larga e rialzati sui bordi, stivali, utilizzati soprattutto per cavalcare, e calzature a punta.
Dalle immagini pervenuteci si può vedere come era usanza maschile radersi il capo.
Sono arrivati sino ad oggi anche numerosi ornamenti del vestiario, come spilloni, pendagli, fibule,
collane, braccialetti e orecchini, realizzati anche con materiali preziosi come oro, argento, corallo,
ambra e perle.
Armi [modifica]
I guerrieri portavano inizialmente scudi rotondi simili a quelli degli opliti greci, elmi a calotta bassa
e con una cresta, e venivano spesso rappresentati con lance a punta larga. Successivamente si
diffusero grandi spade, scudi di forma ovoidale ed elmi simili a quelli utilizzati dai Galli.
Religione [modifica]
Non vi sono molte notizie scritte circa la religione veneta, ma sono stati ritrovati numerosi luoghi di
culto, necropoli e materiale votivo. I luoghi di culto non erano quasi mai situati in edifici chiusi, ma
i riti si svolgevano solitamente in boschi sacri, in luogo libero da vegetazione e circondato da grandi
alberi.[26] All'interno si svolgevano processioni con canti e danze sacre, e all'interno di piccole
edicole in legno vi erano rappresentazioni sacre. La quantità dei siti fa presumere l'esistenza di una
classe sacerdotale, il cui compito era l'accensione dei fuochi sacri e i sacrifici animali, oltre a quello
di scrivere (la scrittura era un privilegio di pochi).[26]
Nelle necropoli venete si possono distinguere fra i doni modesti dei ceti meno abbienti e quelli dei
più ricchi, i quali venivano depositati insieme alle spoglie come corredo funebre. Il corpo del
defunto veniva cremato e le ceneri erano poste in apposite urne e, durante la sepoltura, si offrivano
alle divinità cibo e bevande (si praticava, dunque, il rito del banchetto funebre).[26] Si è a
conoscenza della presenza del culto degli elementi naturali, e in particolare dell'acqua
medicamentaria (o per lo meno ritenuta tale), mediante la quale le divinità interveniva dando la
guarigione: la cerimonia prevedeva la richiesta di guarigione da parte del malato, una processione e
quindi vi erano le offerte a qualche idolo.[26]
Ad Este è stata rinvenuta una lamina da cui si può ricavare il nome di una divinità: Reitia, dea
guaritrice, della natura, protettrice delle nascite e dea della fertilità.[26] Essa viene rappresentata
con i tipici abiti paleoveneti e con in mano la chiave per aprire la porta dell'aldilà.
Lingua [modifica]
Per approfondire, vedi la voce Lingua venetica.
La lingua dei Paleoveneti, detta dai linguisti lingua venetica o semplicemente lingua veneta, è
documentata da iscrizioni risalenti a un arco di tempo compreso tra il VI e il I secolo a.C. e redatte
prima in un alfabeto etruscoide (dal quale differiva per varie aggiunte, per esempio quella della
vocale /o/), poi in alfabeto latino (entrambi derivati da quello greco).[27] Questa lingua è di
classificazione incerta; tuttavia, condivide numerosi tratti fonetici e morfologici con il latino, tanto
da condurre Giacomo Devoto e diversi altri studiosi a ipotizzare una parentela genetica tra i due
idiomi, giunti in Italia nel corso di uno stesso movimento migratorio di elementi indoeuropei
dall'Europa centrale o centro-orientale.[28]
Cultura [modifica]
Arte [modifica]
La Situla Benvenuti
Peculiaria dei Paleoveneti era la cosiddetta "arte delle situle". Queste situle venivano create tramite
la lavorazione del bronzo in lamine, che venivano modellate e ricongiunte a formare non solo situle,
ma anche più in generale vasi, coperchi, cinture e foderi di pugnali e spade. Le lamine venivano
lavorate a sbalzo, ovvero l’artista batteva la lamina dal rovescio, facendo così sollevare al diritto le
forme volute, creando un bassorilievo.
Con i Veneti si passò per la prima volta[29] dalla raffigurazione geometrica a quella di figure
naturali e umane, come si può vedere nell'importante Situla Benvenuti. Questa situla, della quale
manca la parte inferiore (che terminava in un basso piede svasato), era parte del corredo funebre di
una tomba femminile, scoperta nella necropoli Benvenuti. Essa è il primo e più importante esempio
di situla con raffigurazioni umane. Sono visibili tre fasce in cui sono rappresentate uomini, attività
umane (guerra, gare, commercio) e figure mitologiche.[30]
Gli unici precedenti - soltanto per ciò che riguarda la forma - delle situle venetiche sono manufatti
orientali e centro-europei.[29] Per quanto riguarda, invece, i soggetti raffigurati, l'unico precedente
è il tintinnabulo della Tomba degli ori di Bologna, del VII secolo a.C.[29] Quest'arte nacque
probabilmente in ambito veneto, dove si sviluppò per secoli passando da forme più naturali a forme
più artificiose, in un certo senso "barocche".[29] Gli ultimi esempi ad oggi conosciuti di questa arte
sono le laminette dei donari.
http://www.tg0.it/doc.php?foglio=2&doc=351
Narra la leggenda che, dopo la distruzione della città di Troia, una popolazione
proveniente dall’Asia Minore (e più precisamente, secondo Omero, dalla Paflagonia)
alleata ai Troiani nella famosa guerra abbandonò le proprie terre insieme a un
manipolo di alleati guidati da Antenore, alla volta dell’Occidente. Erano i Veneti che
Omero chiamava ‘Enetoi’. Dopo aver a lungo veleggiato nel Mar Adriatico, questi
uomini e donne pronti a tutto riuscirono finalmente a toccare terra, spingendosi
nell’Italia Nordorientale tra il XIII e il XII secolo a.C. e ricacciando verso i rilievi gli
Euganei, popolazione già preesistente (Livio, Storie 1,1). Il tempo intanto si era
fermato al I millennio a.C., all’incirca nel X a.C. e proseguì inalterato fino a quando i
Veneti non vennero in contatto con i Romani intorno al II a.C. Da qui in poi le loro
sorti avrebbero preso una piega differente. Su di loro ci sono pervenute
numerosissime informazioni sia attraverso gli autori antichi e le scoperte
archeologiche (lapidi, vasi di bronzo, oggetti di artigianato, situle), sia attraverso le
iscrizioni sepolcrali e votive. In particolare da molti scrittori è ricordata dei Veneti la
fama come allevatori di cavalli di razza, mentre le testimonianze epigrafiche ci hanno
restituito la lingua con cui comunicavano, cioè il ‘venetico’.
Quando i Veneti giunsero nella pianura padana orientale si rallegrarono per la meta
raggiunta così fertile, ricca d’acque e dal buon clima. Il territorio veneto allora era per
lo più ricoperto da grandi boschi e da vere e proprie foreste con ogni specie di
selvaggina ma aveva una buona terra da coltivare. Macine, attrezzi agricoli, immagini
con scene di vita campestre incise sulle situle o sulle lamine bronzee testimoniano
innanzitutto una attività agricola vivace supportata dalla conoscenza dell’aratro.
Si coltivavano cereali (frumento, orzo, miglio, farro, avena, segale) e poi fave,
fagioli, piselli e altre tipologie di ortaggi. Dai cereali si ricavavano farine per fare
pagnotte, spesso addolcite dal miele abbondante. Vite e vino fin da allora furono
importanti prodotti tipici cui si affiancava il lino, necessario per i tessuti e l’olio. I
Veneti conoscevano la rotazione delle colture per lasciare a riposo un terreno e
usavano circondare i propri campi con siepi d’alberi.
Oltre ai prodotti della terra, i Veneti si nutrivano anche di caccia e pesca mentre
mangiavano carni del bestiame solo in occasioni solenni: il bestiame (bovini, ovini,
caprini, suini) infatti serviva prima per il latte e la lana, poi per il resto. Dalle pecore
ricavavano lane famose anche fuori i confini del territorio e i cavalli erano
richiestissimi, in primis dai Romani. Le foreste erano piene di cervi, cinghiali, orsi,
lepri, volpi, caprioli, varie specie di volatili e lupi, come testimoniano alcuni reperti
(disco bronzeo del IV-III sec. a.C. e situla del V sec. a.C. al Museo Civico di Treviso,
situla Benvenuti del VII sec. a.C. al Museo d’Este). La pesca invece era praticata nei
fiumi, nei laghi, lungo le coste marittime e nelle lagune dove si catturavano
soprattutto anguille, saporite ma anche utili per farne legacci e corde d’archi. La loro
alimentazione veniva infine completata dalla raccolta di erbe selvatiche e frutti
spontanei.
Oltre a scambiare tra di loro quanto prodotto anche attraverso piccole botteghe, i
Veneti ‘esportavano’ anche all’estero: compravano dalla Germania l’ambra e lo
stagno, necessario per il bronzo; vendevano un po' ovunque i prodotti artigianali, i
tessuti, il vino, i cavalli. Non bisogna infine dimenticare la preziosa arte della
metallurgia che i Veneti ben padroneggiavano attraverso le tecniche a fusione piena,
su “anima” e “a cera persa”. I Veneti, inoltre, erano maestri nella lavorazione su
lamina di bronzo e lavoravano anche il ferro per produrre strumenti di lavoro, utensili
e armi.
In base a tutte queste testimonianze, gli studiosi hanno ipotizzato che la civiltà
paleoveneta (meglio detta dei Veneti Antichi) risiedesse nell’area oggi corrispondente
più o meno al Veneto attuale, anche se tracce della sua presenza sono state riscontrate
in Friuli-Venezia Giulia e in Trentino-Alto Adige. Quello che non si sa invece è in
quale relazione fossero i ‘nostri’ Veneti con popolazioni dallo stesso nome, distribuite
in tutta Europa. Si pensa allora che forse il termine ‘veneti’ avesse un significato più
generico di ‘conquistatori’ e fosse quindi attribuito tranquillamente anche ad altre
etnie. Sull’esistenza dei Veneti Antichi dunque, nonostante molte informazioni
pervenute attraverso fonti letterarie abbiano talvolta un sapore di leggenda, non
sembra vi siano dubbi. Quella che però più comunemente pensano oggi gli studiosi è
che forse più che della migrazione di un popolo intero, si sia trattato dello
spostamento di piccoli gruppi di persone, in momenti differenti del tempo, fusesi poi
con gli abitanti del luogo in una nuova cultura. Certo è comunque che i Veneti Antichi
trovarono nella nostra regione una terra adatta ai loro scopi: dalla zona costiera
dell’alto Adriatico all’estesa pianura a ridosso della quale sorgono i Colli Euganei e
Berici, seguendo i rilievi dei Monti Lessini, dell’Altopiano dei Sette Comuni fino al
Monte Grappa, alle Prealpi Bellunesi e Cadorine, alle Dolomiti e alle Alpi Giulie.
Complici della loro permanenza e del loro progresso anche i grandi fiumi Adige,
Brenta, Piave, Tagliamento e Isonzo, attraverso cui fu più semplice stabilire relazioni
tra le varie aree. I loro centri focali furono Este e Padova, Altino, Treviso, Oderzo,
Montebelluna, Mel, Ceneda, Lagole di Calalzo e Adria.
Un’area vastissima dunque che portò inevitabilmente nel tempo a differenziazioni tra
una zona e l’altra, anche se la civiltà paleoveneta rimase comunque molto omogenea.
Prima di loro, secondo gli studiosi, si era sviluppata la cosiddetta civiltà
‘protovillanoviana’ o ‘protoveneta’ (XII-X a.C.), caratterizzata dalle pratiche
funerarie di incinerazione e da particolari forme decorative sui manufatti in terracotta,
di cui oggi ci è pervenuta notizia dal rodigino (Fratta Polesine), che sembra sia stato
addirittura in diretto contatto commerciale con l’Etruria e i centri micenei greci.
Certo è che con l’arrivo del Veneti Antichi, la vita si spostò dalle colline ai centri in
pianura e si sviluppò nella sua completezza. I Veneti toccarono il massimo della loro
civiltà intorno al VI a.C., strinsero rapporti più solidi con i Celti (IV-III a.C.) che
avevano già iniziato a infiltrarsi nel loro territorio e a influenzarli con la loro cultura.
L’arrivo dei Romani (II a.C. ) infine, con i quali i Veneti in passato avevano già avuto
relazioni e alleanze proficue, portò a un progressivo e pacifico adeguamento ai loro
costumi, fino all’inserimento amministrativo dei centri veneti nella struttura romana
che culminò nel riconoscimento del diritto latino (89 a.C.) e nella piena cittadinanza
romana (49 a.C.).
I Veneti abitavano presumibilmente in specie di capanne, simili ai ‘casoni’ tipici delle
campagne e lagune venete. Di forma quadrangolare e fatti d’argilla, canne e paglia,
avevano un recinto in pietra e pavimenti in terra battuta. I materiali duraturi non
erano ma servivano di certo a proteggere dalle calure estive e dai freddi invernali.
C’erano piccoli vani adibiti a cucina, camera da letto, cantina, talvolta la stalla ma
anche aree per i lavori artigianali, zone sacre e un sottetto a magazzino o fienile
mentre all’esterno talvolta orti o aie o per animali domestici. Le case per lo più erano
riunite in villaggi (“teuta”), collocati vicino a corsi d’acqua o su alture, a scopo
difensivo. Nonostante i ritrovamenti lascino più immaginare che documentare,
sembra che i Veneti si distinguessero per l’abbigliamento sia dai Celti confinanti che
dai Latini. Le classi sociali più elevate portavano un ampio mantello multicolore e
ben intessuto, un grande cappello dalla tesa larga e calzature a punte rialzate. Sotto,
sia uomini che donne, una tunica leggera. Le donne invece portavano uno scialle
pesante che copriva i capelli fin giù sulla schiena (disco bronzeo del IV/III sec. a.C.
di Treviso) e stivaletti a mezza gamba.
Nel loro culto non innalzavano agli dèi templi sontuosi come i Greci e i Romani “ma
si riunivano per le cerimonie sacre in luoghi aperti (santuari) spesso vicino a fonti
d’acqua”, narra il sussidiario della Regione Veneto “Noi Veneti”. Dunque punti di
incontro nei boschi, vicino a porti, luoghi di mercato, arterie stradali ma anche centri
politici e militari per gli abitanti, semplicemente delimitati da muretti a secco, da
cippi di confine o solchi. Solo con l’arrivo dei Romani i santuari più importanti, come
Reitia e Dinosauri a Este, divennero strutture stabili, sulla stregua di quanto già nel
resto di Italia. Venivano adorate divinità della salute, secondo riti collettivi con
sacrifici di animali. Molta diffusa la libagione dove si bevevano e versavano a terra
liquidi in offerta agli dei. Sappiamo poi dalle fonti di un culto all’eroe Diomede, ad
Era Argiva e ad Artemide Etolica (Strabone), che forse è la stessa dea venerata a Este
come Reitia (o Sainate).
Roma non venne ostacolata, quando intorno al III secolo a.C. cominciò a espandersi
verso la Pianura Padana. Romani e Veneti erano uniti allora da un comune interesse
che li portava contro i Galli invasori e l’amicizia si mantenne anche quando Annibale
scese in Italia attraverso le Alpi, nel corso della II guerra punica. Le campagne contro
i popoli che si calavano dal Nord continuarono fino alla famosa battaglia dei Campi
Raudii (101 a.C.) quando il generale Mario sterminò i Cimbri. Venne allora stretto un
patto federativo con gli abitanti di quei territori tra cui i Veneti e costruita una rete
viaria efficiente per favorire i rapporti economici con l’Italia centrale.
Vennero creati i ‘municipia’, città con amministrazione propria, poi bonificate le
campagne e divise in lotti regolari (centuriazione), ancor oggi visibili in molte zone
agricole. Intanto gradualmente e senza bruschi passaggi la lingua venetica cominciò
ad assimilarsi a quella latina, vista anche la notevole somiglianza tra i due idiomi.
Fiorirono le lettere e le arti: il padovano Tito Livio (storico) e il veronese Catullo
(poeta) contribuirono egregiamente alla letteratura latina e divennero espressione
della prosperità della vita culturale e civile dei Veneti.
I Veneti vennero infine inclusi da Augusto nella X Regio Venetia et Histria formata
dai centri di Cremona, Mantua, Brixia, Verona, Atria, Ateste, Patavium, Vicetia,
Tridentium, Acelum, Feltria, Bellunum, Altinum, Tarvisium, Opitergium, Iula
Concordia, Iulium Carnicum, Forum Iulii, Aquileia, Tergeste, Parentium, Nesactium e
Pola.
http://www.istruzionealtivole.it/public/ricerche/ALTIVOLE.PRIMARIA/PALEOVENETI/
http://www.icfermicast.it/paleoveneti/ipaleo.htm
http://www.geocities.com/sandrofaccin/paleoveneti.htm
http://www.graziussi.com/paleoveneti.html
http://www.vivereilgrappa.it/index.php?option=com_content&view=article&id=68&Itemid=71