Dalla fenomenologia all`esistenzialismo

Dalla fenomenologia all'esistenzialismo
La crisi delle scienze dei primi decenni del Novecento e l'esperienza drammatica dei conflitti mondiali,
contribuiscono alla nascita di due delle principali correnti filosofiche del XX secolo: la fenomenologia
(rappresentata soprattutto da Husserl) e l'esistenzialismo (rappresentata soprattutto da Heidegger).
La fenomenologia persegue il progetto di un ritorno al concreto “mondo della vita”, superando la riduzione
operata dalla scienze della realtà a insieme di fatti e oggetti fisico-matematici. L'esistenzialismo, ricollegandosi a
Kierkegaard e alla sua dottrina del singolo, si propone di indagare la realtà effettiva dell'uomo nel suo concreto
essere nel mondo.
Husserl (1859-1938)
Cenni biografici
Husserl è nato nel 1859 a Prossnitz (attuale Repubblica Ceca). Si laurea in matematica e poi, dopo la
conoscenza di Franz Brentano e delle sue ricerche sull'origine psichica dei processi logici, si orienta verso gli
studi filosofici. Diventa docente universitario a Friburgo, dove conosce Heidegger, che sarà suo assistente e
amico fino all'avvento del nazismo. Husserl in questi anni dà vita al movimento fenomenologico, che avrà una
grande influenza non solo sugli studi filosofici, ma in molti campi del sapere, come la psicologia, l'etica, la
religione, ecc. Con l'avvento di Hitler al potere, Husserl viene costretto ad abbandonare l'incarico in quanto
ebreo. Muore nel 1938.
Opere: Ricerche logiche (1900-1901); La filosofia come scienza rigorosa(1910); Idee per una fenomenologia
pura e una filosofia fenomenologica (1913); Meditazioni cartesiane (1931); La crisi delle scienze europee e la
fenomenologia trascendentale (1954).
Il problema del valore della scienza per l'esistenza umana
La crisi delle scienze europee di cui parla Husserl non riguarda gli esiti pratici, ma la loro capacità di rispondere
alle questioni più profonde sul senso dell'esistenza umana. La conoscenza scientifica considera il mondo come
“cosa”, ciò discende dall'impostazione galileiana, il quale ha dato un'interpretazione generale della natura in
chiave matematica e ha determinato, poi, la spaccatura tra fisico e psichico e ha causato la sovrapposizione di
un mondo di idealità astratte alla realtà concreta dell'esperienza vissuta. Alla fenomenologia, Husserl,
attribuisce il compito di riscoprire il senso perduto delle cose in rapporto alla soggettività.
L'epoché fenomenologica
Il metodo fenomenologico consiste nell'osservare i fenomeni così come si danno alla coscienza. Per farlo è
necessario sospendere il giudizio (epoché) sul mondo così come abitualmente lo conosciamo. Husserl intende
sospendere, mettere tra parentesi, le certezze della scienza e l'atteggiamento naturalistico dell'uomo, che
considera il mondo come una realtà già data e precostituita. Ciò che rimane dopo l'epoché, una volta messo
tra parentesi il mondo, è la coscienza, che come tale è detta residuo fenomenologico, ciò che non può essere
mai messo tra parentesi, in quanto è essa stessa a porre le parentesi. A questo punto, il mondo diventa un puro
fenomeno di coscienza, senza tuttavia annullarsi, anzi rimanendo presente sullo sfondo di qualsiasi indagine.
Ma che cos'è questa coscienza che non può essere messa tra parentesi? Essa è relazione, connessione
inscindibile tra soggetto e oggetto. La coscienza è un insieme di atti che si rivolgono all'oggetto, il quale, a sua
volta, si rivela progressivamente mostrando i suoi diversi livelli di significato. Husserl definisce “intenzionalità”
tale caratteristica generale della coscienza, ovvero il fatto che essa non è mai statica, chiusa in se stessa, ma
sempre “coscienza di qualche cosa”, attività volta verso un oggetto. La coscienza è intenzionalità, essa è una
corrente di esperienze vissute in cui si ha sempre una correlazione tra una polarità soggettiva, chiamata noesi,
cioè gli atti di coscienza (il pensare, l'immaginare, il desiderare, …) e una polarità oggettiva, definita noema,
cioè le varie modalità di apparizione delle cose in relazione agli atti intenzionali del soggetto (il percepito,
l'immaginato, il desiderato, …). La fenomenologia è scienza descrittiva di tali vissuti intenzionali.
L'intenzionalità è la natura stessa della coscienza: la coscienza è intenzionalità, nel senso che ogni sua
manifestazione (ogni pensiero, ogni fantasia, ogni emozione, ogni volizione, ecc.) si riferisce a qualcosa di
diverso da sé, cioè a un oggetto pensato, fantasticato, sentito, voluto, ecc. La coscienza è sempre coscienza di
qualcosa (ogni cogito ha sempre il proprio cogitatum), l'analisi della coscienza è l'analisi degli atti con cui la
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coscienza si rapporta ai propri oggetti, o, il che è lo stesso, dei modi in cui questi oggetti si danno alla
coscienza. Gli atti della coscienza, ovvero i modi di “datità” degli oggetti di coscienza, costituiscono
l'intenzionalità della coscienza.
L'oggetto è ob-iectum, una realtà che trascende la coscienza stessa, alla quale si annuncia e si presenta
attraverso le “esperienze vissute” (prima di conoscere un oggetto, lo viviamo, attraverso una concreta
esperienza vissuta).
Abbiamo detto che nelle esperienze vissute bisogna distinguere la direzione verso l'oggetto (il percepire, il
ricordare, l'immaginare, ecc.) che è detta “noesi” e l'oggetto considerato dalla riflessione nei suoi vari modi di
essere (il percepito, il ricordato, l'immaginato), che è detto “noema”. La noesi è l'insieme degli atti di coscienza.
Il noema è l'elemento oggettivo dell'esperienza vissuta in quanto si costituisce nella coscienza, ma non è
l'oggetto stesso. L'oggetto della percezione è, ad esempio, l'albero, ma il noema di questa percezione è il
complesso dei suoi modi d'essere nell'esperienza soggettiva: l'albero verde, l'albero illuminato, l'albero
percepito, ricordato, ecc. L'oggetto costituisce così un polo intorno a cui vengono a orientarsi e a raggrupparsi i
noemi dell'esperienza vissuta, e per quanto vari e diversi tali noemi possano essere, il polo-oggetto rimane
unico.
Ad esempio, prendiamo il castello di Berlino, se lo consideriamo come una cosa, esso è un edificio bello e
imponente, che è lì, fuori di noi. Ma se mettiamo in atto l'epoché fenomenologica, esso cessa di essere
semplicemente un dato, un oggetto precostituito e diventa una parte del mio “stato d'animo”, ovvero qualcosa
che apprezzo, desidero visitare: questi sono i miei autentici e originari vissuti. Il castello prima è percepito, ma
poi è anche fantasticato, rappresentato in immagini, giudicato, ammirato, desiderato. L'oggetto resta pur
sempre lì, ma no è la sua nuda “oggettività” che ha significato per me. Il castello ha senso per me in quanto
contenuto della mia esperienza vissuta, noema (ossia oggetto mentale percepito, immaginato, apprezzato,
desiderato, …), correlato alla mia noesi (l'atto intenzionale del percepire, immaginare, gioire, desiderare, …). In
ogni noema c'è sempre il medesimo castello, il quale però mi si presenta da diversi punti di vista, che ne
lasciano vedere scorci differenti.
Heidegger (1889-1967)
Cenni biografici
Martin Heidegger nasce nel 1889 a Messkirch, nel Baden, e si diploma presso il liceo di Friburgo (1909). Inizia il
noviziato per entrare nella Compagnia di Gesù, ma vi rinuncia, intraprendendo, prima, studi teologici presso
l'Università di Friburgo, poi dedicandosi alla filosofia e ottenendo il dottorato presso la Facoltà di filosofia
dell'Università di Friburgo (1913). Nel 1919 diventa assistente di Husserl e poi professore all'Università di
Marburgo (1923-1928, tiene corsi su Platone, Hegel, Cartesio e sull'ontologia medievale).
Nel 1927 scrive la sua più celebre opera, Essere e tempo. Fra i suoi allievi figurano noti filosofi come Hans Georg
Gadamer e Hanna Arendt (con la quale avrà anche una contrastata relazione sentimentale).
Nel 1933 aderì al Partito nazionalsocialista e fu nominato rettore dell'Università di Friburgo. Nel 1934 lasciò la
carica di rettore prima della scadenza, rifiutandosi di estromettere due colleghi contrari al regime.
Nel 1936 Heidegger matura una svolta nel suo pensiero che segna l'abbandono delle tematiche
esistenzialistiche, in favore di quelle ontologiche. Uno dei primi documenti che testimoniano la svolta è lo
scritto del 1947 Lettera sull'umanesimo.
Nel 1946 la potenza occupante francese impedì ad Heidegger di proseguire la sua attività di insegnamento,
che poté riprendere solo nel semestre 1950-51.
Fra le opere di questo periodo ricordiamo: Sentieri interrotti (1950), Introduzione alla metafisica (1953), Che
cosa significa pensare? (1954), In cammino verso il linguaggio (1959), Nietzsche (1961), Segnavia (1967). Nel
1955 abbandonò definitivamente l'insegnamento. Morì a Friburgo nel 1967 e venne sepolto a Messkirch.
L'interrogativo sull'essere
In Essere e tempo, Heidegger dichiara di volersi occupare della questione dell'essere, ma a partire dall'uomo.
Come diceva Aristotele, il problema della filosofia è chiarire che cos'è l'essere, tuttavia una sua definizione è
impossibile, perché qualsiasi definizione presuppone già l'essere. Ad esempio se mi chiedo “che cosa è un
animale?”, posso rispondere definendo un animale come un organismo sensibile in grado di muoversi
spontaneamente; tuttavia, se mi chiedo che cosa è l'essere, dovrei iniziare la mia definizione con il dire “l'essere
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è ...”, ma con l'utilizzo di quella “è” impiego proprio ciò che dovrei spiegare. Tutto ciò mostra come non sia
possibile indagare l'essere come se si trattasse di un qualsiasi oggetto o ente. Sebbene la domanda sull'essere
non conduce ad una precisa definizione, tuttavia può comunque portare ad una chiarificazione del suo senso e
l'unico modo per farlo è di partire dall'interrogazione di quell'ente particolare che, solo, si pone la domanda
sull'essere medesimo. Tale ente è l'uomo, unico ente del mondo che si fa domande del tipo: “che cos'è
l'essere?”, “perché esiste l'essere e non il nulla?”, “qual è il senso della mia esistenza?”.
Il concetto dell'<<esserci>> come possibilità
Heidegger concentra la sua analisi sull'uomo e sulla sua esistenza.
La prima caratteristica fondamentale dell'uomo è di essere Da-sein.
L'uomo è definito da Heidegger come Da-sein, ovvero esser-ci (essere qui), indicando con ciò il fatto che l'uomo
è sempre “gettato” in una determinata situazione (questa è la modalità fondamentale della sua esistenza). Egli,
infatti, nasce con particolari caratteristiche ed esiste in un particolare contesto storico-sociale che in parte lo
determina. Tuttavia, l'uomo, come già aveva sottolineato Kierkegaard, ha anche la capacità di trascendere la
contingenza. L'uomo è condizionato dalla situazione, ma allo stesso tempo, è anche “poter-essere”,
possibilità, qualcosa che non è mai dato in modo definitivo, ma “a cui nel suo essere ne va del sue essere
stesso”; ciò significa che egli ha la responsabilità del suo essere. L'uomo non si accontenta della sua condizione
di “gettatezza”, ma si protende in avanti, pro-gettandosi in modo continuamente rinnovato. Mentre l'esistere
delle cose è meccanico e automatico, l'esistenza dell'uomo non è fissa, immobile, predeterminata, ma è
possibilità e libertà.
La seconda caratteristica fondamentale dell'esistenza dell'uomo è il suo “essere-nel-mondo”.
La seconda caratteristica fondamentale dell'esistenza dell'uomo è il suo “essere-nel-mondo”, ovvero
connessione concreta tra soggetto e oggetto (Cfr. Husserl). L'uomo è costitutivamente aperto a un mondo di
cose e di uomini da cui non può prescindere. Le cose originariamente si danno all'uomo come “utilizzabili”,
nel senso che si offrono come strumenti, oggetti dotati di una certa funzione in riferimento alla vita dell'uomo,
ai suoi scopi, ai suoi progetti. Il mondo è quindi apertura al soggetto e assume significato in funzione di questo
rapporto.
La comprensione
I modi d'essere fondamentali dell'esserci (cioè dell'uomo) in rapporto al mondo sono la comprensione e la
cura. Analizziamo il primo di questi modi.
Ogni cosa è in relazione inscindibile con le altre, ogni cosa “rimanda” alle altre. Ad esempio, il chiodo rinvia al
martello con cui lo percuoto, al ferro dal quale è stato ricavato, al legno in cui lo pianto in vista della costruzione
dell'oggetto che ho in mente. Ciò che viene dato originariamente all'uomo nella sua apertura al mondo,
dunque, non sono singoli oggetti utilizzabili, ma la globalità delle loro relazioni entro cui l'uomo coglie il
significato di ciascuno e se ne appropria nel suo progetto esistenziale. Il mondo è una totalità strumentale.
Ma l'esserci non è solo colui per il quale le cose sono strumenti da adoperare, ma anche colui che sa
interpretarle. In virtù della sua relazione con il mondo, l'uomo non si pone come una tabula rasa, bensì dotato
di pre-giudizi, pre-nozioni sulla cui base gli oggetti gli si presentano. È in tale orizzonte di “precomprensione”
che le cose assumono un valore e un significato. Si tratta di un processo di “interpretazione”, che il filosofo
descrive come un “circolo ermeneutico”, riferendosi al fatto che ogni significato particolare (ogni ente) viene
colto alla luce di un contesto più ampio (la totalità strumentale “pre-compresa”), che orienta la scoperta degli
oggetti, ma che, nello stesso tempo, ne risulta a sua volta plasmato e modificato. Ad esempio, non possiamo
capire il significato di un libro se non abbiamo una pre-comprensione del valore dei libri come documenti scritti,
se non ne conosciamo la lingua, il contesto generale in cui si può collocare, ecc; a sua volta, ogni singola parola
letta contribuirà a modificare e a chiarire l'orizzonte in cui si è manifestata e ad ampliare il bagaglio di nozioni
attraverso cui potremo compiere nuove interpretazioni. La conoscenza non è il risultato di astrazioni logiche di
fronte a un mondo meccanicamente determinato, ma si configura come “interpretazione”, articolazione
sempre più ricca, da parte del soggetto, delle sue pre-comprensioni originarie.
La cura
L'uomo si trova gettato presso le cose e presso gli altri come un essere concreto, un soggetto anche
emotivamente qualificato, che esplica le proprie possibilità subordinando le cose ai suoi bisogni e ai suoi scopi
pratici. L'esistenza umana si caratterizza come un “prendersi cura” delle cose e degli altri, dove l'espressione
cura indica non solo l'intenzionalità del soggetto – il fatto che egli è rivolto al mondo e agli oggetti – ma anche la
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sua temporalità, ossia il suo “essere di là da venire”, il suo coincidere con un progetto in cui le cose assumono
significato. Tale progettualità costitutiva dell'uomo può realizzarsi in due modi differenti, autentico o
inautentico: il primo implica l'assunzione consapevole e responsabile delle proprie possibilità; il secondo
comporta un decadimento dell'uomo al modo di essere delle cose, cioè una sua rinuncia alla scelta e alla
libertà.
L'esistenza inautentica coincide con l'adesione acritica e spontanea a un certo mondo storico-sociale,
all'opinione accettata da tutti, alla modalità comune di intendere le cose e di rapportarsi a esse. L'uomo si apre
al mondo assumendo su esso la prospettiva dell'ambiente in cui gli è capitato di nascere ed è per questo che
considera gli enti nel loro valore di utilizzabili per scopi pratici prefissati e predeterminati. È questo il modo in
cui al bambino vengono insegnati i nomi degli oggetti e il loro uso, porgendogli le cose e mostrandogli come
utilizzarle in relazione alle altre. Il mondo allora gli appare come un insieme di significati già costituiti, di segni
e di strumenti disponibili per i suoi progetti pratici (una visione trasmessa da altri).
In questa dimensione di adesione alla mentalità pubblica, l'uomo non si sceglie, ma vive passivamente; il
progetto che egli è non è propriamente deciso da lui, ma è conseguenza dell'apertura storica in cui si trova
“gettato” e confinato. Heidegger parla a questo proposito di “deiezione” del soggetto, nel senso di “caduta”
dell'esserci nella banalità del quotidiano.
Tale situazione si esprime nel linguaggio attraverso l'uso ricorrente del “si” (“si dice”, “si pensa”, “si fa”...) e la
riduzione del discorso a chiacchiera, alla passiva accettazione di quanto viene detto.
Il passaggio all'esistenza autentica
Come è possibile accedere all'esistenza autentica? Secondo Heidegger, sulla scia di Kierkegaard, ciò è possibile
sperimentando un particolare modo di sentire: l'angoscia. L'angoscia si distingue dalla paura, che è sempre
timore determinato; essa rappresenta il sentimento che scaturisce di fronte alla nullità del mondo, “alla
possibile impossibilità di tutte le possibilità dell'uomo”. L'esserci è “progetto gettato”, si trova a esistere, a
esser-ci, senza averlo deciso. Pur essendo “fondamento” di se stesso e del mondo, egli è “assenza di
fondamento”, un progetto che poggia su una nullità. L'angoscia rivela all'uomo questo nulla su cui si fonda il
mondo e la sua stessa esistenza e dunque, gli rivela la sua costitutiva finitezza, mettendolo in relazione con la
temporalità e la morte.
Gli uomini rifuggono dal pensiero della propria morte, ma essa non è intesa da Heidegger in senso negativo,
come fine della vita, ma come la prospettiva che può conferire senso alla vita stessa, in quanto sottrae l'uomo
alla dimensione inautentica del “sì”, alle possibilità illusorie della quotidianità spesa in attività vane e futili, e
lo pone di fronte a una piena assunzione di responsabilità nei confronti di se stesso e della propria esistenza.
Solo l' “anticipazione della morte” e il riconoscimento di se stesso come “essere-per-la-morte”, cioè essere
limitato, possono evitare all'uomo di disperdersi nel vuoto dell'esistenza “deietta”. Vivere autenticamente,
vivere per la morte, significa condurre la propria esistenza nella piena coscienza che il nostro orizzonte di vita
è limitato e che dunque le scelte che compiamo hanno il valore dell'irreversibilità, dell'aut-aut, che impone
una presa di posizione radicale.
L'anticipazione della morte, mentre svela all'uomo il nulla del mondo e dell'esserci, gli permette
contemporaneamente di far ritorno a se stesso.
La nozione di temporalità
Vivere nel tempo è per l'uomo essenziale: ogni suo atto cade nel tempo. Le stesse strutture fondamentali
dell'esserci hanno una dimensione temporale: la comprensione e la cura rinviano al futuro come condizione di
progettualità; la deiezione (l'esser ridotto a cosa tra le cose nella modalità inautentica dell'esistenza) confinano
l'uomo nel presente anonimo e alienato della temporalità quotidiana; la situazione affettiva (nella forma
dell'angoscia e della paura) rivelano all'esserci il legame con il passato, con la condizione di in-fondatezza e di
gettatezza che gli è propria e che rappresenta il suo limite.
Da-sein significa essere gettato nel presente, essere-qui.
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