annamaria anselmo edgar morin dalla sociologia all`epistemologia

annuncio pubblicitario
ANNAMARIA ANSELMO
EDGAR MORIN
DALLA SOCIOLOGIA ALL'EPISTEMOLOGIA
INTRODUZIONE
L’esigenza di “guardare al mondo” dal nuovo punto di vista della
complessità si manifesta ormai a diversi livelli e viene espressa
esplicitamente dai più autorevoli pensatori del nostro tempo. Si afferma con
convinzione, per esempio, “che la concezione del mondo implicita nella
fisica moderna sia incompatibile con la nostra attuale società, la quale non
riflette l’armonioso interrelarsi delle cose che osserviamo in natura. Per
raggiungere un tale stato di equilibrio dinamico sarà necessaria una
struttura economica e sociale radicalmente differente, una rivoluzione
culturale nel vero senso della parola. La sopravvivenza della nostra intera
civiltà può dipendere dalla nostra capacità di effettuare un simile
cambiamento”1.
Con queste considerazioni Fritjof Capra conclude Il tao della fisica, una
delle sue prime opere dedicate a favorire l’emergenza di un’importante
presa di coscienza. L’obiettivo di Capra è infatti quello di mettere in
evidenza che fra le maggiori cause della grave crisi che investe oggi la
società c’è “proprio il nostro tentativo di applicare i concetti di una visione
del mondo ormai superata - la visione del mondo meccanicista della
scienza cartesiano-newtoniana - ad una realtà che non può essere intesa in
funzione di tali concetti”2.
A sua volta, Ilya Prigogine, in base alle sue ricerche che hanno rilevato
nella physis la presenza delle “strutture dissipative”, (ovvero di strutture in
cui paradossalmente la dissipazione dell’energia e della materia diventa
fonte di ordine; strutture pertanto in cui ordine e disordine non solo non si
escludono, ma risultano complementari), ha messo in luce l’importanza
dell’instabilità, del caos, dell’aleatorio ad ogni livello di osservazione e
soprattutto il significato da essi assunto all’interno della nostra tradizione
filosofica. “La recente metamorfosi della scienza che vogliamo descrivere
– ha affermato - ci dà un’opportunità unica di riconsiderare il problema
della situazione della scienza nel quadro della cultura in generale”.
1
2
F. Capra, Il tao della fisica, trad. di G. Salio, Adelphi, Milano 1998, p. 356.
F. Capra, Il punto di svolta, trad. di L. Sosio, Feltrinelli, Milano 1996, pp. 15-16.
Insomma, a lui “sembra che la scienza sia arrivata a formulare un
messaggio più universale, un messaggio che parla dell’interazione tra
l’uomo e la natura, come pure tra uomo e uomo”3.
Questa tendenza ad estendere alle diverse sfere del reale il paradigma
riduzionista-semplificante-meccanicista proprio della scienza classica è
stata aspramente criticata anche da Henry Atlan, il quale ha ribadito “il
rifiuto di una teoria unitaria che abbracci i diversi domini delle nostre
esperienze e riduca gli uni agli altri i modi del pensiero specifici che vi si
sono adattati : il mondo della materia in cui applichiamo senza fatica le
leggi della fisica e della chimica; quello del vivente dove queste leggi si
applicano ancora [...]; infine quello della nostra vita interiore, dei nostri
rapporti sociali e del rapporto etico nella loro articolazione. In questo caso
ogni estensione di tali leggi è sempre marcata dal sospetto di analogie
abusive, alcune delle quali hanno preparato il terreno ad alcune ideologie
totalitarie del nostro secolo”4.
In maniera più espressamente programmatica, “porre le basi per la prima
rigorosa alternativa al tipo di pensiero lineare e riduzionistico che ha
dominato la scienza sin dai tempi di Newton e che ha ormai raggiunto i
suoi limiti di fronte ai problemi della società contemporanea”5 è l’obiettivo
che si prefiggono anche i ricercatori dell’Istituto di Santa Fe, un
“pensatoio” fondato nel 1984 in risposta all’esigenza sempre più crescente
di cogliere la natura e l’uomo nella loro “complessità”.
Gli esempi e le citazioni che potrei portare, per delineare la cornice
concettuale all’interno della quale si muove l’esigenza della complessità,
sono molteplici; ne ho scelto naturalmente soltanto alcuni, quelli che mi
sono sembrati più emblematici soprattutto perché tratti da opere di fisici,
chimici, biologi “uomini di scienza” insomma, di quella stessa scienza di
cui essi stessi criticano il metodo. Proprio nell’indagine della physis, infatti,
il metodo meccanicista-riduzionista che isola e separa ha manifestato molte
insufficienze, le quali sono diventate gravissime nel momento in cui si è
concretizzata la pretesa di estendere tale metodo a fenomeni appartenenti
ad ambiti ancora più complessi del reale, come la sfera antropo-sociale, nel
cui ambito, com'è noto, la sociologia è nata sotto il nome di “fisica sociale”
con il chiaro intento di studiare la società come un fenomeno naturale,
sottoponendolo quindi alle leggi della fisica classica 6.
Il paradosso che viene messo in evidenza nei brani qui riportati riguarda
proprio l’applicazione del paradigma della semplicità (che riduce tutto a
meccanismi lineari, regolati da leggi immutabili, universali e necessarie,
esorcizzando il caso, l’evento, l’aleatorio) alle discipline riguardanti quanto
3
I. Prigogine - I. Stengers, La nuova alleanza, a cura di P. D. Napolitani, Einaudi, Torino 1993, p.9.
H. Atlan, Tra il cristallo ed il fumo, trad. di R. Coltellacci e R. Corona, Hopeful Monster, Firenze
1986, p. 9.
5
M. M. Waldrop, Complessità, trad. di L. Sosio, Instar Libri, Torino 1996, p. 9.
6
Cfr. A. Anselmo, Filosofia e sociologia, in AA.VV., La filosofa e gli altri saperi, a cura di A.
Anselmo, Armando Siciliano, Messina 2005, pp. 99-126.
4
vi è di più complesso, come le vicende umane. E si noti che tale paradigma,
in seguito alle scoperte del XIX e XX secolo, è risultato insufficiente
anche per il mondo delle scienze della natura. Da qui l’assoluta esigenza di
una “nuova razionalità che non identifichi più scienza e certezza”7 e non
pretenda di descrivere la realtà riducendola ad un sistema coerente di idee,
con una conseguente mutilazione dell’innegabile complessità.
In questo contesto, il mio intento è quello di affrontare tale problematica
seguendo il “processo di formazione” di Edgar Morin, uno studioso che,
contrariamente agli autori dei brani riportati in apertura, non è uno
scienziato, ma un “indagatore del sociale” il quale, in un determinato
momento della sua evoluzione concettuale, ha preso coscienza di quanto
pericoloso possa essere il fatto che le scienze dell’uomo tendano ad
ordinarsi intorno a leggi e modelli mutuati dagli schemi meccanicistici e
causalistici propri della fisica classica.
Il percorso da lui seguito è alquanto originale. Egli infatti, in seguito alle
sue indagini socio-antropologiche ha sentito l’esigenza di riflettere anche
sulle condizioni della ricerca scientifica. Così, muovendo dalla sociologia,
si è accostato alla fisico-chimica, alla biologia, alle teorie cibernetiche ed
alle teorie dei sistemi. Ha iniziato ad animare collaborazioni
multidisciplinari per mettere in relazione reciproca ed attiva l’ambiente, i
sistemi genetici, il cervello, la cultura, la società8.
Il suo principale obiettivo è diventato quello di innestare una
“riconversione ecologica” delle scienze umane che permetta un’adeguata
articolazione di queste ultime con le scienze della natura e non una
sottomissione ad esse, dalle quali purtroppo ancora oggi, come Morin
sottolinea ripetutamente, si continua a mutuare il metodo, con conseguenze
disastrose a livello planetario.
In un’epoca in cui non si riesce a spiegare il perché, di pari passo alle
nostre straordinarie scoperte e conoscenze, continuino a progredire “cecità
e barbarie”, Edgar Morin, andando contro corrente, non propone una teoriasoluzione, con la pretesa di dissipare i dubbi e le oscurità, ma ci invita a
seguirlo in un cammino, dalla Sociologia all’Epistemologia, la cui
principale caratteristica è quella di non essere predeterminato, bensì tutto
da costruire strategicamente, in funzione degli imprevisti e degli eventi che,
non bisogna dimenticarlo, sono il tessuto connettivo dei fenomeni del reale;
fenomeni tutt’altro che semplici, ovvi e meccanici e pertanto tutt’altro che
prevedibili.
Ritengo opportuno giustificare qui, preliminarmente, la necessità di
raccogliere la sfida che la realtà ci lancia, e cioè che la si affronti nella sua
molteplicità, utilizzando direttamente alcune delle spressioni con le quali
Morin ci introduce al pensiero complesso : “Io vorrei dimostrare che tali
7
I. Prigogine, La crisi delle certezze, trad. di L. Sosio, Bollati Boringhieri, Torino 1997, p. 16.
Su ciò rinvio a A. Anselmo, Edgar Morin e gli scienziati contemporanei, Rubbettino, Soveria
Mannelli 2005.
8
errori, ignoranze, cecità, pericoli hanno un carattere comune che risulta da
un modo mutilante di organizzazione della conoscenza, incapace di
riconoscere e di afferrare la complessità del reale”. La logica della
complessità non è certo “una ricetta per conoscere l’imprevisto. Ma ci
rende prudenti, attenti, non ci consente di addormentarci nell’apparente
meccanicità e nell’apparente ovvietà dei determinismi”. Inoltre, “il
pensiero complesso non rifiuta affatto la chiarezza, l’ordine, il
determinismo. Sa semplicemente che sono insufficienti, sa che non si può
programmare la scoperta, la conoscenza, né l’azione. La complessità
necessita di una strategia”. Essa “si impone non appena sopraggiunge
l’imprevisto, l’incerto, ovvero non appena appare un problema importante”.
D’altra parte, “il pensiero complesso in sé non risolve problemi, ma
costituisce un contributo alla strategia che li può risolvere”. In realtà,
allora, “quello che il pensiero complesso può fare è fornire a ciascuno un
promemoria, un appunto : ‘Non dimenticare che la realtà è cangiante, non
dimenticare che può sempre presentarsi qualcosa di nuovo, che in ogni
modo qualcosa di nuovo si presenterà’. La complessità si pone come punto
di partenza per un’azione più ricca meno mutilante. Io credo
profondamente che, quanto meno un pensiero sarà mutilante, tanto meno
mutilerà gli esseri umani. È necessario ricordare le devastazioni compiute
dalle prospettive semplificanti, non solo nel mondo intellettuale, ma nella
vita. Molte sofferenze che gravano su milioni di persone risultano dagli
effetti del pensiero parcellare ed unidimensionale”9.
Convinta che queste esortazioni di Morin debbano essere tenute
nella massima considerazione, ho cercato di seguire i percorsi culturali e gli
intrecci interdisciplinari attraverso i quali egli li ha sperimentati e
argomentati, ampliando in maniera davvero imprevedibile la sua iniziale
esigenza di sociologo.
9
E. Morin, Introduzione al pensiero complesso, trad. di M. Corbani, Sperling & Kupfer, Milano 1993,
pp. 83-84.
Scarica