FRIEDRICH WILHELM NIETZSCHE
Röcken (Lùtzen-Sassonia), 15 ottobre 1844 – Weimar (Turingia), 25 agosto 1900
BIOGRAFIA: elementi da tener presenti:
- infanzia
- insegnamento a Basilea
- amicizie importanti: Schopenhauer, Wagner, Overbeck, Lou Salomé
- malattia
- soggiorni in Svizzera, Italia e Francia
aggravarsi della malattia e morte
N. si colloca fuori dai principali movimenti filosofici della sua epoca, quali il romanticismo e il positivismo,
anche se nella sua opera si possono riscontrare elementi romantici. Egli sostiene di non essere un uomo, ma
una dinamite, poichè si sentiva come il distruttore di tutto ciò che è razionale e di tutti i valori. Quella di N, va
considerata una filosofia della crisi poichè, con la distruzione di tutti i valori egli vuole giungere ad un mondo
senza trascendenza; egli infatti nei suoi scritti critica soprattutto Platone, che ha introdotto l'idea di
trascendente.
FASI E PERIODI DEL FILOSOFARE DI NIETZSCHE
L’opera di N. rappresenta un PENSIERO IN DIVENIRE, tuttavia, si è soliti individuare nel suo lavoro alcune tappe
che, quindi, vanno lette come FASI TRANSITORIE e non come rigide scansioni.
1. Scritti giovanili del periodo wagneriano-schopenhaueriano - fase giovanile - coincide con gli anni
dell’insegnamento a Basilea. È caratterizzata dalla lettura di Schopenhauer e dall’amicizia con Wagner.
N. da’ la sua “risposta” al pessimismo di Schopenhauer: un atteggiamento di entusiastica accettazione
dell’essere nella globalità dei suoi aspetti. La nascita della tragedia.
2. Scritti intermedi del periodo “illuministico” o “geneologico” - fase intermedia - filosofia del mattino. É
caratterizzata dal distacco da Wagner e Schopenhauer e dall’assunzione di un’attitudine scettica e
relativistica, dall’atteggiamento di accettazione e affermazione disincantata della vita. Umano, troppo
umano - La gaia scienza
3. Scritti del meriggio o di Zarathustra (fase di Zarathustra - filosofia del meriggio); Così parlò
Zarathustra. Zarathustra rappresenta il “grande meriggio” della riflessione di N.: egli annuncia alla folla
gli insegnamenti fondamentali per un’umanità nuova.
4. Scritti del tramonto o degli ultimi anni (fase finale o filosofia del martello); Al di là del bene e del male;
Il crepuscolo degli idoli; L’Anticristo; Ecce homo. Violentissimo atto d’accusa di N. contro le peggiori
“menzogne dell’occidente”: la morale e il Cristianesimo; per N. occorre distruggere ciò che resta della
civiltà occidentale e porre le basi di una nuova umanità.
IL PERIODO GIOVANILE
A. NIETZSCHE: “MAESTRO DEL SOSPETTO”
Anche N., come Marx, è considerato “maestro del sospetto”, per la sua radicale critica alla cultura e alla storia
occidentale. N. critica la PRETESA DI VALIDITÀ DELLA RAGIONE e della RICERCA DEL FONDAMENTO, pretesa
assolutistica, attribuita alla ragione, dalla civiltà occidentale.⇒MENZOGNE VITALI.
La RAGIONE è solo un’esigenza vitale necessaria per vincere il sentimento della paura esistenziale, un mezzo
per dare sicurezza ad un uomo debole e malato. ⇒VOLONTÀ DI VERITÀ
È necessario uno SMASCHERAMENTO (Gianni Vattimo, 1936) per dimostrare che ciò che viene considerato
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originario è in realtà solo un PRODOTTO. Smascherare allora significa prendere congedo dai fondamentali
prodotti della razionalità cioè METAFISICA, MORALE e RELIGIONE che per N. sono solo “prodotti della paura”;
esse non sono espressioni originarie dell’uomo, ma appunto prodotti derivati di un uomo malato, impaurito,
quale quello occidentale. Lo smascheramento non può essere solo annunciato: se sono contestati tutti i
prodotti della civiltà occidentale, la CONTESTAZIONE non può essere un’altra teoria, ma un ATTO PRATICO. Esso
è rappresentato dall’uscita dalla teoria e l’INGRESSO NELLA VITA, NELLA FORZA, NELLA POTENZA luoghi originari
dell’essere umano.
A. 1. MENZOGNE MILLENARIE.
Lo stesso N. presenta il proprio filosofare come «una scuola di sospetto» critica e demistificatrice. La tesi
sostenuta da N. indica LA «DEBOLEZZA» COME RISULTATO, DIRETTAMENTE PROPORZIONALE, ALL’ANSIA DI
«CERTEZZA», OSSIA ALLA VOLONTÀ DI VERITÀ. In altri termini, secondo N., gli uomini, per poter sopportare
l’impatto con il caos e l’irrazionalità del mondo, hanno costruito una serie di «certezze» (metafisiche,
religiose, morali ecc.), che, ad uno sguardo profondo, si rivelano soltanto come delle necessità di
sopravvivenza, ovvero come delle «menzogne vitali». Esse, per N., hanno solo un’utilità empirica. Ad es. la
metafisica «si può definire come la scienza che tratta degli errori fondamentali dell’uomo, però come se
fossero verità fondamentali». Analogamente, ogni religione «è nata dalla paura e dal bisogno e si è insinuata
nell’esistenza fondandosi su errori della ragione» (Umano, troppo umano). La ragione tranquillizza, la religione
da’ sicurezza, la morale (i valori) non ha alcun fondamento, l’uomo agisce solo spinto dall’istinto di
conservazione e di piacere.
Il rifiuto di queste menzogne, che il filosofo ha il compito di mettere a nudo, rappresenta il banco di prova del
passaggio dall’uomo all’oltreuomo: «Quanta verità può sopportare, quanta verità può osare un uomo? Questa
è diventata la mia vera unità di misura, sempre più» (Ecce homo). Alla base dev’esserci una LOTTA PER LA VITA,
una vita che è, nella sua essenza, violenza e brutalità.
A. 2. VOLONTÀ DI VERITÀ.
N. usa l’espressione “volontà di verità” in chiave polemica. Con essa N. intende la ricerca tradizionale di una
verità assoluta e «il desiderio di un mondo permanente». In altri termini, «La presunta “verità” della quale la
filosofia si è considerata, di volta in volta, indagatrice, depositaria, profeta, non è altro – dal punto di vista di
N. – che la volontà di conferire un significato assoluto, non smentibile, definitivo, ad una realtà che, di per se,
si presenta invece come caoticità inesauribile, irriducibile a qualsivoglia forma per mezzo della quale la
ragione pretenda di catturarla».
B. DIONISIACO E APOLLINEO.
N. attraverso la passione verso l'antico mondo greco, scopre il carattere essenzialmente caotico e disordinato
della realtà e intese la stessa vita come forza primordiale che consuma e distrugge tutto. Il mondo appare a N.
come governato da una volontà cieca: la vita è dolore ed è priva di senso (pessimismo di Schopenhauer →
rinuncia al mondo), ma ad essa non bisogna rispondere con rinuncia e disperazione, ma con l’ ACCETTAZIONE
CORAGGIOSA DEL DOLORE; bisogna rinunciare alle consolazioni metafisico-religiose e affermare con coraggio e
VITALISTICAMENTE tutta l’irrazionalità caotica dell’esistenza. OCCORRE VOLERE LA VITA.
N. propone come modello a questa risposta, il modello dell’artista romantico (Wagner) che ATTRAVERSO L’ARTE
COGLIE L’ESSENZA DELLA VITA.
Nel 1871 scrive, “La nascita della tragedia", opera che analizza i due impulsi di base dello spirito greco e, al
tempo stesso, i due impulsi che stanno alla base dell’arte: il DIONISIACO E l’ APOLLINEO. Essi simboleggiano due
atteggiamenti antitetici: Apollo, dio solare, rappresenta l’equilibrio, l’armonia, la razionalità, l’ordine; Dioniso,
orgiastico dio della natura, è il dio della passione, della sregolatezza, dell'arbitrio... rappresenta l’irrazionalità,
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il caos, il disordine... La via di Apollo è speculativa, spinge a cercare spiegazioni ed elaborare teorie, costruisce
sistemi con cui cerca di esprimere il senso ultimo delle cose secondo misura e proporzione. La via di Dioniso è
l'esatto contrario: l'accettazione ebbra della vita, l'esaltazione delle pulsioni energetiche e vitali, della salute,
della giovinezza e della passione sensuale.
Il libro viene male accolto dai filologi per le sue posizioni in contrasto con il pensiero accademico; N. rifiuta di
considerare l'ellenismo come un mondo di razionalità ed equilibrio. È in questa situazione che N. sente di
essere inattuale e scopre l'incompatibilità tra il pensatore privato e il professore accademico.
Il motivo centrale dell’opera è, quindi, la distinzione tra “dionisiaco” e “apollineo”, coppia di opposti che si
concretizza in altre sottocoppie, come forma-caos, finito-infinito...
Dionisiaco/apollineo rappresenta, principalmente, la dualità, già presente in Natura, che esprime, i due
impulsi di base dell’anima greca e, al tempo stesso, i due impulsi che stanno alla base dell’arte. II dionisiaco,
che scaturisce dalla forza vitale e dal senso caotico del divenire, si esprime artisticamente nella musica.
L’apollineo, che scaturisce da un atteggiamento di fuga di fronte al flusso imprevedibile degli eventi, si
esprime artisticamente nelle linee armoniche dell’arte plastica (architettura e scultura). II dionisiaco sta
all’apollineo come il caos sta alla forma, il divenire alla stasi, l’infinito al finito, l’istinto alla ragione, l’oscurità
alla luce, l’inquietudine alla serenità, l’ebbrezza al sogno ecc.
Nell’incontro/scontro di apollineo e dionisiaco N. individua tre momenti:
1. In un primo tempo, nella Grecia presocratica, dionisiaco ed apollineo convivono separati,
2. in un secondo tempo, nella tragedia attica, si armonizzano fra di loro: «Sulle loro due divinità
artistiche, Apollo e Dioniso, è fondata la nostra teoria che nel mondo greco esiste un enorme
contrasto, enorme per l’origine e per il fine, tra l’arte figurativa, quella di Apollo, e l’arte non figurativa
della musica che è propriamente quella di Dioniso. I due istinti, tanto diversi tra loro, vanno l’uno
accanto all’altro, per lo più in aperta discordia, ma pure eccitandosi reciprocamente a nuovi parti
sempre più gagliardi, al fine di trasmettere e perpetuare lo spirito di quel contrasto, che la comune
parola “arte” risolve solo in apparenza; fino a quando, in virtù di un miracolo metafisico della “volontà”
ellenica, compaiono in ultimo accoppiati l’uno con l’altro, e in questo accoppiamento finale generano
l’opera d’arte, altrettanto dionisiaca che apollinea, che è la tragedia attica» (La nascita della tragedia).
3. In un terzo momento, tale equilibrio viene dissolto dal prevalere dell’apollineo, che trionfa sul
dionisiaco sin quasi a soffocarlo. Ciò avviene con la tragedia di Euripide e con il razionalismo di Socrate.
Secondo N. la decadenza della civiltà greca inizia, quindi, col prevalere dell'elemento apollineo, cioè col
prevalere della scienza sull'istinto, della metafisica e della teologia sulla tragedia e sulla passione, col
prevalere di Socrate e Platone su Eschilo e Sofocle, che rappresentano l'elemento dionisiaco.
Per N. la filosofia moderna è ancora caratterizzata dal prevalere dell'apollineo (naturalmente con la
mediazione del cristianesimo). Solo in Wagner egli vede, per la prima volta, l'artefice della rinascita della
tragedia, perché Wagner sostituisce alla libertà morale quella artistica (musicale in particolare).
Contro tale processo di decadenza, che ha finito per travolgere tutto l’Occidente, N. propone un recupero
convinto di Dioniso. Dioniso o l’accettazione totale della vita. Dioniso, il dio dell’ebbrezza e della gioia, il dio
che canta, ride e danza, il dio che bandisce da sè ogni rinunzia ed ogni fuga di fronte al mondo, rappresenta,
per N., il simbolo divinizzato di quella accettazione totale della vita nell’insieme dei suoi aspetti, che egli fa
valere sia contro l’atteggiamento rinunciatario della morale tradizionale, sia contro il «buddismo» di
Schopenhauer. Accettazione che va ben oltre le opposte unilateralità del pessimismo e dell’ottimismo
(incapaci di cogliere la vita nell’unita dei contrari che la caratterizzano) e che mette capo ad un PROGRAMMA
DI FEDELTÀ ALLA TERRA: «Vi scongiuro, o fratelli, rimanete fedeli alla terra e non credete a coloro che vi parlano
di sovraterrene speranze. Lo sappiano o no: costoro esercitano il veneficio» (Cosi parlo Zarathustra,
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Prefazione).
C. STORIA E VITA
Con le quattro Considerazioni inattuali N. critica la cultura occidentale, razionalista, utilitarista, repressiva
andando contro le opinioni allora correnti ed esprimendo idee "inattuali" per la sua epoca. N. auspica la
rinascita della cultura tragica, in quanto ritiene che l'istinto debba prevalere su morale, commercio, scienza e
tecnica.
Nella II Considerazione inattuale (“Sull'utilità e il danno della storia per la vita”) N. attacca la cultura
storicistica della sua epoca, sostenendo come 'l'eccesso di storia' sia responsabile di un sentire opprimente e
dell'incapacità dell'uomo di plasmare liberamente il proprio futuro. Questa critica più che la storia in sé e per
sé, colpisce la”ipertrofia storiografica” e cioè l’eccesso di storia. A causa dell’ipertrofia storiografica l’uomo si
sente schiacciato dal passato e perciò prova un senso di impotenza verso il presente, perdendo la fiducia nella
possibilità di plasmare liberamente il proprio futuro. L’uomo a differenza dell’animale (che vive in modo non
storico) ha una vita storica, cioè non può non ricordare il passato. Il passato gli fa ricordare che la sua
esistenza è qualcosa di imperfetto che non può essere mai compiuto. La felicità, secondo Nietzsche, è la
capacità di sentire in modo non storico nell’attimo in cui si prova la felicità stessa. Ogni organismo vivente ha
bisogno non solo di luce, ma anche di oscurità e quindi per ogni agire ci vuole oblio. La necessità di oblio, cioè
l’esigenza di una capacità di dimenticare, è in relazione inversa alla forza plastica. La forza plastica è la forza di
crescere a modo proprio su se stessi, è la capacità di trasformare e incorporare cose passate ed estranee. La
storia deve servire alla vita e all’azione e non deve allontanarci dalla vita e dall’azione. Il senso storico consiste
nell’usare il passato per la vita e nel trasformare la storia passata in storia presente, solo così l’uomo diventa
tale. Per ogni azione ci vuole oblio, nel senso che l’uomo che agisce dimentica la maggior parte delle cose per
farne una sola ed è ingiusto verso tutto il resto. Chi agisce ama la propria azione infinitamente più che essa
non meriti di essere amata: le azioni migliori vengono compiute in questa “esaltazione d’amore”.
Quindi solo attraverso l'oblio, l'uomo può avere accesso alla vera felicità, giacché solo esso può assicurare il
rifiorire perenne della vita. "L'eccesso di storia è un danno per la vita: noi dobbiamo avere coscienza storica,
ma quanto basta per la vita (...). Noi soffriamo di una febbre storica". Tutto ciò che appartiene al passato non
aiuta la vita, ma costituisce un'insuperabile e oppressiva allucinazione. La Storia non fa che renderci schiavi del
nostro tempo, nostalgici di un passato irripetibile. Non è la storia, sostiene N., che deve dominare la vita,
bensì l'esatto contrario. Occorre semplicemente usufruire della Storia per arricchire la qualità della nostra
esistenza. È nei giovani che il filosofo ripone le sue speranze: grazie al loro istinto naturale, essi si rendono
conto della malattia storica, rivolgendosi all'antistorico, ovvero all'arte di dimenticare.
N. è ostile anche al fatto di leggere la storia secondo lo schema di causa/effetto in quanto, per lui, la vita
sfugge ad ogni interpretazione.
Pur criticando lo STORICISMO e l’eccesso di memoria storica – che inchiodano l’uomo al passato e ne
paralizzano le iniziative, dimenticando che “per ogni agire ci vuole oblio” – N . ammette non solo il “danno”,
ma anche l’”utilità” della storia. Infatti la vita ha bisogno del “servizio” della storia e sotto tre rapporti la storia
occorre all’uomo: 1) In quanto l’uomo ha aspirazioni; 2) In quanto l’uomo preserva e venera; 3) In quanto
soffre e ha bisogno di liberazione. Si hanno cosi tre tipi di storia:
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la STORIA MONUMENTALE è il tipo di storia che fornisce all’uomo MODELLI PER L’AZIONE, l’uomo ne
ha bisogno in quanto È ATTIVO ED HA ASPIRAZIONI. È propria di chi guarda al passato per cercarvi
modelli e maestri che non si possono trovare nel presente, per cui abbiamo un uomo attivo, con delle
aspirazioni, e che dunque non si rassegna a guardare il passato, ma pensa che se ciò sia stato possibile,
lo sarà di nuovo. Il lato negativo di questo tipo di storia, è quello di tralasciare aspetti del passato poco
piacevoli, a favore di quelli che lo sono, per cui il passato è danneggiato, come pure può portare al
fanatismo o alla paralisi artistica, nel pensare che mai si potrà eguagliare questi modelli.
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«In che giova dunque all’uomo d’oggi la considerazione monumentale del passato, l’occuparsi delle cose
classiche e rare delle epoche precedenti? Egli ne deduce che la grandezza, la quale un giorno esistette, fu
comunque una volta possibile, e perciò anche sarà possibile un’altra volta; egli percorre più coraggiosamente
la sua strada, poiché ora il dubbio che lo assale nelle ore di debolezza, di volere forse l’impossibile, e spazzato
via». Considerazioni inattuali II
la STORIA ANTIQUARIA è il tipo di storia di cui l’uomo ha bisogno “IN QUANTO PRESERVA E VENERA”,
ossia il tipo di storia che nasce dalla venerazione verso il passato di cui ci si riconosce eredi e da cui ci si
sente giustificati. Spinge a guardare con affetto e venerazione al luogo e alle radici da cui si proviene,
quindi ispira amore nei confronti del passato, che è preservato anche nei suoi minimi aspetti, anche
qui, però, troviamo un pericolo, perché ci si potrebbe limitare solo alla tradizione cui si appartiene e
rifiutare tutto ciò che è nuovo; ci si mummifica nel passato e l'azione dunque è penalizzata.
«Della storia, ha bisogno colui che guarda indietro con fedeltà e amore, verso il luogo onde proviene, dove è
divenuto [...]. La felicità di non sapersi totalmente arbitrari e fortuiti, ma di crescere da un passato come eredi,
fiori e frutti, e di venir in tal modo scusati, anzi giustificati nella propria esistenza – è questo ciò che oggi si
designa di preferenza come il vero e proprio senso storico...». Ovviamente, per queste sue caratteristiche, la
storia antiquaria contiene in sé un potenziale pericolo, in quanto «ostacola la forte risoluzione per il nuovo,
quindi paralizza chi agisce...». Considerazioni inattuali II
-
la STORIA CRITICA è il tipo di storia di cui ha bisogno l’uomo, «in quanto soffre e ha bisogno di
liberazione», ossia il tipo di storia che nasce da un ATTO DI LIBERTÀ DI FRONTE AL PASSATO. È propria di
chi soffre e ha bisogno di liberarsi del passato per vivere, per questo motivo lo condanna, ma il rischio
qui, è questa disapprovazione non elimina il fatto che deriviamo dal passato, per cui è impossibile
staccarsi del tutto da esso.
«Qui si fa chiaro come l’uomo abbia molto spesso necessariamente bisogno, accanto al modo monumentale e
antiquario di considerare il passato, di un terzo modo, quello critico [...]. Egli deve avere, e di tempo in tempo
impiegare, la forza di infrangere e di dissolvere un passato per poter vivere: egli ottiene ciò traendo quel
passato innanzi a un tribunale, interrogandolo minuziosamente, e alla fine condannandolo... ». Considerazioni
-
inattuali II
Riassumendo, ciascun tipo di storia è nel suo diritto se rimane nel suo terreno, altrimenti diventa dannosa per
la vita: il conoscitore della grandezza del passato, privo della capacità di essere grande a sua volta; l'antiquario
non ha amore per il presente e per il futuro e infine il critico, che soffre nel distruggere il passato.
IL PERIODO “ILLUMMINISTICO”
A. LA FILOSOFIA DEL MATTINO
Il periodo “illuministico” inizia con Umano, troppo umano (1878-1880) e coincide con l'avvento della scrittura
aforistica. La grande critica dei valori morali, religiosi e metafisici tradizionali avviene, proprio, con
quest’opera, dove N. affida all'uomo il compito di dare significato alla propria esistenza, rinunciando a
qualunque forma di oggettività (il mondo è caso originario, Dio è muerto, non ci sono fatti, ma solo
interpretazioni, la verità è opinione, la scienza è convenzionale...)
Il periodo “illuministico è caratterizzato dal ripudio di Schopenhauer e Wagner. N. rinnega la stima e l'amicizia
personale con Wagner perché ritiene le tendenze artistiche del musicista “semplici riflessi della decadenza
moderna”; a Schopenhauer contesta, invece, le formule metafisiche.
(Secondo Schopenhauer il principio metafisico, la Volontà, è irrazionale e mira unicamente alla conservazione di sé, nella completa
indifferenza per il destino dell’uomo. La realtà ci appare ordinata, provvista di senso, solo come rappresentazione, come nostro
modo di vederla e di ricostruirla, mentre in sé, come noumeno, è irrazionale, priva di scopi e di senso. L’uomo crede di agire sulla
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base di motivi e di intenzioni, ma è in realtà uno strumento della Volontà ed è condannato per ciò stesso a essere infelice. La
condizione umana, sia a livello individuale che sociale, è caratterizzata dall’infelicità, dalla lacerazione e dal conflitto, dalla
mancanza di senso.)
N. abbandona la "metafisica da artista", per privilegiare la scienza. L'arte è considerata come il residuo di una
cultura mitica e, redentore della cultura, non sarà più l'artista o il genio (Wagner), ma il filosofo educato dalla
scienza. Egli sarà illuminista, nel senso che si troverà impegnato in un'opera di critica della cultura tramite la
scienza quale metodo di pensiero, piuttosto che un insieme di tutte le scienze particolari. Un metodo critico di
tipo storico e genealogico, perché non esistono realtà immutabili e statiche, ma ogni cosa è l'esito di un
processo che va ricostruito. N. apprezza la scienza non in base ad un criterio di verità, ma piuttosto perchè
capace di liberare l'uomo (La gaia scienza)
Contro la mentalità scientifica e contro il positivismo, N. afferma che la scienza non costituisce un sapere
oggettivo privo di presupposti, in quanto sgorga anch’essa da determinati presupposti e atteggiamenti extrascientifici (per es. dall’idea dell’assoluta utilità della conoscenza o dal vagheggiamento di un mondo di
matematica perfezione e semplicità ben diverso da quello caotico e pluriforme dell’esperienza quotidiana).
Inoltre, contro il culto positivistico del «fatto» – in virtù del quale la scienza stessa non risulta lontana
dall’ideale ascetico del cristianesimo per la sua adorazione della verità oggettiva, per il suo stoicismo
intellettuale che interdice il sì e il no di fronte alla realtà – N. sostiene che la realtà non è una serie di dati che
ci vincolano necessariamente, ma un insieme di interpretazioni in cui ne va di noi stessi: «no, proprio i fatti
non ci sono, bensì solo interpretazioni», (Frammenti postumi ) «il fatto è sempre stupido e in tutti i tempi e
apparso più simile a un vitello che a un Dio». (Considerazioni inattuali)
I concetti base di questo periodo sono lo SPIRITO LIBERO e la FILOSOFIA DEL MATTINO. Lo spirito libero si
identifica con il viandante, cioè con colui che grazie alla scienza riesce ad emanciparsi dalle tenebre del
passato, inaugurando una filosofia del mattino che si basa sulla concezione della vita come transitorietà e
come libero esperimento senza certezze precostituite.
L'affermazione della libertà e della spontaneità presuppone il superamento dei condizionamenti, delle regole,
degli obblighi derivanti dalle credenze religiose o comunque dal riferimento ad entità metafisiche. Ma
comporta anche una conseguenza che pochi hanno la forza sufficiente per affrontare: ASSUMERSI LA PIENA E
DEFINITIVA RESPONSABILITÀ DI OGNI DECISIONE, DI OGNI AZIONE. Ogni comportamento è soggetto ad una
decisione individuale in quanto non esistono più valori trascendenti sui quali appiattirsi in modo
conformistico.
B. LA “MORTE DI DIO”, LA FINE DELLE ILLUSIONI METAFISICHE E L’AVVENTO DEL SUPERUOMO
Per N. la più antica delle bugie vitali («la nostra più lunga menzogna») ovvero la menzogna che riassume tutte
le altre menzogne è DIO.
Dio rappresenta infatti la personificazione delle varie «certezze» metafisiche, morali e religiose elaborate
dall’umanità per dare un senso «plausibile» ed un ordine «rassicurante» al caos della vita e del mondo. In
un’ottica più specifica, Dio si configura come il simbolo di ogni prospettiva oltre-mondana ed anti-vitale, che
ponga il senso dell’essere fuori e in alternativa all’essere: «Dio, la formula di ogni calunnia dell’ “aldiqua”, di
ogni menzogna dell’ “aldilà”! In Dio è divinizzato il nulla, è consacrata la volontà del nulla!».
Con l’espressione MORTE DI DIO, Nietzsche, coerentemente con la sua visione di Dio, allude al VENIR MENO DI
TUTTE LE CERTEZZE ASSOLUTE che hanno sorretto gli uomini attraverso i millenni, come stabili punti di
riferimento, capaci di «esorcizzare» lo sgomento provocato dal flusso irrazionale caotico delle cose. Tale
vicenda viene presentata da N. come un evento in corso del quale l’uomo-folle (= il filosofo-profeta) scorge
lucidamente l’accadere, ma di cui l’umanità non ha ancora preso coscienza. L’accettazione della morte di Dio
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rappresenta il presupposto necessario della transizione dall’uomo al superuomo.
- Quando Nietzsche parla della morte di Dio allude certamente anche al Dio cristiano, ma non soltanto al
Dio cristiano: la sua formula ha una portata più generale;
- l’ateismo di Nietzsche è radicale e rappresenta il presupposto a partire da cui prende senso e consistenza
tutto il suo discorso filosofico: «Nessun dubbio infatti sull’ateismo di Nietzsche, con Nietzsche non solo
Dio, ma tutti gli dei sono morti». (M. Ruggenini).
IL PERIODO DI ZARATUSTRA: LA FILOSOFIA DEL MERIGGIO
Abbiamo già detto più volte che la critica di N. è radicale, egli chiude l’Ottocento criticando tutte le posizioni
filosofiche del secolo: Hegel, Kierkegaard, il positivismo sociale di Spencer, Comte...
Proposito di N. è criticare la filosofia stessa. A tal proposito l’interrogativo che si pone è:
QUAL È STATA L’ESSENZA DELLA FILOSOFIA DELL’800 ? Uno dei problemi principali della filosofia è sempre stata la
posizione assunta rispetto al DIVENIRE.
Per N. la risposta al problema del divenire è sempre stata la RICERCA D’INVARIANZA, D’IMMUTABILITÀ, di
qualcosa che possa sottrarsi al DIVENIRE. La ricerca di un punto fermo, di UNO STARE , di qualcosa che non
tema la smentita del tempo:
▪ PLATONE: il piano dell’invarianza è rappresentato dal mondo delle IDEE (piano intelligibile);
▪ HEGEL: l’invarianza è rappresentata dalla DIALETTICA, legge che governa tutte le cose e che in sé non cambia,
legge che spiega e al tempo stesso si sottrae al divenire, BASE necessaria a ricostruire il sapere;
▪ SCHOPENHAUER: l’invarianza è la VOLONTÀ che segue la riflessione sull’interiorità; la volontà è essenza delle
cose, principio; la volontà è connatutrata all’essere e causa della sofferenza dell’essere;
▪ COMTE e il positivismo: la ricerca di invarianza porta alla RAZIONALITÀ SCIENTIFICA la quale diventa
spiegazione di ogni evento (la metafisica criticata dal positivismo “esce dalla porta e rientra dalla finestra”).
N. usa l’espressione «Come il “mondo vero” divenne una favola» per alludere alla progressiva dissoluzione
occidentale del platonismo, ovvero della credenza in un mondo metafisico, immutabile e perfetto, di cui
quello reale sarebbe solo l’apparenza o la copia negativa. Egli mette in discussione la ricerca stessa di
invarianza (porto sicuro rispetto al divenire che spesso appare minaccioso) e si domanda:
È NECESSARIO AVERE UN PORTO SICURO?
Sembra voler rovesciare lo “stile” filosofico: abbandonare la ricerca di un “porto sicuro” e tornare alla
dimensione del divenire in modo tale da sottrarsi ad ogni sistemazione. Ciò determina un vero e proprio
ROVESCIAMENTO del pensiero occidentale: da un lato la ricerca di permanenza, di un punto fermo come
“rifugio” (Platone, Hegel, Cristianesimo...), dall’altro il rifiuto della permanenza e l’assunzione del divenire di
Nietzsche.
La dimensione essenziale del divenire è, per N., l’ETERNO RITORNO, dottrina secondo cui TUTTE LE REALTÀ E GLI
EVENTI DEL MONDO SONO DESTINATI A RITORNARE IDENTICAMENTE INFINITE VOLTE. Essa pone l’uomo nella
condizione drammatica del divenire, infatti una cosa è la LETTURA LINEARE del tempo, un’altra è leggere la
storia con la “LENTE DELL’ETERNO RITORNO”: ciò che ci siamo lasciati alle spalle è in realtà destinato a RIPETERSI
ALL’INFINITO. L’eterno ritorno nega il procedere del TEMPO in modo lineare verso un fine, per affermarne
invece la PIENEZZA DI OGNI SUO ATTIMO, che è in sé carico di senso: questa idea porta l’uomo a dire di sì alla
vita così com’è, in eterna ripetizione.
Decidere di vivere come se ci fosse l'eterno ritorno, vuol dire desiderare con ardore di rivivere ogni singolo
istante della vita per l'eternità (“amor fati”): al "no" alla vita di Schopenhauer si sostituisse un "sì" eterno ad
essa: «la mia formula per la grandezza dell'uomo é amor fati: che cioè non si vuole nulla diverso da quello che
é, non nel futuro, non nel passato, non per tutta l'eternità» (Ecce Homo).
Che cosa sia veramente l’eterno ritorno (una realtà cosmologica, un imperativo etico ecc.) e quali siano i suoi
rapporti con l’iniziativa umana, costituisce una delle questioni più complesse della critica nietzschiana.
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Ciò non toglie che la funzione di questa dottrina, all’interno dell’economia complessiva del pensiero di N.,
risulti sufficientemente chiara. Credere nell’eterno ritorno significa infatti ritenere:
1) che il senso dell’essere non stia fuori dall’essere, ma nell’essere stesso;
2) disporsi a vivere la vita, e ogni attimo in essa, come coincidenza di essere e senso, ossia come un gioco
creativo avente in se medesimo il proprio senso appagante.
Proprio per questi motivi, l’eterno ritorno, in quanto APOTEOSI ESTREMA DEL DIVENIRE, divenire dal CARATTERE
DRAMMATICO, TERRIBILE determina la necessità di una VOLONTA’ NUOVA in grado di governare il divenire
stesso. Vivere nel divenire richiede, infatti, una VOLONTÀ STRAORDINARIA, la VOLONTÀ DI POTENZA
dell’OLTREUOMO-SUPERUOMO.
L’eterno ritorno incarna al massimo grado l’accettazione superomistica dell’essere, ponendosi come «la
suprema formula dell’affermazione che possa mai essere raggiunta». (“Così parlò Zarathustra”)
La fase precedente al nichilismo, quella cioè dei valori morali e di Dio, simboleggia l'eternità, la fase del
nichilismo passivo, privo di valori assoluti, è il tempo lineare che tutto travolge e nulla ha senso, infine, l'ultima
fase, quella del nichilismo attivo, è il divenire continuo che assume valore assoluto e tutto ciò è quanto accade
nella dottrina dell'eterno ritorno, la quale fa assumere dignità di assoluto al divenire, tutto fluisce, ma in modo
circolare. (ved. Lettura critica: Il morso del pastore – Così parlò Zarathustra – )
La volontà di potenza va intesa come VOLONTA’ DI ASSUNZIONE DEL DIVENIRE, solo grazie ad essa l’oltreuomo
ASSUME il DIVENIRE in maniera ASSOLUTA ed è in grado di governarlo per non esserne sopraffatto.
- LA VOLONTÀ DI POTENZA RAPPRESENTA L’IMPULSO FONDAMENTALE, PRIVO DI RAZIONALITÀ E DI UNIVOCITÀ DI
SENSO, CHE MUOVE LA VITA E COINCIDE CON ESSA;
- È VOLONTÀ CHE VUOLE SÉ STESSA,
- VOLONTÀ DELL’INDIVIDUO CHE SI VUOLE AFFERMARE QUALE VOLONTÀ.
La volontà di potenza si identifica sostanzialmente con il MODO D’ESSERE DEL SUPERUOMO, CONCEPITO COME
LIBERTÀ CREATRICE, che ergendosi al di sopra del caos della vita, impone ad essa i propri significati e le proprie
interpretazioni. In altri termini, la VOLONTÀ DI POTENZA È LA DIMENSIONE STESSA DELL’OLTREUOMO, che può
accettare l’essere (“amor fati”) solo a patto di ri-creare l’essere a propria misura.
In quanto forza ermeneutica o interpretativa, volontà coincide anche con il continuo superamento che la vita
fa di se stessa, nello sforzo di reinventare incessantemente se medesima e il proprio rapporto con il mondo:
«È la vita stessa mi ha confidato questo segreto. Vedi, – disse – io sono il continuo, necessario superamento di
me stessa», «mille sentieri sono non ancora percorsi; mille salvezze e isole della vita. Inesaurito e non
scoperto è ancora sempre l’uomo e la terra dell’uomo...». (“Così parlò Zarathustra”)
Ma chi è l’Oltreuomo? In linea generale, quello di Oltreuomo è un concetto filosofico di cui si serve N. per
esprimere il PROGETTO DI UN NUOVO ESSERE qualificato da una serie di caratteristiche che emergono
oggettivamente dall’insieme della sua opera.
L’Oltreuomo è colui che:
SA ACCETTARE LA VITA,
RIFIUTARE LA MORALE TRADIZIONALE,
OPERARE LA TRASVALUTAZIONE DEI VALORI,
“REGGERE” LA MORTE DI DIO,
SUPERARE IL NICHILISMO,
COLLOCARSI NELLA PROSPETTIVA DELL’ETERNO RITORNO,
- PORSI COME VOLONTÀ DI POTENZA .
-
Come tale, il superuomo non può che concretizzarsi nel futuro. Tant’è che il prefisso uber-mensch può essere
tradotto con oltre-uomo, proprio per evidenziare meglio la diversità fra il superuomo del futuro e l’uomo del
presente. Sufficientemente chiaro come concetto generale, il Oltreuomo appare piuttosto sfuggente come
figura concreta. Da ciò la molteplicità delle interpretazioni circa l’individuazione del soggetto reale che
dovrebbe incarnarne le prerogative teoriche e il fallimento di ogni tentativo di «catturare» politicamente il
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messaggio di N., che è – e rimane – di ordine prevalentemente filosofico (e non politico!), ossia incentrato su
tematiche generali quali l’accettazione della vita, la critica della morale, la morte di Dio, il nichilismo ecc. (ved.
Lettura critica: La fedeltà alla terra – Così parlò Zarathustra – )
LA FILOSOFIA DEL TRAMONTO: IL NICHILISMO e LA TRASVALUTAZIONE DEI VALORI
IL NICHILISMO
La posizione di N è quella di un MONDO-ATEO (senza-Dio) infatti o il mondo è caos e Dio non esiste e
l’Oltreuomo ha senso; o Dio esiste e il mondo non è più caos dionisiaco e l’Oltreuomo cessa di avere senso.
Il problema del nichilismo e del suo superamento
Connesso al tema della morte di Dio e della fine della metafisica è il nichilismo. Per N. esso ha due significati:
1) atteggiamento di fuga, di disgusto nei confronti del mondo che egli vede incarnato nel platonismo e
nel cristianesimo.
2)
Situazione specifica dell’uomo moderno che non credendo più in un senso metafisico delle cose e nei
“valori supremi”, fuoriesce per avvertire il “NULLA”, il “VUOTO”
Alla domanda “che cos’è il nichilismo” N. risponde “manca il fine, manca la risposta di perché?” Perché l’uomo
sostiene che non c’è un fine e che tutto è niente?
Così si collega al fatto che l’uomo prima aveva una religione e una metafisica e si immaginava dei fini assoluti:
(cristianesimo-platonismo) trascendenti, ora tali fini non esistono perché l’uno non è più vero, buono, allora è
piombato nell’angoscia nichilistica (stato psicologico che subentra quando cerchiamo un senso del mondo che
non esiste e per cui manca il coraggio di ricercarlo). In altri termini, l’uomo avrebbe dapprima creduto in un
mondo governato da categorie quali l’unità, la verità, il bene, il fine, l’essere ecc. In seguito, essendosi reso
conto che tali categorie sono fittizie, in quanto il mondo non rispecchia affatto i nostri desideri logici e morali,
sarebbe piombato nella disperazione nichilista: «II nichilismo come stato psicologico subentra di necessità, in
primo luogo, quando abbiamo cercato in tutto l’accadere un “senso” che in esso non c’è», «Insomma: le
categorie ”fine”, ”unità”, ”essere”, con cui avevamo introdotto un valore nel mondo, ne vengono da noi
nuovamente estratte – e ora il mondo appare privo di valore», «Risultato: il credere nelle categorie è la causa
del nichilismo – abbiamo misurato il valore del mondo in base a categorie che si riferiscono a un mondo
puramente fittizio».
L’uomo più è illuso, più rimane deluso (il cristiano che ha creduto in Dio non può che soffrire di fronte al senso
del vuoto).
Mancano le strutture metafisiche, razionali e provvidenziali.
L’equivoco di molti risiede, allora, nell’affermare che il nichilismo consiste nel dire che il mondo, non avendo
quei significati forti che i metafisici gli attribuivano, non abbia più significato.
In realtà i significati esistono come PRODOTTI della VOLONTA’ di POTENZA che affrontando il caos dell’essere
impone i PROPRI SIGNIFICATI.
Il nichilismo non è lo stadio finale, bensì intermedio: un NO che prepara al SÌ dell’esercizio della volontà di
potenza (ovvero fornisce i significati del mondo).
Il termine nichilismo individua: un atteggiamento o una dottrina volti a negare in modo radicale un sistema di
valori.
In N. il termine è usato per designare la crisi che ha investito la civiltà occidentale. → NICHILISMO = FINE DEI
VALORI
Nichilismo vuol dire svalutazione universale dei valori, la quale fa sprofondare l’umanità nell’angoscia perché
l’unica certezza è che nulla ha più senso → NICHILISMO = VOLONTÀ DEL NULLA, ovvero ogni atteggiamento di
fuga e di disgusto nei confronti del mondo reale.
Per il filosofo il nichilismo è la malattia di cui è affetto il mondo moderno: l’uomo moderno, non credendo più
in un “senso” o “scopo” metafisico delle cose e nei “valori” supremi, finisce per avvertire, di fronte all’essere,
lo sgomento del “vuoto” e del “nulla”: «Nichilismo: manca il fine; manca la risposta al “perché?”; che cosa
significa nichilismo? che i valori supremi si svalorizzano».
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Tale nichilismo provoca il disgregarsi della personalità, debilita la volontà.
Fondamento ontologico del nichilismo è la morte di Dio, la quale rivela che il nulla domina il mondo.
L’angoscia moderna è, dunque , l’angoscia di fronte ad una vita privata dei suoi fini.
N riscontra due tipi di nichilismo:
- un NICHILISMO PASSIVO: si manifesta all’inizio come pessimismo, come presa d’atto della decadenza dei
valori, e si manifesta con la rinuncia, la fuga, con la sostituzione di Dio con idoli falsi e illusori. Questo
nichilismo è solo un momento di transizione. Egli auspica una trasvalutazione dei valori in grado di mettere al
posto dell’umanità decadente l’Oltreuomo.
- Successivamente N. trova anche un NICHILISMO ATTIVO: questo si esprime come speranza di superamento
della decadenza. Il superuomo (spirito libero, artefice del proprio destino) si fa promotore in prima persona di
nuovi valori. Smascherando i valori della tradizione, il nichilismo attivo annuncia l’avvento di nuovi valori.
LA FILOSOFIA DEL MARTELLO
La filosofia del martello è un violentissimo atto d’accusa contro morale e cristianesimo: le peggiori menzogne
dell’occidente. N. Ritiene che occorre distruggere ciò che resta della civiltà occidentale e porre le fondamenta
di una nuova umanità.
La MORTE DI DIO porta con sé la fine delle leggi morali, ma esse sembrano sopravvivere anche in un mondo
ateo. È necessaria allora la liberazione dalla schiavitù della morale, per far ciò bisogna partire dalla genesi
della morale stessa (analisi del processo attraverso cui è sorta) e attraverso questo “viaggio” analizzare i due
tipi fondametali di etica individuati da N: l’ ETICA DEI PADRONI (SIGNORI) e l’ ETICA DEGLI SCHIAVI
Per GENEALOGIA DELLA MORALE N. intende uno specifico modo di accostarsi ai problemi morali che consiste
nel mostrare il carattere storico dei valori etici e le motivazioni umane («troppo umane ») che ne stanno alla
base. «Tutto ciò di cui abbiamo bisogno e che allo stato presente delle singole scienze può esserci veramente
dato, è una “chimica” delle idee e dei sentimenti morali, religiosi ed estetici, come pure di tutte quelle
emozioni che sperimentiamo in noi stessi nel grande e piccolo commercio della cultura e della società, e
persino nella solitudine: ma che avverrebbe, se questa chimica concludesse col risultato che anche in questo
campo i colori più magnifici si ottengono dai materiali bassi e persino spregiati?». (Umano, troppo umano)
Più che distruggere la morale, come più volte gli è stato rinfacciato, N la "decostruisce", come ha acutamente
messo in evidenza Vattimo, ovvero la costruisce all'incontrario: come la chimica "smonta" le sostanze
complesse per ravvisare i singoli elementi che le costituiscono, così egli si propone di agire nei confronti della
morale. In altri termini, la morale ha tradizionalmente poggiato su realtà sovrasensibili (il mondo delle idee di
Platone ne è la più fulgida espressione), quasi come se nella storia i valori umani fossero stati tramutati in
divini; questo atteggiamento paradossale, nato con Socrate e proseguito con Platone, ha accompagnato la
civiltà occidentale per tutto il suo sviluppo, senza mai venir meno.
Ciò che intende mettere in luce N. in “Umano, troppo umano” è come quei valori, quasi trasformati in
sostanze divine, in realtà sono umani, fin troppo umani: " dove voi vedete le cose ideali, io vedo cose umane,
ahi troppo umane ". Ma più che venir rifiutati, questi valori "ideali" sono smontati, ossia messi in luce nella
loro vera origine e quindi nella loro vera natura, attraverso un'operazione filosofica accostabile a quella di un
martello che saggia ogni cosa. Dimostrando che la morale non ha un'origine sovrasensibile e divina, ma anzi,
fin troppo terrena, N intende dire, ad esempio, che le regole morali che serpeggiano nella nostra civiltà sono
regole di convivenza civile per regolare il comportamento degli individui, e non leggi enigmaticamente
emanate da dio. Perfino la democrazia e il socialismo sono il frutto di quest'atteggiamento di divinizzazione
della morale.
Ma perchè nasce la morale? L'uomo, osserva N, ha per natura il bisogno di dominare la realtà che lo circonda
e tale esigenza si estrinseca in primo luogo come dominio intellettuale (la paura del buio, ad esempio, nasce
dal fatto che non riusciamo a dominare concettualmente l'ambiente in cui ci si trova) e, per fare ciò, l'uomo
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sente la necessità impellente di imporsi delle regole comportamentali e conoscitive che lo difendano dalla
realtà caotica e irrazionale in cui è immerso, proprio come, al tempo dei Greci, lo spirito apollineo era nato da
quello dionisiaco.
Con queste riflessioni N demitizza la morale e da ciò deriva l’atteggiamento di nichilismo, ovvero della filosofia
del nulla che prorompe dal venir meno dei punti di riferimento della morale, che abbiamo descritto.
Il mondo sensibile resta l'unico e assume un valore assoluto, mai conosciuto in precedenza, poichè tutto il
valore riconosciuto un tempo al mondo sovrasensibile si riversa ora su quello terreno. Il nuovo ateo, cioè, non
rimpiange più il mondo dei valori, ma dice: "dio non c'è? Benissimo, allora dio sono io", o, per usare le parole
impiegate da N in Così parlò Zarathustra: " se esistessero gli dèi, come potrei sopportare di non essere dio! [...]
adesso é un dio a danzare, se io danzo ". E una volta che la scienza "gaia" (perché liberatrice) perviene alla
conoscenza e alla decostruzione della morale, la depotenzia fino a liberare l'uomo dalle tradizionali catene dei
valori morali imposti dall'esterno. È questa la "TRASVALUTAZIONE DEI VALORI", cioè stravolgimento dei valori
tradizionali di cui parla N. Non si tratterà, allora, di eliminare il bene e il male, ma di trasmutarne il significato
e questo atteggiamento volto a cambiare, non a distruggere, emerge bene nell’opera Al di là del bene e del
male, da cui si evince facilmente come l'uomo, smontata la morale, sia tenuto a collocarsi al di là di quelli che
la tradizione ha additato come "bene" e "male", liberandosi in tal modo dei valori "divini" imposti dall'esterno
e dannosi per la vita: questi vengono sostituiti da nuovi valori che l'uomo stesso si dà, trasformandosi così in
un "creatore di valori". Non si subiscono più in modo passivo i valori "divini", ma si vivono in modo gioioso e
gaio quelli nuovi, terreni a tutti gli effetti.
In Al di là del bene e del male compare il motivo della distinzione tra la MORALE DEI SIGNORI e LA MORALE
DEGLI SCHIAVI. La prima è il prodotto di una classe di dominatori, di una specie aristocratica che sente sé
stessa dominatrice dei valori e che definisce “buono” ciò che è aristocratico: la forza, amare gratuitamente
per “sovrabbondanza” e “cattivo” ciò che è spregevole, vile, compiuto per il proprio interesse o con ambigui
doppi fini. La seconda, invece, nasce con il Cristianesimo, per RISENTIMENTO verso l’etica dei padroni; è l’etica
di una classe di vinti e di deboli che guardano alla natura umana con sospetto e pessimismo; per essi il bene è
l’innocenza innocua e stolta, il male una forza potente e terribile.
Tra le due è prevalsa l’etica degli schiavi: la storia dell’umanità è, infatti, storia di decadenza; al dir di sì alla
vita (Dionisiaco appassionato e dominatore), si è sostituito il dir di no. I deboli, che non sanno vivere, hanno
fatto divenire valore la negazione della vita (sublime vendetta dei deboli e dei poveri contro i forti e i ricchi).
La scala dei valori degli schiavi ROVESCIA i genuini e originali valori della vita: sofferenza anziché gioia, povertà
anziché ricchezza, ecc.
Occorre un completo ri-rovesciamento di valori: una visione aristocratica della vita, l’esaltazione della terra e
del corpo devono sostituire la morale del risentimento dello schiavo. La nuova morale, quella dei “signori”, è
la morale di chi vuole la vita e la vive nella sua pienezza.
Non serve, quindi, una nuova morale imposta dall’esterno in maniera obbligante, ma NUOVA TAVOLA DI VALORI
(che Zaratustra predicò) che sia al di là del bene e del male. È l’uomo a determinare il valore dell’azione:
un’azione, di per sé, non è né buona né cattiva. Chi crea il valore è il superuomo, uomo nobile che accetta sé
stesso dicendo “sì” alla vita, come AUTOREALIZZAZIONE. Per essere fedeli alla terra non ci si può abbandonare
all’ISTINTO, bisogna padroneggiarlo per dominare il mondo che ci circonda, per poterlo “fare” più che
“nominare”.
N. ritiene che chi cerca di essere con coraggio se stesso, di vivere autenticamente la propria vita, chi è
sanamente egoista (il signore), di fatto, si accorgerà di aver imparato ad amare e si troverà, magari suo
malgrado, a diffondere amore tutto intorno a sè. Lo schiavo, al contrario, è colui che reprime se stesso e il cui
altruismo non è gratuito, ma frutto del RISENTIMENTO e dell’INVIDIA. Lo schiavo è colui che capovolge i valori.
N. ritiene che i sacerdoti siano i primi responsabili del capovolgimento dei valori: essi sono i più astuti. Il
sacerdote è colui che reagisce di fronte ai nobili ma, non potendo farlo in modo diretto e frontale (perderebbe
e sarebbe annientato), lo fa indirettamente, trasmutando, appunto nel risentimento, i valori.
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Nel “Crepuscolo degli idoli” e nell’ “Anticristo”, N. si scaglia contro il cristianesimo inteso come la più raffinata
tecnica di annientamento della vita che la civiltà occidentale abbia mai prodotto. Esso si basa sulla repressione
degli istinti e sul senso di colpa tramite l’angoscia del peccato.
PER CONCLUDERE:
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N., un tempo considerato come “FILOSOFO e PROFETA del NAZISMO” oggi è considerato “FILOSOFO della
LIBERAZIONE” ed è uno dei più letti, studiati, trattati del mondo. Egli avrebbe rifiutato l'identificazione
nazista di Stato e popolo, né gli interessava il potere dei grandi capitalisti, e rifiutava l'antisemitismo della
borghesia tedesca. Disprezzava il cristianesimo (religioni da schiavi, forma isterica dell'onestà), la
democrazia (preferisce l'aristocrazia) e il socialismo (ne condivide l'appello alla potenza, ma per lui gli
operai sono strati inferiori del popolo, che non devono essere educati alla vendetta dovuta a risentimento;
inoltre se gli operai diventassero padroni, non ci sarebbe più nessuno disposto a lavorare con sacrificio).
Non credeva nei diritti dell'uomo (tanto meno in quelli della... donna). Non a caso il nazismo si è
richiamato ai suoi insegnamenti.
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N. prende le distanze dalla tradizione anche per il modo di scrivere: al periodare ampio e
architettonicamente strutturato, egli preferisce l' AFORISMA , caratterizzato dalla forma concisa, essenziale
e folgorante di punti cruciali, attraverso stringate argomentazioni e rapide illuminazioni; inoltre l'aforisma,
tipico delle filosofie non-sistematiche, ben risponde all'esigenza della filosofia nietzscheana di OPERARE
COME UN MARTELLO che distrugge le verità e che saggia le campane per vedere se suonano bene, o se
debbano essere abbattute (la metafora allude agli aspetti della civiltà occidentale). Egli si avvale di questo
stile narrativo in quasi tutte le sue opere, fatta eccezione per La nascita della tragedia e per le
Considerazioni inattuali , dove invece prevale la forma accademica del saggio, e per il suo Così parlò
Zarathustra
"Un filosofo: un filosofo è un uomo che costantemente vive, vede, sente, intuisce, spera, sogna cose
straordinarie; che viene colpito dai suoi propri pensieri come se venissero dall'esterno, da sopra e da sotto,
come dalla sua specie di avvenimenti e di fulmini; che forse è lui stesso un temporale gravido di nuovi
fulmini; un uomo fatale, intorno al quale sempre rimbomba e rumoreggia e si spalancano abissi e aleggia
un'aria sinistra. Un filosofo: ahimè, un essere che spesso fugge da se stesso, ha paura di se stesso - ma che
è troppo curioso per non 'tornare a se stesso' ogni volta" (Al di là del bene e del male, § 292).
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