Plautus Festival 2008 XLVIII Edizione Recite Classiche Estive Mercoledì 30 Luglio INDIE OCCIDENTALI s.r.l. presenta in 1° Nazionale Ivana Monti in LE TROIANE di Euripide Adattamento di Traduzione di Jean-Paul Sartre Donatella Rotundo con Francesco Biscione -FedericaDi Martino- Emanuela Parlato e con la partecipazione di Cloris Brosca Regia di Federico Magnano San Lio Personaggi e interpreti Personaggi e interpreti ECUBA - TALTIBIO / MENELAO - CASSANDRA ANDROMACA - ELENA Ivana Monti Francesco Biscione Emanuela Trovato Cloris Brosca Federica Di Martino - POSEIDONE Edoardo Siravo (voce) L’allestimento della tragedia, a seguito dell’infortunio occorso all’attrice Paola Pitagora, è stato interamente rivisto dal regista Federico Magnano San Lio. A Sarsina il pubblico potrà, quindi, assistere in prima nazionale ad una particolare rappresentazione de Le Troiane presa da un adattamento di Jean-Paul Sartre, con l'interpretazione di due grandi attrici del teatro italiano, Ivana Monti e Cloris Brosca. La voce di Poseidone è di Edoardo Siravo, che tornerà sul palco di Sarsina il 5 agosto con la prima nazionale del Miles Gloriosus. TRAMA Unico testo superstite della trilogia iliaca d'Euripide che comprendeva l'Alessandro e il Palamede, "Le Troiane" - rappresentata nel 415 a.C., alla vigilia della spedizione ateniese in Sicilia che riaccese le ostilità tra Sparta e Atene - è la tragedia in cui il drammaturgo greco si fa portavoce di un monito universale contro la vacuità della guerra, che confonde le sorti di vinti e vincitori. La città di Troia è in fiamme, distrutta e saccheggiata dai Greci; in assenza di uomini, tutti caduti in guerra, le principesse troiane giungono una dopo l’altra dinanzi alla regina Ecuba che, sopraffatta dal dolore, è accasciata al suolo. Le Troiane di Euripide, rappresentate nel 415 a.C., danno forse l’immagine più intensa delle principesse di Troia, colte mentre stanno per essere di forza imbarcate per quelle regioni greche e per le case degli eroi a cui la sorte le ha assegnate. Il lessico del lamento, del lutto e della perdita, presente nelle parole di Ecuba e del Coro, si alterna a quello della deportazione, dell’essere portati via e consegnati al nemico, che Euripide “affida” all’araldo greco Taltibio. Private della possibilità di decidere e di agire, le principesse-schiave evocano il loro passato glorioso e piangono i lutti di guerra: una lunga effusione funebre che culmina nel lamento sul cadavere del piccolo Astianatte, figlio di Ettore e Andromaca, condannato a morte dai Greci. Ieri come oggi, uccidere un bambino significa uccidere il futuro. La regina Ecuba, con la sua ininterrotta presenza sulla scena, è anche il raccordo drammaturgico che collega singoli quadri scenici dominati nell’ordine da tre principesse: Cassandra, Andromaca ed Elena. Ognuna delle tre donne si fa portatrice di un tema che sviluppa attraverso il dialogo con Ecuba. Persa nel ricordo di Ettore e straziata dalla sentenza di morte che condanna il figlio Astianatte, Andromaca, convinta da Ecuba, sceglie in qualche modo la vita e acconsente a seguire Neottolemo, l’eroe greco a cui è stata assegnata. Elena, in perfetta sintonia con la tradizione omerica, è qui avida e ammaliatrice; ma quando vanta la propria innocenza cercando di attribuire ogni colpa agli dei, è smascherata dalla lucida condanna di Ecuba. Cassandra si presenta invece come un’anti-Elena, come l’espressione del riscatto troiano, poiché sa che non appena sarà giunta nella reggia di Agamennone (di cui è ormai schiava e concubina), questi sarà ucciso, con lei, dalla moglie Clitennestra. Cassandra esalta la gloria e l’eroismo dei troiani, morti per difendere la loro città: ma la retorica “politica” del sacrificio per la patria risulta ora svuotato dinanzi al lutto e al dolore delle donne sopravvissute. Già nel prologo del dramma, Atena e Posidone, entrando tra le rovine fumanti di Troia, avevano concertato lo sterminio dei Greci sulla via del ritorno. Uno scenario, questo, che non distingue i vincitori dai vinti: un monito, forse anche un presagio della disastrosa sconfitta che, appena due anni dopo la messinscena delle Troiane, gli Ateniesi avrebbero subito combattendo nel porto di Siracusa. NOTE DI REGIA Le troiane ovvero il punto di vista dei vinti. Il punto di osservazione dei troiani, coloro che hanno perso la guerra a causa della furbizia, della menzogna e dell’inganno, è il punto di vista di chi subisce e subirà le peggiori vendette ed umiliazioni frutto dell’arroganza dei vincitori. Considerando che Euripide è un autore greco e che quindi appartiene alle schiere dei vincitori, possiamo dire che il suo punto di vista risuona come una chiara presa di posizione non solo contro tutte le guerre “esportatrici di civiltà”, che gli uomini “civili” fanno in nome della giustizia e del progresso ma che in realtà nascondono altri fini ed intenzioni, ma anche contro tutte le guerre in genere. Guerra come negazione della civiltà. Guerra come inizio della fine della civiltà e quindi dell’umanità. La riduzione di Sartre regala proprio questo senso di becera stupidità della guerra. La sua versione infatti appare sfrondata di ogni possibilità catartica dei personaggi; ogni umiliazione non restituisce dignità ai vinti ma ne sottolinea il loro gratuito sterminio. La condanna oltre che per la violenza è soprattutto per la cultura dominante che non offre, e non vuole offrire, alcun riscatto all’umanità dei vinti. Anzi viene negata loro la possibilità di essere considerati “diversamente civili”, attribuendo così alle loro differenze l’insindacabile funzione di pericolo per l’umanità. Motivazione, questa, che autorizza anche la peggiore violenza contro il nemico ma che in realtà nasconde una natura assolutamente opposta e contraria alle sbandierata “civiltà” dei conquistatori; come risalta nelle parole di Andromaca: “Uomini d'Europa, voi disprezzate l'Africa e l'Asia e ci chiamate barbari, ma quando la cupidigia e la vanagloria vi portano da noi, saccheggiate, torturate, massacrate. Dove sono i barbari, allora, eh? E voi, Greci, così fieri della vostra umanità, dove siete?” Temi molto attuali che non hanno bisogno di sottolineature modernistiche e che mettono in luce i pericolosi e occultati fondamenti di quei comportamenti “civili” che negano il diritto all’esistenza di tutti gli essere umani. Federico Magnano San Lio