Capitolo sesto “ IL METHODENSTREIT: IL DIBATTITO METODOLOGICO NELLO STORICISMO TEDESCO E NEL NEO-CRITICISMO “ Lo storicismo tedesco è un movimento filosofico che si sviluppa in Germania sul finire dell’800. Esso, per liberare la storia da ogni prospettiva metafisica, attua una critica della ragione storica, attraverso un ritorno a Kant. Metodologicamente parlando si afferma che nessun oggetto di studio può essere conosciuto se non come momento o prodotto di un processo storico. L’esponente più importante è stato Wilhelm Dilthey. ( Dilthey e le scienze dello spirito ) Egli distingue innanzitutto le scienze naturali dalle scienze dello spirito, affermando che le prime spiegano gli eventi del mondo fisico, stabilendo dei nessi causali attraverso le ipotesi. Mentre le scienze dello spirito cercano di comprendere l’agire umano e l’intenzionalità dell’altro attraverso l’esperienza vissuta ( erlebnis ). In altre parole, queste ultime indagano gli eventi interni all’individuo, cioè quegli eventi di cui egli ha conoscenza diretta e immediata. Dilthey analizza il concetto di Erlebnis allo scopo di trovare il vero fondamento delle scienze dello spirito, mediante un processo dialettico. In un primo momento constata che l’Erlebnis è il singolo stato cosciente in cui si manifesta l’Erleben, cioè il flusso interiore che costituisce la vitalità originaria. Poi si arriva alle oggettivazioni storico-sociali e culturali dell’Erleben. Infine si comprende che tali manifestazioni sono prodotte dalla vita. Ma il pensiero penetra la vita quando essa è già passata, quindi il vero fondamento delle scienze dello spirito si ritrova in un comprendere retrospettivo e non assoluto. Mentre il fine ultimo delle scienze dello spirito è l’interpretazione. Secondo Dilthey c’è una corrispondenza diretta tra l’esperienza vissuta individuale e l’esperienza vissuta altrui e tale corrispondenza ci permette di interpretare la varie espressioni della realtà umana. Quindi è necessario che i fatti singolari siano compresi dall’interno perché solo così si può dare validità universale a ciò che è individuale, in quanto prodotto storico. Per far sì che questo avvenga Dilthey cerca una categoria ( ritorno a kant) e la individua nella vita e poiché ogni prodotto storico è espressione di vita, ne consegue che è possibile comprendere la vita (e quindi l’universale) attraverso la comprensione degli eventi storici (e quindi l’individuale ). Circa il metodo, Dilthey respinge le affermazioni di Windelband, secondo cui le scienze dello spirito avrebbero un metodo individualizzante, mentre quelle della natura avrebbero un metodo generalizzante. Egli ritiene che le scienze dello spirito utilizzino entrambi i metodi. Ad esempio, la storiografia ha attitudine individualizzante ma la psicologia e l’antropologia orientano il loro interesse ai tratti generali del mondo. NB: La storia a cui si riferisce Dilthey non è quella intesa come sequenza di fatti storici, ma si tratta della storia in quanto sede della comprensione storica, che si pone come mediazione tra differenti visioni del mondo. ( Il neo-criticismo di Windelband e Rickert ) Questa corrente si sviluppa in Francia e soprattutto in Germania, tra l’800 e il ‘900, attraverso una serrata polemica antipositivista. Gli esponenti più rappresentativi sono: Windelband e Rickert, il cui obiettivo è quello di individuare una criterio che determini la verità o la falsità di un oggetto conoscitivo. Tale criterio è visto nel valore, che è indipendente dal soggetto che lo formula. Secondo Windelband, con riguardo alla conoscenza storica, è necessaria la messa a punto di una teoria della conoscenza che insegni come si deve pensare e agire correttamente, se ci si vuole accostare alla conoscenza scientifica. Egli infatti riprende la differenza kantiana fra i due tipi di dovere, nel primo caso inteso come obbedienza ad una istanza etica, nel secondo caso come obbedienza ad una fonte normativa (cioè la legge logica). A questo punto afferma che la legge logica, come quella morale, è una massima che indica come si deve agire e pensare correttamente, senza alcuna costrizione. In questo senso, il pensare presuppone una coscienza che ha degli scopi, ne consegue che il pensiero corretto (cioè la conoscenza) è innanzitutto un “giudicare” orientato da criteri che devono essere perseguiti. Il metodo di cui parla Windelband parte dall’affermazione che esistono valori universali, che legittimano la validità del pensiero umano. Affinché tali valori siano universali è necessaria una coscienza normativa condivida, quindi il riferimento ai valori rappresenta un principio a priori (una sorta di categoria kantiana) che dà senso alla conoscenza scientifica e alla storia. Però i valori universali non possono essere dimostrati, in quanto principi a priori, infatti il metodo critico poggia sul presupposto della fede nei valori. Così la scienza viene ad essere un pensiero che possiede il valore della verità, la verità a sua volta disciplina il pensare e lo trasforma in conoscenza. Windelband ha affrontato il problema del rapporto tra le scienze naturali e quelle dello spirito (che rinomina scienze della cultura), posto da Dilthey. A differenza di quest’ultimo che aveva indicato nell’oggetto la differenza tra le due, Windelband affronta il discorso in termini metodologici, affermando che le scienze della natura sono nomitetiche, in quanto formulano leggi che hanno solo valore di schemi o di classificazioni dell’universale; mentre le scienze della cultura sono idiografiche, perché considerano i singoli eventi nel loro divenire storico. Di conseguenza, se le prime tendono all’astrazione, le seconde giudicano i fatti secondo quei valori che sono il presupposto della storia stessa. Rickert sviluppa in modo sistematico i problemi affrontati da Windelband: 1) La teoria dei valori 2) La relazione fra i due tipi di scienza. Circa il primo punto, il suo obiettivo è costruire una teoria della conoscenza, intesa come modo di costruire concetti e giudizi. A tal proposito discute il rapporto tra soggetto conoscente e oggetto conosciuto in forma trascendentale ( Kant), in cui il soggetto non è attore storico ma pura attività conoscitiva, mentre l’oggetto è un contenuto puro. Nella logica hegeliana, l’ordine della realtà e quello della razionalità sono in corrispondenza, cosicché la realtà è ricavabile (per deduzione) da concetti generali. Rickert critica proprio questo, affermando che gli aspetti della realtà sono così molteplici che richiedono un criterio di selezione che orienti questa molteplicità; il problema quindi è individuare il modo (cioè i criteri) in cui la mente umana costruisce i concetti nel suo rapporto con l’esperienza. Tale modo consiste nell’attribuire ai valori una funzione orientativa e di selezione. Circa il secondo punto, ciò che impegna più Rickert è il metodo delle scienze naturali, in rapporto alla conoscenza storica. Egli afferma che lo studio della natura trova un limite insuperabile, che differenzia la sua elaborazione concettuale da quella delle scienze dello spirito. Tale limite è l’evento singolare, in quanto le scienze della natura colgono la realtà nella sua universalità. Inoltre la realtà è costituita da “individualità valorizzate”, cioè il valore permette di attribuire un senso ad alcune singolarità piuttosto che ad altre. Ciò significa che lo storico prende in considerazione solo quegli eventi singolari che incarnano valori culturali, quindi i valori sono un criterio di distinzione rispetto alle scienze naturali. Capitolo settimo “ FILOSOFIA DELLA SCELTA E METODOLOGIA DELLA CAUSA: MAX WEBER “ ( I tratti del sapere scientifico ) I primi studi di Weber riguardano la storia dell’economia ed è attraverso tali studi che matura la sua critica alla scuola storica dell’economia, in questo quest’ultima avevo posto al centro della sua riflessione uno studio storico dei fenomeni economici. Un simile programma era influenzato dalle istanze teoriche del Romanticismo tedesco, il quale considerava la società come una totalità governata da leggi evolutive, simili a quelle che regolano lo sviluppo di ogni organismo e quindi caratterizzate da diverse fasi della crescita e da un inevitabile declino finale. In una simile totalità, tutti gli elementi dello sviluppo soci-economico interagiscono reciprocamente, obbedendo a leggi poste da “un’essenza metafisica: cioè lo spirito di un popolo”. Questa impostazione condizionò tutti i risultati conseguiti dalla scuola storica e infatti la critica weberiana è diretta al perdurare di quegli elementi romantici all’interno delle scienze storicosociali. Questa critica si articola in due punti: 1) Rivendicazione dell’autonomia dell’indagine, rispetto a criteri-guida di natura valutativa, assunti dall’indagine stessa. Infatti, secondo Weber, il fallimento della scuola storica dipende dalla subordinazione dell’indagine a scelte di tipo ideologico, che anziché mirare ad un accertamento empirico della verità, riconferma i propri principi ideologici. 2) La pretesa degli esponenti della scuola storica di individuare leggi, capaci di regolare gli eventi storico-sociali. Secondo Weber la distinzione tra scienze naturali e scienze storicosociali non è di natura ontologica, cioè non riguarda la qualità dei rispettivi oggetti di studio, ma riguarda due diverse strategie cognitive accomunate dalla necessità di un rigoroso accertamento empirico. ( L’oggettività della conoscenza storico-sociale ) Weber ne parla in relazione alla formazione dei concetti, una formazione dipende dalla posizione che essi assumono all’interno di una cultura. Infatti l’errore degli storici è quello di ritenere che i concetti siano la riproduzione della realtà, invece per Weber (richiamo a Kant, come Rickert) essi sono solo mezzi del pensiero, creati per dominare il dato empirico. Il presupposto delle scienze della cultura, afferma Weber, sta nel fatto che l’uomo (in quanto essere culturale) ha la capacità di assumere punti di vista diversi, che danno significato al divenire. Ma la cultura è una sezione finita dell’infinità molteplicità del reale, che acquista un senso nel momento in cui è l’individuo a dargliene uno e ad associargli dei valori; quindi i punti di vista sono criteri di selezione, che orientano l’attribuzione di senso e attraverso la costruzione dei concetti, trasformano tale costruzione in problema cognitivo. Dal momento che ogni conoscenza della realtà culturale muove da particolari punti di vista, ne consegue che la costruzione dei concetti è condizione del conoscere, mentre i valori guidano i punti di vista. Dunque l’oggettività delle scienze storico-sociali è un’oggettività locale, i cui confini sono dettati dal duplice livello di scelta: scelta del punto di vista e scelta dell’oggetto, entrambi circoscrivono il piano dell’indagine. Oggettività locale vuole dire consapevolezza di non poter cogliere tutta la realtà, ma soltanto alcuni frammenti di essa. Come Rickert, anche Weber afferma che la relazione al valore va distinta dal giudizio di valore, dove quest’ultimo rappresenta un criterio valutativo dell’agire mentre la relazione al valore delimita l’indagine empirica, il cui obiettivo è determinare empiricamente ciò che è vero. Questa distinzione è alla base del “principio di avalutatività”, quale condizione indispensabile di oggettività. Avalutatività significa, infatti, raccomandazione metodologica che investe il procedere dell’indagine e anche esclusione dalla scienza dei giudizi di valore. Una volta individuato l’oggetto, attraverso i criteri di selezione, l’indagine può seguire come unico riferimento, quello dell’accertamento empirico delle proprie asserzioni. La nozione di avalutatività rinvia al concetto di scienza laica, sostenuto da Weber; infatti la scienza non può fornire certezze indicazioni sulla preferibilità di un valore rispetto ad un altro, né può orientare la scelta tra diversi punti di vista. ( La logica della spiegazione causale ) Tale logica poggia sull’espressione “imputazione causale”. Si tratta di un’espressione di natura giuridica che sottolinea duue aspetti importanti della logica della spiegazione, nelle scienze storico-sociali: 1) Essa mostra che l’obiettivo del sociologo e dello storico, così come quello del giudice, consiste nell’imputare conseguenza concrete a cause concrete, cioè storicamente situate. 2) Essa mostra che una cosa è l’imputazione oggettiva della conseguenza di un’azione individuale, altro invece è la qualificazione di tale azione come colpa dell’individuo. Il primo punto si risolve attraverso una constatazione dei fatti, mediante la loro osservazione e la loro interpretazione causale. Il secondo punto richiede invece delle considerazioni di valore, di tipo etico, che caratterizzano una determinata cultura. Il senso della spiegazione è legato ad una selezione dei punti di vista valorizzati, che permette allo studioso di individuare aspetti che hanno un significato, in riferimento a tali punti di vista. Allo stesso modo, un giudice prende in esame solo quegli elementi per la qualificazione di un’azione come colpa. Ma in cosa consiste l’imputazione causale? Essa si svolge sotto forma di processo concettuale, che implica una serie di astrazioni. Ad esempio: supponiamo che la particolarità A sia caratterizzata da una serie di elementi A1, A2, A3…Am. La prima astrazione da fare consiste nel chiedersi “cosa sarebbe avvenuto” se uno di questi elementi non si fosse dato o si fosse dato diversamente. Facciamo un esempio concreto: Particolarità A: l’Occidente è stato profondamente influenzato dai valori culturali del mondo greco. In rapporto a tale fenomeno supponiamo il ruolo esercitato dall’esercito greco-persiano (A1), caratterizzato dalla lotta per l’egemonia. A questo punto la prima astrazione da fare è chiedersi: “Cosa sarebbe avvenuto se la Grecia non avesse vinto la battaglia di Maratona contro i persiani”? Come si è visto, il processo di astrazione trasforma la realtà nel suo opposto. Tuttavia la risposta all’interrogativo posto richiede la formulazione di un “giudizio di possibilità oggettiva”, cioè una valutazione di ciò che sarebbe accaduto se la Grecia non avesse vinto quella battaglia. Tale giudizio si basa su regole di esperienza, attraverso un processo di generalizzazione; ciò vuol dire che noi scomponiamo il dato in elementi per capire se ognuno di questi possa essere considerato come “causa”. Pertanto un elemento diventa causa di un fatto se, al suo non verificarsi, la singolarità A (oggetto di indagine) si sarebbe configurata in modo diverso da come si è configurata. Inoltre un elemento assume importanza causale se riferito alla “causazione adeguata”, cioè se l’evento A si sarebbe verificato anche in assenza dell’elemento A1. La regola di esperienza in questo caso suggerisce che se i greci non avessero vinto quella battaglia, i persiani avrebbero imposto il loro sistema di valori, come effettivamente è accaduto nelle regione da loro dominate. ( Il problema della comprensione ) Premessa: la teoria weberiana del tipo ideale. Il tipo ideale è una costruzione concettuale che non mira a riprodurre la realtà, ma rappresenta uno schema concettuale in cui la realtà viene assunta come esempio. Il tipo ideale, inoltre, non è ottenuto attraverso un processo di generalizzazione, ma mediante l’accentuazione concettuale di determinati aspetti della realtà e come ogni razionalizzazione, esso rappresenta il risultato di un processo di selezione dei punti di vista. Mentre la sua funzione fondamentale è quella di servire come guida. Ad esempio: la costruzione del tipo ideale del capitalismo occidentale permette di enfatizzare le singolarità dell’evento in questione. Dal punto di vista metodologico, la sociologia weberiana è caratterizzata da un intreccio di Verstehen e di Erklaren: cioè comprensione e spiegazione. La comprensione rappresenta la ricostruzione del contesto di senso, in cui si produce l’agire, e tale ricostruzione avviene mediante concetti tipico-ideali, costruiti razionalmente. Lo stesso percorso di imputazione causale è legato alla necessità di comprendere le attribuzioni di senso, nel loro significato culturale. Infatti la sociologia weberiana qualifica se stessa come comprendente per il semplice fatto che mira alla comprensione dell’agire individuale, nello specifico contesto di senso in cui si colloca. In “Economia e società”, egli teorizza la possibilità di distinguere due tipi di verstehen: Comprendere attuale, che comprende il significato di un gesto, in una determinata cultura. Comprendere esplicativo, cioè comprendere attraverso una motivazione quale senso l’attore sociale attribuisca a quel gesto e in quella data circostanza. Spiegare il gesto di x, significa comprendere contemporaneamente il significato che esso assume nella determinata cultura in cui si produce, e ricostruire (attraverso una base ideal-tipica) le motivazioni di x nel produrre quel gesto e in quella data cultura. Dunque il Verstehen e l’Erklaren si integrano reciprocamente come parti che costituiscono un unico processo, di cui il tipo ideale le costituisce il “luogo specifico”. Capitolo ottavo “ IL NEO-POSITIVISMO LOGICO (O EMPIRISMO LOGICO ) Premessa I temi di base del suddetto sono: a) Il principio di verificazione, formulato da Schick nel 1936. esso permette la distinzione tra proposizioni significanti da quelli non significanti e quindi l’eliminazione di ogni assunzione metafisica b) Viene esaltata l’esperienza come fonte unica di ogni conoscenza valida. c) La filosofia (o l’epistemologia) viene intesa come analisi del linguaggio. d) Orientamento antimetafisico. e) Progetto di unificazione della scienza. Nei primi del ‘900 un gruppo di studiosi, interessati alle fondamenta della logica e della matematica, costituisce a Vienna un circolo di discussione, noto poi col nome di Circolo di Vienna (Wieber Kreis). Tra i promotori vi furono il matematico Hahn, il sociologo Otto Neurath e altri, ma una chiara delineazione dei principi filosofici si ebbe con l’arrivo di Rudolf Carnap. Nel 1928 per iniziativa di Moritz Schlick venne fondata l’associazione culturale “Ernst Mach”, con l’intento di diffondere una visione scientifica unitaria. Infatti il richiamo a Mach e le letture di Wittgenstein (che di tanto in tanto si incontrava con quelli del circolo, ma senza farne parte) furono fondamentali per intendere i presupposti filosofici del circolo stesso. Occorre ricordare che Mach criticò il modello della meccanica newtoniana e ribadì il carattere ipotetico di tutte le teorie scientifiche, le quali possono essere modificate o addirittura abbandonate se smentite dall’esperienza. Di fatto Mach negò l’esistenza di un mondo reale e materiale, indipendente dalle percezioni e questo provocò diverse reazioni, sia tra i fisici che tra i filosofi, perché ogni restrizione dell’esperienza umana alla percezione fisica è anche una restrizione della razionalità (da un lato) e della realtà (dall’altro lato). Dal punto di vista prettamente filosofico, Husserl sottopose a critica la visione di Mach con la fenomenologia, cioè la rifondazione della filosofia come sapere razionale e rigoroso della realtà. Anche Popper criticò il neo-positivismo, ribadendo il carattere pluralistico della conoscenza, che in quanto tale non può essere ridotta ad un’unica forma, quella scientifica. Nel frattempo il Circolo di Vienna strinse rapporti di collaborazione col gruppo costituito a Berlino attorno a Reichenbach, Hempel e altri. Tanto che nel 1929 venne elaborato un Manifesto Programmatico, in cui veniva definita una comune filosofia come concezione scientifica del mondo. Caratteristica di tale filosofia è l’unificazione della scienza, ovvero rifondare la scienza su principi comuni e condivisi. Con l’avvento del nazismo in Germania, il gruppo si sciolse: Schlick fu assassinato, mentre un buon numero di studiosi si trasferì a Chicago dove lavorò alla pubblicazione dell’Enciclopedia Internazionale della scienza unificata, avvalendosi anche delle competenze di Russell e Dewey. Il progetto però rimase incompleto, sia per le difficoltà intrinseche al progetto stesso, che per lo scoppio della seconda guerra mondiale. Una delle tesi fondamentali è (come già detto) la critica alla natura metafisica della filosofia tradizionale: ogni metafisica è un insieme di enunciati che non hanno senso (cioè non sono né veri, né falsi), perché ricavati da concetti privi di scientificità. Infatti l’errore della metafisica consiste nel simulare un contenuto teorico inesistente, quindi l’intento del neo-positivismo è ricostruire la filosofia in quanto “critica del linguaggio scientifico”, attraverso l’analisi del linguaggio. Infatti l’analisi logica del linguaggio diventa un metodo per smascherare il contenuto nullo degli enunciato metafisici. Ad esempio: se un metafisico afferma che “esiste un Dio”, i neo-positivisti non rispondono con la frase “Ciò che dici è sbagliato”, ma pongono il seguente quesito: “Cosa intendi dire con i tuoi asserti”? Questo lavoro implica una duplice esigenza: da un lato richiede che ogni enunciato sia riducibile ad asserti elementari; dall’altro richiede che ciascun concetto debba essere ridotto a concetti via via più elementari, che riguardano il dato stesso, in modo che anche il significato del concetto iniziale possa essere determinato in base ad un processo di riduzione. Ma qual è il rapporto tra il linguaggio e il mondo? Wittegenstein elabora la teoria del linguaggio per rispondere a tale quesito, dove il linguaggio è considerato nella sua funzione cognitiva (vengono escluse le altre funzioni, come quella emotiva), quindi come linguaggio scientifico. In quanto tale, il linguaggio verte sullo “stato di cose” (unità elementare), che a sua volta indica una relazione fra gli elementi più semplici e non ulteriormente riducibili della realtà. In virtù della corrispondenza con la realtà, la proposizione mostra il “senso che è”, piuttosto che lasciarsi interpretare per il “senso che ha”. Da questo, secondo Wittgenstein, deriva la tripartizione di tutte le proposizioni: 1) Le proposizioni elementari delle scienze naturali sono dotate di senso (perché raffigurano relazioni tra oggetti) e sono vere (perché relative a fatti). 2) Le proposizione tautologiche della logica sono prive di contenuto cognitivo ( una tautologia è lo stesso concetto ripetuto con parole diverse). 3) Tutte le proposizioni non empiricamente verificabili sono prive di senso. Rudolf Carnap nell’opera “La costruzione logica del mondo” invece afferma che l’unico modo che possiamo conoscere scientificamente è l’insieme dei concetti della scienza, cioè quello di cui possiamo parlare con verità. A questo proposito mette a punto un “sistema di costituzione” (usa la parola costituzione al posto di costruzione), a partire da un piccolo numero di concetti fondamentali. Infatti afferma che la scienza è costituita da proposizioni elementari, che rappresentano gli “elementi originari del mondo”. Tali proposizioni esprimono: - un contenuto, che è l’esperienza vissuta elementare - una forma, che è la relazione tra le esperienze vissute elementari. La filosofia dunque deve configurarsi come analisi del linguaggio scientifico, cioè deve ricondurre logicamente le proposizioni scientifiche a proposizioni verificabili, attraverso le esperienze vissute elementari e le loro relazioni. Egli riprese il principio di verificazione di Schlick e scrisse che il senso di una proposizione è il metodo della sua verifica. Infatti Schlick aveva affermato che stabilire il significato di una frase equivale a stabilire delle regole con cui tale frase deve essere usata, il che equivale a stabilire il modo con cui essa può venire falsificata o verificata. Quindi per Sclick il significato di una proposizione è il metodo della sua verificazione. Com’è evidente si tratta di affermazioni estreme, che non possono essere accettate del tutto perché non sempre la “significanza” coincide con la “verificabilità”. Carnai però con la sua affermazione faceva riferimento alla distinzione fatta da Frege, tra senso e significato e quindi al fatto che il senso dei concetti è dato unicamente dai loro rapporti matematici (quantitativi e misurabili), di conseguenza è solo su questa “misurabilità” che si può fare scienza. Per Carnap quindi ogni concetto sarebbe definibile per l’insieme di rapporti matematici che esso intrattiene con tutti gli altri concetti. Questo insieme costituisce la struttura logica del mondo. Nel pensiero di Carnap, la fondazione delle scienze si mostra su due livelli separati: quello empirico e quello logico. A questo punto l’interrogativo è: “Qual’è il livello che fonda la scienza”? Per costruire l’immagine logica del mondo, Carnap usa la logica in cui il punto di partenza è il “dato d’esperienza”; tale dato per essere utilizzato scientificamente deve essere tradotto in una “proposizione protocollare”, cioè una formulazione linguistica che descrive il contenuto dell’esperienza immediata e delle relazioni fondamentali. Tali proposizioni, poi, vengono disposte nel linguaggio sistematico della scienza, che si esprime in proposizioni generali o leggi di natura. E sono le stesse proposizioni protocollari che permettono la verifica della scienza. ( Il dibattito ) Dopo il 1930 all’interno del movimento si apre un accanito dibattito ad opera di Schlick e successivamente di Otto Neurath. Schlick formulò il principio di verificazione, considerando che le scienze fisiche partono dall’osservazione dei dati sensibili, risalgono per induzione ai giudizi universali di tipo ipotetico e poi giungono (per mezzo della matematica) a delle conclusioni parziali, le quali sono “vere” solo se vengono verificate da nuove osservazioni sensibili. Di conseguenza, qualunque problema è risolvibile se si possono ipotizzare le esperienze che si dovrebbero avere, per dare una risposta al problema posto e tale risposta può solo essere una proposizione. Essa però ha un senso solo se è in grado di indicare con precisione le circostanze specifiche che la renderebbero vera e insieme quelle che la renderebbero falsa. Per “circostanze”, Schlick intende i fatti d’esperienza, cioè l’Erlebnisse. Schlick concepiva la scienza come un rapporto di “segni” (cioè concetti espressi in proposizioni) e “dati” (le intuizioni dei fatti sensibili) e quindi la verità era data dalla corrispondenza costante tra loro. In questa prospettiva, il giudizio è vero quando si riunisce concetti che si riferiscono al medesimo dato. In definitiva è l’esperienza che verifica o falsifica una proposizione e pertanto il criterio per risolvere un problema è la sua riconduzione all’esperienza. Relativamente alla scienza, egli afferma che è costituita da proposizioni e a questo proposito si rifà alla tripartizione delle proposizioni fatta da Wittgenstein (vedi pagina precedente). Quindi si chiede a quale classe di enunciati appartengono le leggi scientifiche. Visto che asseriscono qualcosa sul mondo non sono delle tautologie, allo stesso modo non possono essere ridotte a esperienze vissute. Allora ne consegue che, paradossalmente, sono degli enunciati privi di senso e per questo motivo non può essere loro riconosciuta la struttura logica di un enunciato. Otto Neurath polemizza con Wittegenstein circa la sua teoria del linguaggio. Questa teoria afferma che il significato di una proposizione coincide con lo stato di cose che essa raffigura. A tal proposito Neurath avanza la “Prospettiva fiscalista”, secondo cui tutte le proposizioni possono essere ricondotte al linguaggio della fisica. Infatti, qualunque sia la scienza, ogni movimento all’interno di essa deve avvenire all’interno del linguaggio e non attraverso il confronto del linguaggio con il mondo che esso riflette. Nella prospettiva fiscalista, il linguaggio viene considerato come un insieme di segni e suoni. Tale linguaggio quindi è la condizione indispensabile per l’unificazione della scienza, in quanto costituisce la struttura di base di cui tutte le scienze sono fatte. Un altro punto su cui ribatte Neurath è il “linguaggio fenomenista” (basato sulle esperienze vissute elementari) ipotizzato da Carnap, e lo esclude dalla prospettiva della scienza unificata per il semplice fatto di porsi come unico strumento per la costruzione degli enunciati. ( La polemica dei protocolli ) studiare molto bene perché è importantissima! Carnap cerca di costruire un albero genealogico dei concetti, definendo concetti complessi a mezzo di concetti più semplici. Egli sostiene che la base del sistema scientifico va rintracciata nelle esperienze vissute elementari e per arrivare al suo obiettivo edifica la struttura logica su due pilastri: gli elementi fondamentali (cioè i miei dati vissuti) le relazioni fondamentali (o ricordi di similarità), che poggiano sul confronto mnemonico tra sensazioni. Egli elabora la nozione “proposizione protocollare”, il cui significato può essere illustrato in termini corretti o in termini approssimativi. Nel primo caso, le proposizioni protocollari sono le proposizioni più semplici del linguaggio protocollare, quelle che non richiedono verifica e sono assunte come fondamento per tutte le altre proposizioni. Nel secondo caso, le proposizioni più semplici del linguaggio si riferiscono al dato e descrivono esperienze e fenomeni. Poi, a seguito delle critiche di Neurath, Carnap distingue due tipi di linguaggio: 1) Il primo, più rudimentale, rappresenta la realtà e quindi collega simboli con cose. 2) Il secondo, più complesso, invece è un sistema di segni e regole che non si riferisce a fatti e oggetti del mondo esterno. Quindi la base del sistema proposto da Carnap non è più costituita dalle esperienze vissute elementari, ma dalla loro rappresentazione linguistica, cioè dalle proposizioni protocollari. Tali proposizioni sono anche un’articolazione del linguaggio fisico, perché al pari di altri enunciati possono essere tradotti nel linguaggio fisico. La dimostrazione di questo punto avviene attraverso il riferimento ad un linguaggio ideale, nel quale vengono formulate le proposizioni protocollari. Neurath critica proprio questo punto, perché a suo parere è intriso di metafisica e la sua conclusione è quindi che non esiste un linguaggio idoneo a formulare proposizioni protocollari “pure”, che fungano da base di partenza per la scienza. Critica anche un aspetto del pensiero di Carnap: il fatto che le proposizioni protocollari non richiedono verifica. Infatti secondo Neurath, la verità di una proposizione consiste nell’accordo di essa con il sistema scientifico totale e quindi se la proposizione si rivela contraddittoria (cioè falsa), o si respinge la proposizione considerata falsa o si modifica tutto il sistema scientifico, in modo da ritenere false tutte le proposizioni che lo costituiscono, fino ad allora considerate vere. Secondo Schlick, la scienza è il luogo della rappresentazione vera dei fatti e quindi le proposizioni protocollari, in quanto formulazioni linguistiche, non possono costituire il fondamento della scienza perché esprimono solo ipotesi. Infatti il sistema delle proposizioni non è che uno strumento per orientarsi nei fatti e confermare le ipotesi, allora il problema del fondamento della conoscenza si trasforma nel problema dei punti di contatto fra conoscenza e realtà. Tali punti di contatto sono assicurati da un tipo particolare di proposizioni osservative, che egli chiama “constatazioni”. Esse hanno la forma delle proposizioni protocollari ma si differenziano da queste ultime perché parlano sempre dei fatti a mai di percezioni. Le constatazioni includono anche delle parole indicative, il cui senso coincide con il senso di un gesto compiuto simultaneamente. Ad esempio: l’espressione “questo” ha senso solo se accompagnata da un gesto simultaneo. Secondo Wittgenstein, il significato di una proposizione sta nel modo in cui essa viene usata all’interno di una forma di vita. Ad esempio: il bastone è una leva soltanto l’applicazione del bastone ne fa una leva. In altri termini, stabilire il significato di una frase equivale a stabilire le regole con le quali essa deve essere usata. Quindi quando parliamo di verificabilità intendiamo la possibilità logica di verificazione ed in quanto tale essa non può configurarsi come operazione, eseguita all’interno di un determinato linguaggio. Carnai invece afferma che se per verificazione intendiamo una dimostrazione assoluta della verità, allora nessun enunciato sarà mai verificabile, ma al massimo confermabile. Ciò lo porta a sostituire la nozione di verificabilità con quella di conferma e alla successiva distinzione tra conferma e controllo. Pertanto un enunciato: - sarà confermabile se è disponibile una procedura che porta ad un certo grado di conferma o disconferma - non sarà confermabile se siamo in grado di enunciare in quali condizioni esso risulterebbe confermato.