Gianvittorio Lazzarini: Pratica sportiva e welfare

annuncio pubblicitario
Uisp Lombardia - Progetto “Sport e Welfare”
Corso di formazione per “Mediatori di Progetto”
La pratica sportiva e il concetto di welfare
Linee guida
di Gianvittorio Lazzarini
1. Lo sport nelle politiche sociali e nel welfare territoriale
2. Innovare le associazioni sportive - La sfida del
cambiamento
3. Problematiche e finalità educative
-ILo sport deve essere percepito come un fenomeno che non riguarda solo la sfera del
tempo libero, dell’intrattenimento, del loisir, ma un fattore importante nelle politiche
sociali e nel welfare territoriale
A. Lo sport, è perfino inutile dirlo, rappresenta un fenomeno sociale, economico,
psicologico, culturale, simbolico di straordinaria importanza per il nostro tempo, e,
soprattutto nella sua rilevante (e spesso esasperata) rappresentazione mediatica, ha uno
straordinario ruolo nel dettare i contenuti dell’immaginario e del sentimento collettivo per
mezzo di innumerevoli fantasie, emozioni, affetti, modelli, criteri morali, miti, simboli,
ideologie, idoli e rappresentazioni sociali. Proprio perché questi contenuti, sentimenti e miti
spesso mostrano caratteri negativi o comunque ambivalenti, le forze più aperte e propositive
della società devono sviluppare una grande iniziativa culturale, sociale, politica per far
prevalere gli aspetti più fecondi del fenomeno sportivo.
Essendo un sistema culturale che rappresenta una chiara riproduzione e metafora della
vita individuale e sociale, nei suoi vari aspetti e quindi anche nelle sue contraddizioni, lo
sport influisce profondamente sui valori, lo spirito di solidarietà, i comportamenti
individuali e sociali della collettività intera. Infatti mette in gioco antitesi fondamentali: la
solidarietà, la collaborazione, il legame affettivo contro la competizione accesa, conflittuale,
violenta; le regole contro la loro trasgressione; la valorizzazione delle doti psicofisiche, della
creatività, psicologiche contro la esasperazione degli automatismi, degli schematismi; il
sacrificio, lo sforzo per superare i limiti, per migliorarsi contro l’esasperazione della
prestazione; il giusto successo dei più forti contro l’umiliazione dei meno dotati; le valenze
razionali, strategiche contro le manifestazioni emotive e passionali più esplosive e
irrazionali; il desiderio disinteressato, generoso contro la ricerca smodata del profitto
personale; la cooperazione e la fratellanza contro il sentimento di avversione e perfino di
odio verso gli avversari…
B- Riflettere sul concetto di “salute”, non più considerata come assenza di malattie e di
carenze nella funzionalità psico-corporea, ma come una condizione globalmente positiva
che, riferendosi all’individuo nella sua unitarietà e nella sua concreta situazione di vita,
riguarda insieme l’ambito fisico, quello psichico e relazionale, sociale. Inoltre, l’attenzione
alla salute e alla funzionalità corporea e psichica va posta anche in vista del futuro: qui
appare decisivo il concetto di “prevenzione” (per attuare la quale, ovviamente, è
fondamentale la pratica fisico-motoria; sedentarietà malattia sociale…). Ecco come questa
tematica può essere meglio declinata nel principio dello “sport per tutti”…
C) Riconsiderare con ottica innovativa la concezione di welfare state, alla cui nozione
classica di assistenza si deve sostituire sempre di più quella della prevenzione, del
reinserimento sociale, dell’attivazione degli individui, dei gruppi (familiari e sociali) e
delle comunità. Riflettere sul principio costituzionale di sussidiarietà, in riferimento
soprattutto ai percorsi di progettazione/programmazione sociale condivisa. E sul fatto che
l’obiettivo della coesione sociale e della promozione umana e sociale cambia la visione e i
criteri dell’azione sanitaria e assistenziale, che, per esempio, va collegata strettamente anche
alle occasioni di crescita (culturale, relazionale, psicofisica, sociale…) offerte dalle variegate
esperienze ricreative, aggregative, educative, culturali, sportive alla qualità degli ambienti di
vita personale e collettiva. Fra i paradigmi di quello che viene chiamato welfare
“comunitario”, “relazionale”, ben si colloca lo sport, specie nella sua declinazione di “sport
per tutti”. L’attività fisico-motoria, sportiva, favorisce il benessere, l’autonomia, la sicurezza
nelle proprie possibilità, le relazioni e combatte le cause in modo significativo le debolezze,
le sofferenze corporee e psichiche, il logoramento psicofisico…
D) le società e soprattutto le associazioni sportive possono contribuire ad accrescere il
senso di sicurezza, di appartenenza e di solidarietà delle nostre comunità, contrastando
le potenti dinamiche economiche, culturali, sociali che hanno portato al sempre più forte
isolamento della persona, della famiglia, alla scomparsa o all’indebolimento di quelle forme
di incontro interpersonale, di socializzazione, di scambio umano, culturale ed educativo che
era decisivo per la formazione delle persone, per il senso di appartenenza alla propria
comunità e per esperienze che vedano insieme le diverse generazioni e i differenti sessi.
E) Liberare la cultura e la pratica sportiva dei pregiudizi culturali e sociali, perché si
ispirino alle più aperte e feconde concezioni della vita collettiva e al principio generatore
della coesione sociale. Riflettere davvero sull’attenzione che lo sport non profit, a partire
dalla nostra realtà associativa, rivolge alle grandi tematiche sociali – l’integrazione degli
emigrati, la lotta al doping farmacologico e alle sue varianti non chimiche (la
specializzazione precoce, il campionismo esasperato), l’intervento in carcere, la
socializzazione della terza età, l’offerta rivolta ai disabili, ecc. – viene sottovalutata oppure
scambiata per una pratica sostanzialmente strumentale o per una risposta “nobile” ma poco
significativa delle difficoltà e sofferenze sociali. Dobbiamo moltiplicare e qualificare
ulteriormente le nostre esperienze e pratiche prosociali, in modo da contrastare l’idea che
l’attività con i disabili riguardi solo aspetti riabilitativi di tipo fisico-motorio, ignorando la
primaria funzione di socializzazione e di integrazione…
Analogamente, dobbiamo con le idee e le buone pratiche far meglio percepire le
potenzialità di un rapporto con le minoranze etnico-linguistiche che sappia valorizzare il
linguaggio universale del gesto e della corporeità. E dobbiamo meglio dimostrare che
portare lo sport nelle carceri non significa solo “occupare il tempo dei detenuti”, bensì
sperimentare sistemi di regole, attivare circuiti di comunicazione esistenziale in contesti
difficilmente raggiungibili dalle tradizionale agenzie di socializzazione (famiglia, scuola). E
far meglio cogliere il valore di un’attività degli e per gli anziani, che costituisce una
compiuta strategia contro l’invecchiamento, un’alternativa alla depressione e alla
solitudine…
- II –
Innovare le associazioni sportive, a partire dalla nostra, nella struttura, nelle finalità,
nella logica organizzativa e nelle metodologie di lavoro, nelle esperienze di partnership
e nelle connessioni di rete. Affrontare la sfida del cambiamento alla luce dei mutamenti
(epocali) avvenuti nella nostra società e dei nuovi fini che vogliamo e dobbiamo
perseguire.
A) Riprendere il discorso sul cambiamento (fatto nel precedente corso residenziale di
Sirmione) della struttura, logica organizzativa, metodologia di elaborazione e di lavoro delle
associazioni sportive, in riferimento anche alle profonde trasformazioni della società (di
carattere perfino epocale) e al mutamento della sua mission…
Per fare tutto questo, dobbiamo pensare la nostra associazione come un soggetto che
compie, innanzitutto, un “lavoro sociale”, che è tale soprattutto se implica scambi tra gli
attori e non compartimentazioni; se attiva comunicazione, non chiusure e se non nasce per
realizzare relazioni univoche e chiuse, per soddisfare bisogno privatistici o corporativi, ma si
connette alle reti comunitarie e alle forme di coesione sociale.
B) Anche i nostri percorsi formativi devono essere resi più produttivi: non mirare solo alla
maturazione e alla crescita dell’individuo ma del gruppo e dell’organizzazione, e sempre
favorire la connessione fra pensiero, progetto e azione, organizzazione… Questo stesso
corso deve dare prova di una formazione che permetta quell’approfondimento teorico in
grado di trovare coerenti soluzioni organizzative e positive azioni, ponendo cioè uno stretto
legame di circolarità tra osservazione e intervento volto al cambiamento, e nel contempo
deve essere impostata in modo che i partecipanti siano stimolati e messi in grado di
immettere nella loro organizzazione ciò che hanno appreso, in modo che la disponibilità dei
volontari a crescere individualmente venga il più possibile correlata all’interesse verso la
crescita del gruppo e il funzionamento organizzativo.
C) Con il supporto di occasioni formative e di eventuali supervisioni tecniche, è opportuno
favorire in tutti gli addetti di un’organizzazione, nelle diverse funzioni e nei differenti livelli,
la possibilità di mettersi in gioco in un percorso di analisi organizzativa muti-dimensionale,
che permetta di ripensare e di promuovere la qualità dell’associazione sia dal punto di vista
produttivo sia da quello delle persone che la compongono, focalizzando e integrando gli
aspetti oggettivi e soggettivi. In tal modo le persone possono prendere coscienza dei
problemi e delle risorse dell’organizzazione e, infine, promuoverne il cambiamento. Questa
prospettiva di analisi, coinvolgimento e mobilitazione si deve allargare anche agli altri
soggetti presenti nella vita associativa – “utenti” di servizi, affiliati, atleti, genitori -, che
devono essere motivati e chiamati ad elaborazioni condivise in cui si definiscono e si
comunicano in modo chiaro luoghi tempi e metodologie per la stessa comunicazione fra le
varie componenti.
III –
-
Problematiche e finalità educative. Le principali dinamiche relazionali e pedagogiche
da affrontare nella pratica sportiva infantile e giovanile. Rapporti con i genitori, la
scuola
A) Gli obiettivi educativi sono compito di tutta l’organizzazione. Ogni associazione, in
quanto istituzione educativa, deve affrontare le problematiche dei vari soggetti impegnati
nella pratica sportiva: ragazzi alle prime esperienze di formazione sportiva, atleti in attività
agonistica, istruttori, allenatori, genitori e parenti, dirigenti e operatori delle associazioni e
delle società sportive. Con alcuni precisi angoli di visuale: ben affrontare la dialettica fra
sottomissione e autonomia, cioè il problema di chi stabilisce le regole e come lo si fa. Anche
in un cotesto sportivo, così come in generale nella vita individuale e sociale, infatti,
l’autonomia non è possibile senza l’apprendimento dell’auto-limitazione. E prima di ogni
auto-limitazione, devono essere definiti i limiti: limiti che in prima istanza sono sempre
esterni e non interni. Nella pratica sportiva (soprattutto in quella giovanile) chi definisce i
limiti, cioè le regole? La risposta più valida è che a farlo sono “tutti” gli attori presenti sulla
scena organizzativa, anche se molti viene naturale pensare soprattutto all’istruttore,
all’allenatore (una figura che, specie nel calcio, ha acquisito una rilevanza e un “potere”
straordinario…). Ma è una visione limitata e, sotto molti aspetti, non priva di aspetti
“pericolosi”… Infatti, è la complessiva organizzazione che deve fare da ponte fra “potere” e
“autorità” dell’adulto. E qui si presenta una prima significativa differenziazione con le
relazioni e i problemi educativi presenti nella famiglia: nella scuola come nel gruppo
sportivo, ci sono tanti ragazzi, tante personalità, tanti percorsi d’apprendimento, e le regole,
le logiche dell’autorità e dell’insegnamento devono tener conto del fattore “gruppalità”,
“collettività”.
Inoltre, lo sviluppo psico-educativo (e, in senso lato, sportivo) può avvenire solo se nella
società sportiva, così come nella scuola e in altre realtà educative, conoscenze, competenze
disciplinari, strategie cognitive si compenetrano con la trasmissione dei valori e con
l’educazione dei sentimenti, della socialità, della responsabilità civile e della moralità. Le
regole di ogni istituzione educativa non sono contro l’aspetto emotivo-relazionale, ma,
permettendone il dispiegarsi entro modalità definite, fanno in modo che questo si armonizzi
con la trasmissione, l’elaborazione e la crescita del sapere e l’acquisizione di competenze.
L’unità solidale va perseguita, “educata”, “curata” (nel senso di “averne cura”, sempre), in
modo che le inevitabili differenze di personalità, capacità, idee e ruoli trovino modo di
confrontarsi e di armonizzarsi per mezzo di buone relazioni, di buone e condivise regole di
comportamento, di paziente, tollerante ma coraggiosa abitudine a valutare cosa si è fatto,
cosa si sta facendo e cosa si vuole fare.
C) Un primo quadro di “domande-problema”
Come conciliare la motivazione al “campionismo” con quella, altrettanto decisiva, al
divertimento, al gioco, allo stare con gli altri? Come armonizzare agonismo e educazione,
realizzando valenze educative in un’attività che privilegia nettamente gli aspetti agonisticiselettivi e che troppo spesso considera l’avversario come un nemico e vede essenziale il
successo, la prestazione?E come farlo sapendo che lo sport giovanile è sempre in relazione
agli altri: famiglia-allenatori-dirigenti-compagni…? Come l’associazione, la società
sportiva può diffondere una pratica sportiva per la totalità dei ragazzi e nel contempo
conciliare le richieste di prestazione e di classifica? Come far sì che l’abitudine sportiva
diventi permanente per tutta la vita? Un allenatore, è, può (deve) essere anche un
educatore? Come si coniuga la crescita tecnica dell’atleta con la crescita armonica della
persona? Come, all’interno della complessa problematica della valorizzazione sia del
“dotato” sia del “normale” o dell’”ipodotato”, porre la questione di una reale accettazione
del “diverso”? E come declinare la problematica del maschile e del femminile, così come
quella dell’alimentazione (bulimia, anoressia, ecc.), quella del consumismo (di cose, ma
anche di tempo, ambiente, relazioni...)? Quale ruolo ha la famiglia del ragazzo che si avvia
allo sport o dell’atleta nella vita della società sportiva? Come qualificare la relazione tra
allenatori e genitori? Quali politiche sportive e quali nuove reti fra tutti i soggetti coinvolti
devono essere favorite dalle istituzioni territoriali e sollecitate dagli enti di promozione
sportiva? Come far crescere la cultura, la competenza degli allenatori, dei genitori, dei
dirigenti e degli insegnanti per qualificare l’offerta sportiva e la sua valenza educativa?
Quali relazioni positive devono realizzarsi fra associazioni “per lo sport per tutti”, le
società sportive, famiglie, Coni, scuola, oratori, istituzioni?
B) Famiglia e società sportiva, famiglia e scuola: stabilire anche formalmente un patto di
collaborazione.
La problematica e la rilevanza della figura del genitore (e dei genitori come gruppo) sono
notevoli, anche se spesso le società e le associazioni sportive tendono a rimuoverle o a
elaborarle in modo sbrigativo o solo formale, opportunistico. La famiglia è spesso, e ancor
più lo deve diventare, una “risorsa”…., a patto che si vedano e si affrontino i limiti e spesso
gli errori dei suoi comportamenti e dei suoi atteggiamenti… In linea generale, le relazioni
famiglia-società sono produttive solo se si stabiliscono insieme regole chiare, condivise, e
che siano sempre pienamente rispettate da tutti. Cosa non facile ma decisiva, anche perché le
nuove generazioni sono molto poco abituate e formate a seguire regole coerenti e precise.
Ma si tratta di un criterio irrinunciabile, non solo perché permette una vita associativa
ordinata e sicura, ma anche perché fortifica la consapevolezza che gli obbiettivi, nello sport
come nella vita, possono esser conquistati, ma con grande fatica e seguendo
responsabilmente norme e piani di lavoro razionali.
Fondamentale è quindi creare un ambiente sano, coeso, con atmosfere, regole e finalità
condivise e propulsive. Gli eventuali e inevitabili errori potranno essere assorbiti e corretti
dall’ambiente, e non essere pagati dai ragazzi. I “paletti”, per tutti, devono essere precisi,
fissi e rispettati.
Da questi principi di base, le esperienze di molti gruppi ed enti di promozione sportiva,
come si vedrà meglio in seguito, offrono validi suggerimenti pratici sul come contrastare gli
atteggiamenti spesso iperprotettivi dei genitori (in certe società, si è deciso di dare vere e
proprie multe, sicuramente di grande valore simbolico, a quei genitori che non fanno fare
cento metri a piedi ai figli, trasportandoli sempre in auto o che portano la borsa al figlio); sul
come ostacolare l’uso dello sport come premio/castigo (in questo modo, oltre a negargli la
possibilità di n sano esercizio fisico, lo si isola dalla squadra); sul come non permettere di
usare lo sport come un’occasione di “parcheggio” (pericolo più evidente nelle associazioni
dello “sport per tutti”)…
Qualora la consistenza organizzativa della società sportiva lo renda possibile, è opportuno
che essa predisponga e comunichi gli obiettivi, i contenuti e le modalità di realizzazione
della propria offerta sportiva. Nelle enunciazioni, nell’organizzazione, nell’offerta di attività
deve dimostrare che la pratica sportiva si pone quale finalità prioritaria la valorizzazione
della persona tramite lo sport e quindi la promozione dell’autentica cultura sportiva.
Importante, malgrado le criticità attuali, il rapporto con le scuole. Da anni, le varie
istituzioni scolastiche godono di ampia autonomia. In modo particolare, nel regolamento
dell’autonomia (DPR 275/99) si offre l’opportunità di mettere in collegamento le scuole con
le realtà sportive del territorio. Dato che l’attività sportiva offerta dalle scuole e dalle società
sportive è destinata agli stessi soggetti, che sono nel contempo studenti e atleti, è necessario
che le agenzie educative agiscano in modo collaborativo.
Se l’associazione (meglio ancora: un gruppo, una rete di associazioni…) è nelle condizioni
di affrontare compiti impegnativi – e ovviamente se ha la volontà di farlo, sapendo
comunque che deve fare un salto di qualità notevole - questo comporta -, deve seriamente
preparare e realizzare il rapporto con le realtà scolastiche del territorio in cui opera. Sarà
proprio questo nuovo rapporto a stimolare l’associazione a predisporre le condizioni per una
forte innovazione del suo “fare sport” in senso educativo…
Appare in ogni modo indubbio che la relazione fra mondo della scuola e mondo delle
società sportive debba essere seriamente ripensata. Troppo diffuse sono infatti le situazioni
di separatezza e di incoerenza educativa fra i due mondi, che spesso propongono finalità,
metodi di insegnamento e richieste fra loro contrastanti. Il ragazzo così ha forte ragioni di
essere confuso (che si sommano a quelle che provengono purtroppo dai comportamenti, dai
fatti e dalle immagini del mondo sportivo professionistico) e di assumere di conseguenza i
comportamenti più “opportunistici”.
Le criticità più diffuse riguardano la sfiducia reciproca da parte di insegnanti e allenatori;
la sovrapposizione degli impegni sportivi (allenamenti, gare, trasferte) sulle incombenze
scolastiche. Molto frequente, inoltre, è l’uso della minaccia-punizione da parte dei genitori (a
volte sostenuta da qualche insegnante) per cui “se vai male a scuola non frequenti più la
società sportiva, non partecipi alla partita”, ecc.
Il problema-obiettivo di ideare, programmare e realizzare iniziative che mettano in
raccordo educativo società e scuole, deve essere fatto proprio anche da tutte le agenzie che si
occupano di educazione e formazione sportiva sul territorio (enti locali, gruppi culturali,
ricreativi, di volontariato, oratori, ecc.). Opportunità e possibilità di dar vita a “tavoli”,
“coordinamenti” fra soggetti sportivi e soprattutto con e fra varie istituzioni…
I punti condivisi e la base di partenza per un lavoro condiviso devono essere fondati su
alcuni grandi principi, che poi devono essere tradotti in coerenti condotte pratiche:
1. la condivisione di un giusto concetto di sport, che deve essere unitario anche se deve
declinare le sue differenti espressioni (ludiche, ricreative, agonistiche, salutari, ecc.). Un
concetto che abbia al centro ai valori etici di uno sport autenticamente sano (lealtà,
solidarietà, responsabilità, impegno, ecc.);
2. l’utilizzo dello sport come strumento educativo. Non è una visuale molto diffusa, in
quanto lo sport fin dall’origine è nato come forma di divertimento e di competizione di
carattere elitario (e non sempre i divertimento e la competitività educano). Compito degli
operatori sportivi è renderlo un efficace mezzo per la formazione dei ragazzi e non un fine a
cui subordinare la persona;
3. valorizzare la globalità e l’unitarietà della persona da educare, mettendo in
correlazione la dimensione cognitiva, socio-relazionale, emotivo-affettiva, fisico/motoria. La
dimensione cognitiva riguarda la concentrazione, la memoria, l’osservazione, la
comprensione, l’elaborazione e l’utilizzo di criteri validi per affrontare e risolvere i vari tipi
di problemi, le difficoltà della pratica e della competizione sportiva. La dimensione sociorelazionale riguarda il rispetto delle regole, l’accettazione degli altri, la cooperazione, la
relazione d’aiuto, lo spirito di squadra, la tolleranza, il rispetto. La dimensione emotivoaffettiva concerne la conoscenza di sé, delle proprie possibilità e dei propri limiti,
l’autostima, il controllo e la gestione dei propri sentimenti e delle proprie emozioni, il
superamento della frustrazione e l’accoglimento equilibrato del successo. La dimensione
fisico-motoria si riferisce allo sviluppo delle capacità sensoriali e percettive, degli schemi
motori, delle capacità motorie, della abilità tecniche e tattiche, della gestione delle proprie
energie.
Scarica