UNIVERSITA` DEGLI STUDI DI TORINO FACOLTA` DI SCIENZE

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO
FACOLTA’ DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE
La comunicazione di massa
Corso di “Tecniche di comunicazione mediata”
Professore Claudio Masiero
Maria Signoroni
1) La storia dei media:
La facoltà di comunicare è stata determinante per l'evoluzione dell’uomo e per il suo
progresso culturale. Per questo la ricerca di mezzi e tecnologie adatte per gestire e controllare
l'informazione ha caratterizzato la storia di ogni civiltà. Ogni nuovo strumento del comunicare
ha profondamente trasformato la cultura e la società. Capire in che modo le tecnologie della
comunicazione del passato abbiano influito sulle trasformazioni della società , è il mezzo per
capire i cambiamenti di oggi, e cercare di indirizzarli.
La scrittura
La prima tecnologia della comunicazione che l'umanità ha sviluppato, e senza dubbio la più
importante, è la scrittura. La sua comparsa nella storia dell'uomo sembra risalire alla metà del
quarto millennio a. C., nella zona della Mesopotamia , abitata all'epoca dai Sumeri. Con l'età
Neolitica il quadro della vita dell'uomo cambia totalmente; a partire dal 6.000 a.C. fino al
3.000 - inizio dell'Epoca del bronzo -, si ebbe una rapidissima successione di innovazioni,
definita «Prima Rivoluzione industriale»: l'agricoltura, l'allevamento e, a seguito di queste,
verso il 5.000, la formazione di comunità relativamente stabili, economicamente
autosufficienti e la creazione dell'istituto della proprietà. Tali comunità, prima sparse, vennero
facendosi più numerose e consistenti nella Valle del Nilo e nella Mesopotamia. La stabilità
comportò un perfezionamento nel sistema delle costruzioni e relativi materiali edili; il
perfezionamento di strumenti per la lavorazione del legno; verso il 4.000, la filatura, la
tessitura, la ceramica; verso il 3.000, la scoperta e l'uso dei metalli e relativa prima
costruzione di macchine: il carro a ruote e la ruota del vasaio; l'uso della pietra nelle
costruzioni.
Questo ulteriore progresso tecnico comporta nuovi istituti sociali: le industrie rimangono in
mano a specializzati, nasce la divisione del lavoro, la segmentazione verticale della società in
gruppi impegnati in attività diverse. Come conseguenza nascono due fenomeni: lo scambio
dei prodotti e l'istituzione di un potere centrale che organizza le attività dei gruppi.
La ricerca delle materie prime porta in regioni anche lontane, con spedizioni che presto si
stabilizzano in forma di colonizzazione. Nella Valle del Nilo e nella Mesopotamia, ad
esempio, lo sfruttamento più razionale delle acque per un miglior rendimento dei campi porta
al fatto che comunità una volta autosufficienti, si coalizzano fra loro in distretti e poi in
nazioni; ciò talvolta pacificamente, ma più spesso con azioni di guerra.
Il potere centrale deve necessariamente farsi più complesso per cui, verso il 3.500 a.C., nasce
lo Stato come struttura amministrativa con Capo, Ministri e Funzionari a vari livelli. E poiché
lo Stato deve essere mantenuto, si istituisce la tassazione, sia annuale che pluriennale. Ancora:
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lo Stato, con la burocrazia che presto consolida il potere politico per mezzo di quello
economico, comporta una segmentazione orizzontale della società, ossia una divisione in
classi, a capo delle quali vi è un'aristocrazia intesa al soddisfacimento non più delle necessità
vitali, ma di bisogni voluttuari e spirituali.
Poiché la divisione del lavoro consente la liberazione di enormi capacità produttive, per cui la
nuova grande comunità non solo può mantenere l'organizzazione statale, ma anche
accontentare quei bisogni voluttuari e spirituali, ecco nascere l'architettura dei templi, delle
tombe e dei palazzi, la scultura, la pittura e la metallurgia prevalentemente artistica. Nascono
le scienze: la matematica al servizio dell'architettura, dell'organizzazione, del censo e della
tassazione; la chimica dei colori e dei metalli al servizio delle arti; l'astronomia per
l'agricoltura e il calendario dello Stato; la medicina per il benessere; la poesia per il gusto
degli spiriti raffinati.
Per le nuove condizioni di vita createsi, il parlare poggiato solo sulla memoria non basta più
perché mezzo di comunicazione da uomo a uomo presente; si esige ora la scrittura, metodi di
calcolo e unità di misura: tutti strumenti atti a comunicare e trasmettere la conoscenza, le
scienze da uomo a uomo lontano nel tempo e nello spazio.
Il problema si risolve: verso il 3.200 ecco un'invenzione che corona tutte le altre precedenti:
l'adozione di una serie di figure che, tracciate su di un supporto durevole, rappresentano il
concetto da comunicare, cioè la scrittura.
In seguito molti sistemi di scrittura sono stati inventati autonomamente da altre civiltà, in
tempi diversi e in diverse zone del mondo: i geroglifici egiziani risalgono al 3000 a. C., come
la scrittura indiana, mentre gli Aztechi svilupparono la loro scrittura solo nel 1400 d. C. Le
prime forme di scrittura furono tutte essenzialmente ideografiche: scritture cioè in cui ad ogni
simbolo corrisponde un concetto o un'idea. Questo sembra indicare la probabile evoluzione da
precedenti forme di rappresentazione con figure.
In un secondo tempo le figure si usarono non più per indicare le «cose», ma i loro «nomi» e i
suoni relativi: si ebbe la fonografia. Successivamente le necessità sociali e soprattutto quelle
commerciali comportarono la riduzione della fonografia, carica di segni, alla riduzione di essi
indicanti un solo suono, ossia all'«alfabeto» che si diffuse verso il 1.000 a.C. sulla costa
orientale del Mediterraneo, luogo d'incontro dei popoli più progrediti.
I Greci introdussero i segni per le vocali e completarono l'evoluzione della scrittura intorno
all'ottavo secolo a.C.
Le conseguenze dell'invenzione della scrittura furono enormi trasformando la mente umana
più di qualsiasi altra invenzione.
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Con il passare dei secoli, essa venne sempre più considerata come una funzione naturale.
Probabilmente molte nostre capacità di conoscenza sono state "informate" dalla scrittura.
Inoltre il sistema di rappresentare in modo astratto il pensiero, non più con figure, ma con
l'alfabeto portò alla nascita del formare concetti per mezzo del ragionamento razionale e del
pensare in modo più analitico.
In sostanza la scrittura alfabetica trasforma in testo quello che il linguaggio elabora come
oggetto: l’uomo articola il pensiero in un insieme di concetti, argomentazioni e dimostrazioni.
E lo stesso studio dell’origine dell’uomo (filosofia) nasce solo in Grecia e solo dopo
l’introduzione dell'alfabeto.
La scrittura ebbe anche un ruolo fondamentale nel processo di civilizzazione dell'uomo: la
fine del nomadismo, lo sviluppo delle economie di scambio, la nascita dello stato furono
possibili solo con l'invenzione della scrittura. L’uomo poté tenere conto delle merci scambiate
e immagazzinate, scrivere le leggi, non considerare più importante il capotribù ma il sovrano
che per legge comandava la società perché difensore delle leggi stesse.
La stampa
Il secondo grande passaggio storico nella storia delle tecnologie della scrittura è stata
l'invenzione della stampa da parte di Gutenberg alla metà del 1400. Anche in questo caso
molti studiosi hanno mostrato come la stampa abbia avuto enormi effetti sulla cultura
occidentale: la modernità coincide con l'era della stampa.
Essa fece maturare alcuni fenomeni che erano iniziati con la diffusione della scrittura
alfabetica. Il concetto di testo come sistema coerente di idee (trattato) o di fatti (romanzo)
esposte in modo lineare e in sequenza divenne definitivamente la base della conoscenza. Anzi,
grazie all’aiuto di una tecnica che fissava definitivamente il testo e ne moltiplicava gli
esemplari identici, si rafforzò il concetto di opera autentica ed originale, e quella di autore
unico responsabile dei suoi contenuti. Con la stampa scompariva pian piano la figura del
copista, spesso autore egli stesso e dunque spinto a introdurre nella copia le sue idee ed i suoi
commenti.
Nasce così l’autore. Inoltre la riproduzione del testo era affidata a persone diverse dallo
studioso, e ciò non lo obbligava a conservare una copia del testo. Infine, il libro stampato
costava meno ed era molto più maneggevole del manoscritto; dunque permetteva di
considerare la lettura tre le attività private dell'individuo. Infatti le discipline moderne che
studiano la rielaborazione dei concetti, si affermarono solo dopo l'invenzione della stampa.
Importanti furono anche gli effetti sociali della nuova tecnologia di riproduzione del sapere.
La stampa, infatti, aumentò notevolmente la diffusione dei testi , anche se ci vollero decenni,
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essa oltrepassò la ristretta cerchia degli specialisti, per raggiungere un pubblico sempre più
numeroso e posto in fasce sociali nuove come la borghesia. Se da una parte ciò determinò una
diffusione del sapere sconosciuta fino ad allora ed una progressiva acculturazione delle nuove
classi sociali, dall'altra la stessa diffusione agì sul modo di scrivere sia dal punto di vista della
lingua, con una forte spinta al normalizzarla anche dal punto di vista ortografico, sia da quello
dei contenuti.
La diffusione del sapere e delle informazioni venne amplificata con la nascita, nel
diciottesimo secolo, dei primi giornali periodici di informazione. I giornali ebbero subito una
fortuna grandissima tra le nuove classi sociali, che in essi trovarono un importante mezzo di
passaggio di idee, ed uno strumento di battaglia politica e culturale. Nacque così il concetto di
"opinione pubblica", insieme delle idee di un pubblico padrone di informazioni sufficienti per
formulare giudizi sui fatti politici e culturali.
Le telecomunicazioni
A partire dall'Ottocento la storia dei mezzi di comunicazione si legò in modo definitivo allo
sviluppo tecnologico ed industriale, subendo una accelerazione impressionante. Due furono le
grandi innovazioni portate dal secolo scorso: la nascita dei primi sistemi di comunicazione a
distanza (radio, telefono..).e lo sviluppo delle prime tecnologie dell'immagine (cinema,
animazione, fotografia).
La prima grande infrastruttura di comunicazione fissa della storia dell'uomo, nell'epoca
moderna, nasce nella Francia rivoluzionaria del 1793 con il telegrafo ottico. Questo
strumento rese possibile per la prima volta la trasmissione di un segnale a distanza in tempo
reale: nacquero così le telecomunicazioni una vera e propria esplosione nelle tecnologie della
comunicazione si verifica nell'ultimo ventennio del secolo.
Si trattava sostanzialmente di una serie di torri, su cui erano piazzate delle antenne dotate di
bracci snodati, che potevano assumere diverse posizioni e ognuna di queste posizioni assunte
dalle antenne corrispondeva a dei gruppi di lettere o a delle parole intere. Su ogni torretta era
piazzata una persona, che con un binocolo osservava la torretta precedente e la torretta
successiva, per riuscire a captare segnali e ritrasmettere e vedere se erano stati ricevuti in
modo corretto. Il telegrafo ottico fu adottato anche in Italia giungendo verso il 1809 a Torino
e, successivamente, da Torino venne esteso fino a Mantova da una parte e Venezia dall'altra.
Ciò vuol dire che anche in Italia, nella Pianura Padana, si costruiscono queste torri e si dota il
sistema, diciamo, di infrastrutture adatte a trasmettere anche in Italia questi servizi rapidi. Si
tratta però di servizi che nella prima fase di sviluppo del telegrafo ottico furono solo dei
servizi pubblici. Soltanto negli anni Venti e Trenta del secolo scorso anche i privati iniziarono
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ad usare questo strumento per trasmettere notizie economico-finanziarie da una città all'altra.
Ovviamente questa rete possiede una struttura centralizzata, perché tutte le reti arrivano e
partono da Parigi, non ci sono collegamenti tra indipendenti, tra una città e l'altra. La cosa
interessante da osservare è che questa infrastruttura diventerà la base organizzativa per il
successivo telegrafo elettrico.
Nel 1876 Graham Bell brevettò il telefono, rendendo possibile la comunicazione vocale a
distanza. Thomas Edison (al quale dobbiamo tante altre invenzioni, tra cui quella della
lampadina) inventò i primi sistema per la registrazione e riproduzione meccanica del suono: il
fonografo e il grammofono.
Ma il vero e proprio ingresso trionfale nel secolo dei media si colloca nel 1895, anno in cui i
fratelli Lumiere a Parigi riuscirono a sviluppare un sistema per la creazione e la riproduzione
di immagini in movimento: era nato il cinema. In pochi anni intorno a questa tecnologia di
produzione e riproduzione di immagini in movimento si sviluppò la prima vera forma di
industria dello spettacolo, dando inizio ad un processo che percorre tutto il Novecento per
arrivare fino alla odierna differenziazione tra industria delle comunicazioni e industria dello
spettacolo.
Il ‘900 è il secolo dei media. Varie sono state le ramificazioni delle tecnologie della
comunicazione ( sviluppo di nuovi strumenti, evoluzione e diffusione sociale dei media).
Nel 1920, grazie alle ricerche di Guglielmo Marconi sulla trasmissione di suoni a distanza
mediante la modulazione di onde elettromagnetiche, iniziarono negli Stati Uniti le prime
trasmissioni radio. La radiofonia è stata il primo sistema di comunicazione in grado di inviare
messaggi in tempo reale a milioni di persone nello stesso momento e nelle loro case: il primo
vero e proprio mass medium. Per questo essa ha avuto un ruolo tanto importante nella
comunicazione politica di quegli anni.
Negli Stati Uniti, poi, sin dalle origini, la comunicazione radiofonica è divenuta un'impresa
commerciale che si sosteneva mediante la pubblicità, dando così un ulteriore sviluppo
all'industria dell'informazione e dello spettacolo.
Negli anni trenta infine, mentre il cinema diveniva prima sonoro e poi a colori, iniziarono i
primi esperimenti di trasmissione a distanza di immagini in movimenti mediante onde
elettromagnetiche. Nel novembre del 1936 la BBC inaugurò a Londra il primo servizio di
trasmissioni televisive. Nel giro di trenta anni la televisione si è diffusa in tutto il mondo,
divenendo il mezzo di comunicazione di massa più efficace e persuasivo che l'uomo ha fino
ad ora sviluppato, e soprattutto contribuendo ad una radicale trasformazione delle abitudini di
vita e delle relazioni sociali in tutti i paesi dell'occidente, e non solo.
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2) Definizione di comunicazione di massa
La comunicazione di massa è un processo di comunicazione particolare che fa uso di mezzi
tecnici atti a diffondere con rapidità ed efficacia una serie di messaggi da un emittente verso
un pubblico relati-vamente indifferenziato (massa). Si tratta, quindi, di una forma di
comunicazione che va da uno a molti (per questo motivo si parla di processo di
comunicazione monodirezionale o unidirezionale) e che è sempre mediata dalla tecnologia.
La comunicazione di massa può avvenire, infatti, attraverso l’etere, come nella televisione,
lungo il cavo, come sempre nella televisione, oppure attraverso copie di giornali, copie di
libri, copie di dischi, e così via. Aspetto centrale del processo di comunicazione di massa è
l’impossibilità di rispondere sullo stesso canale in tempo reale, cioè nello stesso tempo in cui
avviene la trasmissione, e con lo stesso potere di chi trasmette. Per superare questo limite,
spesso gli emittenti attuano dei tentativi per garantire ai riceventi una possibilità di risposta
(per es. con tele-fonate in diretta nelle trasmissioni televisive o radiofoniche o con le
tradizionali lettere ai giornali) ma si tratta pur sempre di forme di interattività in qualche
modo manipolate.
3) Le prospettive teoriche:
Le teorie della comunicazione sono nate intorno agli anni Venti e Trenta del Novecento,
quando radio e TV si sono affiancate saldamente alla stampa come media di massa e quindi
come mezzi di comunicazione facilmente utilizzabili dalla stragrande maggioranza della
popolazione dei Paesi occidentali.
Questa imponente presenza dei mass media nella società contemporanea ha suscitato rilevanti
preoccupazioni sugli effetti che essi possono provocare nei confronti dei fruitori, sia a livello
individuale, sia a livello collettivo e sociale. Il primo obiettivo è stato dunque quello di
verificare se i mass media avessero un potere tale da condizionare i comportamenti degli
individui. Da tali legittime apprensioni sono nate diverse teorie sulla comunicazione e sui
media, chiamate media studies , ciascuna delle quali ha evidenziato particolari aspetti del
complesso legame che intercorre tra la fonte del messaggio ed i pubblici destinatari, in
funzione degli effetti più o meno gravi che i media possono produrre.
Un'importante classificazione delle teorie sui media e sui loro effetti (McQuail, 1983) è quella
che le distingue in tre fasi o ondate:
-
la prima, alle origini e quindi intorno agli anni Trenta del XX secolo, che sottolinea la
possibilità di effetti forti e diretti dei media, capaci di realizzare la manipolazione dei
comportamenti;
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-
la seconda, dagli anni Quaranta ai Sessanta dello stesso secolo, che mostra, in una visione
più ottimistica, come i media abbiano effetti limitati, a causa della resistenza opposta al
messaggio dalle caratteristiche psicologiche individuali dei destinatari e dal contesto
sociale;
-
la terza, degli anni Settanta e Ottanta, che vede, invece, un ritorno degli effetti forti, non
più diretti come nella prima ondata, bensì indiretti e di lungo periodo, in grado d'avere
conseguenze non sui comportamenti dei destinatari, ma sulle loro conoscenze e credenze.
In realtà esiste, secondo alcuni studiosi (McQuail, 1994 e Wolf, 1992), anche una quarta fase,
che va dagli anni Ottanta in poi del Novecento, in cui gli effetti dei media sono in qualche
modo "mediati" dalla fruizione "attiva" dell' audience . McQuail definisce questa quarta fase
della influenza negoziata dei media , mentre Wolf la denota con il termine di
neolazarsfeldismo, per far riferimento alla seconda fase di cui sopra e per sottolineare la
rinnovata importanza delle relazioni interpersonali e del contesto sociale, quali fattori di
mediazione del potere dei media.
Gli effetti possono, inoltre, essere a breve ed a lungo termine. I primi hanno generalmente
conseguenze sui comportamenti dei destinatari, mentre i secondi le hanno sulle loro
conoscenze.
Riguardo agli effetti è possibile tracciare due paradigmi culturali, che rappresentano in
qualche misura i poli opposti delle diverse concezioni sui media studies . All'estremità degli
effetti minimi o limitati c'è il paradigma struttural-funzionalista, secondo il quale la presenza
dei media è funzionale all'equilibrio del sistema sociale nel suo complesso ed in tale contesto
l'audience avrebbe quindi un ruolo "attivo". All'estremità opposta, dalla parte degli effetti
forti, c'è il paradigma marxista della teoria critica, proprio della scuola di Francoforte per il
quale l' èlite dominante si serve dei contenuti ideologici, stereotipati e standardizzati dei
media per esercitare un controllo sulla "massa", intesa come un aggregato di persone
"passive".
Da quanto scritto finora emerge un parallelo fondamentale tra effetti dei media e risposta dell'
audience . Nello specifico, ad effetti considerati forti corrisponde inevitabilmente una
concezione passiva del pubblico rispetto al messaggio veicolato. E' il caso per es. della teoria
ipodermica e della teoria critica.
Viceversa, ad effetti limitati corrisponde generalmente un' audience attiva, la cui capacità
d'interpretazione del messaggio è verificabile sperimentalmente, come per es. nella teoria
degli effetti limitati e degli usi e gratificazioni. In particolare, per audience attiva s'intende la
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sua elevata capacità di selezione dei contenuti, di interpretazione soggettiva e creazione di
significati, nonché di resistenza ai messaggi ideologici.
Teoria ipodermica o bullet theory (teoria del proiettile magico)
Nasce in USA nel periodo tra le due guerre mondiali e rappresenta, più che una teoria, il clima
d'opinione che si respirava in quegli anni circa gli effetti dei media. Prendendo il nome
dall'immagine dell'ago ipodermico utilizzato per le punture, questa teoria afferma che i
messaggi colpiscono personalmente gli individui, in modo diretto e immediato,
modificandone opinioni e comportamenti. La teoria ipodermica fa riferimento a un modello di
comunicazione che si caratterizza per una relazione diretta e univoca che lega lo stimolo alla
risposte. Con la teoria ipodermica, il potere dei media sembra non avere ostacoli nel
conseguimento dell’obbiettivo di voler imporre la volontà di chi li governa agli individui della
massa. I postulati sui quali si fonda la teoria ipodermica sono i seguenti:
-
il pubblico è un massa indifferenziata, all’interno della quale si trovano individui in una
condizione di isolamento fisico, sociale, culturale;
-
i messaggi veicolati dai media sono potenti fattori di persuasione, in grado di introdursi
all’interno degli individui con le stesse modalità di un “ago ipodermico”;
-
gli individui sono indifesi di fronte al potere dei mezzi di comunicazione di massa;
-
i messaggi veicolati sono ricevuti da tutti i membri nello stesso modo.
Gli individui sono soli, privi di reti di protezione, esposti senza scampo agli stimoli esercitati
dai media. In questo vuoto, i messaggi veicolati dai media hanno gioco facile a colpire con un
“proiettile magico” gli individui ad essi esposti. D’altro canto, non essendovi barriere a
fermare la traiettoria del proiettile, gli individui risultano indifesi e preda dei messaggi
mediali, che vengono ricevuti in modo standard da tutti i destinatari. Questa teoria postula
pertanto effetti forti dei media ed un' audience passiva e indifesa, per cui si parla di
manipolazione e propaganda della comunicazione. Di conseguenza tali individui sono il
bersaglio ideale per i messaggi propagandistici, che mirano ad ottenere dalla massa un dato
comportamento.
Inoltre, a rafforzare ancora di più le conclusioni della teoria ipodermica, c'è, nel clima
culturale del periodo, la "teoria dell'azione", elaborata dall'approccio comportamentista della
psicologia behaviorista , che studia il comportamento umano attraverso l'esperimento e
l'osservazione. Secondo la teoria dell'azione la società di massa risponde in modo uniforme ed
automatico allo stimolo ricevuto dai media.
Il modello comunicativo dell’approccio stimolo- risposta proprio della bullet theory si
configura come il primo tentativo di individuazione del rapporto esistente tra media e
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individui. E’ un modello di grande semplicità che corrispondeva all’esigenza conoscitiva di
stabilire un nesso tra il momento della veicolazione del messaggio e quello della fruizione. Il
fascino della semplicità della relazione ipotizzata suggerì a Shannon e Weaver (1949) la
“teoria matematica della comunicazione”.
Ciò esalta ulteriormente l'idea di reazioni meccaniche e condizionate ai messaggi.
Naturalmente non tutti la pensavano come descritto. Di opinione diversa erano i teorici della
cosiddetta scuola di Chicago, che rifiutavano la rappresentazione di una massa indifferenziata
ed attribuivano ai mass media appena nati grandi potenzialità per la democrazia (ad esempio
per dare voce alle minoranze degli immigrati), sia pure sempre nell'ambito di un' audience
ritenuta passiva.
Modello di Laswell
Nel 1948 Laswell propone un modello di descrizione degli atti comunicativi che ottiene uno
straordinario successo, molto probabilmente a causa del fatto che esso è utilizzabile come
paradigma di riferimento per le opposte correnti di pensiero riguardanti i media studies : sia
quelle che ipotizzano audiences passive, sia quelle per le quali le audiences sono in qualche
modo attive. Secondo tale modello, detto delle "cinque w", lo studio scientifico del processo
comunicativo consiste nel rispondere ed approfondire ciascuna delle seguenti domande:
who?
says
what? in
(chi?)
(dice cosa?)
which
channel? to whom? with what effects?
(con quale canale?)
(a chi?)
(con quali effetti?)
Infatti, la prima domanda ( control analysis ) permette lo studio degli emittenti, cioè
dell'apparato organizzativo dei produttori dei messaggi; la seconda ( content analysis )
approfondisce il contenuto, cioè il messaggio vero e proprio; rispondendo alla terza domanda
si analizzano i media che veicolano il messaggio ( media analysis ); il quarto interrogativo
consente lo studio dei pubblici (audiences analysis); mentre la quinta ed ultima "w" fornisce
una risposta circa gli effetti prodotti dal messaggio veicolato dai media ( effects analysis ). Di
tutti i campi d'indagine indicati, l'attenzione viene posta soprattutto ai contenuti, che
permettono di scoprire lo scopo del messaggio, ed agli effetti della comunicazione,
considerata, a quei tempi, sostanzialmente asimmetrica, con un ruolo attivo degli emittenti ed
una totale passività delle audiences , il cui comportamento è manipolato dal messaggio. Oltre
a descrivere più dettagliatamente il processo comunicativo, il modello di Lasswell si presta a
organizzare il caotico campo della ricerca e dell’analisi in aree eventi oggetti di indagine. Pur
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essendo di grande utilità per organizzare un campo di studi talvolta caotico, il processo
comunicativo descritto nel modello non supera però le critiche rivolte ai presupposti teorici
sui quali si fonda. Essi possono essere individuati: nell’asimmetria della relazione che lega
l’emittente al destinatario, il processo comunicativo ha origine esclusivamente dall’emittente,
il ricevente entra in gioco solo come termine ultimo con il quale si conclude il processo;
nell’indipendenza dei ruoli, l’emittente e il destinatario vengono raffigurati come due soggetti
che non entrano mai in contatto diretto né appartengono allo stesso contesto sociale e
culturale; nell’intenzionalità della comunicazione, i messaggi veicolati dai media si
prefiggono sempre un obiettivo (vi è sempre intenzionalità dell’emittente).
Teoria degli effetti limitati
Gli sviluppi successivi dei media studies sono stati alimentati dalla ricerca amministrativa
americana, commissionata dalla pubblica amministrazione, da imprese private e partiti
politici, allo scopo di risolvere i problemi pratici (di contenuto e di effetto sui pubblici) delle
campagne pubblicitarie ed elettorali.
Tali sviluppi hanno preso in considerazione due variabili precedentemente trascurate:

le caratteristiche psicologiche dell'individuo;

i fattori sociali di relazione e di differenza (età, sesso, classe sociale, razza, etc...).
Si giunge pertanto alla conclusione che la risposta allo stimolo non è passiva, immediata e
meccanicistica, ma è mediata da una certa resistenza dei destinatari del messaggio.
A
differenza della precedente teoria, che aveva un'impostazione psicologica, quella degli effetti
limitati nasce, negli anni Quaranta, dagli studi sociologici sulle caratteristiche del contesto
sociale e non parla più di persuasione, ma di "influenze" del messaggio. Studiando le
campagne elettorali americane e l'utilizzo dei media allo scopo di promuovere i candidati,
sono rilevabili tre tipi di effetti sugli elettori:
1. di attivazione degli indecisi;
2. di rafforzamento degli elettori già convinti su chi votare;
3. di conversione del voto, ovvero di cambiamento della preferenza verso altri candidati,
mediante una ridefinizione del problema.
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Di questi, l'effetto di conversione ha percentuali statisticamente trascurabili, mentre l'effetto di
rafforzamento prodotto dai media è quello quantitativamente più importante, con il quale si
sono potute consolidare le intenzioni di voto degli elettori già decisi.
Tuttavia, è un altro il risultato interessante che esce dalle indagini compiute sul voto degli
elettori (Lazarsfeld, 1944): la presenza di opinion leaders (persone ben informate), in grado di
influenzare il resto dell'elettorato, e quindi l'esistenza di un flusso comunicativo a due stati, in
cui i leaders d'opinione, ma anche le reciproche relazioni di tutti i componenti della
collettività, mediano il rapporto tra i mass media e la gente.
La comunicazione elettorale avviene pertanto anche tramite contatti personali, fra cui quelli
con la famiglia, con i colleghi di lavoro, con le associazioni di appartenenza e con i gruppi
sociali e religiosi, secondo un modello di questo tipo:
media
leaders ed altri contatti
audience
Quindi, per la teoria degli effetti limitati, la comunicazione di massa è strettamente connessa
alle comunicazioni non mediali interne alla struttura sociale e le audiences rispondono
diversamente dalle attese degli emittenti.
Teoria degli usi e gratificazioni
Questo pensiero nasce, negli anni '70, dalla teoria sociologica dello struttural-funzionalismo
di Parsons e Merton, che sposta l'attenzione dagli effetti alle funzioni dei media. La società è
vista come un organismo composto di parti, ciascuna delle quali svolge determinate funzioni
ed il sistema è formato da sottosistemi, che contribuiscono alla soddisfazione dei bisogni
fondamentali. In tale speculazione, le audiences usano i media allo scopo di soddisfare i
propri bisogni ed ottenere delle "gratificazioni", diventando parte integrante del processo
comunicativo (Katz, Guerevitch e Haas, 1973). Sono cinque i raggruppamenti di bisogni,
psicologici e sociali, gratificati dai media:
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1. cognitivi, ovvero di conoscenza;
2. affettivi- estetici, riguardanti la sfera affettiva;
3. integrativi a livello di personalità, relativi allo status ed alla fiducia in se stessi;
4. integrativi a livello sociale, concernenti i contatti familiari e sociali;
5. d'evasione, per allentare le tensioni.
In particolare, la gratificazione deriva sia dal contenuto dei media, sia dal media in sé (che fa
compagnia) e sia dal contesto di fruizione (che dà lo spunto per discussioni con altri).
Le audiences sono dunque:

attive;

dirette allo scopo della soddisfazione dei bisogni;

dotate di iniziativa;

in competizione con altre fonti per la soddisfazione dei bisogni.
La conseguenza è che il potere dei media è compensato dal potere delle audiences . Inoltre, lo
stesso medium può soddisfare classi di bisogno diverse, anche se la ricerca ha evidenziato che
i libri gratificano meglio l'interiorità, la TV il bisogno d'evasione, i quotidiani la fiducia in se
stessi. La teoria degli usi e gratificazioni è criticabile sotto diversi profili. Innanzitutto, essa
trascura le altre istituzioni (scuole, associazioni, ecc...) in grado di soddisfare i bisogni umani
sopra descritti. Poi, come hanno dimostrato diverse ricerche, i media vengono spesso fruiti in
sé, per passare il tempo e senza uno scopo definito, e le audiences non sono, a volte, neanche
coscienti dei propri bisogni. Infine, attribuendo ai destinatari il potere di controllare il
consumo dei media, si sottovaluta il problema dell'influenza che gli stessi sono capaci di
realizzare, sia a breve, sia soprattutto a lungo termine.
La teoria critica
Nota anche come scuola o Istituto di Francoforte, essa nacque nel 1923 in Germania ad opera
di un vasto gruppo di studiosi con interessi compositi. Horkheimer e Adorno hanno introdotto
la definizione di “industria culturale” per sostituire il termine cultura di massa in quanto non
si tratta di una cultura che scaturisce spontaneamente dalle masse stesse. Secondo i due
studiosi si è di fronte a un sistema piuttosto che a espressioni provenienti dalla cultura di
massa . Il sistema è governato dai “direttori generali” che, tramite la delega agli addetti ai
lavori, presentano un ‘offerta che è solo apparentemente diversificata. Inoltre questa offerta
nasconde l’insidia del perseguimento del dominio sull’individuo.
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La reintroduzione del concetto di manipolazione degli individui ci riporta intorno agli anni
Venti e Trenta, quando il sistema dei media non era un oggetto di studio ma un potenziale
pericolo per la società. In un sol colpo, il sistema dei media è rivisto come onnipotente
rispetto ai soggetti, mentre si reintroduce l’asimmetria del processo comunicativo e la totale
passività degli individui: gli individui in questo contesto , possono solo essere coinvolti in un
processo attivato e condotto da altri. A loro, non viene neanche data la possibilità di sottrarsi.
L’opportunità di mettere in atto i meccanismi della selettività viene spazzata via in un soffio:
non è prevista un’opinione personale o un atteggiamento che possa contrapporsi ai prodotti
mediali. Le scappatoie offerte dalla percezione e memorizzazione selettiva sono inutili e non
consentono alcuna via di fuga. Analogamente, l’appartenenza del soggetto a reti sociali
significative quali quelle familiari, amicali o di lavoro non ha alcuna rilevanza nel processo di
acquisizione dei messaggi. Di nuovo, l’individuo è solo, preda di messaggi che non dovranno
sfuggire a troppi controlli della coscienza per ottenere i loro obiettivi. Anche il
riconoscimento operato dalla teoria del funzionalismo circa l’esistenza di una struttura di
bisogni alla base del consumo mediale è presto gettato via, alla luce del fatto che gli individui
non sono in grado di avere bisogni che non siano quelli indotti dall’industria culturale.
In conclusione, la teoria critica non presta alcun interesse alle classiche problematiche della
comunicazione (audience, modalità di fruizione, effetti ecc.) riferite agli individui; al
contrario, punta tutta la sua attenzione sull’analisi del sistema dell’industria culturale al fine di
svelarne tutta la sua pericolosità.
I cultural studies
La semiotica e i Cultural Studies scoprono che il lettore ha un ruolo attivo nel selezionare e
nell’interpretare il contenuto della comunicazione di massa. Quindi, i significati non sono
“inscritti” nei testi e nelle letture suggerite dai produttori dei testi, ma vengono contrattati
localmente, a partire da una “proposta” inserita nel testo ma non tassativa.
Pubblici diversi daranno letture diverse, le stesse persone in un contesto diverso daranno
letture diverse. Quindi, il potere dei media di imporre i propri significati non è uniforme e
indiscusso. Ancora una volta, questa tesi scagiona i media dalle critiche che li accusano di
onnipotenza e omologazione, di “potere senza responsabilità”.
La scuola di Toronto
La Scuola di Toronto si propone, di studiare la comunicazione da un punto di vista interno ad
essa, e cioè a partire dai mezzi attraverso i quali la comunicazione avviene. Questa Scuola si
sviluppa dagli anni Cinquanta, quando un gruppo di ricercatori ha iniziato a studiare il
rapporto tra la cultura occidentale e i supporti fisici attraverso i quali la comunicazione si
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diffonde. Harold Adams Innis, fondatore della Scuola, ha analizzato per primo e in modo
sistema-tico la relazione tra la civiltà e mezzi di comunicazione. Il suo pensiero si fonda
sull’idea che una civiltà è definita principalmente dai suoi equilibri spazio-temporali e dalle
sue convenzioni culturali: nel momento in cui questi equilibri e queste convenzioni entrano in
crisi civiltà si dissolve e viene so-stituita da una nuova forma sociale e istituzionale. I mezzi
di comunicazione sono gli agenti della tra-sformazione della società e della civiltà perché la
loro natura tecnologica implica un particolare modo di impiego e genera una precisa forma
istituzionale.
Marshall McLuhan (1911-1980), studioso di letteratura e di teatro appassionatosi alla ricerca
sui media, utilizza l’impostazione di Innis nella sua analisi sui mezzi di comunicazione come
agenti della società e della civiltà. La sua teoria è riassunta nei suoi celebri slogan; il più noto
è indubbiamente il mezzo è il messaggio. Ovvero, la natura del mezzo di comunicazione sarà
sempre più importante dei suoi contenuti (per esempio, quale che siano i messaggi che
trasmette, la televisione è significativa in quanto televisione). L’utilizzo di un mezzo di
comunicazione è, dunque, sempre vincolato dalla sua natura e dalla sua qualità tecnica.
McLuhan applica questo ragionamento anche ai media contemporanei, costruendo una
tipologia che individua tre distinte fasi storiche, nella convinzione che i media siano
un’estensione dei sensi umani e che, con il prevalere di un mezzo rispetto ad un altro, variano
l’equilibrio sensoriale e gli ambienti so-ciali. La prima fase è quella dell’oralità (cultura
dell’orecchio), epoca in cui l’uomo comunicava solo verbalmente o attraverso i gesti. La
seconda fase (cultura dell’occhio) coincide con l’invenzione dell’alfabeto fonetico,
estremizzata dalla stampa (non a caso, uno dei libri di maggiore successo di McLuhan si
intitola La galassia Gutenberg), il modo di pensare dell’uomo si sgancia dalla sua espe-rienza
fisica, nasce l’astrazione intellettuale e gli ordinamenti sociali che ne derivano. Mentre,
infatti, la comunicazione orale sollecita l’udito, la scrittura porta ad una visualizzazione del
sapere, stimolan-do principalmente la vista. Con i media elettronici (cultura del sistema
nervoso), siamo nella terza fase nella quale si riafferma la comunicazione orale7 che sollecita
di nuovo l’udito, favorendo il recupero di forme di associazione neotribali, simili alle forme di
aggregazione tipiche delle civiltà orali; questa aggregazione avviene, però, a livello
planetario, comportando la nascita del villaggio globale.
Il merito della Scuola di Toronto consiste principalmente nell’aver mostrato il
condizionamento che i media operano in quanto tecnologia, indipendentemente dall’uso che
se ne fa. Inoltre, McLuhan e i suoi colleghi hanno chiarito che tutti i sistemi culturali e
comunicativi dell’uomo, a partire all’invenzione dell’alfabeto, sono delle vere e proprie
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tecnologiche. Tuttavia, questo orientamento ri-schia molto spesso di cadere nel determinismo
tecnologico, spiegando tutti gli eventi storici e sociali come conseguenze della tecnologia.
3) Gli effetti a lungo termine dei media
La ricerca sugli effetti dei media è solitamente distinta in due fasi. Il primo periodo della
communica-tion research è caratterizzato dagli studi sugli effetti immediati della
comunicazione di massa, nella convinzione che gli effetti dei media si riversino sul
comportamenti immediatamente (per esempio, vedo la pubblicità e compro un prodotto; vedo
un manifesto elettorale e voto per quel partito…). Queste ricerche hanno avuto, come
abbiamo visto, esiti complessivamente negativi poiché questi effetti “immediati” o “diretti”
non sono sempre riscontrabili. La seconda fase si è concentrata, invece, sugli effetti a lungo
termine: si ritiene cioè che i media non influenzino direttamente il comportamento del
pubblico, ma che, nel lungo periodo, l’esposizione prolungata alla comunicazione di massa
modifichi l’atteggiamento dell’individuo e la sua percezione della realtà. Si parla, infatti, di
effetti cognitivi e di effetti cumulativi. La ricerca più recente si è orientata, inoltre, anche
verso lo studio dei media come agenti attivi nel processo della costruzione sociale del
significato.
Il sistema dei media concorre a diffondere le conoscenze, ma le teorie mostrano come la realtà
veicolata dai media sia filtrata, interpretata, distorta e non rappresentata oggettivamente. I
media operano quindi una ri-costruzione sociale della realtà , della quale gli individui non
possono fare a meno, perché l'esperienza diretta è limitata e la realtà è fruita soprattutto
attraverso i mass media. In particolare, la credibilità delle immagini TV, nella ricostruzione
della realtà, può provocare un effetto-valanga (Lang e Lang, 1962), in quanto la
rappresentazione televisiva di un evento, se opportunamente manipolata, può lasciare poco
spazio al dissenso ed all'interpretazione personale. Contro questa visione dei media si
schierano autori (per es. Hawkins e Pingree, 1983) che sono più cauti riguardo all'ipotizzato
impatto mediatico sulla costruzione della realtà sociale, perché nei loro costrutti l' audience
attiva (nel senso di maggiore interpretazione soggettiva e consapevolezza della parzialità delle
informazioni) ne inibisce l'influenza.
1 Teoria della spirale del silenzio
La teoria della spirale del silenzio, elaborata dalla studiosa tedesca Elisabeth NoelleNeumann congiunge i risultati degli studi sull’opinione pubblica e l’approccio delle teorie
degli effetti limitati dei media, nella convinzione che i soggetti non sono direttamente
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suggestionati dai media, ma intera-giscono tra di loro, si scambiano le informazioni e
negoziano le loro opinioni.
La tesi di Noelle-Neumann si fonda sulla capacità degli individui di percepire quali opinioni
siano so-cialmente prevalenti e quali no; e sul fatto che essi si conformano a questa
percezione che vincola l’espressione della loro opinione. Secondo questa teoria, i soggetti
sono più portati ad esprimere quelle opinioni che percepiscono come socialmente condivise,
mentre reprimono quelle non socialmente ac-cettate. La studiosa dimostra questi presupposti
attraverso il test del treno, che consiste nel chiedere a degli intervistati di immaginare di dover
trascorrere 5 ore in uno scompartimento ferroviario con degli estranei che offrono loro
personali opinioni su questioni delle più disparate (se sia giusto o meno picchiare i bambini;
se il governo sta lavorando bene o no…) e di esprimere il proprio gradimento in proposito. Il
risultato di 3500 interviste ha consentito di determinare che nella maggior parte dei casi gli
individui preferiscono parlare di temi su cui l’opinione propria è socialmente condivisa,
mentre tendono ad evitare temi su cui hanno opinioni divergenti. Per Noelle-Neumann questo
fenomeno si giustifica perché gli individui temono l’isolamento e, di conseguenza, hanno
timore di essere esclusi dal gruppo o di essere criticati.
Secondo questa ipotesi, il sistema dei media diffonde nella società un messaggio
culturalmente omogeneo, celato dietro le differenze di superficie dei diversi generi o delle
diverse emittenti. Si crea, dun-que, un fenomeno di consonanza e di cumulatività che esclude
tutte quelle informazioni ritenute in qualche modo devianti. I media, dunque, hanno il potere
di creare e diffondere le opinioni maggioritarie. Quando l’opinione pubblica si conforma al
messaggio diffuso dai media, per i soggetti sociali che sostengono idee diverse non rimane
che il silenzio. Risulta, infatti, difficile se non impossibile sostenere un’idea che i media
tacciono: chi si informa prevalentemente attraverso i media difficilmente conosce l’esistenza
di idee e di eventi non propagandati; i media, inoltre, contribuiscono al rafforzamento delle
idee che diffondono e forniscono anche le argomentazioni per difenderle, cosa che non accade
per le idee “minoritarie”alle quali mancano sia il sostegno emotivo di una buona copertura
televisiva, sia il possesso delle notizie e delle argomentazioni che soltanto questa copertura
potrebbe garantire. Ecco perché, secondo la studiosa, le notizie che non passano attraverso i
media sono fagocitate in una spirale del silenzio.
La verifica empirica di questa teoria si è avuta nello studio delle campagne elettorali, dove si
produce, nella loro ultima fase, una conversione del voto a favore del vincitore annunciato o
presunto tale, cioè un adeguamento all'opinione pubblica dominante ( last minute swing ).
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2 Teoria della coltivazione
La teoria della coltivazione è stata sviluppata da G. Gerbner e dai suoi collaboratori, essa
afferma che i media (e, in particolare la televisione) “coltivano” lo spettatore dall’infanzia
all’età adulta, offrendogli una visione del mondo comune e condivisa. I media provvedono,
quindi, ad una omogeneizzazione della cultura. Questa teoria si interessa non solo degli effetti
dei media quanto della costruzione della cultura in generale (e i media sono, naturalmente
considerati produttori della nostra cultura) e analizza, più in particolare, gli effetti a lungo
termine del consumo di televisione (uno di questi effetti è quello che Gerbner definisce meanworld syndrome, la propensione dei forti consumatori di televisione a formare una visione del
mondo più triste e preoccupata rispetto ai consumatori occasionali).
Per Gerbner, la TV, e principalmente il genere della fiction , costituisce il più importante
costruttore di immagini della realtà sociale, assumendo perciò il ruolo di agenzia di
socializzazione, in competizione con quelle tradizionali, come la famiglia, la scuola, la Chiesa
ed il gruppo dei pari. I bambini continuamente esposti alle fictions televisive, non avendo altre
conoscenze sul mondo, crescono condizionati dagli eventi e dai modelli rappresentati in TV.
Così, sia i bambini, sia gli adulti, sono "coltivati" dalle immagini televisive omogenee (aventi
le stesse caratteristiche attrattive di base), che veicolano una realtà semplificata, distorta e
stereotipata, la quale va a confondersi ed a sovrapporsi con la realtà oggettiva dell'esperienza
quotidiana.
Le ricerche nell'ambito di quest'approccio hanno riguardato alcuni temi specifici (violenza,
sesso, politica, etc...), esaminati da due distinte prospettive:
-
l'analisi di contenuto. Cosa è veicolato dalla TV;
-
l'analisi delle audiences . Percezione della realtà sugli argomenti trasmessi.
Circa la prima prospettiva, c'è da rilevare come esista in effetti uno scarto tra la realtà ed il
mondo televisivo. Nello specifico, all'interno di quest'ultimo si è riscontrata una sovra/sotto
rappresentazione di persone ed eventi. Per esempio, esiste più violenza e di conseguenza più
presenza di polizia e forze dell'ordine. Inoltre, ci sono più esponenti della middle-class che
della working-class , più persone di razza bianca che di razza nera, più uomini che donne, le
quali ultime sono quasi esclusivamente raffigurate come casalinghe o donne-oggetto.
Le critiche alla teoria hanno evidenziato la scarsa considerazione di variabili psicologiche e
sociologiche nelle audiences e l'eccessiva equivalenza tra mondo televisivo ed opinioni del
pubblico.
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3 L’agenda setting
Nella sua formulazione iniziale, la teoria dell’agenda setting viene presentata da Cohen come
una metafora: “la stampa può nella maggior parte dei casi non essere capace di suggerire alle persone cosa
penserà, ma essa ha un potere sorprendente nel suggerire ai propri lettori intorno a cosa pensare”.
La formulazione di Cohen, che anticipa la prima ricerca empirica condotta entro il quadro
teorico dell’agenda setting da parte di Mc Combs e Shaw, presenta con grande chiarezza il
problema del rapporto tra media e individui, nonché i rapporti esistenti tra i due soggetti. La
stampa, ma più in generale il sistema dei media offre agli individui temi e problemi intorno ai
quali pensare e discutere: non li costringe ad assumere un punto di vista, ma il loro orizzonte
tematico.
Secondo questa ipotesi, i media evidenziano, all’interno della realtà, un certo numero di problemi
(focalizzazione) fornendo, nello stesso tempo, dei quadri interpretativi mediante i quali recepirli.
Questo intervento di selezione dipende da ragioni di tipo economico, politico o geografico; ragioni che
portano a individuare quei fatti che hanno un elevato valore di notiziabilità all’interno del contesto
socio-culturale in cui vengono comunicati. Come risultato di questo fenomeno, lo spettatore si
convince che accade solo ciò che la radio, la televisione o i giornali riportano, e che ciò accade
proprio nel modo in cui viene mostrato o riportato. I media definiscono, quindi, la nostra agenda
quotidiana proponendoci gli argomenti ai quali pensare e sui quali discutere. In altri termini,
l’ipotesi dell’agenda setting afferma i media non impongono al pubblico che cosa pensare,
ma sono in grado di definire gli argomenti sui quali gli spettatori sono chiamati a riflettere. Il
pubblico è, quindi, portato ad attribuire importanza agli argomenti ai quali i media danno
importanza, al punto che esiste una corrispondenza significativa tra l’importanza attribuita dai
mezzi di comunicazione a diversi eventi o problemi e l’importanza ad essi attribuita dai
fruitori.
Originariamente, l’ipotesi dell’agenda setting è stata elaborata con riferimento al potere di
agenda della stampa, anche se essa è applicabile agli altri media. Le ricerche condotte in
questo ambito mostrano che ogni medium ha un potere di agenda diverso (per esempio, il
potere di agenda risulta essere più marcato nella stampa che nella tv). Il potere di agenda
riguarda, infatti, non solo il fatto che i mezzi di comunicazione di massa forniscono un certo
numero di notizie, ma soprattutto la capacità dei media di fornire anche le categorie attraverso
le quali interpretare quelle notizie, anche in virtù del fatto che in una società caratterizzata
dalla comunicazione di massa aumenta il divario tra le conoscenze apprese via media e le
conoscenze e le esperienze dirette.
Secondo Shaw, uno dei maggiori sostenitori di questa ipotesi, il pubblico manifesta una
dipendenza cognitiva nei confronti dei media che si configura in due livelli: i media
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stabiliscono l’ordine del giorno dei problemi, dei temi e degli argomenti a cui pensare e
presentano anche la gerarchia di importanza dei temi presenti nell’ordine del giorno. Il potere
di agenda si rivela un effetto a lungo termine anche perché, dal momento che le nuove
conoscenze sono organizzate sulla base delle vecchie conoscenze già strutturare, la sua azione
non si limita a fornire un ordine del giorno e una scala di priorità dei temi presentati.
Tuttavia, anche il potere di agenda risulta mitigato da variabili individuali e sociali:
l’individuo non sempre adotta l’ordine del giorno proposto dai media, soprattutto se ha già
una consolidata gerarchia di temi che gli interessano particolarmente; egli integra piuttosto la
sua agenda personale con quella proposta dai media (si parla, infatti, di persuasione temperata
dalla persistenza). L’effetto del potere di agenda varia, inoltre, da tema a tema e da pubblico a
pubblico: se la centralità del tema per un particolare soggetto limita il potere d’agenda, anche
la specificità del pubblico sembra mitigare l’effetto dell’agenda setting.
Uno dei problemi metodologici più delicati delle ricerche fondate su questa ipotesi consiste
nella misurazione dell’effetto di agenda poiché è difficile calcolare l’intervallo di tempo in
l’effetto si verifica. Inoltre, mentre è abbastanza semplice valutare l’agenda dei media, è
molto più difficile ricostruire l’agenda del singolo spettatore in quanto non sempre la presenza
di un argomento è indicatore del potere di agenda.
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Bibliografia:
Sara Bentivegna, teorie delle comunicazioni di massa, 2007, Edizioni Laterza.
Sitografia:
http://www.mediamente.rai.it/biblioteca/biblio.asp?id=306&tab=int&tem=63#link003
http://www.funzioniobiettivo.it/medie_file/scrittura/storia/storia%20della%20scrittura.htm#0.
2.8C95RV.GWY8MG.CNA5PD.37
http://www.cristianvaccari.it/universita/lezioni/2005/dsc/effetti2005.pdf
http://www.unibas.it/presidenze/lettere/home04_files/programmi/dispensa%20diodato_teorie
%20della%20comunicazione%20di%20massa.pdf
http://books.google.it/books?id=cEp7PbYmaGAC&pg=PA126&lpg=PA126&dq=teoria+dell'
ago+ipodermico&source=bl&ots=V1ExjYKgn2&sig=-LQQzN_X_k-1cDW9HGOBHHUp6I&hl=it&ei=zn3QSbHwAdiIsAaT_dG1CA&sa=X&oi=book_result&resnum=10&ct=res
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