La Vita Consacrata fra libertà e impegno: legalità ed economia

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Prof.Luigi Bruni
La Vita Consacrata fra libertà e impegno: legalità ed economia
Milano, 20/09/08
Convegno “Vita Consacrata” U.S.M.I. – C.I.I.S. – C.I.S.M. Regione Lombardia
“Nel mondo, ma non del mondo”
Milano, 20 settembre 2008
La Vita Consacrata fra libertà e impegno: legalità ed economia
Dr. Luigi Bruni
(Professore associato di Economia politica presso il Dipartimento di Economia politica
e docente di Etica ed economia nell'Università Bicocca Milano)
Grazie all’USMI, alla CIIS, alla CISM, alla vita consacrata e grazie anche a padre Giorgio che
mi ha invitato, che ha fatto da vostro tramite.
Ho avuto in questi anni diverse occasioni di amicizia con l’USMI, con la CISM, ma non avevo
mai partecipato a questo tipo di incontro, che so importante, e che si tiene ad inizio anno.
Spero tuttavia di inserirmi bene nel contesto.
Contesto
Parlare, dopo una relazione così ricca e così bella come quella che abbiamo appena ascoltato, è
sempre impegnativo. Cercherò di fare bene la mia parte: sono un economista, come professione,
tuttavia, come formazione, mi occupo anche delle economie che nascono dai carismi.
Oggi vorrei affrontare proprio questa tematica . Ho scritto un libro con una mia collega, sr.
Alessandra Smerilli, suora salesiana, (la sua maestra di noviziato, sr. Anna oggi è qui con noi) che è
uscito in questi giorni dal titolo: “Benedetta economia”. Si tratta di un libro sul principio
carismatico dell’economia di mercato, che presenta la possibilità di leggere l’economia anche a
partire dai carismi, non solo dalle istituzioni.
Quindi oggi dirò alcune cose che sono di fatto contenute in questo libro “Benedetta economia”¸
dove si parla di Francesco e Benedetto in particolare, i due grandi carismi dell’Europa, ma dove si
propone anche una riflessione più ampia sulla logica dei carismi nella vita economica e sociale.
Punto di partenza di questa mia breve introduzione è la storia dell’umanità, che ovviamente
include anche il presente ove coesiste l’economia ed i carismi.
Noi sappiamo, che non ci sarebbe l’economia di mercato senza i francescani e i benedettini; non
ci sarebbero le banche come conosciamo senza i Monti di Pietà dei francescani; non ci sarebbero le
leggi sui giovani, sui ragazzi nel mondo del lavoro senza don Bosco (tutto l’argomento
richiederebbe tempi di approfondimento). Basti pensare che il primo contratto di apprendistato lo ha
inventato proprio don Bosco partendo da un’intuizione che gli proveniva dal suo particolare
carisma per i ragazzi.
Lo stato sociale nel Novecento e anche nei tempi recenti, deve molto ai carismi dei Fondatori
degli Istituti dediti alle opere sociali, che hanno avuto il dono di saper guardare la realtà sociale
anche con gli occhi del Vangelo.
Partiamo da questa prima affermazione. Senza carismi non c’è progresso civile e umano.
Questa è una tesi di cui sono convinto: se oggi noi togliessimo i carismi dalla vita economica che
cosa rimarrebbe? Per definire il carisma bisognerebbe fare un lavoro un po’ più ermeneutico. Per
ora diciamo: il carisma è una combinazione lineare fra la lettera di Paolo ai Corinti, dove si parla
dei carismi in senso molto ampio, come il dono che lo Spirito manda alla Chiesa per la vita della
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Chiesa e la persona. Quindi, in senso molto ampio, il carisma non è legato solamente a una persona,
a una personalità carismatica (il Fondatore), ma costituisce un dono che ricevuto per il bene
comune, quindi che va al di là degli stessi confini della Chiesa visibile. Tutte le volte che una
persona riceve degli occhi diversi per guardare il mondo e questo produce il bene comune, lì c’è
l’opera, il dono dello Spirito, ne sia consapevole o meno la persona stessa che lo riceve.
Una volta, in un Convegno laico, stavo parlando di carismi, e dissi: “Ci sono carismi laici e
carismi religiosi”; si alzò una signora anziana e disse: “Tutti i carismi sono laici”, nel senso che
sono sempre un dono per la vita pubblica, per la vita civile, insomma per il bene comune, anche se
nascono spesso in ambienti religiosi.
La gente vive meglio quando c’è un carisma, al di là che questo nasca da un’esperienza religiosa,
come spesso accade, oppure nelle cooperative sociali, o in chi si occupa dei poveri…
Oggi parliamo dei carismi legati alla vostra esperienza.
La mia lettura, che possiamo chiamare “piccola teoria del rapporto tra carisma e istituzione”, che
poi mutuo da grandi autori quali Max Weber, Von Balthasar, Giovanni Paolo II, applicata
all’economia può essere così formulata: il carisma innova e l’istituzione segue. È un po’ come la
teoria del famoso economista dell’Ottocento Schum Peter: parlando sul tema dello sviluppo agli
imprenditori chiedeva: “Come si crea sviluppo economico?” E rispondeva: “Ci sono delle persone,
(gli imprenditori) che portano innovazioni, spingono avanti i paletti dell’economia: nuovo prodotto,
nuova impresa, nuovi mercati. Ci sono poi gli “imitatori” che li seguono trasformando
quell’innovazione in un dominio dell’economia”.
Certo lui leggeva l’economia come una rincorsa fra “innovatori” e “imitatori”.
Nel mondo sociale non è lo Stato che normalmente produce innovazione, ma i “carismatici”,
cioè quelle persone che hanno occhi per vedere più lontano rispetto all’Istituzione.
Ci può essere un’istituzione carismatica? Magari ci fossero tante persone carismatiche nelle
istituzioni… Pensiamo a personaggi come La Pira…Anche nella nostra vita quotidiana abbiamo dei
politici carismatici, però si tratta di singole persone, non di una intera istituzione. L’istituzione,
quando funziona, segue l’intuizione carismatica. Quindi, nella mia prospettiva, la vita sociale è la
rincorsa tra innovatori (i carismi) e le istituzioni che rendono universali quelle innovazioni.
Questo per delineare un po’ il contesto entro il quale voglio permettermi poche e brevi
riflessioni.
Ho suddiviso questa mia presentazione in tre parti: due un po’ più corpose, una più breve ed
infine una conclusione.
La prima parte: le caratteristiche dell’economia carismatica
La seconda parte: tre sfide vissute oggi dal mondo dei carismi, dal mondo religioso che opera
nella vita civile.
Terza parte: alcune patologie possibili, che sono sempre in agguato quando si ha a che fare con
la vita carismatica e l’economia.
Prima parte
Le caratteristiche dell’economia carismatica
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Ne indico cinque:
La prima: le esperienze economiche e civili che nascono dai carismi, non nascono mai da un
movente economico, nascono sempre da un movente ideale.
L’opera economica nasce solo come espressione di idealità e a volte anche in modo non
intenzionale. Quando una persona riceve un carisma e per esempio fa nascere un ospedale o una
scuola, non fa questo per fare un’economia nuova, ma per amare le persone che ha attorno. Il
movente che fa nascere anche un’opera economica non è mai di ordine economico, ma sempre un
movente ideale, quindi più grande dell’economia anche se vi rientra.
Quindi caratteristica fondamentale di queste esperienze è il principio di gratuità, che io definisco
così: azione la cui ragione è sempre interna all’azione stessa, mai esterna. Quindi, secondo tale
principio, non si svolge l’attività economica per il profitto o per il potere, ma per amore verso quelle
persone che potranno fruire dell’attività stessa. E l’amore è sempre un fine, non un mezzo.
Questa è per me la gratuità. Non è un semplice fare, non è semplice altruismo, non filantropia,
non è neppure la carità nel senso di elemosina; la gratuità, direbbe san Tommaso è la forma di ogni
azione. La gratuità è un modo di vivere tutte le azioni, anche i contratti.
La gratuità non è qualcosa di alternativo al contratto o qualcosa che vi si affianca così da
costituire delle donazioni. La gratuità è una dimensione. I medioevali direbbero: un
“trascendentale” dell’azione: come il bello. Infatti non è che il bello sia qualcosa che si è aggiunto
al vero e al buono, è una dimensione di qualunque cosa buona e vera.
Si può quindi vivere la gratuità in tutte le azioni umane, anche in quelle più dolorose, anche in
quelle più contrattuali, perché è la forma delle virtù, la forma di qualunque azione sociale, se
vogliamo che sia pienamente umana, cristiana, e quindi pienamente umana.
È interessante osservare che carisma e gratuità derivano entrambi dal greco “karis”, che vuol
dire “ciò che dà gioia”. Non c’è gioia senza carismi. La gioia è tipicamente legata alla gratuità,
all’approccio umano disinteressato, dove tu conti in quanto persona e non in quanto cliente,
fornitore, per un futuro rapporto commerciale.
La seconda: l’economia che nasce dai carismi, nasce sempre da bisogni concreti. Non nasce mai
a tavolino, per risolvere problemi astratti per fare un mondo migliore. Nasce da un incontro con una
persona, da un incontro con una comunità: nasce per amare persone concrete che hanno un nome e
cognome.
Ho in mente tante esperienze di Fondatori che hanno fatto nascere opere per amare una famiglia,
una persona, quel ragazzo: non per i giovani in generale, o per le famiglie del mondo. Questo erga
omnes non è tipico del carisma; solo successivamente il carisma diventa universalistico, proprio
perché vero. La fraternità di San Francesco nasce quando bacia quel lebbroso: in quel momento non
ha in mente i lebbrosi del mondo; il bacio di quel lebbroso lo contamina, e diventa un abbraccio mai
di comunità e di fraternità, e così inizia l’esperienza francescana. Non inizia per amare i poveri del
mondo, ma quel povero concreto. Penso all’esperienza di Madre Teresa di Calcutta, ed a tante altre:
nascono tutte da un incontro singolare.
Poichè le esperienze carismatiche nascono per bisogni concreti, sono sempre esperienze
popolari, semplici, fraterne, per tutti, mai di élite; non hanno nessuna similitudine con il club di
persone che si mettono insieme per i poveri. L’esperienza carismatica ti aiuta a vederti come primo
povero.
Quando voi trovate esperienze che si occupano dei poveri e non trovate la povertà dentro
l’esperienza, state sicuri che non è un’esperienza carismatica.
Io posso essere un funzionario pubblico, occuparmi di povertà e avere la Ferrari, ma se sono una
persona che partecipa ad un carisma e mi occupo di povertà devo essere povero, altrimenti tale
esperienza non avrà continuità nel tempo.
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La terza: i Fondatori. Le esperienze carismatiche sono fortemente legate alla persona del
Fondatore. Non sono mai esperienze universalistiche nel senso di poter essere facilmente replicabili,
magari tramite la trasmissione di una tecnica, proprio a motivo della loro forte identità derivante da
un incontro specifico, da una comunità viva. Vorrei soffermarmi ora a vedere il rapporto fra identità
e valore universale di un’esperienza, sgomberando il campo da possibili equivoci. Un’esperienza
non ha valore universale quando diminuisce nell’identità; è invece vero che se un’esperienza
profondamente identitaria, è vissuta veramente evangelicamente, si apre a tutti. L’universalità e
l’identità nel vangelo vanno insieme: altrimenti prendono forma esperienze anonime su cui si può
insinuare il rischio del comunitarismo, della chiusura (qui però entriamo nella patologia). La
normalità consiste nella compatibilità fra l’identità e l’universalità.
Riprendo quanto detto con un esempio pratico: io posso fare dei corsi alla Cattolica, per
insegnare le tecniche contabili, le tecniche manageriali, ma non posso fare dei corsi per trasmettere i
carismi. Il carisma si trasmette con la “contaminazione” della vocazione, suscitando vocazioni. Non
c’è altro modo per replicarlo. Puoi benissimo insegnare come gestire una OMG a dei giovani, ma
non puoi insegnare in un corso come si può avvicinare un ragazzo con lo spirito di don Bosco.
Questo è solo possibile se è frutto di vocazioni nuove che vengono ad esistere quando si ricrea il
miracolo fondativo dei primi tempi..
La quarta: la reciprocità.
Secondo me la nota dominante, il principio fondativo dell’esperienza carismatica non è
l’altruismo, ma la reciprocità. L’altruismo si attua quando costitusco esperienze per gli altri, per gli
ultimi, per gli svantaggiati intese come un “dare” a chi non ha . In questo l’altruisno è similare alla
filantropia che non appartengono alla categoria dei carismi. La categoria dei carismi è sempre
scambievole, è sempre un includere nelle persone un rapporto nuovo. Nell’esperienza carismatica la
prima “medicina” che si offre a una persona è il rapporto, non una cosa. Prima si offre un rapporto
e dopo si offrono beni, cose, strutture, case.
Chi non sa vedere nella persona aiutata un valore che arricchisce, non partecipa al carisma. Se io
vedo il povero come “il poveretto” non vivo l’economia carismatica, ma l’economia della
filantropia, dove io non mi contamino con il povero, lo aiuto ma rimango fuori, rimango ricco.
Nell’esperienza carismatica, invece, io curo la povertà facendomi fratello della persona e quindi
lo considero un valore, lo stimo. Se non c’è stima non c’è carisma. Non posso vedere il malato,
anche il deformato (pensiamo al Cottolengo) solo come il problema: devo vederci almeno Gesù, che
è il tutto. Nel mondo laico spesso non c’è cura: c’è solo gestione di un problema.
La quinta: le esperienze che nascono dai carismi attribuiscono valore fondamentale, fondativo
alla bellezza. Si cura anche con le cose belle, non solo con le cose buone.
Un ospedale fatto dallo Stato può essere imponente, attrezzato, ma una clinica fatta da suore
deve essere bella. La bellezza è una dimensione curativa. Mi diceva un amico che ha costruito un
ospedale (una persona che partecipa a una vita carismatica, bella, evangelica) : “Io vorrei assumere i
più bravi parrucchieri nel mio ospedale”, e infatti li sta assumendo “perché quando una donna
anziana si rompe un femore, se non si sente in qualche modo bella, non guarisce mai”.
L’attenzione al bello significa riconoscere nell’altro dignità. Curare non significa solo rimettere
in piedi una persona, ma restituirle la sua vita e la vita degli altri. Quindi curare gli ambienti, le
camere: insomma porre attenzione alla bellezza è già un atto terapeutico.
Seconda parte.
Le sfide: il carisma, il mercato, la reciprocità
A mio parere, l’economia che nasce dai carismi, nel contesto odierno, deve affrontare tre sfide .
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1a sfida: è il carisma stesso. Sembra banale, però è un punto importante. Un’economia che nasce
da un carisma e perde per strada il carisma stesso ovviamente si avvia all’estinzione.
Può sembrare tanto logico, però voglio dire che il punto di forza di un’esperienza che nasce da
un carisma, ciò che la rende affascinante, attraente, è diventare un bene comune.
Quindi, se con il trascorrere del tempo, un’esperienza nata da un carisma, non si aggiorna e
invece continua a fare cose che magari non sono legate a quella Parola originaria ed originante che
lo Spirito ha detto nel momento fondativo, ovviamente si estingue. Questo è evidente.
È fondamentale la manutenzione e l’aggiornamento dei carismi. Diceva prima giustamente don
Eros: “Declinare il carisma nelle nuove sfide della storia”… quindi riconoscere che il ragazzo
dell’Ottocento non è il ragazzo di oggi; saper riconoscere continuità e discontinuità all’interno della
esperienza carismatica.
2a sfida: (legata alla prima) è il mercato. Mi occupo di economia e vedo una fioritura di corsi di
management per religiosi: cose che anch’io faccio come riesco; però c’è sempre un enorme rischio:
quello di leggere la realtà carismatica come un’azienda e basta.
Io capisco che per il 70% vi è somiglianza fra le due realtà, ma c’è un 30% di specifico… non è
la FIAT, non è l’organizzazione che ha come fine il profitto. Chi fa dei corsi di management per
realtà religiose, al mondo carismatico, dovrebbe essere in qualche modo anche lui un po’
carismatico; infatti se non capisce lo specifico di tali esperienze, alla fine, rischia, pur con tutte le
buone intenzioni, di distruggere non un bilancio ma l’esperienza carismatica stessa. Magari riesce a
dare dei consigli per una sopravvivenza temporanea per 2-3-4 anni, ma fra 10-20 anni: cosa
rimarrà?
Il momento delicato è quando ci si apre al mercato anche per motivi logici, normali, magari
perché mancano vocazioni e abbiamo da gestire grandi strutture, situazioni che conosco molto bene.
La grande sfida di oggi potrebbe essere così formulata: come passare al vero mercato, quello che
hanno fatto nascere i francescani, dove esiste accanto all’efficienza, il valore del non spreco, dove
esiste senz’altro anche la legge, la contabilità, il management, ma dove soprattutto si trasformano i
dipendenti in persone che in qualche modo condividano almeno un po’ il carisma del Fondatore?
Esistono dei modi, dei metodi, o qualche consiglio per far sì che chi viene a lavorare con noi, i laici,
condividano un po’ la missione che ha fatto nascere la nostra esperienza?
Vi do due suggerimenti su questi fronti. Il primo: ripensare il rapporto carisma-laici come
alleanza. Un errore che si fa nel mondo religioso è pensare che il vero depositario del carisma è il
consacrato e poi vi siano dei collaboratori ed esecutori che girano attorno a noi, ma che non sono
come noi protagonisti. Secondo me è un modo che non funziona, e non funziona perché il carisma è
sempre più grande del mondo religioso: possono rifiorire i laici come è fiorito il mondo religioso;
inoltre, se un giovane, o una persona non si sente protagonista, ma solo esecutore, dopo un po’
abbandona il campo.
Parlavo prima di alleanza. L’alleanza è un patto, è una parola biblica. Non è che Dio e Israele
siano la stessa cosa, però l’alleanza stabilisce un rapporto sul piano della parità, dove ognuno è
protagonista.
I carismi sono più grandi delle incarnazioni storiche che possono sempre generarsi in nuove
vocazioni.
Il secondo suggerimento: non abbassare gli standard degli ideali. La mia impressione è che il
mondo dei carismi fa fatica ad attrarre i giovani, non perché chiede troppo, ma perché chiede
troppo poco. Ho l’impressione che i giovani, soprattutto quando sono in gamba, abbiano bisogno di
grandi sfide, di grandi richieste, non di sconti. Da 30 anni l’economia ha scoperto, anche
l’economia teorica, una cosa fondamentale: spesso l’abbassare i prezzi può portare ad attrarre i
clienti peggiori. Non sempre un prezzo che si abbassa è segnale di miglioramento: a volte può far sì
che chi si candida non sia di qualità alta. Quindi se noi oggi presentiamo ai giovani tutta la
radicalità del carisma, attraiamo le persone migliori.
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Questo è un paradosso. Non dire: “Fai quando puoi, non preoccuparti,… tra le tante cose fai
anche questa… non è niente”. Bisogna invece dire: “È tutto… È una cosa difficile, impegnativa!”
Se una persona che ha un po’ di vocazione accetta la sfida, altrimenti va da altri, dove trova
questa radicalità. Quindi non abbassare lo standard ideale, non aver paura di presentare oggi il
carisma con tutta la sua carica di profezia e di radicalità, altrimenti arrivano le persone sbagliate.
Questo per me è un tema fondamentale, io vedo, insegnando a scuola, che il modo migliore per
perdere le persone in gamba è dire che il corso è facile. Se io dico il primo giorno che il corso è
facile, i più intelligenti vanno via. Invece bisogna dire che il corso è molto difficile, impegnativo.
Tutti i giovani hanno l’istinto delle cose importanti e se incontrano realtà che chiedono molto,
danno molto, tanto più quando si ha a che fare con i carismi e non solo con un corso universitario.
3a sfida: la reciprocità. Nel mondo delle organizzazioni cristiane, tendiamo normalmente
intendere la reciprocità solo come mutuo dono, come dimensione della pura gratuità e diversamente
i contratti come una forma di basso livello, che addirittura vanno contro la reciprocità, arrivando
così alla convinzione che dove arriva il contratto si riduce la reciprocità e viceversa. In realtà io
sono convinto (e lo dico per esperienza concreta, occupomi anche di economia sociale, oltre che per
acquisizioni teoriche) che la reciprocità funziona quando non la leggiamo solo come dono, ma
anche come contratto.
E qui vengo al tema della legalità, su cui dirò qualcosa.
Perché il contratto è fondamentale? Pensate ad un Fondatore di un Ordine: dopo che ha dato vita
a questo, pensa subito alla regola. La regola è molto simile a un contratto, (anche se presuppone la
gratuità). Perché il Fondatore fa questo? Perché sa che se non scrive una buona regola, un’alleanza,
un patto, un contratto, l’agape non è possibile nel tempo: nascono i conflitti. L’idea che dove non
c’è contratto arrivi l’amore è un’ingenuità che va superata: di fronte a un contratto spesso ci sono
rapporti di potere, rapporti non chiari, rapporti di sfruttamento, con tutte le buone intenzioni.
Non bisogna leggere il contratto come alternativo all’agape, ma come complementare.
Vi racconto un fatto su questo punto che mi sta molto a cuore. A Montevideo ho vissuto
un’esperienza fondativa di un gruppo di donne povere che andava a chiedere l’elemosina ai mercati
della città e vivevano di elemosina offerta dalle signore ricche che uscivano. Ad un certo punto
arriva lì un’assistente sociale, le aiuta, le mette insieme e fanno una cooperativa; cominciano a
produrre dei prodotti artigianali, fanno dei fazzoletti ricamati. Finalmente, dopo mesi di lavoro,
vanno a vendere i fazzoletti di loro produzione proprio davanti ai supermercati dove andavano a
chiedere l’elemosina. Cominciano a vendere e i primi giorni le signore dicono: “Tieni i soldi, ma
non voglio il fazzoletto”. Ad un certo punto una delle donne dice: “Se tu non vuoi il fazzoletto io
non voglio i soldi. Tu devi riconoscere che sono come te”. Il contratto, lo scambio di mercato può
essere un luogo di sviluppo umano non meno bello rispetto al regalo: l’agape non si deve
identificare con il dono incondizionato. Si può vivere la dimensione della gratuità, anche in un
contratto se è concepito bene.
Guai a contrapporre i contratti alla reciprocità alta, perché si finisce nei conflitti.
Poi c’è la reciprocità dell’amicizia e questa è più nota. Mi sono convinto che la parola amicizia è
molto usata nel Vangelo. Non c’è solo l’agape per dire l’amore, vi è anche la filia anche se
certamente diversa dall’agape . Amicizia è una parola bella, soprattutto se non chiusa tra eguali ma
aperta anche a chi è diverso. È un valore fondativo del cristianesimo e non solo del mondo greco e
del mondo latino. È esperienza: “Non vi chiamo più servi ma amici. Vi ho chiamati amici perché
tutto ciò che è venuto dal Padre ve l’ho donato”. Gesù era anche amico con i suoi discepoli, e ha
voluto costituire un gruppo anche di amici.
Un’esperienza carismatica non dura molto se non è anche un luogo di amicizia. Non basta nei
contratti la sola dimensione del dono incondizionato, ma bisogna sviluppare anche la dimensione
comunitaria, dove si è parte di un destino comune su un piano di uguaglianza.
Questo per me è l’amicizia.
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Io sono convinto che tutti coloro che hanno dato vita a realtà importanti nella Chiesa, come
Francesco, ecc., hanno creato al loro interno anche legami di amicizia: non hanno costituito un
gruppo di persone dove ciascuno seguisse Dio da solo.
Terza parte: le patologie della reciprocità nell’esperienza carismatica
Quali sono i rischi, gli errori che si possono compiere nelle esperienze che nascono dai carismi?
La vitalità di queste esperienze dipende dalla moltiplicazione dei seguenti fattori: contratto,
amicizia e gratuità come agape.
Attenzione, parliamo di una moltiplicazione, non di una addizione! Qual è la differenza fra una
addizione e una moltiplicazione? Vi chiedo scusa per questi esempi banali da scuola elementare.
In una somma: se un addendo è zero la somma diminuirà ma rimane in piedi qualcosa.
In una moltiplicazione: se un fattore è zero il prodotto diventa zero.
La mia impressione è che se in una comunità carismatica viene meno o il contratto o l’amicizia o
la gratuità agape, tutta l’esperienza va in crisi e tende ad azzerarsi.
Per farvi vedere quanto sia vero quanto vi ho detto, vediamo di fare una simulazione ove si
azzeri o il contratto o l’amicizia o la gratuità agape: cosa avviene? Una forma di esperienza
patologica.
1a forma di patologia (con azzeramento del contratto): abbiamo il modello utopico.
Cade in questa malattia organizzativa chi pensa che nelle esperienze carismatiche le regole e i
contratti non servano o siano addirittura dannosi. Non si scrivono regole formali, non si fanno patti
vincolanti. Al limite non si fanno neanche i contratti con i dipendenti, tanto c’è l’amicizia, tanto c’è
l’agape…
Questa malattia produce nel tempo conflitti mortali proprio perché non abbiamo voluto scrivere
delle regole del gioco che prevenissero questi conflitti mortali.
L’idea in sostanza è questa: quando non hai regole scritte, finché c’è la gioia dei primi tempi, si
va avanti, ma al primo conflitto la realtà implode. Le regole e i contratti sono delle grandi garanzie
per quando le cose non vanno bene per vari motivi. Attenzione: c’è il peccato originale ! Ed anche il
peccato per cause banali; ambedue fanno sì che la vita in comune si possa ammalare. Allora il
contratto, le regole, i patti, soprattutto con i dipendenti (penso non solo alla comunità, ma al
rapporto con le vostre opere) ben formulati, giusti, regolari, divengono fondamentali.
Io ho visto fallire esperienze ideali, non per mancanza di gratuità, ma per mancanza di contratti,
per mancanza di quella legalità che ti porta a vivere la prudenza, che è una virtù meravigliosa. Devi
prevedere che la gente può essere opportunista, può essere furba, ecc.
I conflitti non nascono da persone cattive, ma da persone che hanno punti di vista diversi.
Quando nasce un conflitto c’è sempre una vittima e un carnefice.
A volte il conflitto, nasce dallo scontro fra il nuovo ed il vecchio, dove ciascuno porta una parte
di verità. Quindi i contratti servono anche a questo: a garantire il rispetto di un patto fondativo
vincolante per tutti, che un domani potrà anche essere aggiornato, ma di nuovo sarà vincolante per i
nostri comportamenti.
Senza la gratuità, l’amicizia e solo con il contratto la vita è invivibile, ma senza contratti la vita è
altrettanto invivibile. Tra questo “senza e solo”, c’è in mezzo una tensione.
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2° forma di patologia (con azzeramento dell’amicizia): abbiamo il paternalismo o il
maternalismo.
In queste organizzazioni qual è la malattia che si crea? Che i leaders, i responsabili non si
preoccupano di creare la fraternità con tutti i compagni di viaggio, ma li relega a ruolo di segretari,
esecutori delle direttive.
Qual è un sintomo grave di questa patologia? Quando il Fondatore o il leader lascia o muore,
l’esperienza non va più avanti, perché i collaboratori non hanno creatività , si sono abituati ad essere
semplicemente degli esecutori. Quindi tu vedi esperienze nelle quali, appena viene meno il
Fondatore si entra in un’enorme crisi perché i collaboratori non sono stati educati alla
corresponsabilità nella gestione, ma solo all’esecutività.
Quindi si hanno persone incapaci di aggiornare il carisma alle sfide dell’oggi.
Mi diceva una volta un imprenditore: “Ma come: io nella mia azienda do gli utili ai poveri,
voglio bene a tutti, ho anche dei contratti ben scritti, regolari, però i miei dipendenti (frase
interessante) non mi vogliono bene, non mi stimano”. Per forza, rispondo, sei un paternalista, non
sei riuscito a far sentire tutti i tuoi collaboratori come te. La fraternità è una cosa seria in
un’organizzazione. Non basta fare al mattino un discorsetto e poi lavorare, con uno che comanda e
gli altri che obbediscono: bisogna scrivere le regole del gioco; una governance che sia davvero
partecipativa.
Non basta la morale, bisogna costruire istituzioni dove le persone sono davvero coinvolte,
altrimenti c’è paternalismo, non c’è amicizia e nel tempo non durano.
3° forma di patologia (con azzeramento dell’agape): abbiamo il disincanto. Questo rischio è
quello più subdolo, più difficile da individuare perché ha un lungo periodo di incubazione. Senza
contratti e amicizia, l’organizzazione muore subito, la gratuità invece, soprattutto nelle esperienze
carismatiche mature e consolidate, può venire meno un po’ alla volta, senza che gli attori di tale
esperienza se ne accorgano presto.
Si può andare avanti a lungo senza gratuità, sentendosi tranquilli perché magari siamo efficienti
nelle opere, siamo in attivo col bilancio, ecc.
Ora, quali sono gli indicatori, i segnali, le spie rosse del disincanto?
Io ne ho indicati tre:
1. assenza o la forte diminuzione della dimensione della festa e della gioia.
2. Non riuscire più ad ascoltare il grido dei poveri. Quando accade questo la crisi è ormai molto
avanzata.
3. Valutazione del “povero” come problema da gestire, e non più invece come una risorsa e una
cosa bella.
Conclusione
Sono convinto che la fraternità, la gratuità, l’agape, tutto l’umanesimo cristiano, vive ancora il
tempo dell’aurora. Perché dico questo? Perché il messaggio di Gesù, la sua radicale innovazione dei
rapporti sociali, della fraternità aveva bisogno di un mondo che sperimentasse anche la libertà e
l’uguaglianza.
In un mondo dove non c’è libertà e uguaglianza, cosa vuol dire essere fratelli?
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La fraternità, è il futuro non il passato, ci sta di fronte, non dietro: io sono sicuro, questo lo
dicono i segnali anche economici. Basta guardare in questo periodo l’economia come vive. Arriverà
un giorno, e anche presto, nel quale la gente sarà assetata di gratuità, di rapporto umano autentico e
andrà a cercarla. Dove l’andrà a cercare? Io sono un economista, ma dobbiamo tener vivo il DNA
della gratuità, perché è quello il grande dono che facciamo non solo oggi, ma fra 50 e 100 anni,
quando la gente sarà stufa di contratti e basta, di merci, supermercati, divisioni, di divani e di TV al
plasma e vorrà riappropriarsi dell’umano. L’umano comincia con la gratuità. Ci vorranno delle
cellule staminali (il Vangelo, i carismi) da trapiantare in un luogo rigenerante (la Chiesa) per il bene
di tutta l’umanità.
In quel giorno i carismi dovranno essere vivi e pronti, con le lanterne accese dall’olio e dalla
gratuità del carisma, perché non c’è speranza senza carisma.
La tristezza e mancanza di festa nelle nostre città è anche dovuta alla relegazione della
dimensione carismatica e dell’economia a eccezione, a faccenda marginale. Si pensa che
l’economia vera sia quella che riguarda l’Italia, i suffragi americani, la borsa di Milano. Poi vi è la
dimensione carismatica costituita dalle anime belle che si occupano degli ultimi… Ma l’economia
non è questa, è un’altra.
E’ una povertà grande ridurre l’economia della gratuità carismatica ad una realtà opzionale.
Il carisma diventa un tappabuchi.
Nell’anno accademico, alla Bicocca, ho voluto invitare a fare delle relazioni, per un corso
interdisciplinare e internazionale, una suora dell’Ausilium, una psicologa polacca, un teologo di
Palermo, insieme a matematici, statistici, economisti, perchè la dimensione cristiana è pubblica
come lo è la matematica,e l’economia. I carismi hanno sempre ricaduta sociale: Quando vedo che si
fanno convegni sui poveri e non ci sono rappresentati di esperienze carismatiche, sono molto
preoccupato, perché senz’altro in quel contesto non si capirà a fondo la povertà da superare.
Quindi io mi auguro davvero che in questa aurora ci sia un grande ritorno dei carismi nella sfera
pubblica, nella sfera civile, non solo nella sfera religiosa.
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