Lo Zibaldone di pensieri

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Aperiodico on-line di attualità e cultura
reg. del tribunale di Potenza n° 363 del 3 luglio 2007
<<sez. Didattica>>
Martedì 29 Giugno 2010 “uscita n. 6”
Lo Zibaldone di pensieri di Leopardi, un modello ante litteram di ipertesto
Di Maria Donata Di Stefano
La presente riflessione (che si propone come materiale di studio e approfondimento su
Leopardi da utilizzare in una lezione sui modelli letterari o per la stesura di un saggio
breve) è un tentativo di rielaborazione dei pensieri sparsi nello Zibaldone al fine di
rendere chiara una teoria estetica attraverso le argomentazioni in prosa. Si è fatto
cenno alla dimensione poetica della scrittura in prosa dello Zibaldone, quale emerge da
una lettura metalinguistica dell’opera e alla funzione mistica della poesia, come
superamento del nulla e della morte, esito della indagine filosofica del Leopardi.
Vista la complessità dei temi affrontati siamo consapevoli della incompiutezza del
presente studio, che assume il carattere di stimolo per ulteriori ed esaustive indagini.
Non si potrebbe inoltre possedere mai totalmente il pensiero e l’arte di Leopardi,
perché ogni lettura successiva dell’opera apre il varco a successive riflessioni. Come
afferma Freud: “dinanzi al problema dello scrittore l’analisi deve deporre le armi”i.
Non rimane dunque che fermarsi, sospendere il giudizio e godere esteticamente della
parola di Leopardi, perché, come egli stesso afferma, il silenzio è il linguaggio delle
forti passioni.ii
1.Lo Zibaldone di pensieri, pubblicato postumo nel 1898, a Firenze, per volontà di
Giosuè Carducci, presso la casa editrice Le Monnier è il testo leopardiano che
maggiormente si presta a molteplici riletture e interpretazioni. Qualsiasi testo
letterario, per sua natura, richiederebbe diverse chiavi di lettura e potrebbe essere
analizzato secondo i vari livelli nei quali la parola scritta si manifesta, proprio per la
straordinaria peculiarità della stessa di essere polisemica e di interessare diverse
sfere sensoriali. La parola scritta, infatti, si può percepire con la vista, in
ottemperanza al principio oraziano dell’ ut pictura poesis, si può percepire con l’udito,
soprattutto nella lettura dei testi poetici che, secondo i suggerimenti di Arturo Graf,
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si dovrebbero declamare ad alta voce e non semplicemente leggere. La vista e l’udito
del testo scritto concorrono a stimolare la riflessione, per i contenuti filosofici che un
testo letterario presenta, oltre lo stimolo all’’immaginazione, per l’ armonica forma
estetica in cui i contenuti sono presentati.
A causa della sua frammentarietà, pur non essendo un testo compiuto, a buon diritto
questa miniera di appunti può essere considerata un testo letterario. Non rientra,
tuttavia, nella categoria del saggio perché le informazioni in esso contenute
riguardano i più disparati argomenti e sono disposte secondo un ordine casuale che
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rispetta unicamente il decorso del tempo. Non rientra neanche nella categoria del
diario, perchè le notazioni biografiche non costituiscono l’intero corpus dell’opera, né
nella categoria di “documento segreto”, perché i frequenti rinvii e la varietà dei
contenuti inducono a pensare ad una destinazione esterna.
L’opera inaugura un nuovo genere letterario, quello dello Zibaldone, appunto. Ad esso
Leopardi affidò, dal 1817 al 1832, e quasi giornalmente dal 1817 al 1827, note, appunti,
riflessioni intorno ai più disparati argomenti: osservazioni linguistiche, filologiche,
letterarie, definizioni della propria poetica e della propria filosofia.
Non a caso il testo porta il titolo di Zibaldone, comparso per la prima volta in data 14
ottobre 1827, nella stesura del proprio indice. Il termine sostituisce la formula di
Pensieri di filosofia e bella letteratura con cui l’opera verrà per la prima volta data
alle stampe, per sottolineare il carattere privato, e perciò provvisorio e caotico, delle
sue meditazioni intorno ai più svariati argomenti. La frammentarietà si spiega con
l’intento di Leopardi di una scrittura almeno non immediatamente destinata alle
stampe, ciononostante l’opera presenta un interesse non indifferente. Lo Zibaldone,
infatti, è il luogo di nascita sia dei Canti sia delle Operette Morali; ma se nei Canti la
poetica è espressa in atto, nello Zibaldone Leopardi mostra la sua teoria estetica
attraverso riflessioni di filologia e teoria letteraria; se le Operette Morali esprimono
in modo compiuto, sia pure in forma fantastica, il pensiero filosofico, lo Zibaldone
mostra il formarsi quotidiano delle sue meditazioni, in un ordine provvisorio e caotico,
dei più svariati argomenti. La sua scrittura, tuttavia, pur avendo il carattere
dell’immediatezza, non presenta un effetto stilistico inferiore a quello delle opere
destinate alle stampe, che sono il risultato di un labor limae. Infatti il suo valore
letterario, filosofico e poetico non è per nulla inficiato dal carattere spontaneo della
scrittura. Non sarà certo una forma non ben definita a depauperare l’opera della
profondità delle riflessioni, delle numerose immagini poetiche che nello Zibaldone
hanno visto per la prima volta la luce.
Utilizzando una metafora tratta dalla multimedialità contemporanea, lo Zibaldone
potrebbe definirsi l’antesignano dell’ipertesto: è il primo testo, nella storia della
letteratura, a proporre una lettura non lineare, ma reticolare, sia pure mantenendo la
bidimensionalità della scrittura. Attraversando l’apparente caos esteriore, il lettore
costruisce un suo cosmos per mezzo di rimandi, notazioni che ricordano i links
dell’ipertesto. E’ un testo "tridimensionale", più esattamente è un insieme di blocchi o
frammenti testuali collegati fra loro secondo una rete di interconnessioni semantiche
non sequenziali. Come l’ipertesto anche lo Zibaldone potrebbe essere letto con un
sistema reticolare, fatto di associazioni, che ricorda il funzionamento della mente
umana.
2.Un primo criterio di lettura e di interpretazione potrebbe consistere nel leggere
l’opera secondo il suo svolgersi cronologico e confrontare i singoli pensieri con le opere
maggiori e con gli eventi storico-letterari ad essi contemporanei. Questo criterio ci è
suggerito dallo stesso Leopardi che appone una data ad ogni singolo pensiero, accanto
ad un numero in neretto tra parentesi quadre, che indica la numerazione delle singole
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pagine dell’autografo leopardiano. Molteplici sono le chiavi di lettura di qualsiasi opera
letteraria, a maggior ragione molteplici possono essere gli aspetti da analizzare
all’interno dello Zibaldone. Il lavoro del critico letterario non è quello di esaminarli
tutti, ma di soffermarsi su quelli inerenti una teoria linguistico-estetica cercando dei
raffronti tra ciò che Leopardi afferma nello Zibaldone e ciò che pubblica nei Canti,
dopo aver indagato se l’autografo leopardiano sia un’opera filosofica o poetica.
Per comprendere pienamente il pensiero del Leopardi per ciò che riguarda i rapporti
tra poesia e filosofia, bisogna superare il giudizio riduttivo del Croce iv che
essenzialmente consiste nel negare la validità del pensiero filosofico di Leopardi ai
fini dell’arte. La posizione crociana, riconoscendo valore poetico solo alla cosiddetta
fase idillica, condizionò a lungo il giudizio della critica fino ai principi degli anni
cinquanta del novecento, quando si aprì una nuova fase della critica leopardiana.
Fondamentale è stato a questo proposito l’intervento di Binni nel riconoscere in
Leopardi un autore che, come egli sostiene “non accetta né la via del primato della
filosofia, né quella del primato della poesia, ma le vede sullo stesso piano, come la
sommità delle attività umane, come le facoltà più affini tra loro” v. Circa i rapporti tra
filosofia e poesia nello Zibaldone siamo sostanzialmente d’accordo con la più recente
critica leopardiana che vede nelle pagine zibaldoniane prendere forma un sapere che si
colloca alla frontiera tra poesia e filosofia, in cui esse dialogano e quasi si ibridano in
un legame misterioso.
Lo Zibaldone potrebbe infatti definirsi opera filosofica per il rigore delle
argomentazioni, ma anche poetica, per le numerose immagini trasferite, in seguito, nei
Canti. Si potrebbe affermare che lo Zibaldone di pensieri è, nel contempo, un testo
filosofico e letterario, intendendo con ciò non una contrapposizione, ma una
complementarietà. Il rapporto tra poesia e filosofia è stato un tema dominante
all’interno della riflessione leopardiana, anche se non unitario: in un primo momento
Leopardi non concepisce nessuna possibile conciliazione tra le due attività,
appartenendo la prima al campo dell’immaginazione creativa e la seconda a quello della
ragione scientifica, in un secondo momento, in seguito all’evolversi del suo pensiero
afferma: “Malgrado quanto ho detto dell’insociabilità dell’odierna filosofia con la
poesia, gli spiriti veramente straordinari e sommi, i quali si ridono dei precetti, e delle
osservazioni (…) potranno vincere qualunque ostacolo, ed essere sommi filosofi
moderni poetando perfettamente. Ma questa cosa come vicina all’impossibile, non sarà
che rarissima e singolare”.vi
Questo pensiero non deve vedersi come contraddittorio rispetto ai precedenti, infatti
in esso si percepisce una diversa sfumatura tra le due attività somme dell’uomo:
superando la teoria della inconciliabilità, Leopardi innalza la poesia ad un livello più
elevato considerandola un’attività ai confini dell’ineffabile, come un’arte che non ha
bisogno di regole precise, ma propria di spiriti straordinari e sommi. Il brevissimo
pensiero citato può essere la chiave di volta per comprendere tutta l’opera
leopardiana: accanto ad un’analisi testuale dettata da una lettura oggettiva e
letterale, leggendo l’opera ad un livello più alto di astrazione, si percepisce che la
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scrittura dello Zibaldone è essa stessa una scrittura poetica, nella scelta delle parole,
nella ricchezza di immagini, nelle emozioni che suscitano alcuni pensieri.
E’ contemporaneamente un’opera che parla di poesia ed è essa stessa poesia,
soprattutto perché il compilatore di questi appunti fu essenzialmente un poeta, per
cui può accadere, come sostiene Pretevii che “preso dal punto di vista filosofico ti
risponda da poeta, preso dal punto di vista poetico ti risponda da filosofo”.
Disseminati nello Zibaldone, indicizzati dallo stesso Leopardi, si possono leggere
numerosi pensieri poetici, alcuni dei quali sono espressi in versi, altri in prosa, altri
ancora rimandano a concetti filosofici, a conferma non solo della conciliabilità tra
filosofia e poesia, ma anche di come sia possibile essere poeti pur scrivendo in prosa.
E’ lo stesso Leopardi che ci induce in questa direzione quando afferma: (…) Ma in
sostanza e per se stessa la poesia non è legata al verso.(…)L’uomo potrebbe essere
poeta caldissimo in prosa, senza veruna sconvenienza assoluta: e quella prosa, che
sarebbe poesia, potrebbe senza nessuna sconvenienza assumere interissimamente il
linguaggio, il modo e tutti i possibili caratteri del poeta.[1696-1697] (14 settembre
1821)
3.Se è vero che lo Zibaldone va letto come testo autosufficiente, nella sua
particolarità e nella sua specifica unitarietà, diversa dalla compiutezza di un corpus
dottrinario di tipo accademico, è anche vero che un suo attraversamento in termini di
percorsi ci aiuta a comprendere l’articolazione del pensiero leopardiano.
Un criterio di lettura potrebbe essere quello di servirsi di lemmi e cercare di riunire
in modo sistematico ciò che è scritto in modo frammentario. Nelle molteplici
possibilità quello che interessa il critico letterario è soffermarsi sui pensieri inerenti
una teoria linguistico-estetica, cercando dei raffronti tra ciò che Leopardi afferma
nello Zibaldone e ciò che pubblica nei Canti. Non si può comprendere il pensiero
leopardiano in merito alla poesia e al suo linguaggio, se prima non si fa riferimento alla
questione della lingua, alla quale Leopardi ha dedicato numerose riflessioni.
Pur riaffermando la mancanza da parte di Leopardi di un impegno metodico sul
problema della lingua, le annotazioni sparse nello Zibaldone, una volta riordinate, ci
permettono di ricostruire una vera e propria teoria linguistica che pone Leopardi in
una posizione ben precisa, inserendolo indirettamente nei dibattiti e nelle polemiche
sulla lingua che videro impegnati i maggiori intelletti del suo tempo.
Le osservazioni di tipo filologico e glottologico, la comparazione fra gli idiomi spingono
Leopardi a una concezione originale e moderna della lingua rispetto ai suoi tempi: il suo
orientamento si differenzia dall’opinione dei puristi, ma si distingue anche dalla ferma
posizione dei cosiddetti libertini, i quali, fautori degli esclusivi valori della cultura
scientifica moderna, avrebbero voluto troncare qualsiasi legame con la passata
tradizione. Si deduce quindi la modernità e l’originalità del pensiero leopardiano
riconoscendo da un lato la necessità di mantenere la lingua poetica della tradizione,
dall’altro di adeguare la lingua scientifica e filosofica ai livelli di quelle europee.
Le osservazioni filologiche, glottologiche e di storia della lingua, nello Zibaldone, per
quanto complete e degne di essere riunite in un immaginario trattato di semiotica,
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hanno un senso soprattutto in riferimento alla teoria del linguaggio poetico. Se
Leopardi infatti ci parla di linguaggio, di pensiero, di termini scientifici e filosofici, lo
fa per dare risalto alle parole proprie del linguaggio poetico. Per queste ragioni, dopo
aver innalzato la lirica ad una dignità superiore, Leopardi dedica numerosi pensieri alle
modalità di realizzazione di un’opera poetica, quasi queste annotazioni rappresentino
un pro-memoria contenente le regole da applicare, successivamente, nella stesura dei
Canti. Se si confrontano, infatti, le date dei pensieri con le date di composizione dei
Canti, si potrebbe immaginare un Leopardi teorico della poesia nello Zibaldone,
contemporaneo ad un Leopardi poeta nei Canti. Leopardi giunge nelle sue annotazioni
alla conclusione che il vago dell’immaginazione e l’indeterminato della rappresentazione
richiedono di necessità un linguaggio speciale, un lessico poetico della stessa natura,
che sia appunto vago, indeterminato, peregrino, come si evince da numerosi passi dello
Zibaldone.
Significativo in tal senso è il pensiero [1900-1901]: “(…) Non solo l’eleganza, ma la
nobiltà, la grandezza, tutte le qualità del linguaggio poetico, anzi il linguaggio poetico
esso stesso, consiste se ben l’osservi, in un modo di parlare indefinito, o non ben
finito, o sempre meno definito del parlare prosaico e volgare(…)lo stesso effetto e la
stessa natura si osserva in una prosa che senza essere poetica, sia però sublime,
elevata, magnifica, grandiloquente. La vera nobiltà dello stile prosaico consiste essa
pure costantemente in non so che d’indefinito(…)”. (12 ott.1821)
Ciò comporta una particolare cura nella scelta lessicale, da parte del poeta, proprio di
quelle parole che contengono e suggeriscono idee vaste, indefinite, ricche di
risonanza. Lo stesso Leopardi, variamente disseminate nei suoi appunti, a partire dal
1821, ci fornisce un catalogo di queste parole poetiche, come ad esempio irrevocabile,
irremeabile, lontano, antico, notte, notturno, vago, antichità, posteri, posterità e
simili. Non è difficile cercare nei Canti quante volte Leopardi affidi a tali parole il
compito di evocare sentimenti poetici: si potrebbero compulsare i Canti e lo Zibaldone
cercando parallelismi tra le due opere, o meglio si potrebbero leggere passi dello
Zibaldone fornendo un naturale commento ai Canti. Quello che qui è importante
sottolineare è l’originalità della interpretazione di Leopardi in fatto di linguaggio
poetico: nessun autore prima di lui aveva motivato la sua distinzione, argomentando
dettagliatamente e partendo da premesse filosofiche ben precise. Partito da
premesse sensistiche e dopo aver riflettuto con il rigore di un filosofo, o a volte di un
antropologoviii, sulla natura del linguaggio e della lingua, con numerosi esempi sparsi
nelle pagine dello Zibaldone, Leopardi sembra volerci persuadere della straordinarietà
del linguaggio poetico. Significativo, in tal senso è il pensiero[1235-1236]:”(…)La
bellezza del discorso e della poesia consiste nel destarci gruppi di idee, e nel fare
errare la nostra mente nella moltitudine delle concezioni, e nel loro vago, confuso,
indeterminato, incircoscritto. Il che si ottiene con le parole proprie, ch’esprimono
un’idea composta di molte parti (…)”. (28 giugno 1821).
Nella poesia, infatti, la parola non ha il solo fine di comunicare un significato perché
possa essere compreso, non ha soltanto un fine informativo, ma ha il compito di
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evocare sentimenti e sensazioni. Eppure la poesia è fatta di parole, dei suoni che la
compongono, della sua struttura semantica e come parola indica non un oggetto, ma un
significato, che è la riflessione dell’uomo sull’oggetto.
La poesia, inoltre, trascende il mondo della logica, della stretta logica che limita, come
delle redini, lo scorrere dei pensieri: si può anche non comprendere il significato
oggettivo del testo, si possono anche ignorare particolari geografici di riferimento,
cogliendo lo stato d’animo dell’autore, cercando i suoi sentimenti, abbandonandosi alle
emozioni, dove la logica, la certezza, la convenzione assoluta di un significato svanisce.
Al riguardo Leopardi è molto chiaro:
[1705-1706]”(…)Non c’è forse un uomo a cui una parola medesima(…) produca una
concezione precisamente identica a quella di un altro(…)”. (15 settembre 1821).
La funzione della poesia è universale non solo perché esprime valori universali, ma
perché ognuno di noi, percependo quelle straordinarie vibrazioni che trasmette la
scelta sapiente delle parole, può cogliere una emozione diversa e particolarissima,
come se quella poesia fosse stata scritta solo per noi.
E Giacomo Leopardi era poeta anche quando nello Zibaldone scriveva di scienza o di
filosofia o affrontava la difficile questione del nulla, perché la poesia è un habitus,
uno stato dell’essere che appartiene al poeta come appartengono i connotati e il codice
genetico. Il problema del nulla richiede una trattazione specifica che esula dagli
intenti di questo studio, in questa sede è importante sottolineare che l’arte, in quanto
opera di genio è l’unico mezzo per superare l’orrore del nulla e della morte, epilogo
della riflessione filosofica.
Quando il sentimento del nulla, comunicato dalle opere di genio, acquista una forza che
consola e riempir l’anima, al punto che lo sgomento di una sensazione negativa cede il
passo al godimento estetico dell’opera letteraria. Il dolore per la scoperta del nulla
viene quindi superato dalla scrittura poetica, in una sorta di misticismo estetico. Al
poeta-filosofo che è giunto ad avere sicura consapevolezza della morte rimane l’unica
consolazione che solo nella poesia c’è la verità in quanto il nulla può essere sublimato
esclusivamente dalla parola poetica.
i
Dostoevskij e il parricidio, in FREUD,S.,Opere, vol X, Boringhieri,Torino1978.
Giacomo Leopardi Zibaldone di pensieri,[142](27 giugno 1820), a c. di Giuseppe Pacella, Garzanti 1991.
iii
A.Graf, Leopardi e la musica, in “Nuova Antologia”, v.3, fasc.XII, Forzani, Roma 1897, pp.577-590.
iv
Cfr. B.Croce, Poesia antica e moderna, Laterza, Bari 1943.
v
W.Binni, La protesta di Leopardi ,Sansoni, Firenze 1977, p.96.
vi
G. Leopardi Zibaldone di Pensieri, Sansoni, Firenze 1977, p.96.
vi
G. Leopardi Zibaldone di Pensieri, cp.cit.,1383 (24 Luglio 1821)
vii
S. Natoli-A.Prete, Dialogo sul Leopardi, Bruno Mondatori, Milano 1998, p.26.
viii
Cfr.Zibaldone[1102](28 maggio 1821), op.cit,dove Leopardi sembra anticipare il risultato della ricerca di LeroiGourhan in Il Gesto e la parola. Tecnica e linguaggio. Torino 1977.
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