Lo Zibaldone di Giacomo Leopardi come ipertesto1 di Alessandro Carandente Che oggi lo Zibaldone sia letto e studiato come opera a sé, autonoma, indipendente, non più periferica, come precedente ideologico, deposito di postille, laboratorio e glossario in funzione della centralità dei Canti, delle Operette morali o dei Pensieri, è un dato ormai acquisito dalla critica. Tuttavia mancava allʼappello una ulteriore lettura ipertestuale, pluriversale, frutto da un lato della rivoluzione informatica in atto e dallʼaltro del concetto di libro che ha visto modificarsi la propria definizione. Proprio queste novità connettive, risultato di una ipermodernità percettiva automatizzata, non più vincolata a letture lineari e univoche, hanno contribuito alla maturazione di un metodo aperto e mobile che, muovendo da prospettive plurali, tocca, interseca e congiunge interazioni disciplinari – filosofia e poetica, linguistica e retorica, antropologia e gnoseologia, stilistica e retorica, comparatistica e informatica – in un approccio reticolare. Ne scaturisce quel dinamismo circolare e flessibile che mette in relazione la parte e il tutto, lo specifico e il generale. Ecco quindi la trasversalità di questo volume articolato in un percorso critico che si divide in cinque parti: «Forme del pensiero e della scrittura nello Zibaldone», «Attraverso lo Zibaldone: percorsi e intrecci di fili», «Dialogo e autoreferenzialità nello Zibaldone», «Lo Zibaldone come ipertesto in prospettiva informatica» e «La ricezione dello Zibaldone». Qui per esemplificare ci limiteremo ad esaminare solo alcune relazioni, a rapide incursioni in una galleria di voci alquanto eterogenee. Cominciamo dalla prima sezione dove Antonio Prete prova ad immaginare alcuni passaggi e figure nel dialogo costante tra Natura e Poesia. Allʼinattingibile tempo anteriore, in perfetta consonanza con la natura, subentra la ricordanza con la sua aura di lontananza, momento fondativo del poetico e della distanza sopraggiunta tra lʼantico e il moderno, il corporale e lo spirituale. Distacco doloroso dallʼimmaginativo al sentimentale che segna però lʼapprodo a una consapevolezza interiore. Collocando Leopardi in un orizzonte frammentato, fuori cioè da ogni sistema filosofico, Alberto Folin si sofferma sulle poetiche dello Zibaldone. Nota che la ricostruzione storica intrecciata alla riflessione speculativa sullʼessenza del poetico, tipica del romanticismo, in Leopardi ha radici mediterranee (segue la scia di Gian Vincenzo Gravina) e punta a una lingua ravvivata dallʼimmagine che, metabolizzando lʼantico pervenga a strati di senso non codificato. Pare che lʼessere più che al discorso razionale della vivisezione clinica preferisca donarsi alla lingua viva della poesia. Anna Dolfi riflette sul rapporto, non facile da conciliare, tra lʼesattezza della conoscenza e i percorsi della poesia legati al vago e allʼindefinito. Un passaggio che, partendo con metodo induttivo dallʼio che percepisce, si struttura in sentire attraverso la parola, luogo nominale dove lʼoggetto saturo di astrazione è pronto a mutarsi nel suo contrario. Luigi Blasucci prende in esame Il giardino malato, pagina celeberrima che sul piano stilistico si sottrae alla scrittura “corrente” per essere puntigliosa e accurata. La discesa procede dalla prima parte a carattere assiomatico a quella descrittiva della souffrance. Il male, parola martellante, funge da epifora. Incombe come modello antifrastico lo scrittore Daniello Bartoli, puntualmente contraddetto nella sua fiducia di gesuita, nei suoi toni edulcorati e dolci. Esposto alla violenza e alle offese del tempo, il giardino è icasticamente osservato nel suo tormentoso patimento e mutato in un vasto ospedale. Collegandosi ai precedenti lavori di “sbranamento” usciti con la Donzelli, Fabiana Cacciapuoti individua nello Zibaldone, grazie allo schedario e alle “polizzine a parte”, cioè non richiamate dallʼindice, una scrittura circolare e aperta a percorsi semantici plurali. Un libro rete, con rinvii e richiami, leggibile in sincronia e come sistema di sistema. Ovviamente le radici di questa scrittura sono da ricercare nel modello enciclopedico settecentesco. 1 Atti del Convegno internazionale, Barcellona, Universitat de Barcelona, 26-27 ottobre 2012, a cura di María de las Nieves Muñiz Muñiz, Olschki, Firenze 2013. Nella seconda parte, «Attraverso lo Zibaldone: percorsi e intrecci di fili», Lucio Felici si sofferma sulle parole e immagini adatte a far scaturire lʼinsorgenza poetica, a suscitare rimembranze, a veicolare la finzione dellʼinfinito, dellʼindeterminato e dellʼindefinito. Accanto a immagini di vita domestica e rustica, sfila quel campionario noto di antico, lontano, tanto, ermo, romito, irrevocabile, ultimo, mai più, posteri, eterno, morte, mortale, notturno e notte che, ripresa in posizione avversativa, echeggerà in Ungaretti, in quanto sperde le lontananze spaziali e temporali. Confondendo gli oggetti non può che dare unʼimmagine vaga e indistinta, poeticissima. Stefano Gensini, alquanto critico verso lʼipertesto che, collocandosi tra sincronia e atemporalità, finisce col produrre un effetto congelante del testo, rivolge la propria attenzione dal comunicazionale al cognitivo, allʼidentificazione del pensiero col linguaggio. Con riferimento al periodo che va dalla primavera del 1821 allʼautunno del 1823, si sofferma sulla nozione di campo semantico del linguaggio dello Zibaldone, distinguendo libertà e varietà delle «parole» e uniformità e circoscrizione dei «termini», ovvero lʼantico ispirato alle torsioni dellʼimmaginazione e il moderno alla rigidità della ragione. Segue quindi le risorse lessicali che vanno dalla vaghezza alla precisione, dalla natura allʼassuefazione; e in senso contrario una lingua desiderante che, grazie a metafore e similitudini, scorge analogie tra elementi distanti e insorge con arditi accostamenti. Nella terza sezione (la meno nutrita), «Dialogo e autoreferenzialità nello Zibaldone», Franco DʼIntino, prendendo le mosse dal Discours de la méthode di Cartesio, blocco monolitico relegato nellʼautarchia geometrica del perimetro del Cogito, si sofferma sulla dialogicità in Leopardi, fondata sul valore dellʼalterità e dellʼopposizione. Il parlare nella tradizione umanistica implica sempre una rete relazionale, una conversazione tra chi pensa e chi ascolta; e la testualità è traccia e frutto di un incontro tra parlanti, di uno sguardo in uno spazio aperto – un transfert – che sottintende una oralità contestuale e un processo conoscitivo. Leopardi, privo di interlocutori reali e presenti, costretto alla solitudine della biblioteca, nel pensiero finge di parlare ad altri e intanto genera scritture paradossali. Ridotto allʼautoreferenzialità, non gli resta che la ricordanza di un mondo distrutto dalla modernità. Sempre allʼinterno del corpo comunitario, Eduard Vilella insiste sullʼarticolazione che va dal particolare al generale; la soggettività è il punto di partenza, ma lʼautoconsapevolezza comincia dal sentimento della vita, e si alimenta con lʼacquisizione di novità date dallʼinterazione con le circostanze casuali e accidentali dei risvolti biografici: si attinge dallʼesperienza empirica per accrescere modificare e rinnovare il carattere. Dallʼassoluto si passa al divenire di una identità flessibile di un corpo materiale, alla relatività di una determinazione storica. Ecco quindi il valore della memoria che fissa per assuefazione dellʼintelletto e lʼimportanza della scrittura – una messa in deposito – per ricordare e riflettere e rendere duraturi i sentimenti passati. Nella quarta sezione «Lo Zibaldone come ipertesto in prospettiva informatica», Monica Ballerini, che è stata con Lorenza Ceragioli la curatrice di una edizione critica in formato digitale, illustra le novità preziose dellʼapporto informatico. Accanto al testo e allʼapparato critico figura in corrispondenza lʼimmagine fotografica della pagina leopardiana: lʼocchio del lettore quindi dal testo può passare allʼautografo leopardiano, che può essere ingrandito; in maniera immediata si dà la stratigrafia della pagina navigabile attraverso lʼuso di quattro colori. Certo, basta cliccare col mouse sul video e velocemente trovare lemmi, aprire finestre e generare ipertesti. Non ci sono dubbi circa gli effetti benefici di questi collegamenti ipertestuali: la ricerca filologica ha tutto da guadagnare dallʼutilità didattica di questi nuovi strumenti. In tempi rapidissimi col supporto digitale si dispone di un tesauro citazionale da cui ripartire per una visione mobile e caleidoscopica del testo. Circa i limiti e le possibilità dello Zibaldone come ipertesto interviene Emanuela Cervato. Se, da un lato, gli sforzi di rendere organica e lineare unʼopera frammentaria hanno favorito e incoraggiato la selezione tematica del brogliaccio; dallʼaltro, hanno dato però adito a qualche forzatura e confusione. Hanno reso attivo il ruolo del lettore nella scelta della sequenzialità combinatoria, ma lo hanno anche disorientato per mancanza di circoscrizione e sovraccarico cognitivo. La ricchezza e le potenzialità strutturali dello Zibaldone, superando il sapere cumulativo dellʼenciclopedia tradizionale, lasciano subentrare lʼidea di sapere come totalità, conoscenza di connessioni logiche e rapporti relazionali esistenti tra le cose. Nellʼultima sezione «La ricezione dello Zibaldone», la Muñiz si occupa della prima accoglienza in Spagna di Leopardi; esamina il caso emblematico di Unamuno che, pur avendo conoscenza dellʼopera grazie alle recensioni dellʼamico Pedro Dorado, mostra una sua ostinata resistenza a leggere e a dare importanza per sé allo Zibaldone. Pur avendo il merito di non separare il poeta dal pensatore; anzi, riconoscendo nei Canti il “composto chimico” di poesia e filosofia, lʼautore di Niebla condividerà il risucchio nullificante del nichilismo ma reagirà con vitalismo al sentimento tragico della vita col salto ascetico nella fede e con la finzione letteraria a oltranza. Infine Cosetta Veronese mette a confronto le interpretazioni divergenti di Sergio Solmi e Sebastiano Timpanaro circa i concetti di “mezza filosofia” e “civiltà media”, punto di equilibrio tra ragione e natura. Pur condividendo entrambi un materialismo e un ateismo di base, Solmi scrive che Leopardi critica la ragione settecentesca che, azzerando le illusioni, aveva attentato allʼistinto e alla naturalezza. Timpanaro, invece, contestualizzando il discorso, punta alla critica delle rinascenti filosofie spiritualistiche, impotenti a confortare ma non a reprimere gli istinti. Polemica sorta proprio perché la trama intricata dello Zibaldone – difficilmente fissabile per la sua struttura compatta e lo stato germinale di un pensiero in movimento che ogni volta ritorna su se stesso per ripensare e spostare il tutto da una prospettiva mobile e relativa – si presta a possibilità interpretative molteplici e a giustificare perfino la sospensione di giudizio se assegnare o meno a Leopardi il titolo di filosofo.