1 Le Regole e lo Sport Non è più possibile dare per scontato che l’attività sportiva sia di per sé formativa ed educativa e mi permetto di sottolineare che oggi, più di prima, lo sport educativo necessita di regole. Le Regole sono il complesso di norme con le quali si organizza la vita individuale e collettiva per il raggiungimento di ogni obbiettivo sia esso sportivo, familiare, culturale, lavorativo. Oggi parliamo di Regole con riferimento all’Etica, alla morale, al comportamento in ambito sportivo dei vari soggetti, siano essi Atleti, Dirigenti, Tecnici, Arbitri o Genitori. Regole e Sport formano un binomio inseparabile, non tanto perché ogni disciplina sportiva ha proprie regole quanto per la necessità dell’aspetto Educativo, Etico, Morale e del Fair Play di cui lo sport è portatore. Siamo certi che Regole, Etica e Fair play interessino solo i momenti in cui pratichiamo sport? Se concordiamo che l’attività sportiva è parte della vita quotidiana gli argomenti di cui parliamo valgono anche fuori dello sport. Come potrebbe, d'altronde, essere diversamente? Come potrebbe un Atleta tenere un comportamento etico/morale corretto mentre pratica sport e tenere un comportamento diverso in ambito familiare, nello studio, sul lavoro? Quando si pensa all’Etica, in relazione al comportamento pratico della persona di fronte ai concetti del bene e del male, abbiamo una visione positiva della vita e siamo portati: - a ispirarsi a regole, a criteri ed a principi etici e morali - alla coerenza nei nostri comportamenti, nel nostro operare quotidiano e nelle opzioni che esprimiamo. Etica, Moralità e Fair play come simbolo di vita, come scelta irreversibile e quindi da associare in tutti i tempi e modi a: ONESTA’ RETTITUDINE COERENZA NEI PRINCIPI Assimilare, orientare, professare il valore dell’Etica è fondamentale e significa avere la capacità di trasmettere messaggi e valori concreti. 2 Lo sport è scuola di vita perché insegna ad avere rispetto per sé e per gli altri. Si dice che lo sport educa alla vita, ed è vero. Qualunque sport si pone come obiettivo la crescita armonica non solo del fisico, ma anche della personalità dell’individuo e della sua sfera emotiva e sociale. Fare sport offre al bambino l’opportunità di socializzare con altri coetanei, insegna a ‘lavorare’ insieme per un progetto comune ed a rispettare le regole del gioco. Insegna inoltre ad aver rispetto per sé stessi e per gli altri: non sentirsi invincibili di fronte ai compagni solo perché si riesce bene nella pratica sportiva e non sentirsi perdenti solo perché si è meno capaci. Lo sport può essere un’ottima occasione di socializzazione anche per le famiglie: cercare di organizzarsi per accompagnare ed andare a riprendere a turno i bambini può essere più comodo e dare vita a nuove amicizie. Eccoci, quindi, a riflettere sulle condizioni che rendono possibile l’attività educativa nel contesto sportivo. Ne indico alcune, tentando di metterle in ordine, consapevole che ciascuno, nel proprio ambiente e con le persone interessate, è chiamato a fare le proprie valutazioni ed a prendere le opportune decisioni. – Innanzi tutto c’è bisogno di trovarsi e di confrontarsi: allenatori, dirigenti e genitori non devono essere mondi separati e tanto meno contrapposti! La «forza» dell’attività educativa è data dalle alleanze, non dalle divisioni e tanto meno dalle contrapposizioni. E tra tutti sono i genitori che devono essere recuperati all’aspetto educativo anche in ambito sportivo e non essere più solo tifosi e manager illusi ed illudenti dei propri figli. – Il confronto tra gli educatori e l’approfondimento sulla cultura dello sport non deve essere fine a se stesso e tanto meno deve essere l’angolo dei luoghi comuni. L’occhio deve sempre essere puntato sul singolo ragazzo. Non è l’atleta in funzione della squadra o della società sportiva e tanto meno dello sport in genere. Tutto deve essere in funzione della sua vita, della sua crescita, della sua maturazione. – La dimensione educativa nell’attività sportiva si esprime con estrema concretezza personalizzando i percorsi, gli interventi, le proposte. Questo presuppone che sappiamo cosa si aspetta ogni singolo «atleta», il perché di certe reazioni, cosa mette in gioco nella competizione, come influisce su di lui l’ambiente, quale carattere ha, che uomo o che donna speriamo diventi. C’è inoltre l’abbandono precoce per età e preoccupante per numero di praticanti ma parlare di questo richiederebbe almeno un’altra puntata. Farò solo un accenno: fino all’età di 14 anni l’87% circa dei praticanti l’attività sportiva (dati del prof. Massimo Gulisano, Preside del Corso di Laura in Scienze Motorie dell’Università di Firenze) non lo fa per se stesso ma segue un allenatore/istruttore. Si affida cioè ad una persona. Questa persona deve essere preparata visto che ha la possibilità di accesso al corpo ed alla psiche di questi ragazzi. Delle capacità morali dell’Istruttore, almeno 3 quanto di quelle tecniche, dobbiamo preoccuparci quando portiamo il figlio in un qualunque ambiente sportivo. I valori dello sport e la lotta al doping e alla violenza Lo sport alimenta forti valori e viene considerato un elemento determinante dell’educazione individuale e collettiva. Per gli educatori lo sport, nelle sue diverse manifestazioni, non si colloca più nell’ambito del tempo libero nel quale prevale l’esigenza di intrattenimento e di distrazione, ma nel cuore dell’educazione proprio perché «palestra» di personalità, di valori e di stili di vita. Se non altro per questa ragione l’educazione fisica andrebbe sviluppata molto di più nelle scuole, quale parte di una più complessiva educazione civica dei cittadini. La stessa dimensione del gioco ha un valore etico e sociale fondamentale, perché sviluppa la capacità di sopportare e di sfidare la fortuna ed il caso. Inoltre chi perde deve saper sopportare la sconfitta nella quale può sentire anche il sottile piacere stimolante della rivincita. Il fenomeno sportivo, naturalmente, non ha più soltanto quella dimensione ludica, che ne costituisce pur sempre la struttura fondamentale; ad essa infatti, si sono aggiunte altre dimensioni di carattere economico e sociale che richiedono una visione dell’etica nello sport molto più complessa. Le virtù individuali, d’altra parte, non si insegnano solo attraverso lezioni teoriche, ma si contagiano per imitazione, attraverso l’opera dei testimoni. Da questo punto di vista, i grandi campioni sportivi, gli educatori, i dirigenti, gli allenatori hanno una responsabilità molto forte, perché possono influenzare la crescita morale dei soggetti che operano nello sport proprio attraverso la loro opera quotidiana. Lo sport può, inoltre, svolgere un ruolo fondamentale ai fini dello sviluppo della cultura del merito, della trasparenza e delle pari opportunità che non è certo ugualmente avvertita e garantita in molti altri settori. Le preoccupazioni più forti avvertite dai cittadini rimangono il doping e la violenza dei tifosi. Nella lotta al doping, l’Italia, insieme agli Stati Uniti, è tra i Paesi guida, con 12 mila controlli all’anno. Purtroppo, quando si punisce, si colpisce quasi sempre soltanto l’atleta, il quale tuttavia, è spesso soltanto l’anello debole della catena rispetto a tecnici, dirigenti e persino medici che lo inducono ad alterare le proprie prestazioni in modo illecito. Questo aspetto è contrario all’etica di cui parlavamo prima e si configura come la necessità di arrivare alla vittoria, all’affermazione della propria superiorità nei confronti degli avversari anche in assenza di tale supremazia. Questo ovviamente non è una caratteristica solo dello sport ma deriva dall’affermarsi di una cultura che ritiene il rispetto delle regole un valore superato e tende esclusivamente alla soddisfazione dei bisogni personali. 4 Sul fronte della violenza nello sport, negli ultimi anni abbiamo passato momenti drammatici. Anche la violenza nello sport, naturalmente, è soltanto un aspetto del più ampio fenomeno della violenza che, in tutta Europa negli ultimi tempi, si è diffuso nella nostra società. I sistemi di repressione, tuttavia, vanno integrati con adeguati strumenti di prevenzione. A tale riguardo è possibile intervenire anche sui modelli di conduzione delle società sportive. Poiché il modello sportivo è spesso basato su modelli societari, anche all’interno di esso si potrebbero efficacemente introdurre sistemi organizzativi e codici di autoregolamentazione idonei a prevenire i fenomeni del doping e della violenza. Per fare un esempio, oggi siamo abituati ad un sistema di controlli esterni gestiti dalle federazioni e dal Coni, ma se il controllo antidoping fosse adottato come regola interna dell’organizzazione delle Società sportive e diventasse, dunque, parte di tale modello organizzativo, si potrebbe intervenire in una fase di prevenzione anticipata e molto più avanzata. Lo stesso discorso può valere per quanto riguarda l’esercizio della violenza: la creazione di una serie di regole di selezione di coloro che accederanno nei luoghi in cui si potranno verificare episodi di violenza potrebbe risultare particolarmente efficace per ottenere buoni risultati in termini di prevenzione. Naturalmente anche il sistema dei media può e deve contribuire a ridurre tensioni e violenza, sviluppando la cultura della sconfitta e il senso del rispetto nei confronti dell’avversario. Molto utile, a tal fine, sarebbe promuovere i cosiddetti sport minori che tanto portano allo sport italiano in termini di immagine e di valori. Un ulteriore aspetto su cui soffermarsi è la capacità di vivere in gruppo; sentirsi parte di un determinato contesto sociale è uno dei bisogni primari di ciascun individuo. Una delle principali motivazioni dei giovani a fare sport è legata al desiderio di vivere e di raggiungere obiettivi sentendosi parte di un gruppo. L’evidenza formativa di questa abilità è fuori da ogni dubbio: saper rispettare le regole del gruppo e collaborare anche in un ambiente competitivo sono abilità interpersonali che ciascuno di noi deve coltivare. L’attività sportiva rappresenta uno strumento indispensabile all’apertura dell’educazione all’ambiente locale; essa è particolarmente adatta agli obiettivi di lotta contro qualsiasi forma di discriminazione di genere, verso persone portatrici di handicap e nella lotta contro il razzismo. Lo sport concorre anche a costruire la cultura della pace e della tolleranza, che insieme superano le frontiere e le etnie in nome dell’intesa e del reciproco rispetto. Bisogna, quindi, sostenere il fair play, facendo passare il messaggio che chi gioca lealmente vince sempre. 5 Bisogna essere sereni di fronte alla sconfitta, nessuno è capace di vincere sempre. Chi fa sport sa che non si può vincere sempre. L’eccezione è vincere sempre, la norma è un’alternanza tra vittorie e sconfitte ma in entrambi i casi bisogna mantenere la propria dignità. In questo modo abbiamo rispetto di noi stessi ed otteniamo quello degli altri. Non bisogna accusare nessuno o cercare alibi per le nostre sconfitte ma non dobbiamo neppure credete a quelli che dicono che il mondo si divide tra vincenti e perdenti. Il mondo, come ha detto Julio Velasco e che condivido, si divide soprattutto tra brave e cattive persone. Questa perlomeno è la divisione più importante di cui credo si debba imparare a tenere di conto.