REGOLE E SPORT SAN BATONTO (2) 5

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Le Regole e lo Sport
Non è più possibile dare per scontato che l’attività sportiva sia di per sé formativa ed
educativa e mi permetto di sottolineare che oggi, più di prima, lo sport educativo
necessita di regole.
Le Regole sono il complesso di norme con le quali si organizza la vita individuale e
collettiva per il raggiungimento di ogni obbiettivo sia esso sportivo, familiare,
culturale, lavorativo.
Oggi parliamo di Regole con riferimento all’Etica, alla morale, al comportamento in
ambito sportivo dei vari soggetti, siano essi Atleti, Dirigenti, Tecnici, Arbitri o
Genitori.
Regole e Sport formano un binomio inseparabile, non tanto perché ogni disciplina
sportiva ha proprie regole quanto per la necessità dell’aspetto Educativo, Etico,
Morale e del Fair Play di cui lo sport è portatore.
Siamo certi che Regole, Etica e Fair play interessino solo i momenti in cui
pratichiamo sport? Se concordiamo che l’attività sportiva è parte della vita quotidiana
gli argomenti di cui parliamo valgono anche fuori dello sport. Come potrebbe,
d'altronde, essere diversamente? Come potrebbe un Atleta tenere un comportamento
etico/morale corretto mentre pratica sport e tenere un comportamento diverso in
ambito familiare, nello studio, sul lavoro?
Quando si pensa all’Etica, in relazione al comportamento pratico della persona di
fronte ai concetti del bene e del male, abbiamo una visione positiva della vita e
siamo portati:
- a ispirarsi a regole, a criteri ed a principi etici e morali
- alla coerenza nei nostri comportamenti, nel nostro operare quotidiano e nelle
opzioni che esprimiamo.
Etica, Moralità e Fair play come simbolo di vita, come scelta irreversibile e quindi da
associare in tutti i tempi e modi a:
ONESTA’
RETTITUDINE
COERENZA NEI PRINCIPI
Assimilare, orientare, professare il valore dell’Etica è fondamentale e significa avere
la capacità di trasmettere messaggi e valori concreti.
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Lo sport è scuola di vita perché insegna ad avere rispetto per sé e per gli altri. Si dice
che lo sport educa alla vita, ed è vero. Qualunque sport si pone come obiettivo la
crescita armonica non solo del fisico, ma anche della personalità dell’individuo e
della sua sfera emotiva e sociale. Fare sport offre al bambino l’opportunità di
socializzare con altri coetanei, insegna a ‘lavorare’ insieme per un progetto comune
ed a rispettare le regole del gioco. Insegna inoltre ad aver rispetto per sé stessi e per
gli altri: non sentirsi invincibili di fronte ai compagni solo perché si riesce bene nella
pratica sportiva e non sentirsi perdenti solo perché si è meno capaci.
Lo sport può essere un’ottima occasione di socializzazione anche per le famiglie:
cercare di organizzarsi per accompagnare ed andare a riprendere a turno i bambini
può essere più comodo e dare vita a nuove amicizie.
Eccoci, quindi, a riflettere sulle condizioni che rendono possibile l’attività educativa
nel contesto sportivo.
Ne indico alcune, tentando di metterle in ordine, consapevole che ciascuno, nel
proprio ambiente e con le persone interessate, è chiamato a fare le proprie valutazioni
ed a prendere le opportune decisioni.
– Innanzi tutto c’è bisogno di trovarsi e di confrontarsi: allenatori, dirigenti e genitori
non devono essere mondi separati e tanto meno contrapposti! La «forza» dell’attività
educativa è data dalle alleanze, non dalle divisioni e tanto meno dalle
contrapposizioni. E tra tutti sono i genitori che devono essere recuperati all’aspetto
educativo anche in ambito sportivo e non essere più solo tifosi e manager illusi ed
illudenti dei propri figli.
– Il confronto tra gli educatori e l’approfondimento sulla cultura dello sport non deve
essere fine a se stesso e tanto meno deve essere l’angolo dei luoghi comuni. L’occhio
deve sempre essere puntato sul singolo ragazzo. Non è l’atleta in funzione della
squadra o della società sportiva e tanto meno dello sport in genere. Tutto deve essere
in funzione della sua vita, della sua crescita, della sua maturazione.
– La dimensione educativa nell’attività sportiva si esprime con estrema concretezza
personalizzando i percorsi, gli interventi, le proposte. Questo presuppone che
sappiamo cosa si aspetta ogni singolo «atleta», il perché di certe reazioni, cosa mette
in gioco nella competizione, come influisce su di lui l’ambiente, quale carattere ha,
che uomo o che donna speriamo diventi.
C’è inoltre l’abbandono precoce per età e preoccupante per numero di praticanti ma
parlare di questo richiederebbe almeno un’altra puntata. Farò solo un accenno: fino
all’età di 14 anni l’87% circa dei praticanti l’attività sportiva (dati del prof. Massimo
Gulisano, Preside del Corso di Laura in Scienze Motorie dell’Università di Firenze)
non lo fa per se stesso ma segue un allenatore/istruttore. Si affida cioè ad una
persona. Questa persona deve essere preparata visto che ha la possibilità di accesso al
corpo ed alla psiche di questi ragazzi. Delle capacità morali dell’Istruttore, almeno
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quanto di quelle tecniche, dobbiamo preoccuparci quando portiamo il figlio in un
qualunque ambiente sportivo.
I valori dello sport e la lotta al doping e alla violenza
Lo sport alimenta forti valori e viene considerato un elemento determinante
dell’educazione individuale e collettiva.
Per gli educatori lo sport, nelle sue diverse manifestazioni, non si colloca più
nell’ambito del tempo libero nel quale prevale l’esigenza di intrattenimento e di
distrazione, ma nel cuore dell’educazione proprio perché «palestra» di personalità, di
valori e di stili di vita.
Se non altro per questa ragione l’educazione fisica andrebbe sviluppata molto di più
nelle scuole, quale parte di una più complessiva educazione civica dei cittadini. La
stessa dimensione del gioco ha un valore etico e sociale fondamentale, perché
sviluppa la capacità di sopportare e di sfidare la fortuna ed il caso. Inoltre chi perde
deve saper sopportare la sconfitta nella quale può sentire anche il sottile piacere
stimolante della rivincita.
Il fenomeno sportivo, naturalmente, non ha più soltanto quella dimensione ludica, che
ne costituisce pur sempre la struttura fondamentale; ad essa infatti, si sono aggiunte
altre dimensioni di carattere economico e sociale che richiedono una visione
dell’etica nello sport molto più complessa. Le virtù individuali, d’altra parte, non si
insegnano solo attraverso lezioni teoriche, ma si contagiano per imitazione, attraverso
l’opera dei testimoni. Da questo punto di vista, i grandi campioni sportivi, gli
educatori, i dirigenti, gli allenatori hanno una responsabilità molto forte, perché
possono influenzare la crescita morale dei soggetti che operano nello sport proprio
attraverso la loro opera quotidiana. Lo sport può, inoltre, svolgere un ruolo
fondamentale ai fini dello sviluppo della cultura del merito, della trasparenza e delle
pari opportunità che non è certo ugualmente avvertita e garantita in molti altri settori.
Le preoccupazioni più forti avvertite dai cittadini rimangono il doping e la violenza
dei tifosi.
Nella lotta al doping, l’Italia, insieme agli Stati Uniti, è tra i Paesi guida, con 12 mila
controlli all’anno. Purtroppo, quando si punisce, si colpisce quasi sempre soltanto
l’atleta, il quale tuttavia, è spesso soltanto l’anello debole della catena rispetto a
tecnici, dirigenti e persino medici che lo inducono ad alterare le proprie prestazioni in
modo illecito.
Questo aspetto è contrario all’etica di cui parlavamo prima e si configura come la
necessità di arrivare alla vittoria, all’affermazione della propria superiorità nei
confronti degli avversari anche in assenza di tale supremazia.
Questo ovviamente non è una caratteristica solo dello sport ma deriva dall’affermarsi
di una cultura che ritiene il rispetto delle regole un valore superato e tende
esclusivamente alla soddisfazione dei bisogni personali.
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Sul fronte della violenza nello sport, negli ultimi anni abbiamo passato momenti
drammatici.
Anche la violenza nello sport, naturalmente, è soltanto un aspetto del più ampio
fenomeno della violenza che, in tutta Europa negli ultimi tempi, si è diffuso nella
nostra società. I sistemi di repressione, tuttavia, vanno integrati con adeguati
strumenti di prevenzione. A tale riguardo è possibile intervenire anche sui modelli di
conduzione delle società sportive.
Poiché il modello sportivo è spesso basato su modelli societari, anche all’interno di
esso si potrebbero efficacemente introdurre sistemi organizzativi e codici di
autoregolamentazione idonei a prevenire i fenomeni del doping e della violenza.
Per fare un esempio, oggi siamo abituati ad un sistema di controlli esterni gestiti dalle
federazioni e dal Coni, ma se il controllo antidoping fosse adottato come regola
interna dell’organizzazione delle Società sportive e diventasse, dunque, parte di tale
modello organizzativo, si potrebbe intervenire in una fase di prevenzione anticipata e
molto più avanzata.
Lo stesso discorso può valere per quanto riguarda l’esercizio della violenza: la
creazione di una serie di regole di selezione di coloro che accederanno nei luoghi in
cui si potranno verificare episodi di violenza potrebbe risultare particolarmente
efficace per ottenere buoni risultati in termini di prevenzione.
Naturalmente anche il sistema dei media può e deve contribuire a ridurre tensioni e
violenza, sviluppando la cultura della sconfitta e il senso del rispetto nei confronti
dell’avversario.
Molto utile, a tal fine, sarebbe promuovere i cosiddetti sport minori che tanto portano
allo sport italiano in termini di immagine e di valori.
Un ulteriore aspetto su cui soffermarsi è la capacità di vivere in gruppo; sentirsi parte
di un determinato contesto sociale è uno dei bisogni primari di ciascun individuo.
Una delle principali motivazioni dei giovani a fare sport è legata al desiderio di
vivere e di raggiungere obiettivi sentendosi parte di un gruppo.
L’evidenza formativa di questa abilità è fuori da ogni dubbio: saper rispettare le
regole del gruppo e collaborare anche in un ambiente competitivo sono abilità
interpersonali che ciascuno di noi deve coltivare.
L’attività sportiva rappresenta uno strumento indispensabile all’apertura
dell’educazione all’ambiente locale; essa è particolarmente adatta agli obiettivi di
lotta contro qualsiasi forma di discriminazione di genere, verso persone portatrici di
handicap e nella lotta contro il razzismo.
Lo sport concorre anche a costruire la cultura della pace e della tolleranza, che
insieme superano le frontiere e le etnie in nome dell’intesa e del reciproco rispetto.
Bisogna, quindi, sostenere il fair play, facendo passare il messaggio che chi gioca
lealmente vince sempre.
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Bisogna essere sereni di fronte alla sconfitta, nessuno è capace di vincere sempre. Chi
fa sport sa che non si può vincere sempre. L’eccezione è vincere sempre, la norma è
un’alternanza tra vittorie e sconfitte ma in entrambi i casi bisogna mantenere la
propria dignità. In questo modo abbiamo rispetto di noi stessi ed otteniamo quello
degli altri.
Non bisogna accusare nessuno o cercare alibi per le nostre sconfitte ma non
dobbiamo neppure credete a quelli che dicono che il mondo si divide tra vincenti e
perdenti. Il mondo, come ha detto Julio Velasco e che condivido, si divide soprattutto
tra brave e cattive persone.
Questa perlomeno è la divisione più importante di cui credo si debba imparare a
tenere di conto.
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