MECCANICA QUANTISTICA II Docente: Stefano Sciuto 1 CAPITOLO 1 – PARTICELLE IN PRESENZA DI POTENZIALE 1.0 - PARTICELLA LIBERA IN PRESENZA DI POTENZIALE Supponiamo che il nostro sistema sia descritto dall’Hamiltoniana p2 H V x 2m V x 0, x Considerando il potenziale V sempre negativo, bisogna distinguere due situazioni, quella in cui la particella ha energia minore di zero e quella in cui la particella ha energia maggiore di zero. - E<0 Classicamente la particella si muove nella regione in cui la propria energia è maggiore del potenziale esterno (regione compresa tra i punti 1 e 2). Quantisticamente la particella può anche spingersi un po’ al di fuori di questa regione. In particolare la funzione d’onda associata al moto della particella è una funzione a quadrato integrabile che tende esponenzialmente a zero per x . x L2 R 3 . Lo spettro di autovalori dell’Hamiltoniana è uno spettro discreto. Gli autostati associati a tali autovalori sono stati legati. Se uno stato è legato, la particella sostanzialmente non può andar via dalla zona in cui è confinata (un pochino sì, ma non troppo). x 2 d 3x 1 R3 0, / 1 x d 3 x 2 Le precedenti sono la traduzione del fatto che l’integrale esteso al volume del modulo quadro della funzione d’onda tende a uno quando il volume tende ad infinito. Possiamo scrivere 2 1 x d 3 x 1 2 vale a dire che >0 posso trovare un volume finito in cui la probabilità di trovare la mia particella è 1-. Quindi non ho la certezza di trovare la mia particella in quel volume, ma posso avvicinarmi alla probabilità totale (1) bene quanto voglio. La particella è quindi confinata al finito in quanto ha una probabilità piccola quanto voglio () di andarsene via. Gli autostati dell’Hamiltoniana sono stati stazionari e quindi non dipendenti dal tempo. Questo significa che anche le relative probabilità sono indipendenti dal tempo e la particella rimane confinata all’interno del suo volume finchè il sistema non viene perturbato. - E0 (l’uguaglianza vale solo per una particella libera) In questo caso è come se il potenziale V non ci fosse. La particella ha un proprio impulso (pk) e la funzione d’onda associata ha un andamento oscillante (va come un’onda piana o un’onda sferica, ma in ogni caso non va a zero all’infinito): x Ceik x x L2 La funzione d’onda non è una funzione a quadrato integrabile, ma è una distribuzione temperata [funzionale lineare continuo: SC g S T g C dove T appartiene ad S’, spazio delle distribuzioni, mentre g appartiene a S, spazio delle funzioni di prova, infinitamente derivabili e rapidamente decrescenti all’infinito (più di ogni potenza)] lo spettro di autovalori è uno spettro continuo. Si consideri come fatto in precedenza un volume finito qualsiasi. La probabilità di trovare la particella all’interno di questo volume è P x x 2 d 3x 2 d 3x x R3 2 3 d x non esiste perché non è una funzione a quadrato integrabile. Per ovviare R3 all’inconveniente si considera il limite: P lim x 2 d 3x 3 x d x 2 0,V V dove a denominatore si integra su di un volume V che viene fatto tendere ad infinito. Poiché il modulo quadro della funzione d’onda è ancora una funzione oscillante, il suo integrale esteso ad un volume che tende ad infinito tende ad infinito. Il risultato indica che la particella sta diffusa in tutto lo spazio ed ha probabilità nulla di essere trovata in un qualunque volume finito. La particella è non localizzata. Con energie positive si può costruire un pacchetto d’onde; in questo caso la particella è localizzata, ma per ottenere questa situazione mischio tra loro impulsi diversi, combino linearmente autovettori diversi. Come risultato ho che il pacchetto d’onde evolve nel tempo. Applicando l’operatore di evoluzione temporale ad una combinazione lineare di autostati appartenenti a diversi autovalori dell’operatore impulso e quindi anche dell’energia si ottengono delle fasi non fattorizzabili e quindi che tengono conto dell’evolvere del tempo. 3 Hˆ t E 2 E1 i t e a g1 b g 2 ae g1 be g 2 e a g1 be g 2 (col variare del tempo varia il modo in cui sono combinati i due vettori, varia il coefficiente davanti al secondo vettore. Il vettore risultante dalla combinazione lineare non si mantiene proporzionale a se stesso al variare di t). Un pacchetto d’onde si sposta dunque come posizione, non sta fermo; per questo motivo è localizzato per un po’ di tempo, ma poi si sposta, non è uno stato stazionario. i i E1 t i E2 t i E1 t 1.1 - ESTENSIONE AD N PARTICELLE Consideriamo l’Hamiltoniana di un sistema di N particelle in presenza di un potenziale: 2 N pi H V ( x1 ,, x N ) i 1 2mi TEOREMA 1.1.0 Hp: 2 N p H i V ( x1 ,, x N ) i 1 2mi V x V0 x R 3 N Ts: a) Il valore di aspettazione di H in uno stato qualsiasi è maggiore di V0: H V0 Hilbert separabile b) Lo spettro di H è contenuto nell’intervallo [Vo, +) , Vo Sp H iff V=Vo=cost particella libera (Vo, +) , se V(x) cost Dimostrazione a) Si deve dimostrare che l’energia totale della particella è maggiore di Vo. Classicamente l’energia totale potrebbe essere anche uguale a zero, nel caso la particella stesse ferma (per esempio al fondo di una buca di potenziale). 2 pˆ 2 pˆ pˆ pˆ 0 , (essendo p operatore hermitiano pˆ pˆ ) l’uguaglianza si avrebbe solo nel caso in cui pˆ 0 . Ma se pˆ 0 significa che l’autovalore dell’operatore impulso associato allo stato è nullo, e allo stesso tempo implica d i 0 , cioè la funzione d’onda non dipende dalla variabile x e quindi non dx appartiene allo spazio L2 delle funzioni a quadrato integrabili. Per questo motivo l’uguaglianza non è contemplata. 2 pi 2 H d 3 N x x V x , e poiché 2mi i d H 3N x x V x V0 d 3 N x x V0 , si ha: 2 i pi 2 2 2mi d 3 N x x V x V0 . □ 2 4 L’energia cinetica in Meccanica Quantistica è zero solo nel caso di una particella libera con energia totale nulla; in questo caso la funzione d’onda è una costante. Se l’energia cinetica è nulla, ∆p=0 e dalla relazione di Heisenberg ∆x=∞, la particella non è localizzabile. Se invece c’è un potenziale di mezzo, la particella è confinata in una regione finita dello spazio, quindi ∆x≠∞e conseguentemente ∆p≠0. Se la particella è confinata ho un’incertezza finita nella posizione e quindi devo avere anche un’incertezza finita nell’impulso. La particella almeno un pochino si agita (classicamente la particella poteva anche starsene buona immobile al fondo della buca di potenziale). b) Tenendo presente il punto precedente: H E H E H E V0 E H E1 V0 E [ 1] Se E<V0 il secondo membro è positivo, quindi per ogni l’estremo inferiore del primo membro è positivo, e dalla definizione di spettro (vedi Metodi Matematici II), si conclude che E (autovalore dell’energia H) è un punto regolare tutti gli altri valori E appartengono allo spettro di H. □ [Dim. intuitiva: , H V0 H Pn En n dove Pn rappresenta la probabilità che l’autostato sia associato all’energia En . Se il valor medio è sempre maggiore di V0, anche tutti i valori possibili En devono essere maggiori di V0] _______________________ Esistono potenziale che non sono limitati inferiormente, ad esempio il potenziale coulombiano 5 Classicamente la particella può finire in fondo, dove V=-, mentre quantisticamente c’è un livello minimo di energia. Per esempio, nell’atomo di idrogeno: e2 V r r 2 e2 dove compare il raggio di Bohr: r0 Emin 2r0 me2 Supponiamo che la particella sia confinata ad una distanza r0 dal centro. In questo caso, l’incertezza sulla posizione sarà anch’essa dell’ordine di r0 x r0 Dalla relazione di Heisenberg: x p p r0 e poiché (p) 2 pˆ 2 , si ha: pˆ 2 e 2 2 e2 Hˆ (1.1.0) 2m r0 2mr0 2 r0 Classicamente per valori della distanza di equilibrio r0 molto piccoli, l’energia totale diminuisce moltissimo a causa della dipendenza da r del potenziale colombiano (1/r). Quantisticamente, come si vede dalla (1.1.0), col diminuire della distanza di equilibrio l’energia cinetica cresce moltissimo (1/r^2), più di quanto cresca in valore assoluto il potenziale. Per questo motivo l’energia totale della particella presenta un minimo, e non può andare sotto quel valore (“non può finire in fondo”). Si può ricercare il valore della distanza r alla quale corrisponde il minimo in energia derivando rispetto ad r l’espressione (1.1.0) e ponendo uguale a zero tale derivata: d Hˆ 2 e2 3 2 dr mr r d Hˆ 2 0 r0 dr r me 2 0 Altra prova del fatto che in meccanica classica non esiste la distanza di equilibrio r0 è la presenza della costante di Plank nella sua espressione (il limite della meccanica classica si ha per 0 e poiché r0 r0 0) ESEMPIO 1.1 Si consideri il seguente potenziale: V (r ) ,s 0 rs ci chiediamo per quali valori di s esista uno stato di energia minima. Qualora questo stato non esista, si prende l’Hamiltoniana e la si “butta via” perché la particella va a mettersi nel centro e lì rimane, perché bisognerebbe fornirle un’energia infinita per farla uscire. Analogamente a quanto fatto prima scriviamo 2 Hˆ s 2 r 2mr0 6 e come prima c’è una contrapposizione tra i due termini che danno l’espressione di Ĥ . Perché 2 esista un’energia minima deve vincere il termine , si possono quindi fare le seguenti 2 2mr0 considerazioni: - s < 2 esiste uno stato di energia minima: stato fondamentale. L’Hamiltoniana è limitata inferiormente, il problema ha senso. - s > 2 non esiste uno stato fondamentale, il problema non ha senso. - s = 2 bisogna vedere caso per caso. ____________ TEOREMA 1.1.1 Nel caso unidimensionale lo spettro discreto non è mai degenere Dimostrazione (per assurdo) Supponiamo che u1 x , u2 x L2 R siano due autofunzioni appartenenti allo stesso autovalore E: ui ' ' x Vui x Eui x ; i 1,2 (1.1.1) 2m moltiplicando le (1.1.1) rispettivamente per u2 e u1 otteniamo u 2 x u1 ' ' x Vu1 Eu1 x u 2 x 2m u1 x u 2 ' ' x Vu2 x Eu2 x u1 x 2m facendo la differenza di ambo i membri: u1 ' ' x u 2 x Vu1 x u 2 x u 2 ' ' x u1 x Vu2 x u1 x 0 2m 2m u1 ' ' x u 2 x u 2 ' ' x u1 x 0 u1 ' ' x u 2 x u 2 ' ' x u1 x 2m notando che u2 x u1 ' x u1 x u2 ' x ' u2 ' x u1 ' x u2 x u1 ' ' x u1 ' x u2 ' x u1 x u2 ' ' x u1 ' ' x u2 x u2 ' ' x u1 x si ottiene u2 x u1 ' x u1 x u2 ' x ' 0 (1.1.2) u2 xu1 ' x u1 xu2 ' x cos t 0 dove la cost dell’ultima espressione è stata posta uguale a zero perché per x il primo membro tende a zero essendo le due funzioni d’onda a quadrato integrabili. Dall’ultima espressione si ricava: u1 ' u 2 ' du 1 du 1 1 2 u1 u 2 dx u1 dx u 2 e integrando ambo i membri nella variabile x du 1 du 1 du du dx1 u1 dx dx2 u2 dx u11 u22 ln u1 ln u 2 cos t u1 e cos t u 2 u1 cu 2 7 abbiamo ottenuto che le due funzioni d’onda sono proporzionali tra loro, ma questo significa che u1 e u 2 non sono linearmente indipendenti, rappresentano un’unica autofunzione. □ Si ricordi che si ha degenerazione se esistono due autofunzioni linearmente indipendenti tra loro appartenenti allo stesso autovalore. Per classificare la degenerazione bisogna prendere un altro operatore che commuti con H Questo teorema non è applicabile al caso dello spettro continuo perché non posso fissare uguale a zero la costante che compare nell’espressione (1.1.2). ______________ Si vuole dimostrare ora un altro teorema, secondo cui lo stato fondamentale (se non si tiene conto dello spin) non è mai degenere. Per fare questo bisogna prima dimostrare due Lemmini LEMMA 1 Hp: N 2 p H i V ( x) , V reale i 1 2mi pi i i Ts: posso scegliere autofunzioni di H reali Dimostrazione [ nlm nlm reale nell’atomo di idrogeno. Infatti le due fasi che compaiono a causa della presenza di m: exp(im) e exp(-im) danno origine ad un coseno] Si consideri l’operatore *: (x)*(x) 2 [* , H] = 0, quindi i due operatori diagonalizzano nella stessa base. Inoltre * 1 perché applicando due volte la * si ritorna alla situazione di partenza i suoi autovalori sono +1 e –1. Il primo e associato a funzioni reali, il secondo a funzioni immaginarie pure (quindi una generica autofunzione sarà combinazione lineare di funzioni reali e immaginarie pure) H E H * E * ( e * differiscono solamente per il segno della parte immaginaria) se faccio la somma + * trovo una reale, se faccio la differenza trovo una immaginaria purasarà combinazione lineare di funzioni reali e immaginarie pure. □ LEMMA 2 Le autofunzioni dello stato fondamentale non possono avere nodi (non possono annullarsi) [nodo: punto dove una funzione si annulla e cambia segno] Dimostrazione H 0 E 0 , 0 L2 (a, b) con (a,b) finito o infinito. Supponiamo x0 (a, b) / 0 ( x0 ) 0 0 ' ( x0 ) 0 altrimenti ( x) 0, x (quindi in x0 la funzione cambia segno, x0 non è un punto di massimo o di minimo) 8 [ H 0 E 0 è un’equazione differenziale del II ordine ellittica. Quindi se diamo come condizione al contorno 0 ( x0 ) 0 e la derivata normale uguale a zero, la funzione è identicamente nulla]. Si consideri la funzione ( x) ( x) ' ( x0 ) ' ( x0 ) , la derivata prima è discontinua nel punto in cui si annulla la (x), ma allora (x ) non è autofunzione di H, perché altrimenti scrivendo l’equazione di Schroedinger per gli stati stazionari a primo membro troverei una delta di Dirac (derivata seconda di (x ) , derivata prima di una discontinuità di prima specie), mentre a secondo membro non ho una delta e quindi l’equazione non può essere soddisfatta. 2 d2 H dx ( x ) ( x) dx ( x) 2 V ( x) 2m dx 2 Nel primo integrale in xo ci potrebbero essere dei problemi a causa di ’’ che è una delta di Dirac, ma ( xo)=0, e quindi cancella la delta. Possiamo dunque integrare per parti: 2 d 2 H ( x) ( x) dx ' ( x) 2 dx ( x) 2 V ( x) 2m dx 2m (1.1.3) il primo termine è nullo perché dalla definizione 0, x. Inoltre ( x) 0 ( x) ' ( x) 0 ' ( x) ' ( x) 2 0 ' ( x) 2 in quest’ultimo passaggio si è utilizzato il Lemma 1 in quanto se 0 non fosse stata reale, ci sarebbero state delle fasi nella derivata e non avremmo più potuto concludere 2 ' ( x) 2 0 ' ( x) . Tenendo conto delle precedenti, la (1.1.3) diventa 2 2 2 H dx 0 ' ( x) dx 0 ( x) V ( x) H 0 E0 2m Poiché non è autofunzione di H (ma sarà combinazione lineare di autofunzioni di H), H per essere uguale ad E0 deve ricevere contributi da livelli energetici più alti e più bassi, ma questo non è possibile, perché al di sotto del livello associato a 0 non c’è più nulla, essendo 0 lo stato fondamentale: H 0 E0 cn n n H P( E n ) E n e poiché non è un autostato di H, n n 0 / P ( E n ) 0 P ( E n ) E n E0 n siamo quindi di fronte ad un assurdo perché devono essere rispettate entrambe le condizioni: H E0 H E0 concludiamo che non esiste un punto x0 appartenente all’intervallo (a,b) / 0(x0) = 0. □ TEOREMA 1.1.2 Lo stato fondamentale non è mai degenere 9 Dimostrazione Supponiamo per assurdo che ci siano due autofunzioni u1 e u 2 entrambe associate all’autovalore del livello fondamentale. Allora una qualunque loro combinazione lineare sarà ancora autofunzione di H associata allo stesso autovalore: u( x) au1 ( x) bu2 ( x) è autofunzione associata al livello fondamentale e i parametri a, b della combinazione lineare possono essere scelti a piacere. Poniamo a u 2 ( x0 ) b u1 ( x0 ) Ma allora u(x) sarà autofunzione associata al livello fondamentale con un nodo nel punto x0 assurdo per il Lemma 2. □ COROLLARI - L’autofunzione non degenere associata al livello fondamentale è pari, poiché una funzione dispari ha certamente almeno un nodo nell’origine. - Le autofunzioni associate a tutti gli stati eccitati hanno almeno un nodo perché devono essere ortogonali alla funzione d’onda dello stato fondamentale: 0 non cambia mai segno, quindi affinché risulti ( 0 , i ) i 0 dx 0* ( x) i ( x) 0 i deve cambiare segno, altrimenti non c’è speranza (si sommano tra loro quantità aventi tutte lo stesso segno. ___________ CAPITOLO 2 - POSTULATI DELLA MECCANICA QUANTISTICA 2.0 – AMBIENTE MATEMATICO E SCOC FISICA CLASSICA In fisica classica un sistema ad f gradi di libertà ha come ambiente matematico una varietà 2f dimensionale chiamata spazio delle fasi. Le variabili indipendenti che entrano in gioco sono quindi 2f e sono le coordinate e gli impulsi generalizzati: q1 ...qi ...q f p1 ... pi ... p f valgono le seguenti equazioni canoniche del moto: f q H cl q H cl dq H q, H cl .. dt p pi qi i 1 qi pi f p H cl p H cl dp H p, H cl .. dt q pi qi i 1 qi pi e le seguenti relazioni tra le variabili canonicamente coniugate q e p: qi , p j .. i, j q , q i j .. pi , p j .. 0 le variabili dinamiche sono una qualunque ‘funzione per bene’ F(q,p). MECCANICA QUANTISTICA L’ambiente matematico in cui vive la meccanica quantistica è lo spazio di Hilbert separabile. Tutti gli spazi di Hilbert separabile sono isomorfi tra di loro (isomorfismo: applicazione lineare 10 bicontinua); “Hilbert separabile per descrivere il moto di un elettrone è uguale a Hilbert separabile per descrivere il moto di un elefante”. Per descrivere un sistema quantistico bisogna dire quali sono gli osservabili (assumono il ruolo delle variabili dinamiche in meccanica classica). Osservabili: operatori hermitiani con un sistema completo di autovettori normalizzabili ( funzioni a quadrato integrabili) o non normalizzabili (distribuzioni, autovettori generalizzati). Più rigorosamente le osservabili fisiche sono operatori autoaggiunti (il dominio dell’operatore è uguale al dominio dell’operatore aggiunto. Cfr. Metodi Matematici II, pag 21) con dominio D denso nello spazio di Hilbert: [D]=H (la chiusura di D è lo spazio di Hilbert). Per descrivere il sistema non è necessario dare l’elenco di tutte le osservabili fisiche, è sufficiente dare un solo elenco chiamato SCOC (sistema completo di osservabili commutanti). Lo SCOC sarà dato da un numero finito (perché non siamo nell’ambito della meccanica quantistica relativistica e quindi f è finito) di osservabili che commutano tra loro. Il sistema di osservabili deve essere completo: ogni osservabile che commuta con quelle del sistema è funzione solo di quelle, questo sistema non può essere allargato. Un sistema fisico non individua in modo univoco uno SCOC. ESEMPIO 2.0.0 Si consideri il sistema formato da una singola particella senza spin. In questo caso lo SCOC è formato dalle tre coordinate: X1, X2, X3 Si noti che anche X 2 commuta con i precedenti operatori, ma X 2 X 2 ( X 1 , X 2 , X 3 ) _____________ Se lo SCOC è formato dagli operatori A1…Af , questi possono essere diagonalizzati tutti contemporaneamente e quindi ogni autovettore appartenente a tutti questi osservabili può essere indicato con f numeri quantici (che sono gli f autovalori appartenenti agli f operatori dello SCOC associati all’autovettore) Ai 1 ,..., f i 1 ,..., f , i 1,..., f Dati questi f numeri individuo in modo unico l’autovettore, cioè ho messo un numero sufficiente di osservabili commutanti in modo da rimuovere tutta la degenerazione possibile. Supponiamo che A non abbia degenerazione. Allora lui da solo forma lo SCOC. a1 a2 A ... a f qualsiasi operatore commutante con A dev’essere diagonale nella stessa base ad ogni ai corrisponde un autovalore bi dell’altro operatore: b1 b2 B ... b f bi g (ai ) Se invece c’è degenerazione 11 a1 a1 A ... a f qualsiasi operatore del tipo b1 b2 b3 b4 B commuta con A senza essere funzione di A. a1 b1 b2 a1b1 a1 b3 b4 a1b3 ... ... ... ... b1 b3 b2 b4 a1 ... ... a1 a1b2 a1b4 b1a1 b2 a1 b3 a1 b4 a1 ... ... [mentre vediamo che: a1 b1 b2 a1b1 a1b2 a2 b3 b4 a2b3 a2b4 ... ... ... ... b1 b2 a1 b1a1 b2 a2 a2 b3 b4 b3 a1 b4 a2 ... ... ... ... ] In questo caso per rimuovere la degenerazione, bisogna prendere uno degli operatori commutanti con A (ad esempio B) e diagonalizzarlo. Gli autovalori di uno SCOC individuano in modo unico un autospazio di dimensione 1. SISTEMA QUANTISTICO CON ANALOGO CLASSICO (in sostanza si tratta di un sistema senza spin) Si scelgono delle coppie (qi ,pi) nel caso classico e per ognuna di queste coppie si prende un operatore nello SCOC; inoltre si postula che le parentesi di Poisson (..) vengano sostituite dal commutatore diviso per la quantità i : .. i 12 Si è detto che per ogni coppia (qi ,pi) si prende solamente qi o pi , infatti non possono essere presi entrambi in quanto non commutanti tra loro: qi , p j i i , j Nel caso di una singola particella, tre possibili SCOC sono: x1 x2 x3 p1 p2 p3 x1 p2 x3 Quindi grossomodo (non tutte le scelte di coordinate vanno bene) le variabili dinamiche classiche diventano osservabili quantistiche. Lo SCOC è costituito da f operatori scelti a partire dalle coppie di variabili (qi ,pi). Nel caso classico ci sono 2f variabili per descrivere il sistema mentre nel caso quantistico le variabili sono f perché le osservabili sono misurate con i rispettivi autovalori. ESEMPIO 2.0.1 Consideriamo il sistema fisico formato da una singola particella senza spin. Un possibile SCOC è: x1 x2 x3 (le tre coordinate spaziali classiche divenute operatori hermitiani) le autofunzioni generalizzate di tutte tre le osservabili sone le x / xˆi x xi x e formano un sistema O.N.C.; pertanto soddisfano la relazione di completezza 3 d x x x 1 Si prende questo sistema O.N.C. come base dello spazio di Hilbert: x ( x ) L2 ( R 3 ) ( (x ) è come se fosse una scritta in componenti). Se invece scelgo lo SCOC p1 p2 p3 le autofunzioni generalizzate sono k / pˆ i k k i k e scegliendo questo sistema ortonormale completo come base dello spazio di Hilbert: k F (k ) L2 ( R 3 ) . Per fare un cambio di base si utilizza la relazione di completezza e si tiene conto del fatto che 1 x k e ik x (espressione delle autofunzioni degli operatori pi nella base x ) 32 2 1 F (k ) d 3 x k x x d 3 xeik x ( x ) 32 2 F (k ) è la trasformata di Fourier della funzione d’onda (x ) . Passare dallo spazio delle posizioni a quello degli impulsi con la T.F. corrisponde a cambiare SCOC. Un’altra scelta possibile per lo SCOC potrebbe essere R (coordinate polari nello spazio) Mentre non potrei prendere pr perché è hermitiano ma non autoaggiunto. Un’altra scelta ancora potrebbe essere R L2 L3 allora le autofunzioni saranno delle l ,m (r ) 13 , l , m Yml ( , ) ________________ Ma non tutti i sistemi hanno analogo classico. Un esempio è quando si considera anche lo spin della particella (lo spin (momento angolare semintero) non ha analogo classico). Se una particella ha spin diverso da zero, il sistema acquista un grado di libertà in più. ESEMPIO 2.0.2 Si consideri il sistema fisico composto da una singola particella di spin S. Un possibile SCOC è x1 x2 x3 + una componente dello spin Le componenti dello spin S sono S1 S 2 S3 e non commutano tra loro: S 2 2S 2 2 2 2 Si , S j i , j 2i ijk k i ijk k i ijk k i ijk S k 4 4 2 2 per questo motivo si sceglie una delle tre componenti da mettere nello SCOC che sarà quindi formato da x1 x2 x3 S3 e lo spazio di Hilbert in cui vive il sistema fisico composto dalla particella è H particella H orbitale C2 S 1 H orbitale L2 ( R 3 ) C2 S 1 è lo spazio dello spin. 2.1 – PRODOTTO DIRETTO DI SPAZI UNITARI SEPARABILI COMPLETI Si considerino due spazi unitari separabili completi E1 , E2 . Si definisce lo spazio prodotto diretto E : E E1 E2 Hom( E1*, E2 ) Hom( E1*, E2 ) : applicazione lineare (sottointesa continua) dallo spazio E1 * allo spazio E2 Consideriamo il prodotto diretto di due ket: a 1 E1 ; b 2 E2 a 1 b c 2 c E : E1 * E2 c :1 d 1 Qualunque sia d a 1 1 b 2 E2 d vado sempre a finire in un vettore b 2 uno spazio ad una dimensione. Lo spazio prodotto diretto è ciò che ottengo facendo tutti i possibili prodotti diretti tra E1edE2 e tutte le loro possibili combinazioni lineari. Si scelga una base O.N. nello spazio E1 : i 1 1 i j 1 ij i i 1 14 ed una nello spazio E2 : 2 2 2 1 Si consideri il vettore nello spazio diretto v :1 i vi 2 , vi C vi 2 rappresenta un qualsiasi vettore appartenente allo spazio E2 Si applichi v v a tutti gli v j j 1 j , v :1 i v j j , 1 1 i : 2 i j 1 2 v j j j , 2 v i 2 Se siamo ad infinite dimensioni bisogna richiedere che v j 2 (prendere per buono) j, Mi sono quindi costruito una base nello spazio prodotto diretto: i, i 1 2 La dimensione dello spazio prodotto diretto vale: dim E dim E1 dim E2 Se entrambi gli spazi E1 e E2 sono uguali allo spazio di H separabile, anche E H separabile. Lo spazio prodotto diretto di due spazi vettoriali è quello che ha come base il prodotto diretto delle basi. ESEMPIO 2.1.0 Si consideri il sistema fisico descritto da una particella con spin S Hparticell a L2 ( R 3 ) C 2 S 1 Lo spin della particella è S. Si consideri la componente S3 per indicare la base nello spazio dello spin: Sˆ3 S , S3 S3 S , S3 S3 S ,S 1,..., S in tutto 2S + 1 valori possibili. Lo spazio dello spin è dato da tutte le combinazioni lineari del tipo: S C S3 S S3 S 3 ,C S3 C se S vale ½, S3 può valere 2 e quindi si ha uno spazio bidimensionale (ci sono solamente due vettori linearmente indipendenti (sono quelli che formano la base, associati ai due autovalori 2 )). Una base nello spazio di H della particella è: x , S3 x S3 allora, d 3x S S3 S x , S3 x , S3 d 3x S S3 S S3 ( x ) x , S3 S ( x ) x , S3 3 15 d 3x (x) x S S3 S S3 ( x ) x S 3 d 3x S S ( x ) x x S3 d 3 x S3 S 3 S d 3 x x x S3 ( x ) S3 S3 S S S3 S S3 ( x ) x x S 3 S S3 S S3 ( x ) S3 Se lo spin S della particella vale ½ si ha: ( x ) ( x ) x ( x ) S ( x ) , in generale ( x ) x (x) S . In C2 una base è: 1 0 , 0 1 1 0 0 1 [mentre una base in C2 S 1 : ( x ) ( x ) ( x ) , (x ) funzioni complesse nella variabile x. 1 0 0 0 1 0 0 , 0 ,..., 0 e 0 0 1 1 0 0 0 1 0 ( x ) S ( x ) S 1 ( x ) ... S ( x ) ] 0 0 1 Se invece nello SCOC prendo 1 0 0 2 2 L 1(1 1) 0 1 0 (l = 1) 0 0 1 S3 ad r fisso, nello spazio prodotto diretto ci sono 6 vettori come base: 1 Ym1 , , m 1,0,1 0 0 Ym1 , , m 1,0,1 1 ne segue che lo spazio prodotto diretto ha dimensione 6 (e in effetti L2 ha dimensione 3, mentre S 3 ha dimensione 2). ____________________ 16 PROPRIETA’ 1 a' 2 b' a' 1 b' a b 1 2 2 1 a 1 b a a' 2 12 b b' 2 ____________________ Gli spazi che danno origine al prodotto diretto possono anche essere a infinito dimensioni, ma devono essere di H separabile. Il prodotto diretto tra due spazi è formato dalle combinazioni lineari dei prodotti tra i vettori degli spazi. Consideriamo base O.N. in E1 i1 base O.N. in E2 una base nello spazio del prodotto diretto è data dal prodotto tensoriale (cartesiano) delle basi: i, i 1 2 2 i, base O.N. in E gli elementi di E non sono solo le coppie di elementi i 1 e 2 , queste sono solo una piccolissima parte, vi sono poi tutte le loro combinazioni lineari. Il prodotto diretto tra due spazi vettoriali non è il prodotto degli insiemi, mentre per le basi sì. ESEMPIO 2.1.1 Consideriamo il sistema formato da una particella sita ad una distanza r fissa dall’origine del sistema di riferimento con spin S = ½: E1 E2 E E1 H ORBITALE L2 ( R 3 ) E1 =l = 1, r fisso E1 ha dimensione 3, i tre vettori base sono: 1, m , m 0,1 e li indichiamo con m L2 l , m 2l (l 1) l , m L3 l , m m l , m , l , m Yml , La base in E1 può essere rappresentata da Y11 , , Y01 , , Y11 , E2 C2 S 1 C2 scegliamo la base in cui S 3 è diagonale e la indichiamo con: 1 2 0 0 1 2 1 Allora i vettori base nello spazio prodotto diretto sono m S3 m, S3 al variare di m ed S 3 ; tali vettori hanno espressione 1 17 1 Ym1 , , m, Y , 0 0 0 0 , m, Ym1 , 1 1 Ym , 1 m m 0,1 in tutto sono 6 vettori base. __________________ PRODOTTO DIRETTO TRA OPERATORI Consideriamo gli operatori A1 e B2 : A1 B2 v1 1 v2 A1 v1 1 B2 v2 2 ciascun operatore opera solamente sui vettori appartenenti al proprio spazio. La definizione rigorosa del momento angolare totale J è: J J L 12 11 S con 11 : identità nello spazio del momento angolare (spazio 1) 12 : identità nello spazio dello spin (spazio 2). L agisce solo sulla parte orbitale, S sullo parte di spin, poi si sommano. Nella pratica si scrive J L S 2 ESEMPIO 2.1.2 Consideriamo J L S con l=1, S =1/2. In generale: Lˆ2 l , m 2 l (l 1) l , m Lˆ3 l , m m l , m Sˆ 2 S , S 3 2 S ( S 1) S , S 3 Sˆ3 S , S 3 S 3 S , S 3 Jˆ 2 J , J 3 2 J ( J 1) J , J 3 Jˆ 3 J , J 3 J 3 J , J 3 Dalle regole di composizione di due momenti angolari: LS J LS J 3 l S3 L S J nN segue che con l=1, S =1/2 3 1 J , ; 2 2 J 3 J , J 1,, J consideriamo la base nello spazio del momento angolare totale J 18 J , J (base accoppiata) 3 e cerchiamo di esprimerne gli elementi nella base disaccoppiata m, S3 m S3 l 1; m 0,1 1 1 S ; S3 2 2 Per fare questo si parte dal valore maggiore (o minore) in assoluto di J 3 , e si pone (è l’unica possibilità permessa dalla regola di composizione J 3 l S3 ): 3 3 , 2 2 1 1 2 1,1 2 1 12 per ottenere l’espressione degli altri vettori del tipo 3 , J3 2 1 ; J 3 , si applicano gli operatori a 2 scala e si utilizza l’ortonormalità del sistema J J 1 iJ 2 J J 1 iJ 2 J L 12 11 S J L 12 11 S J J , J 3 J J 1 J 3 J 3 1 J , J 3 1 J J , J 3 J J 1 J 3 J 3 1 J , J 3 1 scriviamo dunque 3 3 33 33 3 1 3 1 , 1 1 , 3 , 2 2 22 22 2 2 2 2 L S l 1, m 1 S 1 , S3 1 2 l 1, m 0 S 1 , S3 1 l 1, m 1 S 1 , S3 1 2 2 2 2 2 2 J L S 1 1 2 2 0 1 2 1 1 2 allora 3 3 J , L S 1 1 2 2 2 3 1 2 1 , 0 12 1 1 2 2 2 3 3 allo stesso modo si ricavano 3 1 3 3 , , , . 2 2 2 2 Per trovare invece l’espressione di 1 1 , 2 2 19 1 1 , è autovetture di J 2 appartenente 2 2 3 15 3 1 all’autovalore 2 mentre , è autovetture di J 2 appartenente all’autovalore 2 , quindi 4 4 2 2 questi due vettori sono ortogonali tra loro, perché autovettori di uno stesso operatore ma 1 1 appartenenti ad autovalori diversi (inoltre per le regole di composizione , sarà combinazione 2 2 lineare dei vettori 0 1 2 e 1 1 2 ): nella base disaccoppiata, si tiene conto del fatto che 3 1 1 1 , , 0 2 2 2 2 3 1 2 1 , 0 12 1 1 2 2 2 3 3 1 1 1 2 , 0 12 1 1 2 2 2 3 3 1 1 1 1 Per trovare l’espressione di , si può applicare l’operatore J a , , oppure imporre 2 2 2 2 3 1 1 1 , , 0 . l’ortogonalità 2 2 2 2 1 Y11 , 3 3 1 , , , l 1, m 1 S 1 2 , S3 1 2 Y1 , 0 2 2 0 , 3 1 2 1 , , l 1, m 0 S 1 2 , S 3 1 2 , l 1, m 1 S 1 2 , S 3 1 2 2 2 3 3 1 0 1 1 Y0 , Y1 , 0 1 2 1 Y0 , 3 1 1 Y1 , 3 (2.1.0) Consideriamo ora una rotazione nel piano [xy] attorno all’asse z di una angolo . L’operatore che effettua tale rotazione è: Re i Jˆ3 e i Lˆ Sˆ 3 3 per una rotazione di questo tipo entrambi gli addendi della (2.1.0) si trasformano allo stesso modo, anche se hanno m diversi, perché c’è di mezzo anche lo spin e e e i Lˆ3 i Sˆ3 i Jˆ3 l , m e im l , m S , S 3 e iS 3 S , S 3 Jˆ i 3 2 3 1 1 , e 0 12 1 1 2 2 2 3 3 notando Li , Si 0 e i Lˆ Sˆ 3 3 e i Lˆ3 e i i L3 S3 2 1 e 0 1 2 1 1 2 3 3 ˆ ˆ Sˆ3 20 otteniamo: e i Jˆ3 Lˆ Sˆ Lˆ Sˆ i 3 i 3 3 1 2 i 3 1 i 3 , e 0e 12 e 1 e 1 2 2 2 3 3 1 1 1 i i i 2 2 1 1 0 1 2 e i 0 e 2 1 1 2 e i 1e 2 e 2 0 12 1 1 2 3 3 3 3 ________________________ 2.2 – MATRICE DENSITA’ E MISCELE DI STATI – POSTULATO DELLA MISURA Il sistema di osservabili considerate per descrivere un sistema distingue uno spazio di H da un altro. Ad ogni variabile dinamica classica si può cercare di associare una osservabile fisica. “La fisica sta in ”. var iabili osservabili i dinamiche .. Un sistema completo di osservabili commutanti non può essere formato da 2f variabili canoniche (perché non commutano tutte tra di loro), ma solo da f . Questo sistema di f osservabili che descrive lo spazio di Hilbert orbitale è completo solo in tale spazio che ha analogo classico. Ma in generale abbiamo visto che può esserci anche lo spin. In questo caso H particella H orbitale C2 S 1 Cint H orbitale L2 ( R 3 ) C2 S 1 : spazio dello spin C int : in generale si possono introdurre dei numeri quantici interni Se invece di avere una singola particella abbiamo un sistema di N particelle distinguibili: H N H1 H 2 ... H N H ORB H SPIN dove N H ORB H ORB i i 1 N H SPIN H SPIN i i 1 e H SPIN ha un numero finito di dimensioni. La base di tale spazio è x 1 , S 31 ... x N , S 3 N x 1 ,..., x N , S 31 ,..., S 3 N . Fin’ora abbiamo solo considerato cose stazionarie, non abbiamo fatto evolvere nulla nel tempo, ma lo scopo principale che ci si prefigge è quello di descrivere l’evoluzione temporale del sistema fisico considerato. Per fare questo è interessante sapere quali grandezze fisiche sono conservate. Vediamo ora come si può descrivere lo stato di un sistema fisico ad un tempo t fisso. Per prima cosa consideriamo il caso ideale. Fisica classica Lo stato di un sistema ideale è descritto da un punto (q,p) nello spazio delle fasi. Tale punto da un’informazione totale sul sistema Fisica quantistica Lo stato di un sistema ideale è descritto da un vettore non nullo nello spazio di Hilbert (a meno di una costante). (Si da un raggio nello spazio di H): c 0, c C / 21 c e si chiamano raggi e individuano lo stesso stato puro. Per dare un punto nello spazio delle fasi devo dare 2f numeri reali. Per dare il raggio nello spazio di H devo dare gli autovalori dello SCOC che sono f numeri reali. Quindi nel caso quantistico fornisco la metà di informazione; q e p non possono stare assieme nello SCOC perché non commutano tra loro. Prima abbiamo parlato di caso ideale, vediamo come funziona il caso reale. Fisica classica In realtà non posso dare con precisione assoluta tutte le q e le p, ma ci sarà un errore. Come conseguenza non avrò un punto, ma una regione nello spazio delle fasi. Inoltre se il numero di particelle è molto elevato (per esempio dell’ordine di NA: numero di Avogadro) nessuno si metterà mai a misurare posizione e impulso di tutte quante. In ogni caso, almeno teoricamente, se mi accanisco posso ridurre l’errore. Non ci sono obiezioni di principio al far tendere qualunque errore a zero. L’errore non potrà mai divenire zero, ma lo si può ridurre indefinitamente (nel limite degli strumenti etc…); questa situazione prende il nome di IGNORANZA CLASSICA. Fisica quantistica Anche in questo caso, non possiamo dire con certezza assoluta che il sistema sia descritto esattamente da un unico stato . Si introduce l’operatore densità o matrice densità . In tal modo il sistema sarà descritto da una miscela statistica di stati, ognuno con una certa probabilità. L’operatore densità deve soddisfare tre proprietà: 1. è autoaggiunto: , D H separabile 2. chiamiamo wi gli autovalori di (sono reali perché è autoaggiunto). Si ha: wi 0, i 3. Tr wi 1 i Consideriamo il caso particolare in cui il sistema fisico considerato è descritto da uno stato puro. In tale caso l’operatore densità è idempotente: STATO PURO 2 cioè è un proiettore. 2 implica che gli autovalori possono valere solo 1 o 0 (sono gli unici numeri reali che elevati al quadrato danno se stessi) Tr 1 implica che l’autovalore vale w=1, è non degenere e quindi individua uno stato : 1 . Se lo stato puro è normalizzato: 1 c’è corrispondenza biunivoca tra gli stati puri e gli operatori densità che sono proiettori. Data una osservabile A qualsiasi e dato un qualsiasi vediamo quali valori posso ottenere in seguito ad una misura di A e con quale probabilità. I valori possibili dell’osservabile A sono i suoi autovalori ai (supponendo lo spettro discreto). Per parlare di probabilità, dobbiamo dire in quale stato vogliamo calcolarle. 22 Indichiamo gli autovettori di A con i rispettivi autovalori e il numero di degenerazione (nel caso ci sia): A ai , ni ai ai , ni ni 1,2,..., d i deg( ai ) dove per deg( ai ) si intende la degenerazione legata all’autovalore i-esimo. Occorre introdurre il proiettore sull’autospazio legato all’autovalore ai di Pai ai , ni ai , ni ni 1 allora di A ai Pai ai , ni ai ai , ni . i i ni 1 Se si applica A ad un vettore qualsiasi scomposto nelle componenti degli autostati di A, su ciascuna di queste componenti l’operatore ha solo l’effetto di moltiplicare per l’autovalore: di i ,n ai , ni i ni 1 i di di A ai , ni ai ai , ni i ,ni ai , ni ai i ,ni ai , ni ai , ni ai , ni ni 1 i i ni 1 di ai i ,ni ai , ni i ni 1 Vogliamo ora vedere quale sia la probabilità che, trovandosi il sistema nello stato , una misura di A mi dia ai . Quando si parla di probabilità si sottintende di fare misure su moltissimi sistemi tutti identici. Prendiamo tanti (N) sistemi tutti uguali, ed effettuiamo su ognuno una misura dell’osservabile A. Troveremo come risultato della misura uno dei possibili autovalori dell’osservabile, con diverse frequenze: N1 volte misureremo a1 Ni volte misureremo ai etc.. Ni N Si definisce la probabilità di ottenere un valore ai da una misura dell’osservabile A: N Pai lim i , N N Introduciamo ora il POSTULATO DELLA MISURA DELLA MECCANICA QUANTISTICA: P ai Tr Pai ESEMPIO 2.2.0 – STATO PURO 2 , 1 2 P Tr Pai notando che in generale Tr a b i a b i b i i a b a i O.N .C. i i 23 si ottiene P ai Tr Pai Pai Pai di di ni 1 ni 1 ai , ni ai , ni ai , ni 2 . La probabilità di ottenere ai da una misura dell’osservabile A nello stato è uguale al valore di aspettazione del proiettore sull’autospazio E( ai ) nello stato . d1 ni 1 ai , ni 2 d1 Ci ,ni 2 è la serie dei moduli quadri dei coefficienti di Fourier rispetto alla base ni 1 dell’autospazio E( ai ). di Ci ,n ai , ni . i ni 1 i La probabilità calcolata è una probabilità intrinsecamente quantistica. Non è una probabilità che possa essere sostituita dalla certezza, in nessun modo. ___________________ ESEMPIO 2.2.1 – MISCELA DI STATI In questo caso la matrice densità sarà formata da una miscela di stati pesati con diverse probabilità w : w w 1 w 0 può anche succedere che ci siano dei w uguali (se c’è degenerazione). La probabilità di misurare ai nello stato descritto dalla miscela di stati (matrice densità) vale P ai Tr w Pai w Tr Pai w P ai come si vede è costruita mettendo assieme due probabilità: la probabilità w che il sistema descritto dallo stato misto si trovi nello stato . Si tratta di una probabilità interamente classica. la probabilità P ai che il sistema (descritto dallo stato ) ha di decadere in uno degli autostati degeneri appartenenti all’autovalore ai in seguito ad una misura. Si tratta di una probabilità interamente quantistica. w è l’analogo della distribuzione di probabilità nel caso classico che ho di trovare il sistema in qualche punto dello spazio delle fasi. Ci è possibile conoscere la probabilità che il singolo sistema si trovi in uno stato fisso. Quando si hanno moltissime cose da misurare, non si sa esattamente in quale punto dello spazio delle fasi si trovi il sistema, ma conoscendo le grandezze macroscopiche si conoscono perlomeno le probabilità. Questa mancanza è comunque dovuta a una mia ignoranza, il sistema si trova effettivamente in un singolo punto, ma io non riesco a determinarlo con precisione assoluta. _______________________ Supponiamo che l’osservabile A abbia uno spettro discreto non degenere. Indichiamo con i sistema O.N.C. dei suoi autovettori. il 24 A i ai i ; i j ij i Supponiamo di essere in uno stato puro e vogliamo misurare l’osservabile A. Scriviamo nella base degli autovettori di A: ci i i ci i C P ai ci 2 Ora supponiamo invece di essere in uno stato misto wj j j j 2 wj c j 0 w j 1. i Si tratta di una matrice densità particolarissima perché ha come autovettori proprio quelli che formano il sistema O.N.C. di A. E’ lecito considerare tale matrice perché le condizioni che deve soddisfare sono rispettate. P ai Tr Pai Tr i i i i w j i j j i wi ci 2 j come si vede dal risultato non c’è alcuna differenza rispetto al caso dello stato puro. Per quanto riguarda A non posso fare altro che questo, non posso avere altre informazioni. Per accorgermi della differenza tra uno stato misto e uno stato non misto misuro un’altra variabile, un’osservabile B che non commuti con A: B, A 0 B b Se ci troviamo nello stato puro ci i , la probabilità di ottenere una misura b è i 2 P b ci i ci i c j j i i j ci saranno dei termini in cui i=j, altri in cui ij: 2 ci i j 2 i 2 ci c j i j . Il secondo termine è un termine di interferenza ( R) . i j [si noti: a1 a2 ... a1 a2 ... Pr odottiMisti ] 2 2 2 Se invece ci mettiamo nello stato descritto dalla matrice densità : P b Tr P Tr wi i i wi i i se fossimo nello stato i la probabilità sarebbe i 2 i 2 , ma noi abbiamo una certa probabilità di trovarci in tale stato, e quindi sommiamo anche su queste probabilità. Nel caso appena considerato, dove w j j j , noti i c j possiamo trovare i w j , ma il j viceversa non è vero perché non riesco a ricavare la fase lo stato puro ha più informazione dello stato misto. 25 Se non si conoscono le fasi dei c j , si fa una media delle fasi, una media di e i con tanti : 2 1 ei 0 ( e i è ortogonale ad 1). 2 0 Uno stato puro è una sovrapposizione coerente di stati. Lo stato misto invece è una sovrapposizione incoerente di stati puri, dove non conosco le fasi. Se si misura uno stato puro, abbiamo interferenza. Se però abbiamo una sovrapposizione classica di stati (stato misto), non c’è il termine di interferenza, la media di e i =0. Quando si considera un singolo stato puro: 1 o 2 , me ne frego della fase che ha davanti. Ma quando considero per esempio una combinazione lineare di questi due vettori le fasi mi interessano eccome! In particolare, se faccio una combinazione lineare di due vettori, una fase è eliminabile (assorbibile all’interno della costante di normalizzazione), ma una fase (quella relativa) non è eliminabile e bisogna tenerne conto. ESEMPIO DI UNO STATO PURO Abbiamo una superficie con due fessure aperte ed uno schermo. La funzione d’onda che arriva sullo schermo è la somma dei vettori funzione d’onda che passano dalle fessure (si tratta di una somma coerente) ci sono termini di interferenza. ESEMPIO DI UNO STATO MISTO Se ho una sola fessura aperta non ho interferenza, non si sommano più le funzioni d’onda. _____________________ ESEMPIO 2.2.2 – LUCE POLARIZZATA La polarizzazione della luce è legata alla polarizzazione dello spin. Il fotone è una particella di spin 1. Consideriamo un’onda piana che si propaga nella direzione z. Un’onda piana è un’onda elettromagnetica; i due campi E e B stanno nel piano [xy], quindi noi ci limitiamo a questo piano. E z , t E1 z , t i E2 z , t j Ei z , t Ei coskz t i Ei Re e i kz t i ; i 1,2 E E12 E22 definiamo: E E a 1 e i1 b 2 e i 2 E E in questo modo a E z, t E Re e i ( kz t ) b a b 1; a, b C 2 2 Introduciamo lo stato che descrive la polarizzazione della luce: 26 a C2 b 1 0 a b 0 1 1 0 rappresenta la luce polarizzata linearmente lungo l’asse x i , rappresenta la luce 0 1 polarizzata linearmente lungo l’asse y j . è uno stato puro qualunque siano a e b. Se volessimo rappresentare ad esempio della luce polarizzata linearmente a 45 gradi: 1 1 1 0 1 1 2 0 2 1 2 1 con a e b reali si ha sempre polarizzazione lineare ma in direzioni diverse. 2 La probabilità che la luce passi attraverso un polarizzatore con asse all’asse x (asse y) vale a 2 ( b ). (Se l’asse del polarizzatore è parallelo all’asse x passa la componente diretta lungo l’asse x). Proviamo a considerare: i 1 1 1 1 e 2 0 2 i 2 0 2 1 1 it i t 2 i kz t E 1 1 1 2 i cost j sin t Re i e ( z 0) Re i e je 2 E 2 2 2 e 2 in questo caso si ha polarizzazione circolare in senso antiorario 1 1 se invece 2 i si ha polarizzazione circolare in senso orario La polarizzazione ellittica si ha quando sono in un caso intermedio tra i due (i coefficienti non valgono entrambi 1 2 ). In generale, se 2 ottengo sempre luce polarizzata: se lo stato che descrive la polarizzazione è uno stato puro, la luce risulta essere completamente polarizzata: a C2 b a a b a 2 ab b a b b 2 ;Tr 1 Consideriamo luce polarizzata linearmente lungo l’asse x. Il proiettore lungo l’asse x è: 1 Px 1 0 0 27 a 2 1 a a a b 1 0 0 b quindi se la matrice descrivesse luce polarizzata linearmente a 45 gradi, la probabilità qui sopra 2 varrebbe il 50%. Analogamente: P direzioney b . P direzionex Tr ( Px ) Px Px a Come detto in precedenza la di uno stato puro è un proiettore. Diamo l’espressione della matrice densità dello stato puro con polarizzazione diretta lungo l’asse x 1 1 0 . x Px 1 0 0 0 0 La dello stato puro con polarizzazione diretta lungo l’asse y: 0 0 0 y Py 0 1 1 0 1 mentre quella dello stato puro con polarizzazione circolare: 1 i 1 1 1 1 i 1 (verso antiorario) CIRC 2 i 1 2 i 2 1 i 1 1 1 1 i 1 (verso orario) CIRC 2 i 1 2 i 2 Se invece vogliamo descrivere lo stato della luce completamente non polarizzata: 1 1 NP x y 2 2 l’espressione precedente è l’espressione dello stato più misto che ci sia. Se vogliamo esprimere luce polarizzata parzialmente in una direzione, per esempio luce polarizzata all’80% nella direzione x: 4 1 NP 80% x 0.8 x 0.2 y x y . 5 5 Se si ha luce completamente non polarizzata, da un polarizzatore con asse diretto lungo una qualunque direzione, esce sempre la metà della luce incidente. COMPORTAMENTO SOTTO ROTAZIONI nel piano [xy]. Ci occupiamo di rotazioni nel piano perpendicolare alla direzione di propagazione perché non siamo interessati a variarla. Supponiamo di effettuare una rotazione sugli stati che descrivono la luce in differenti condizioni: x 1 , è l’asse x, se sottoposto ad una rotazione, ruota cambiando la propria 0 direzione. Lo stesso possiamo dire per qualsiasi altro tipo di polarizzazione lineare. CIRC 1 1 , luce polarizzata circolarmente. In questo caso effettuando una rotazione non 2 i cambia nulla perché la direzione del campo elettrico ruota già per i fatti suoi. Consideriamo l’operatore di rotazioni di un angolo nel piano: cos sin (2.2.0) R sin cos tale matrice può essere diagonalizzata: 28 cos sin sin cos cos sin 2 2 2 cos 1 2 2 cos 1 0 1, 2 2 2 cos 4 cos 2 4 2 cos cos 2 1 cos sin 2 cos i 2 sin 2 cos i sin e i per ricavare gli autovettori: cos sin sin a i a e cos b b a cos b sin ae i e i e i i a cos e b sin a i 2 a sin b cos be e i e i a e i e i 2e i b i ricerchiamo l’autovettore associato all’autovalore e i e i e i e i e i ae i e i 2e i b ae i e i b i i imponendo ora la normalizzazione: a b ba 1 a 2 1 i 1i a 2 2 1 a 2 12 a eliminabile allo stesso modo si ricava il secondo autovetture. In definitiva: 1 1 c e i 2 i e i e i e i e i b 2i a b b ia i 1 a meno di una fase 2 1 1 c 2 i R c e i c Poiché i vettori che descrivono la polarizzazione circolare della luce (nei due versi) sono gli autovettori dell’operatore di rotazione, rimangono invariati sotto tale operazione (vengono mandati in vettori proporzionali a loro stessi (che rappresentano dunque lo stesso stato)). Consideriamo ora una rotazione infinitesima nel piano di un angolo 0 . L’espressione (2.2.0) per l’operatore di rotazione è equivalente alla rappresentazioni tramite esponenziale (dimostrazione in Metodi Matematici II, pag.11 sezione gruppi): R ei 2 SO2 0 i . dove 2 è la matrice di Pauli: 2 i 0 Poiché consideriamo una rotazione di un angolo infinitesimo 0 1 R e i 2 1 i 2 1 1 0 29 0 1 ' è il generatore della rotazione. Esso è un elemento dell’algebra so(2), ed è la T3 1 0 0 1 0 restrizione al piano di T3 1 0 0 so3 (algebra delle matrici 33 antisimmetriche reali a 0 0 0 traccia nulla). [ L3 iT3 R e T3 e spazio]. Possiamo quindi scrivere R e i i L3 rappresenta una rotazione di un angolo attorno all’asse z nello L3' 0 1 ' sono , e gli autostati corrispondenti sono quelli che descrivono gli autovalori di L3 i 1 0 la polarizzazione circolare della luce nei due versi ( antiorario ; orario ) . Quando si effettuano delle rotazioni alla luce polarizzata, si utilizza il gruppo SO(2) che agisce sullo spazio bidimensionale C2 . Quando consideriamo particelle di spin ½ la rotazione (legata al momento angolare) si rappresenta come un elemento del gruppo SU(2). Nel caso del fotone (particella con spin 1), abbiamo considerato la restrizione al piano del momento angolare con numero quantico l=1 ( SO(2) ). Gli oggetti che si trasformano sotto SU(2) sono detti spinori. Il periodo di tali rotazioni è 4 i n i [ SU (2) Rn en e 2 , 0,4 ; è base delle matrici antihermitiane 22 a 2 traccia nulla (algebra su(2))] Gli oggetti che si trasformano sotto SO(3) sono detti vettori. Il periodo di tali rotazioni è 2 [ SO(3) Rn enT , 0,2 ; T è base delle matrici antisimmetriche reali 33 a traccia nulla (algebra so(3))] _____________________ 30 Supponiamo che un sistema classicamente possa stare solamente in due punti dello spazio delle fasi. CASO QUANTISTICO CASO CLASSICO L’ambiente matematico in cui vive il sistema è lo spazio di Hseparabile. L’ambiente matematico in cui vive il sistema lo spazio delle fasi. Al sistema sono accessibili due stati: 1 , 2 Il sistema può stare in soli due punti dello spazio delle fasi. Ci sono due possibilità: 1. si applica il principio di sovrapposizione. Si considera una combinazione lineare dei due stati. Dati due stati leciti, una loro qualsiasi combinazione lineare è ancora uno stato possibile. Si tratta di una sovrapposizione coerente di stati (classicamente non ha analogo), ed è uno stato puro: a1 1 a2 2 Il sistema si trova in una sovrapposizione lineare dei due stati. 2. il sistema si trova in 1 o in 2 , ma io Il sistema si trova in un punto o nell’altro oppure non so dove (per mia ignoranza perché il sistema si trova sicuramente in uno dei due). Se non so dove sia esattamente il sistema, conosco comunque le probabilità: so che su N= N1 + N 2 sistemi identici, N1 sono nello stato 1, N 2 nello stato 2 P1 P2 N1 N N2 N non so dove: simile al caso classico: N1 , N 2 P1 , P2 stato misto. Quantisticamente può succedere che un sistema Classicamente il sistema sta in un solo punto abbia una certa probabilità di trovarsi in uno e dello spazio delle fasi, anche se non so quale sia. anche nell’altro stato. Quantisticamente un singolo sistema può stare in uno stato misto (anche il singolo fotone può essere non polarizzato). ESEMPIO 2.2.2 – SINGOLO SISTEMA CHE STA IN UNO STATO MISTO Si considerino due sistemi A e B e la loro unione chiamata Universo: U A B . Si ha: HU H A H B . Scegliamo una base O.N.C. nel sistema A e nel sistema B: i A B cosicché una base in U sarà i A B . Con queste apposizioni un qualsiasi stato puro dell’Universo potrà essere espresso come: U vi i A B vi i A B i , i la sommatoria tra parentesi tonde rappresenta un vettore appartenente al sistema A: C A vi i A dove C è una costante introdotta per poter considerare A normalizzato: i 1 . Quindi U C A B . Scriviamo la matrice densità relativa a questo stato puro: 31 U UU C C , AA BB . Il nostro intento è quello di fare una misura solamente sul sistema A. A tale scopo si prenda una osservabile nell’Universo, che agisca solo sul sistema A: FU FA 1B , e se ne calcoli il valor medio rispetto allo stato puro FU U U FU U : TrU FU U . U (2.2.1) Per esprimere quest’ultimo termine, si noti che data in generale un’ossrvabile CU nell’Universo, il suo generico elemento di matrice è individuati da quattro indici: C i , j poiché la base in U è i A B . Si ha quindi TrU CU i, CU i, Ci ,i Ci ,i TrA Dij i , i Dij Ci , j TrB CU B CU è un operatore che agisce sullo spazio A B TrU CU TrATrB CU TrBTrACU . Fatte tali considerazioni, la (2.2.1) diventa: FU TrU FU U TrATrB FU U TrA B FA 1B C C U , AA B AA 1 TrA FA C C TrA FA C C , TrA FA C C , TrA FA A dove A C 2 TrB U B C C AA AA B TrA FA C AA BB 2 B BB AA C , 2 BB AA B C C , AA B BB AA B A Quindi per calcolare il valor medio dell’osservabile FU nello stato U si possono fare i conti solo nel sistema A descrivendo lo stato del sistema tramite la matrice densità (2.2.2), la quale 2 rappresenta uno stato misto (miscela di stati pesati con le probabilità C . Verifichiamo che l’espressione (2.2.2) soddisfi le proprietà di una generica matrice densità: - A è hermitiano. (Si ricordi AB B A ) - Tr A C base C 2 2 base base 2 A base base A C 1 , A base C 2 A infatti: U 1 C C A - AA A A AB B C C A 0 . Scrivendo il generico stato A A C 2 B (2.2.2) , B TrA FA C C , BB . C C , AA AA 1. nella base del sistema A: 32 A i i si ottiene: A i A A A i 2 i C 2 A i 2 i 2 C 2 i A A AA i i C 2 A i 2 A i AA i A 0 i In definitiva abbiamo visto che il singolo sistema A si trova in uno stato puro visto dall’Universo, mentre è in uno stato misto visto da A stesso. ______________________ ESEMPIO 2.2.3 Consideriamo un sistema composto da un elettrone e un protone. Poniamo l’attenzione sullo spazio di Hilbert che riguarda lo spin del sistema. Se protone ed elettrone si trovano in singoletto di spin, lo stato che descrive lo spin totale del sistema è: 1 e p e p S tot 0 . 2 Se si vuole misurare solamente lo spin dell’elettrone in tale stato (come nell’esempio precedente in cui si voleva fare solamente una misura sul sistema A), il valor medio di un’osservabile che agisce sul sistema dell’elettrone nello stato è dato dalla traccia nello spazio dell’elettrone dell’osservabile moltiplicata per la matrice densità del sistema dell’elettrone. Tale matrice densità a sua volta è espressa tramite la traccia nello spazio del protone della matrice densità dello stato puro : e Trp 1 2 i , 1 2 i , p p i i Trp e 1 2 e e p pe e p p e p e p e e p p p p e p i e p p e pe p e pe p i p 1 1 1 1 0 e e e e i e e i 2 2 i , 2 0 1 nell’ultimo passaggio si è usata la completezza della base dello spazio dello spin dell’elettrone. Il risultato mostra come l’elettrone sia completamente non polarizzato. Si ha sempre il 50% di probabilità di trovare l’elettrone con spin su o spin giù, qualunque sia la direzione lungo la quale cerco di misurare lo spin (la matrice identità tratta tutti gli operatori e tutte le direzioni allo stesso modo). ____________________ 2.3 – POSTULATO DELLA RIDUZIONE DELLA FUNZIONE D’ONDA Almeno idealmente esistono delle misure dette di prima specie, cioè che soddisfano le seguenti proprietà: se si esegue una misura su un’osservabile fisica A e si trova come risultato l’autovalore a, allora immediatamente dopo la misura lo stato che rappresenta il sistema cade nell’autospazio appartenente all’autovalore a (in uno degli autostati appartenenti ad a): se prima della misura il sistema è rappresentato dallo stato puro , dopo la misura il sistema cade 33 in ' Pa Pa dove Pa è il proiettore sull’autospazio di a. Se dopo questa prima misura se ne fa un’altra uguale, si ritrova con certezza lo stesso risultato a. Quando il sistema si trova in uno stato misto ed è descritto dalla matrice densità w , dopo aver effettuato la misura cadrà in uno stato rappresentato dalla matrice densità w Pa Pa ' (il denominatore serve a garantire Tr ' 1 ) Tr w Pa Pa Pa Pa ' Tr Pa Pa ' è ancora una matrice densità, infatti è hermitiano, ha traccia uguale ad uno e ' ' 0 perché non ha autovalori negativi. Tr Pa Pa Se l’autovalore a è degenere, in non so in quale in stato dell’autospazio è caduto il sistema. Se si vuole mandare il sistema in un autostato degenere ben preciso, si prende uno SCOC A, B,… (con autovalori a, b,…): a , b,... individua un unico stato se il sistema di osservabili è completo, non c’è ' degenerazione. Dopo aver effettuato tutte le misure contemporaneamente (le misure di tutte le osservabili) il sistema cadrà in uno stato descritto dalla matrice densità a, b,... a, b,... a, b,... a, b,... . ' Tr numeratore poiché a, b,... a, b,... e Tr numeratore sono due numeri, si ha ' numero a, b,... a, b,... a, b,... a, b,... dove la quantità numero è posta uguale ad 1 perché la traccia di ' deve essere 1. La nuova matrice densità rappresenta uno stato puro. Concludiamo quindi che attraverso la misura di un sistema completo di osservabili il sistema viene fatto cadere in uno stato puro. PARADOSSO DI EINSTEIN, PODOLSKI, ROSEN (fine anni ’30) Si consideri una particella che decade in due particelle: un elettrone e un positrone che si allontanano nella direzione opposta nello stato di singoletto di spin: 1 e p e p (ovviamente ci sarà anche uno stato che descrive la parte orbitale). 2 A . e B . p Supponiamo che in B qualcuno misuri lo spin del positrone. Egli avrà 50% di probabilità di trovare spin su e 50% di trovare spin giù. Supponiamo che fatta una specifica misura, lui trovi come 34 risultato spin su: p . Immediatamente dopo la misura noi dobbiamo avere come stato complessivo del sistema e p perché il sistema positrone viene proiettato nell’autostato appartenente all’autovalore misurato. Ne consegue che l’elettrone diventa polarizzato, Einstein dice che questo esempio viola la causalità perché c’è un’azione immediata a distanza. Violazione causalità: quando viene trasmessa un’informazione da un punto a un altro dello spazio ad una velocità maggiore di quella della luce. In realtà non c’è violazione. Se in A si effettua una misura prima che qualcuno la effettui in B, si ha il 50% di probabilità di trovare spin su o giù. Dopo che in B è stata fatta la misura, con risultato spin su, in A si trova spin giù, ma successivamente si ritroverà su,giù,su,giù,etc… con il 50% di probabilità. Se in B si continuano ad effettuare misure, si ha il 50% di probabilità per entrambi i risultati, poiché tali misure vengono effettuate su sistemi identici (ma non sullo stesso sistema) visto che stiamo parlando di probabilità. Quindi, mentre in B si continua a misurare, in A è vero che si trova l’elettrone polarizzato (con spin su o giù a seconda del risultato in B) ma in A non ci si accorge di nulla, non ci si accorge del fatto che in B si stanno facendo misure perché ivi la probabilità è del 50%. In altre parole una misura in B polarizza l’elettrone (spin su o giù), ma lo polarizza con probabilità del 50% in A non ci si accorge di nulla perché la probabilità di ogni misura rimane comunque la stessa (50%) non c’è passaggio d’informazione da B ad A. ______________________ Quindi, tornando al discorso della pagina precedente, in linea di principio è possibile ottenere stati puri. Per sapere come un sistema evolve nel tempo, bisogna conoscere la dinamica del sistema. 2.4 – POSTULATO DELL’EVOLUZIONE TEMPORALE Dato un sistema, conosciamo la sua Hamiltoniana. Essa è un’osservabile fisica, un operatore autoaggiunto con spettro limitato inferiormente (altrimenti non me ne faccio nulla) discreto o continuo o entrambi. Vogliamo discutere l’evoluzione temporale dei valori di aspettazione A calcolati nello stato puro . Il postulato dell’evoluzione temporale dice: d A AH t HA t Tr AH Tr HA (2.3.0) dt (matrice densità dello stato puro) [Ricordando l’equazione di evoluzione temporale per gli operatori in rappresentazione di Heisenberg: d i AH AH , H AH H HAH dt d i AH AH , H AH H HAH dt in questo caso è l’operatore a dipendere dal tempo AH AH t ] d i A Tr AH Tr HA non dipende dalla rappresentazione scelta (Heisenberg, dt Schrodinger, interazione (Dirac)), perché non abbiamo detto chi evolve nel tempo, se evolve o evolve A. Se lo diciamo passiamo ad una specifica rappresentazione. Nel caso sia lo stato a dipendere dal tempo si ha la rappresentazione di Schrodinger: d i t S H t S dt i 35 i d t S t H dt S d d d t AS t S i t AS t S S t AS i t S S dt dt dt S t HAS t S S t AS H t S i S si ritrova così il risultato (2.3.0). Se sono in uno stato stazionario tutti i valori medi rimangono costanti. I vettori (gli stati) non i Et rimangono gli stessi perché c’è una fase dipendente dal tempo ( x, t e x ), ma questa fase non conta nulla (non è una fase relativa, manda lo stato in uno proporzionale a se stesso). Se A è una costante del moto: [A,H]=0. Anche le probabilità di trovare un dato autovalore rimangono costanti perché sono ottenute prendendo i valori medi dei proiettori. Se lo stato non è stazionario: 0 ci Ei è un’operazione lecita perché l’Hamiltoniana H, in quanto osservabile, ammette i un sistema O.N.C.. Se poi diamo dipendenza temporale a tale stato: t S e i Ht 0 S ci e i Ei t Ei i nascono delle fasi relative tra i vari vettori. Queste fasi relative (diverse tra loro per la presenza degli Ei), col passare del tempo cambiano il modo in cui si combinano linearmente i vettori base per dare lo stato. Col passare del tempo, non si ha più come prima, un vettore proporzionale a se stesso. _________________________________ 36