Ortopedia 16/10/2007 Prof. Gasparini 11.30-13.00 Fisiopatologia delle diartrosi L’artrosi si può definire come una artropatia degenerativa in cui evidenziamo da un punto di vista anatomopatologico delle alterazioni di tipo regressivo della cartilagine articolare cui si accompagnano secondariamente delle modificazioni di tutte le altre componenti articolari: membrana sinoviale, liquido sinoviale, osso epifisario, legamenti e capsula articolare. Ribadendo i concetti, l’artrosi primitivamente è una malattia degenerativa cronica della cartilagine articolare. L’aspetto infiammatorio è secondario alle alterazioni degenerative le quali con meccanismi di tipo biochimico o meccanico alterano la funzione delle articolazioni e generano una condizione di flogosi. Al contrario l’artrite è una patologia infiammatoria infettiva o reumatica. Stiamo parlando delle diartrosi che sono quelle articolazioni fornite di membrana sinoviale le cui superfici articolari sono rivestite da cartilagine ialina con uno spazio virtuale interposto all’interno del quale troviamo il liquido sinoviale che funge da lubrificante e da fonte nutrizionale e che è prodotto dalle cellule della membrana sinoviale (sinoviociti) costituita da cellule di tipo secretorio e cellule di tipo macrofagico. Questo liquido sinoviale entra nella cartilagine e fuoriesce da essa attraverso un meccanismo a pompa provocato dal movimento articolare che comprime e decomprime e quindi permette la nutrizione della cartilagine. Da un punto di vista epidemiologico l’artrosi è una delle affezioni più frequenti, colpisce più frequentemente il sesso femminile, ad un’età superiore ai 40 anni ed interessa una sola articolazione o più articolazioni (in numero limitato) man mano che l’età avanza. Le articolazioni più colpite sono quelle dell’anca e del ginocchio. Per quanto riguarda la colonna vertebrale le diartrosi sono le articolazioni interapofisarie, mentre tra i corpi vertebrali troviamo false articolazioni che vanno incontro a patologie degenerative che assomigliano all’artrosi come la discopatia degenerativa cronica (spondilosi). Ovviamente l’artrosi delle articolazioni interapofisarie o posteriori può essere accompagnata o può seguire una spondilosi. Possibile è anche il coinvolgimento delle articolazioni interfalangee, in particolare quelle della mano e quelle distali, e dell’articolazione trapezio-metacarpica del pollice. E’ ovvio che forme secondarie di artrosi possono manifestarsi in qualsiasi articolazione, anche in più distretti, e persino in età giovanile. Classifichiamo, quindi, le artrosi in primitive per le quali non è noto il meccanismo eziologico, anche se sono stati individuati dei fattori generali, e in secondarie per le quali esistono fattori locali specifici che fungono da elemento eziologico e che con meccanismo patogenetico comune alle artrosi primaria determinano tutta la sequenza di alterazioni anatomo-patologiche. I fattori eziologici individuabili nell’artrosi primitiva sono: L’invecchiamento che determina un inevitabile deterioramento delle capacità funzionali e metaboliche del tessuto articolare. La familiarità che determina una maggiore incidenza in alcune famiglie o in alcune etnie. Tuttavia nessun gene responsabile è stato individuato fino ad oggi. Il peso nel senso di sovrappeso e quindi di sovraccarico funzionale anche se una obesità conclamata così come il sovraccarico dovuto ad alcune attività lavorative o sportive determinano una artrosi secondaria piuttosto che primitiva. I fattori ormonali potrebbero essere chiamati in causa per la maggiore incidenza nel sesso femminile. I fattori vascolari in quanto una ridotta vascolarizzazione determinerebbe una ridotta produzione di liquido sinoviale. Per quanto riguarda le artrosi secondarie individuiamo le seguenti cause: Cause meccaniche: se per esempio abbiamo una deviazione assiale (per esempio ginocchio valgo o varo) o una malformazione, vediamo come su quella articolazione una parte della stessa risulterà sovraccaricata e un’altra parte no. Questa incongruenza determina una usura accelerata per contatti anomali tra superfici non geometricamente corrispondenti. Artrosi post-traumatica: un danno della cartilagine epifisaria, anche se non accompagnata dalla frattura dell’osso sottostante, rende la stessa cartilagine abrasiva e questa a sua volta abrade la cartilagine sottostante. In assenza di lesioni di continuo della cartilagine articolare, il danno metabolico che può derivare dal trauma può rendere i condrociti incapaci di svolgere le loro funzioni all’interno del tessuto e ciò porta ad un’artrosi secondaria. Infezioni: determinano un danno biochimico diretto nella sua componente cellulare e strutturale (matrice) a causa di tutte quelle sostanze liberate a livello articolare per la presenza di agenti infettivi. Le artriti reumatiche, nelle fasi finali, quando il processo flogistico tende a cronicizzare e poi a spegnersi, possono determinare una artrosi secondaria. Artropatie varie (gotta, alcaptonuria, ecc...) che con meccanismo patogenetico che riguarda alcune vie metaboliche vanno ad incidere negativamente sulla fisiologia della cartilagine articolare e da lì si innesca il danno dell’intera articolazione. Il meccanismo patogenetico comune è di tipo enzimatico: il condrocita quando viene danneggiato da una qualsiasi causa va incontro ad una perdita della sua capacità metabolica, ad una alterazione del suo metabolismo, ad una necrobiosi e infine alla necrosi. Già nella fase di necrobiosi non produce più proteoglicani e collagene che costituiscono la matrice, attività con la quale permette il turnover della stessa matrice. Successivamente gli organuli del condrocita smettono di funzionare e la cellula rilascia enzimi lisosomiali e citochine come l’IL1 che stimola le cellule sinoviali a produrre enzimi lisosomiali e catepsine, i quali danneggiano i condrociti e digeriscono la matrice. Da un punto di vista anatomo-patologico abbiamo detto che i condrociti passano da uno stato di necrobiosi ad uno di necrosi, i proteoglicani posseggono una minore capacità di trattenere l’acqua per cui la matrice perde le sue capacità meccaniche e le fibre collagene si fanno più rade, frammentate e di minor calibro e non raggruppate a costituire la arcate di Beningoff che da verticali, partendo dallo strato basale, si fanno parallele via via che ci avviciniamo alla superficie. Passando dal micro al macroscopico vediamo una cartilagine opaca invece che biancoazzurrognola, di consistenza molle. Nelle fasi successive notiamo delle abrasioni superficiali che diventano fessure sempre più profonde. Più si approfondiscono, più è probabile che si stacchino delle scaglie di tessuto cartilagineo in modo da generare dei crateri che si allargano, confluiscono tra loro e determinano la formazione di ulcere con perdita di sostanza che per sfaldamento successivo arrivano a scoprire l’osso subcondrale. Le superfici epifisarie che mostreranno l’osso subcondrale si definiscono superfici molate in quanto si danneggiano vicendevolmente. A questo punto è chiaro come tutte le strutture articolari sono coinvolte in questo processo patologico dato che abbiamo il coinvolgimento dell’osso subcondrale con la sclerosi, gli osteofiti e i geodi, che sono delle cisti da riassorbimento o forse da penetrazione di liquido sinoviale attraverso microfratture dell’osso. Contemporaneamente la capsula articolare, la membrana sinoviale e la componente legamentosa sono interessati da alterazioni di tipo flogistico prima e regressivo successivamente per cui si ispessiscono e vanno incontro a fibrosi e ciò determina una riduzione del movimento. L’osteofita è una estroflessione della struttura ossea che si crea per compensare da un punto di vista meccanico la situazione di artrosi dell’articolazione e quindi per aumentare le superfici di appoggio. Da un punto di vista clinico le artrosi si presentano con dolore dovuto all’azione degli enzimi implicati nel meccanismo patogenetico dell’artrosi che determinano una flogosi delle membrane sinoviali riccamente innervate. Può dipendere anche da un ingorgo venoso a livello dell’osso sub condrale. La componente flogistica determina un aumento del liquido sinoviale per produzione di essudato (questo versamento endoarticolare viene chiamato idrartro) e quindi un aumento delle dimensioni delle articolazioni insieme all’ipertrofia della membrana sinoviale che interviene successivamente. Avremo inoltre una progressiva limitazione funzionale dell’articolazione che all’inizio è su base antalgica, dopo dipenderà da impedimenti meccanici (alterata geometria della superficie articolare, l’alterazione fibrotica dei legamenti e della capsula articolare, l’ingombro dovuto al liquido endoarticolare e infine una ipotrofia muscolare). Nelle fasi più tardive si può arrivare all’anchilosi, ovverosia alla rigidità completa e la deformità articolare. La diagnosi clinica verrà confermata da una diagnosi strumentale che si avvale essenzialmente della radiografia standard eseguita in due proiezioni. Notiamo innanzitutto una riduzione della rima articolare e cioè di quella distanza esistente tra i due capi articolari fino scomparire completamente nelle fasi terminali. Quando comincia ad essere esposto l’osso subcondrale si verificano reazioni che ne deformano la superficie per cui sulla radiografia non vediamo le ulcere o l’osso scoperto ma le irregolarità della superficie articolare. Vedremo l’addensamento dell’osso subcondrale (sclerosi) che è un tentativo dell’osso di assolvere alla funzione della cartilagine oramai distrutta. Laddove il carico sull’articolazione non c’è più perché l’articolazione è fuori asse, l’osso diviene più rarefatto e il quadro radiografico è quello di una osteoporosi da disuso. Vedremo infine osteofiti e geodi. Il trattamento è tale per cui ad oggi l’artrosi non riconosce una terapia causale per cui quello che possiamo fare è trattare i sintomi nelle fasi acute: riposo funzionale per ridurre il carico sull’articolazione e terapia medica con FANS. Nel frattempo possiamo consigliare al paziente di modificare le proprie abitudini di vita in modo da perdere peso. Ad un certo punto insorgerà una limitazione funzionale per cui dobbiamo inserire una terapia con mezzi fisici o fisioterapia. Distinguiamo due grossi ambiti della fisioterapia: la terapia riabilitativa che si utilizza solo quando non c’è flogosi acuta e quando abbiamo l’esigenza di recuperare una funzione che si sta perdendo; terapie con mezzi fisici (campi magnetici, calore, correnti) somministrati con lo scopo di ridurre la flogosi in particolar modo nelle fasi acute. Con questi presidi si riesce in alcuni casi ad ottenere risultati soddisfacenti che possono durare anche per decenni. Quando questo non è più possibile si deve ricorrere ad un trattamento chirurgico che varia a seconda dell’articolazione che dobbiamo trattare. Se l’artrosi è secondaria, possiamo correggerne la causa per cui si interviene, nel caso per esempio di un ginocchio varo, con una osteotomia correttiva della tibia e ciò va fatto il prima possibile (anche nel giovane se i primi sintomi cominciano in questa fase). Eseguito tempestivamente questo tipo di intervento permette di bloccare l’evoluzione dell’artrosi in modo definitivo. Invece quando l’articolazione è ormai distrutta si interviene con le artroprotesi essenzialmente dell’anca e del ginocchio ma anche della spalla e del gomito. Larosa luigi