QUEI LIMITI ETICI E CULTURALI DEL CAPITALISMO FAMILISTICO Il Caso Parmalat, oltre ai problemi etici e giudiziari del tutto evidenti e a quelli politici già ben evidenziati nell’articolo di A. M. Furlan (Conquiste del lavoro del 13 gennaio), ne solleva altri, gravi ed urgenti, sul versante della Democrazia Economica. I recenti dissesti finanziari di alcuni importanti gruppi industriali del nostro paese (Parmalat, Cirio) hanno una prerogativa che li contraddistingue da quelli pure gravi avvenuti in altri paesi europei (France Telecom e Vivendi e compagnie aeree di bandiera europee). Innanzi tutto perché sono originati da scorrettezza dei comportamenti più che da errori imprenditoriali o da crisi settoriali, il che li rende più simili alla Enron. Inoltre, investono imprese operanti in posizioni di leaderschip in comparti quali quello alimentare poco sensibili al ciclo economico e non toccati da crisi strutturali significative. Ne deriva la considerazione che l'obiettivo di far crescere imprese industriali di respiro internazionale mal si concilia con quello di mantenerne il controllo assoluto nell'ambito familiare. In assenza di patrimoni di partenza molto rilevanti o di idee di business rivoluzionarie, l’imprenditore è tentato, mano a mano che il businnes cresce, di ricorrere al mercato finanziario come ad una sorta di " casinò" in cui puntare i soldi presi a prestito per costruirsi il patrimonio necessario a mantenere il controllo societario della propria originaria ditta. E’ necessario far evolvere verso una maturità globale il nostro capitalismo. Ma ciò implica ben altre politiche e, soprattutto, la formazione di una nuova classe dirigente economica ed industriale (e sindacale!) non provinciale, problema che le privatizzazioni non hanno risolto, ma che troverà a breve banchi di prova inesorabili a cominciare dall’Alitalia. Nell’attesa è necessario concentrarsi sul sistema di governance (controlli istituzionali sui mercati finanziari e 1 societari interni alle società quotate) per prevenire il ripetersi di analoghi disastri. Nel passato il mercato finanziario si contraddistingueva per una separazione dei prodotti, bancario, assicurativo, immobiliare. Oggi lo sviluppo dei mercati finanziari, a livello mondiale , cambia in modo radicale la natura di taluni soggetti di intermediazione finanziaria (banche) rendendoli soggetti polifunzionali (gestione del risparmio e attività di negoziazione di prodotti finanziari sul mercato, intervento diretto nella proprietà e, dunque, nei destini di molteplici attività produttive). Questa evoluzione rende inadeguato il vecchio sistema di controllo dei mercati finanziari fondato sui confini nazionali e sui controlli settoriali. Il sistema italiano di regolazione è un sistema ibrido dove elementi di modernità ( vigilanza per finalità ) coesistono con elementi tradizionali (vigilanza per settori). Il sistema europeo è privato, a causa del persistere di nazionalismi duri a morire, di efficaci autorità. Sicché, mentre la finanza gira libera per il mondo, i controlli si fermano ai confini geografici! Approfittando della crisi Parmalat il ministro dell’economia ha presentato una prima proposta che trasforma l'attuale Consob in un nuovo organismo chiamato "Autorità per la tutela del risparmio ". La nuova Authority , che si ispira alla potente FSA inglese, incorpora le funzione e il personale della Consob , la vigilanza sul funzionamento dei mercati svolta dalla Banca d'Italia. Il modello del " regolatore unico " contenuto nella proposta del governo ha il vantaggio di consentire maggiori economie di scala nelle attività di supervisione, prevenendo le difficoltà di coordinamento tra più autorità . Il rischio è però che una eccessiva concentrazione di poteri in un unico nuovo soggetto solleciti le ingerenze della politica. Questo condizionerebbe l'autonomia e l'indipendenza della nuova Authority. La polemica di Tremonti contro Fazio interviene esattamente su questo punto e non c’è dubbio, per noi, che vada difesa la autonomia e la 2 indipendenza di tutti gli organi di controllo, a partire da Banca d’Italia. Negli ultimi giorni, dopo il dibattito bipartisan dell’Aspen I., si è fatta strada una altra via di riforma. Quella, già in parte delineata nel Testo Unico della Finanza, di accorpare i controlli di stabilità nella Banca d'Italia, quelli relativi alla trasparenza nella Consob attribuendo nel contempo all'Antitrust tutte le competenze in materia di concorrenza. Andrebbero poi aumentati i poteri di intervento e sanzionatori delle Autorità. Strettamente legata alla prima è l'efficacia dei controlli societari e quindi del modello di "corporate governance". E' evidente che i casi Cirio e Parmalat testimoniano il fallimento dei controlli interni alle SPA di tutti gli organismi societari: Il Consiglio di Amministrazione, i consiglieri indipendenti, il Collegio Sindacale, le Società di Revisione. Va, in proposito sollevata, con forza, una questione: tutti questi organismi sono nominati, per il nostro ordinamento, dalla proprietà, se non addirittura dall’azionista di maggioranza: Alla antica e cruciale domanda:; “chi controlla i controllori?”, il diritto societario italiano fornisce una risposta straordinaria…i controllati! In definitiva dunque quello che gli scandali Cirio e Parmalat mettono in discussione è il caso di aziende caratterizzate da un assoluta preponderanza dell'azionista di maggioranza. Questo strapotere non è stato equilibrato né dal Codice Preda del 99, né dall'attuale riforma Vietti del Diritto societario. La Riforma Vietti, inoltre, ha depenalizzato il reato di falso in bilancio. Giustamente è stato osservato che con le norme attuali i manager di Collecchio rischiano per questo reato al massimo una sanzione di 10mila Euro (meno di un mese di stipendio per molti di loro che hanno “distratto” ben un punto di Pil!). Il Caso Parmalat espone quindi con crudezza non solo le debolezze dei sistemi di controllo istituzionali dei mercati finanziari presenti in Europa e nel nostro paese, ma anche i limiti 3 culturali ed etici di un capitalismo famigliare in crescita, ma non ancora maturo. Pier Paolo Baretta Roma 19 gennaio ’04 4