Paolo VI denunciò «una falsa e abusiva interpretazione del Concilio

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PAOLO VI, GIOVANNI PAOLO II
E L’ERMENEUTICA DELLA CONTINUITÀ
d. CURZIO NITOGLIA
9 febbraio 2011
http://www.doncurzionitoglia.com/paolovi_gpii_ermeneutica_continu.htm
PAOLO VI
● PAOLO VI denunciò «una falsa e abusiva interpretazione del Concilio, che vorrebbe una
rottura con la Tradizione, anche dottrinale, giungendo al ripudio della Chiesa preconciliare, e alla licenza di concepire una Chiesa “nuova”, quasi “reinventata”
dall’interno, nella costituzione, nel dogma, nel costume, nel diritto» (Dichiarazione
conciliare del ‘6 marzo 1964’, ripetuta il ‘16 novembre 1964’). Sempre PAOLO VI, nel
settembre-ottobre del 1964, durante il periodo “buio” - come lo chiamano i novatori - in
cui l’offensiva del Coetus Internationalis Patrum e dei cardinali più antimodernisti della
Curia romana si fece sentire più fortemente, disse che la collegialità doveva essere letta
“in connessione con il Concilio Vaticano I” (il quale invece è l’apoteosi del Primato
monarchico del Papa e dunque l’esatto opposto della collegialità episcopale), del quale
il Vaticano II è “la continuazione logica”. Inoltre ancora PAOLO VI in quest’ottica della
continuità il ‘18 novembre 1965’ informò il Concilio che «sarebbe stata introdotta la
causa di beatificazione di Pio XII e Giovanni XXIII». Jan Grooaters ci spiega che «una
delle maggiori preoccupazioni» PAOLO VI «fu la preparazione dei fedeli, ma soprattutto
dei preti, alla ricezione del Concilio: più degli altri, egli aveva già allora compreso che il
destino del Vaticano II si sarebbe giocato negli sviluppi post-conciliari. […]. Dalla
necessità di riformare la Curia romana, di convertirla in qualche modo al Concilio, ma
nello stesso tempo di rassicurarla… […]. Gli toccò a volte svolgere un compito di
sentinella, tenendo, in alcune circostanze, rapporti più stretti con l’opinione pubblica
della Chiesa che con il Concilio e la Curia […] per assicurare il più possibile la continuità
richiesta dal post-concilio. […]. Prevedendo le future cause di tensione, PAOLO VI volle
dare all’attuazione del rinnovamento un ritmo per quanto possibile Uniforme, esortando
i ritardatari ad affrettare il passo e moderando l’impazienza di chi voleva troppo
precorre i tempi. […]. Il Papa appariva preoccupato di fare qualche concessione alla
corrente minoritaria [anti-modernista], per ottenere nella votazione finale un risultato
il più possibile vicino all’unanimità morale. […]. All’inizio del quarto ed ultimo periodo
del Concilio (‘settembre del 1965’), si avvertì che l’azione del Papa aveva assunto un
carattere più direttivo, parallelamente all’indebolirsi della leadership della corrente
maggioritaria. Si disse allora che “gli eroi erano stanchi” e che i vescovi desideravano
tornarsene a casa. […]. Si deve a PAOLO VI il merito di aver agito in senso “più
progressista” di quanto facesse la maggioranza dei vescovi dell’assemblea conciliare.
[…]. Bisogna riconoscere che uno dei meriti principali di PAOLO VI nei confronti del
Vaticano II consistette nel preparare le condizioni per una sua attuazione che si
prolungasse nel tempo e che fosse quindi conciliabile con il contesto e gli usi di tutta la
Chiesa. In conclusione, PAOLO VI sembra che abbia soprattutto cercato di tradurre
l’evento conciliare in istituzioni». PAOLO VI nel Discorso al Sacro Collegio dei Cardinali
del ‘23 giugno 1972’ denunciò «una falsa e abusiva interpretazione del Concilio, che
vorrebbe una rottura con la Tradizione, anche dottrinale, giungendo al ripudio della
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Chiesa pre-conciliare, e alla licenza di concepire una Chiesa “nuova”, quasi
“reinventata” dall’interno, nella costituzione, nel dogma, nel costume, nel diritto».
GIOVANNI PAOLO II
● Un anno dopo la sua elezione, nel suo viaggio apostolico in Messico compiuto a cavallo
tra il gennaio-febbraio del 1979, durante la Conferenza dell’Episcopato LatinoAmericano a Puebla, GIOVANNI PAOLO II parlò del Concilio, durante l’omelia tenuta il 26
gennaio nella cattedrale di Città del Messico. Egli sottolineò l’importanza di studiare i
Documenti del Concilio Vaticano II, affermò che in essi non si trova «come pretendono
alcuni una “nuova Chiesa”, diversa od opposta alla “vecchia Chiesa”. […]. Non
sarebbero fedeli, in questo senso, coloro che rimanessero troppo attaccati ad aspetti
accidentali della Chiesa, validi nel passato ma oggi superati. Così come non sarebbero
neppure fedeli coloro che, in nome di un profetismo poco illuminato, si gettassero
all’avventurosa e utopica costruzione di una “nuova Chiesa” cosiddetta “del futuro”,
disincarnata da quella presente». Nella sua visita pastorale in Belgio 18 maggio 1985
specifica che alcuni il Concilio «lo hanno studiato male, male interpretato, male
applicato», causando «qua o là scompiglio, divisioni». Nel Sinodo Straordinario del
novembre-dicembre 1985 Giovanni Paolo II ha affermato: «Il Concilio deve essere
compreso in continuità con la grande Tradizione della Chiesa […]. La Chiesa è la
medesima in tutti i Concili (Ecclesia ipsa et eadem est in omnibus Conciliis)». Nel suo
libro-intervista con Vittorio Messori Varcare le soglie della speranza del 1994 (Milano,
Mondadori) a pagina 171 scrive che occorre «parlare del Concilio, per interpretarlo in
modo adeguato e difenderlo dalle interpretazioni tendenziose». Poi durante il Giubileo
del 2000 ritorna sul tema e precisa la necessità di superare «interpretazioni prevenute e
parziali che hanno impedito di esprimere al meglio la novità del magistero conciliare».
Quindi esplicita che «l’insegnamento del Vaticano II, deve essere inserito organicamente
nell’intero Deposito della Fede, e quindi integrato con l’insegnamento di tutti i
precedenti Concili e Insegnamenti pontifici».
Due prelati “periti conciliari” progressisti in odore di continuità postconcilare
●Il card FRANZ KÖNIG già fin dal ‘4 luglio del 1965’, durante un pellegrinaggio a Mariazell,
denunciò «i due atteggiamenti sbagliati di fronte al rinnovamento della Chiesa: quello di
coloro che con il pretesto del rinnovamento mettevano in pericolo la sostanza stessa del
patrimonio della fede, e quello di coloro che minacciavano il rinnovamento della Chiesa
rifiutando di ammettere che essa è un organismo che va sviluppandosi, e non un pezzo
da museo». Addirittura il 1° settembre 1966 di fronte ad intempestive iniziative
liturgiche König pubblicò sul suo giornale diocesano una diffida contro gli abusi liturgici,
richiamandosi al Concilio di Trento e alla Messa di S. Pio V, cfr. Documentation
catholique, n° 63, 1966, pp. 1725-1726. Qualche mese prima in una conferenza fatta
sempre a Costanza König aveva paragonato il rinnovamento conciliare al movimento del
mare in cui l’onda presenta un flusso e un riflusso, così all’attuale fase conciliare della
storia della Chiesa sarebbe succeduta un’altra fase, la quale - attenzione - non
annullerà la prima ma la consoliderà.
●«Monsignor CARLO COLOMBO si preoccupò innanzitutto dei vescovi che parevano più
angosciati dal pericolo di un allontanamento dalla Tradizione, e per questo avrebbe
partecipato ad incontri con rappresentanti dell’ala tradizionalista dell’assise
conciliare». Quel che stupisce non è la tattica tipica dei modernisti di innovare
realmente e nello stesso tempo di affermare verbalmente che tutto è rimasto
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sostanzialmente come prima, ma è l’ingenuità con cui, ancora oggi, alcuni “tradiecumenisti” o “teo-tradi” credono alle buone intenzioni di Benedetto XVI nel colloquiare
con gli antimodernisti dopo cinquanta anni di inganni e promesse non mantenute. JAN
GROOTAERS, professore di ‘Scienze religiose’ all’Università di Lovanio, ci informa che la
figura di Carlo Colombo era discreta anzi «addirittura schiva [e] fu poco conosciuta dal
grande pubblico del Concilio. Essa nascondeva però una fortissima personalità, la cui
propensione alla riservatezza andò ulteriormente aumentando quando da consigliere e
amico di monsignor Montini divenne improvvisamente, nel 1963, il “teologo personale” –
e sotto certi aspetti clandestino – di Paolo VI. Un aspetto di questa “clandestinità”
consisteva, ad esempio, nel fatto che mons. Colombo, diversamente dai consiglieri di
Curia, veniva ricevuto al di fuori delle udienze ufficiali e senza alcuna forma di
pubblicità». La sua teologia era caratterizzata da un forte orientamento ecumenista, da
un’ecclesiologia aperta alla collegialità episcopale, egli era nettamente contrario alla
scuola romana di teologia e guardava al nord-Europa, ossia alla nouvelle théologie.
Durante il Pontificato montiniano divenne ufficiosamente “centrista” o “estremista di
centro” (J. Grooaters), vale a dire anticipò la dottrina dell’ermeneutica della
continuità, che è vecchia quanto Paolo VI.
Conclusione
Come si vede “l’ermeneutica della continuità” è vecchia come il Concilio al quale il
giovane teologo Joseph Ratzinger ha partecipato come perito del card. Frings in maniera
del tutto innovativa, basti pensare che lui stesso ha ammesso di aver collaborato alla
stesura del discorso di Frings per quanto riguarda ‘le fonti della Rivelazione’, Frings
sostenne la teoria dell’unica fonte, la quale fu votata a maggioranza il 20 novembre
1962, circa un mese dopo l’inizio del Vaticano II (11 ottobre 1962), con essa il porporato
tedesco respinse come inadeguato lo schema preparatorio del S. Uffizio sulle ‘Fonti della
Rivelazione’, che riprendendo le definizioni dogmatiche, irreformabili e infallibili di
Trento (sess. IV, DB 783) e del Vaticano I (DB 1787) ammetteva la Tradizione e la S.
Scrittura come le due Fonti della Rivelazione, invece Frings parlava - come Lutero - di
“sola Scriptura”. Per ‘la collegialità episcopale’ «efficacissimo fu l’intervento del card.
Frings, per il quale è legittimo supporre il contributo del suo teologo Ratzinger. Si
trattò forse del discorso più incisivo dal punto di vista critico, giacché demoliva lo
schema [preparatorio del S. Uffizio]». Storico è lo scontro (8 novembre 1963) che ebbe
Frings con Ottaviani sulla collegialità, che indurrà «Paolo VI a chiedere a Jedin,
Ratzinger e ad Onclin alcuni pareri sulla riforma della Curia».
Caveamus! “Normalizzare” dopo aver cambiato è il tipico atteggiamento dei modernisti,
i quali hanno innovato durante il Concilio e dopo hanno detto che tutto è rimasto
sostanzialmente immutato. Sia Montini che Woytjla e Ratzinger, i quali parteciparono
come vescovi i primi due e come semplice perito il terzo, hanno introdotto, durante
l’assise conciliare, le novità dell’unica fonte della Rivelazione, della collegialità
episcopale, della libertà delle false religioni, della proto-riforma liturgica, e poi hanno
detto ma non provato che esse sono in continuità e non in rottura con la Tradizione
apostolica. Recentemente mons. BRUNERO GHERARDINI (Concilio Ecumenico Vaticano II. Un
discorso da fare, Frigento, 2009) ha chiesto a Benedetto XVI di provare l’asserto o di
correggere le novità.
d. CURZIO NITOGLIA
9 febbraio 2011
http://www.doncurzionitoglia.com/paolovi_gpii_ermeneutica_continu.htm
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[1] G. Alberigo, Breve storia del Concilio Vaticano II, Bologna, Il Mulino, 2005, p. 128.
[2] G. Alberigo, Breve storia del Concilio Vaticano II, Bologna, Il Mulino, 2005, p. 148.
[3] J. Grooaters, I protagonisti del Concilio Vaticano II, Cinisello Balsamo, San Paolo, 1994.
[4] Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II, 1979, (gennaio-giugno), Città del Vaticano, LEV, p. 151.
[5] “Discorso all’episcopato belga”, 18 maggio 1985, in “Il Regno Documenti”, Bologna, Edizioni Dehoniane,
XXX, 1985, p. 328.
[6] Sinodo Straordinario Ecclesia sub verbo Dei mysteria Christi celebrans pro salute mundi, Relatio finalis,
in “Enchiridion Vaticanum”, Bologna, Ed. Dehoniane, 9, 1983-1985, nr. 1785, p. 1745.
[7] “Il Regno Documenti”, Bologna, Ed. Dehoniane, XLV, 2000, p. 232.
[8] “Sinodo dell’Arcidiocesi di Cracovia del 1972”, citato in G. Miccoli, In difesa della Fede. La Chiesa di
Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, Milano, Rizzoli, 2007, p. 25. Sul Sinodo di Cracovia del 1972 cfr. B.
Lecomte, Giovanni Paolo II, Roma, La Biblioteca della Repubblica, 2005, pp. 207 ss. e G. Weigel, Testimone
della speranza. La vita di Giovanni Paolo II, Milano, Mondatori, 2005, pp. 252 ss.
[9] Quaranta anni prima del “Discorso di Benedetto XVI alla Curia” del 22 dicembre del 2005, che ha tanto
sorpreso i conservatori per la sua “originalità”, ma che è vecchio quanto il Concilio e gli esponenti ultra
radicali di esso. Onde non si vede quali speranze possa suscitare in ambiente antimodernista tale teoria
dell’ermeneutica della continuità.
[10] J. Grootaers, I protagonisti del Concilio Vaticano II, Cinisello Balsamo, San Paolo, 1994. p. 154. Cfr.
Documentation catholique, n° 62, 1965, pp. 1499-1502.
[11] J. Grootaers, cit., p. 155, nota 27.
[12] J. Grootaers, cit. p. 87, nota 5; cfr. L. Bettazi, Una presenza interessata alle opinioni e al dialogo, in
“Terra ambrosiana”, n° 32, 1991, pp. 17-18.
[13] J. Grootaers, cit. p. 85.
[14] A. S., vol. I, cap. 3, pp. 34-35 e 139.
[15] J. Ratzinger- P. Seewald, Le sel de la terre. Le christianisme et l’Eglise catholique au seuil du IIIme
millénaire, Parigi, Flammarion-Cerf, 1977, p. 72.
[16] G. Alberigo (diretta da), Storia del Concilio Vaticano II. La formazione della coscienza conciliare, ottobre
1962-settembre 1963, Bologna, Il Mulino, 1996, vol. II, p. 361.
[17] H. Jedin, Storia della mia vita, Brescia, 1987, pp. 314-315; J. Ratzinger, Das Konzil auf dem Weg.
Rückblick auf die zweite Sitzungperiode, Köln, 1963-66 (tr. it., 1965-67), 4 voll., pp. 9-12.
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