Paolo VI denunciò «una falsa e abusiva interpretazione del Concilio

PAOLO VI, GIOVANNI PAOLO II E
L’ERMENEUTICA DELLA CONTINUITÀ
PAOLO VI
●PAOLO VI denunciò «una falsa e abusiva interpretazione del
Concilio, che vorrebbe una rottura con la Tradizione, anche
dottrinale, giungendo al ripudio della Chiesa pre-conciliare, e alla
licenza di concepire una Chiesa “nuova”, quasi “reinventata”
dall’interno, nella costituzione, nel dogma, nel costume, nel
diritto» (Dichiarazione conciliare del ‘6 marzo 1964’, ripetuta il
‘16 novembre 1964’). Sempre PAOLO VI, nel settembre-ottobre
del 1964, durante il periodo “buio” - come lo chiamano i novatori
- in cui l’offensiva del Coetus Internationalis Patrum e dei
cardinali più antimodernisti della Curia romana si fece sentire più
fortemente, disse che la collegialità doveva essere letta “in
connessione con il Concilio Vaticano I” (il quale invece è
l’apoteosi del Primato monarchico del Papa e dunque l’esatto
opposto della collegialità episcopale), del quale il Vaticano II è
“la continuazione logica”1. Inoltre ancora PAOLO VI in
quest’ottica della continuità il ‘18 novembre 1965’ informò il
Concilio che «sarebbe stata introdotta la causa di beatificazione di
Pio XII e Giovanni XXIII»2. Jan Grooaters ci spiega che «una
delle maggiori preoccupazioni» PAOLO VI «fu la preparazione dei
fedeli, ma soprattutto dei preti, alla ricezione del Concilio: più
degli altri, egli aveva già allora compreso che il destino del
Vaticano II si sarebbe giocato negli sviluppi post-conciliari. […].
Dalla necessità di riformare la Curia romana, di convertirla in
qualche modo al Concilio, ma nello stesso tempo di
rassicurarla… […]. Gli toccò a volte svolgere un compito di
sentinella, tenendo, in alcune circostanze, rapporti più stretti con
G. ALBERIGO, Breve storia del Concilio Vaticano II, Bologna, Il Mulino,
2005, p. 128.
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G. ALBERIGO, Breve storia del Concilio Vaticano II, Bologna, Il Mulino,
2005, p. 148.
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l’opinione pubblica della Chiesa che con il Concilio e la Curia
[…] per assicurare il più possibile la continuità richiesta dal postconcilio. […]. Prevedendo le future cause di tensione, PAOLO VI
volle dare all’attuazione del rinnovamento un ritmo per quanto
possibile Uniforme, esortando i ritardatari ad affrettare il passo e
moderando l’impazienza di chi voleva troppo precorre i tempi.
[…]. Il Papa appariva preoccupato di fare qualche concessione
alla corrente minoritaria [anti-modernista], per ottenere nella
votazione finale un risultato il più possibile vicino all’unanimità
morale. […]. All’inizio del quarto ed ultimo periodo del Concilio
(‘settembre del 1965’), si avvertì che l’azione del Papa aveva
assunto un carattere più direttivo, parallelamente all’indebolirsi
della leadership della corrente maggioritaria. Si disse allora che
“gli eroi erano stanchi” e che i vescovi desideravano tornarsene a
casa. […]. Si deve a PAOLO VI il merito di aver agito in senso
“più progressista” di quanto facesse la maggioranza dei vescovi
dell’assemblea conciliare. […]. Bisogna riconoscere che uno dei
meriti principali di PAOLO VI nei confronti del Vaticano II
consistette nel preparare le condizioni per una sua attuazione che
si prolungasse nel tempo e che fosse quindi conciliabile con il
contesto e gli usi di tutta la Chiesa. In conclusione, PAOLO VI
sembra che abbia soprattutto cercato di tradurre l’evento
conciliare in istituzioni»3. PAOLO VI nel Discorso al Sacro
Collegio dei Cardinali del ‘23 giugno 1972’ denunciò «una falsa e
abusiva interpretazione del Concilio, che vorrebbe una rottura con
la Tradizione, anche dottrinale, giungendo al ripudio della Chiesa
pre-conciliare, e alla licenza di concepire una Chiesa “nuova”,
quasi “reinventata” dall’interno, nella costituzione, nel dogma, nel
costume, nel diritto».
GIOVANNI PAOLO II
J. GROOATERS, I protagonisti del Concilio Vaticano II, Cinisello
Balsamo, San Paolo, 1994.
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●Un anno dopo la sua elezione, nel suo viaggio apostolico in
Messico compiuto a cavallo tra il gennaio-febbraio del 1979,
durante la Conferenza dell’Episcopato Latino-Americano a
Puebla, GIOVANNI PAOLO II parlò del Concilio, durante l’omelia
tenuta il 26 gennaio nella cattedrale di Città del Messico. Egli
sottolineò l’importanza di studiare i Documenti del Concilio
Vaticano II, affermò che in essi non si trova «come pretendono
alcuni una “nuova Chiesa”, diversa od opposta alla “vecchia
Chiesa”. […]. Non sarebbero fedeli, in questo senso, coloro che
rimanessero troppo attaccati ad aspetti accidentali della Chiesa,
validi nel passato ma oggi superati. Così come non sarebbero
neppure fedeli coloro che, in nome di un profetismo poco
illuminato, si gettassero all’avventurosa e utopica costruzione di
una “nuova Chiesa” cosiddetta “del futuro”, disincarnata da
quella presente»4. Nella sua visita pastorale in Belgio 18 maggio
1985 specifica che alcuni il Concilio «lo hanno studiato male,
male interpretato, male applicato», causando «qua o là scompiglio,
divisioni»5. Nel Sinodo Straordinario del novembre-dicembre
1985 Giovanni Paolo II ha affermato: «Il Concilio deve essere
compreso in continuità con la grande Tradizione della Chiesa
[…]. La Chiesa è la medesima in tutti i Concili (Ecclesia ipsa et
eadem est in omnibus Conciliis)»6. Nel suo libro-intervista con
Vittorio Messori Varcare le soglie della speranza del 1994
(Milano, Mondadori) a pagina 171 scrive che occorre «parlare del
Concilio, per interpretarlo in modo adeguato e difenderlo dalle
interpretazioni tendenziose». Poi durante il Giubileo del 2000
ritorna sul tema e precisa la necessità di superare «interpretazioni
Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II, 1979, (gennaio-giugno), Città del
Vaticano, LEV, p. 151.
5
“Discorso all’episcopato belga”, 18 maggio 1985, in “Il Regno
Documenti”, Bologna, Edizioni Dehoniane, XXX, 1985, p. 328.
6
Sinodo Straordinario Ecclesia sub verbo Dei mysteria Christi celebrans
pro salute mundi, Relatio finalis, in “Enchiridion Vaticanum”, Bologna,
Ed. Dehoniane, 9, 1983-1985, nr. 1785, p. 1745.
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prevenute e parziali che hanno impedito di esprimere al meglio la
novità del magistero conciliare»7. Quindi esplicita che
«l’insegnamento del Vaticano II, deve essere inserito
organicamente nell’intero Deposito della Fede, e quindi integrato
con l’insegnamento di tutti i precedenti Concili e Insegnamenti
pontifici»8.
Due prelati “periti conciliari” progressisti in
odore di continuità postconcilare
●Il card FRANZ KÖNIG già fin dal ‘4 luglio del 1965’9, durante un
pellegrinaggio a Mariazell, denunciò «i due atteggiamenti sbagliati
di fronte al rinnovamento della Chiesa: quello di coloro che con il
pretesto del rinnovamento mettevano in pericolo la sostanza
stessa del patrimonio della fede, e quello di coloro che
minacciavano il rinnovamento della Chiesa rifiutando di
ammettere che essa è un organismo che va sviluppandosi, e non un
pezzo da museo»10. Addirittura il 1° settembre 1966 di fronte ad
intempestive iniziative liturgiche König pubblicò sul suo giornale
diocesano una diffida contro gli abusi liturgici, richiamandosi al
Concilio di Trento e alla Messa di S. Pio V, cfr. Documentation
“Il Regno Documenti”, Bologna, Ed. Dehoniane, XLV, 2000, p. 232.
8
“Sinodo dell’Arcidiocesi di Cracovia del 1972”, citato in G. MICCOLI, In
difesa della Fede. La Chiesa di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI,
Milano, Rizzoli, 2007, p. 25. Sul Sinodo di Cracovia del 1972 cfr. B.
LECOMTE, Giovanni Paolo II, Roma, La Biblioteca della Repubblica,
2005, pp. 207 ss. e G. WEIGEL, Testimone della speranza. La vita di
Giovanni Paolo II, Milano, Mondatori, 2005, pp. 252 ss.
9
Quaranta anni prima del “Discorso di Benedetto XVI alla Curia” del 22
dicembre del 2005, che ha tanto sorpreso i conservatori per la sua
“originalità”, ma che è vecchio quanto il Concilio e gli esponenti ultra
radicali di esso. Onde non si vede quali speranze possa suscitare in
ambiente antimodernista tale teoria dell’ermeneutica della continuità.
10
J. GROOTAERS, I protagonisti del Concilio Vaticano II, Cinisello
Balsamo, San Paolo, 1994. p. 154. Cfr. Documentation catholique, n° 62,
1965, pp. 1499-1502.
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catholique, n° 63, 1966, pp. 1725-1726. Qualche mese prima in
una conferenza fatta sempre a Costanza König aveva paragonato il
rinnovamento conciliare al movimento del mare in cui l’onda
presenta un flusso e un riflusso, così all’attuale fase conciliare
della storia della Chiesa sarebbe succeduta un’altra fase, la quale attenzione - non annullerà la prima ma la consoliderà11.
●«Monsignor CARLO COLOMBO si preoccupò innanzitutto dei
vescovi che parevano più angosciati dal pericolo di un
allontanamento dalla Tradizione, e per questo avrebbe partecipato
ad incontri con rappresentanti dell’ala tradizionalista dell’assise
conciliare»12. Quel che stupisce non è la tattica tipica dei
modernisti di innovare realmente e nello stesso tempo di affermare
verbalmente che tutto è rimasto sostanzialmente come prima, ma è
l’ingenuità con cui, ancora oggi, alcuni “tradi-ecumenisti” o “teotradi” credono alle buone intenzioni di Benedetto XVI nel
colloquiare con gli antimodernisti dopo cinquanta anni di inganni
e promesse non mantenute. JAN GROOTAERS, professore di
‘Scienze religiose’ all’Università di Lovanio, ci informa che la
figura di Carlo Colombo era discreta anzi «addirittura schiva [e] fu
poco conosciuta dal grande pubblico del Concilio. Essa
nascondeva però una fortissima personalità, la cui propensione
alla riservatezza andò ulteriormente aumentando quando da
consigliere e amico di monsignor Montini divenne
improvvisamente, nel 1963, il “teologo personale” – e sotto certi
aspetti clandestino – di Paolo VI. Un aspetto di questa
“clandestinità” consisteva, ad esempio, nel fatto che mons.
Colombo, diversamente dai consiglieri di Curia, veniva ricevuto al
di fuori delle udienze ufficiali e senza alcuna forma di
pubblicità»13. La sua teologia era caratterizzata da un forte
J. GROOTAERS, cit., p. 155, nota 27.
12
J. GROOTAERS, cit. p. 87, nota 5; cfr. L. BETTAZI, Una presenza
interessata alle opinioni e al dialogo, in “Terra ambrosiana”, n° 32, 1991,
pp. 17-18.
13
J. GROOTAERS, cit. p. 85.
11
5
orientamento ecumenista, da un’ecclesiologia aperta alla
collegialità episcopale, egli era nettamente contrario alla scuola
romana di teologia e guardava al nord-Europa, ossia alla nouvelle
théologie. Durante il Pontificato montiniano divenne
ufficiosamente “centrista” o “estremista di centro” (J. Grooaters),
vale a dire anticipò la dottrina dell’ermeneutica della continuità,
che è vecchia quanto Paolo VI.
Conclusione
Come si vede “l’ermeneutica della continuità” è vecchia come il
Concilio al quale il giovane teologo Joseph Ratzinger ha
partecipato come perito del card. Frings in maniera del tutto
innovativa, basti pensare che lui stesso ha ammesso di aver
collaborato alla stesura del discorso di Frings per quanto riguarda
‘le fonti della Rivelazione’, Frings sostenne la teoria dell’unica
fonte14, la quale fu votata a maggioranza il 20 novembre 1962,
circa un mese dopo l’inizio del Vaticano II (11 ottobre 1962), con
essa il porporato tedesco respinse come inadeguato lo schema
preparatorio del S. Uffizio sulle ‘Fonti della Rivelazione’, che
riprendendo le definizioni dogmatiche, irreformabili e infallibili di
Trento (sess. IV, DB 783) e del Vaticano I (DB 1787) ammetteva
la Tradizione e la S. Scrittura come le due Fonti della Rivelazione,
invece Frings parlava - come Lutero - di “sola Scriptura”15. Per ‘la
collegialità episcopale’ «efficacissimo fu l’intervento del card.
Frings, per il quale è legittimo supporre il contributo del suo
teologo Ratzinger. Si trattò forse del discorso più incisivo dal
punto di vista critico, giacché demoliva lo schema [preparatorio
del S. Uffizio]»16. Storico è lo scontro (8 novembre 1963) che
A. S., vol. I, cap. 3, pp. 34-35 e 139.
15
J. RATZINGER- P. SEEWALD, Le sel de la terre. Le christianisme et
l’Eglise catholique au seuil du IIIme millénaire, Parigi, Flammarion-Cerf,
1977, p. 72.
16
G. ALBERIGO (diretta da), Storia del Concilio Vaticano II. La formazione
della coscienza conciliare, ottobre 1962-settembre 1963, Bologna, Il
Mulino, 1996, vol. II, p. 361.
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6
ebbe Frings con Ottaviani sulla collegialità, che indurrà «Paolo VI
a chiedere a Jedin, Ratzinger e ad Onclin alcuni pareri sulla
riforma della Curia»17.
Caveamus! “Normalizzare” dopo aver cambiato è il tipico
atteggiamento dei modernisti, i quali hanno innovato durante il
Concilio e dopo hanno detto che tutto è rimasto sostanzialmente
immutato. Sia Montini che Woytjla e Ratzinger, i quali
parteciparono come vescovi i primi due e come semplice perito il
terzo, hanno introdotto, durante l’assise conciliare, le novità
dell’unica fonte della Rivelazione, della collegialità episcopale,
della libertà delle false religioni, della proto-riforma liturgica, e
poi hanno detto ma non provato che esse sono in continuità e non
in rottura con la Tradizione apostolica. Recentemente mons.
BRUNERO GHERARDINI (Concilio Ecumenico Vaticano II. Un
discorso da fare, Frigento, 2009) ha chiesto a Benedetto XVI di
provare l’asserto o di correggere le novità.
d. Curzio Nitoglia
H. JEDIN, Storia della mia vita, Brescia, 1987, pp. 314-315; J.
RATZINGER, Das Konzil auf dem Weg. Rückblick auf die zweite
Sitzungperiode, Köln, 1963-66 (tr. it., 1965-67), 4 voll., pp. 9-12.
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