Novazione

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Novazione
Traccia
Tizio nel maggio del 2004 conclude con Caio un contratto avente ad oggetto la fornitura di
scatole di cartone, che però risultano difettose per l’esistenza di vizi che la rendono inidonea
all’uso al quale sono destinate.
Tizio decide, pertanto, di sospendere il pagamento in quanto i vizi della merce, sebbene
riconosciuti dal debitore, sono rimasti tali anche dopo che il venditore si era impegnato ad
eliminarli. Nel luglio 2005 Caio propone un’azione nei confronti di Tizio per ottenere il
pagamento, facendo presente che l’acquirente è decaduto dalla garanzia ex art. 1490 c.c. per
tardiva denuncia dei vizi.
Il candidato, assunte le vesti del legale di Tizio, premessi brevi cenni sulla novazione, rediga
motivato parere, evidenziando le problematiche sottese al capo in esame.
Svolgimento
La novazione, istituto dai lontani natali (la cd. novatio faceva già parte del bagaglio giuridico
romano), positivizzato agli artt. 1230 e s.s. c.c. come strumento estintivo diverso
dall’adempimento, ergo non satisfattorio alla stregua di altre fattispecie quali la
compensazione, sul piano squisitamente strutturale si presenta come un contratto attraverso il
quale i paciscenti, estinta la preesistente obbligazione, sulle sue ceneri, addivengono alla
creazione di un nuovo vincolo obbligatorio.
La novità, recte l’aliquid novi, può a seconda della tipologia novativa, connotare tanto il dato
obiettivo-funzionale (titolo e oggetto) quanto il dato soggettivo dei contraenti.
Nell’un caso, sulla scia dello stesso codice assume rilievo la novazione cd. oggettiva (art.
1230 e ss c.c.); nell’altro, invece, quella soggettiva (art. 1235 c.c.).
Il legislatore del 1942, prendendo le distanze dai compilatori del 1865, pur facendo menzione
della novazione soggettiva, dedica una analitica attenzione alla sola accezione oggettiva della
novatio, limitandosi all’art. 1235 c.c., laddove intervenga un mutamento sul crinale soggettivo,
a rinviare alla disciplina approntata in tema di delegazione, accollo ed estromissione.
Lungi dall’entrare nel merito di storiche querelles (si ponga mente a quella parte della dottrina
che, alla luce di quanto appena celermente esposto contesterebbe l’autonomia dogmatica
dell’istituto della novazione soggettiva), è d’uopo comunque evidenziare come l’istituto
presenti il pregio fondamentale di congiungere senza soluzione di continuità, in un
unico atto, due differenti effetti: quello, appunto di estinguere una data obbligazione
preesistente al contratto e quello di darne vita, sulle ceneri della prima, ad una nuova.
L’elemento novativo può quindi riguardare, purché non si limiti a mere variazioni accessorie
(1231 c.c.), come detto, tanto l’oggetto quanto il titolo dell’obbligazione originaria.
Come per ogni contratto, inoltre, anche per quello di novazione si fa necessaria la ricorrenza,
secondo il monito dell’art. 1325 c.c., di un accordo, tacito o espresso che sia, tra le parti da
cui desumere il cd. animus novandi, ovvero l’imprescindibile dato volontaristico. Allo stesso
modo non potrà difettare una vera e propria causa novandi che la miglior dottrina identifica
nel comune interesse delle parti alla modificazione del rapporto obbligatorio originario.
Quanto alla forma del negozio novativo, in assenza di specifiche indicazioni normative, si
seguono le regole generali in fatto di contratto; ne consegue la necessità di una forma scritta
laddove la novazione acceda a negozi cd. formali.
Tanto doverosamente quanto celermente premesso sull’istituto della novazione, per meglio
inquadrare la problematica posta alla Nostra attenzione, si fa indispensabile volgere lo sguardo
ad altri istituti previsti dal codice vigente.
Nella fattispecie, infatti, viene in rilievo, attese le doglianze di Tizio e le pretese di Caio, la
disciplina prevista in fatto di garanzia per vizi.
Più precisamente, agli artt. 1490 – 1497 c.c. trova asilo, entro i limina del contratto di
compravendita un’articolata disciplina relativa ai vizi o difetti della res venduta, per tali
intendendosi quelle imperfezioni incidenti sul valore o sulle possibilità di utilizzo del bene.
A condizione che preesistano alla compravendita, il legislatore pone, nei panni di effetto
naturale del contratto, a carico del venditore l’obbligo di garantire l’acquirente dai vizi stessi
(1490 c.c.). Tale obbligo, tuttavia, viene a gravare sul venditore entro precisi e rigorosi
parametri temporali al fine di contemperare, alla luce del dogma prevalente della tutela dei
traffici giuridici, i vari interessi delle parti in gioco. Ebbene, in tale direzione, il codice prevede
due differenti termini, l’uno decadenziale l’altro di prescrizione, entro i quali l’esercizio delle
prerogative dell’acquirente devono trovare epifania: entro otto giorni (art. 1495, comma 1,
c.c.) questi è tenuto a dar notizia della scoperta del vizio a condizione che il tutto si svolga
entro il limite prescrizionale di un anno dalla consegna della cosa (art. 1495, comma 3, c.c.).
Sorvolando, per esigenze meramente espositive, sulla natura della responsabilità de qua
(oggettiva, presunta, colposa che sia), conviene sottolineare come i limiti temporali segnalati
non trovino applicazione, secondo il chiaro dettato del secondo comma della citata norma,
laddove il venditore occulti o, come nel nostro caso (l’impegno di Caio ad eliminare i vizi,
implica sul piano logico il riconoscimento degli stessi) riconosca l’esistenza dei vizi.
Può a questo punto esaminarsi la posizione del nostro assistito Tizio che, scoperti e denunciati i
vizi relativi ad una partita di scatole di cartone fornitegli da Caio, dopo aver inutilmente atteso
da questi l’eliminazione delle imperfezioni, sospendeva i pagamenti a proprio carico.
Ad un anno e due mesi dalla stipulazione viziata Tizio subiva l’ulteriore beffa di una richiesta di
pagamento da parte di Caio della merce di cui si discorre, alla luce, a detta del venditore del
superamento dei termini previsti categoricamente all’art. 1490 c.c.
L’evidenza del torto di Caio pare indiscutibile. Sicuramente la sua pretesa di pagamento non
potrà trovare accoglimento, ad onta del millantato superamento dei termini legislativamente
posti.
Almeno due le strategie difensive a disposizione di Tizio.
In primo luogo questi potrebbe pretendere il riconoscimento dell’intervento di un vero e
proprio accordo novativo in presenza dell’impegno espressamente preso da Caio in merito
all’eliminazione dei vizi: la promessa del venditore porterebbe, facendo valere l’insegnamento
di non poche sentenze di legittimità (vedi, ex multis, Cass. n. 6089 del 2000), inevitabilmente
seco la novazione dell’obbligazione originaria di garanzia prevista all’art. 1476, comma 3, c.c.
Rebus sic stantibus ne deriverebbe un vantaggiosissimo effetto per Tizio dal momento che,
intervenuto l’accordo novativo, potrebbe giovarsi di un nuovo termine entro il quale far valere
le proprie ragioni, termine legato non al contratto di compravendita ed alla relativa garanzia
per vizi, bensì al nuovo contratto novativo sorto a seguito della promessa del callido venditore.
Il termine, occorre specificare, in assenza di prescrizioni di sorta, secondo la regola juris
dettata all’art. 2946 c.c., non potrebbe che essere quello ordinario decennale.
L’esposta traiettoria ermeneutica, preme notare nell’interesse del nostro assistito, sebbene
abbia goduto nel passato di autorevoli avalli anche in sede di giurisprudenza di legittimità,
rischia di non trovare favorevole accoglimento in ragione dell’intervento di una nota sentenza
delle Sezioni Unite nel giugno 2005 (Cass. Civ., Sez. Un., 21 giugno 2005, sent. n.
13294).
La Corte, evocata nella sua massima espressione proprio in ragione di un contrasto
manifestatosi presso le singole sezioni, intervenendo su vicende analoghe a quella posta alla
Nostra attenzione, ha reciso il nodo gordiano di cui si discorre escludendo in evenienze siffatte
qualsivoglia effetto novativo. Ad avviso degli Ermellini, infatti, farebbe difetto
quell’immancabile alquid novi, connotato indispensabile, come sopra anticipato, del contratto di
novazione: l’impegno ad eliminare i vizi non darebbe la stura ad una nuova
obbligazione, ma verrebbe semplicemente a determinare una modifica relativa alle
modalità esecutive delle stessa obbligazione preesistente.
In caso di intervenuta promessa di eliminazione dei vizi non potrebbe ravvisarsi un interesse
diverso rispetto a quello presente al momento della stipulazione originaria: permane nella sua
medesimezza l’interesse ad acquisire un bene, nel caso di specie scatole in cartone, idoneo
all’uso immaginato in sede stipulatoria.
L’esposta ricostruzione, tuttavia, pur precludendo a Tizio la possibilità di giovarsi del favorevole
termine prescrizionale decennale che discenderebbe dal riconoscimento dell’intervenuto
negozio novativo, non priva il Nostro assistito di tutela a fronte delle pretese di controparte.
Difatti, l’assunzione dell’impegno ad eliminare i vizi, facendo seguito all’implicito
riconoscimento dei difetti, determina, secondo i principi scolpiti all’art. 2944 c.c.,
l’interruzione del decorso prescrizionale.
Tanto detto, considerati i tempi degli eventi, non può, nonostante il nuovo orientamento
giurisprudenziale, non riconoscersi la possibilità di Tizio di giovarsi dei rimedi codicistici, non
potendosi, per quanto appena evidenziato in tema di riconoscimento dei vizi e di interruzione
della prescrizione annuale, ritenere prescritta la sua pretesa ad una corretta esecuzione del
contratto così come originariamente immaginato dalle parti.
Ne consegue la possibilità per Tizio, pertanto, di paralizzare la domanda di Caio e di giovarsi
dei rimedi legislativamente immaginati.
Al Nostro assistito spetterà dunque scegliere se, fatto comunque salvo secondo il dettato
dell’art. 1494 c.c. il rimedio risarcitorio e sempre che non ricorrano quegli usi contrari evocati
sul finire del primo comma dell’art. 1492 c.c., far valere il proprio diritto alla riduzione del
prezzo (azione estimatoria o quanti minoris), fermo restando il negozio incriminato con il
conseguente mantenimento del sia pur mutato sinallagma contrattuale, o richiedere, secondo
le peculiari forme ed agevolazioni delle azioni edilizie, la risoluzione del contratto (azione
redibitoria)
Nel concludere è opportuno rammentare come secondo il comma 2 dell’art. 1492 c.c., la scelta
tra i due diversi rimedi si ammanti d’irrevocabilità quante volte venga formalizzata mercé
domanda giudiziale.
(di Michele Ciociola)
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