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“SPIGOLATURE IN TEMA DI VENDITA DI UNIVERSALITÀ DI MOBILI” –
Riccardo CRISTOFARI
Sommario: 1. (A) Vendita di universalità e trasferimento della proprietà - 1.1. Una prima soluzione - 1.2.
Una seconda soluzione - 1.3. Una terza soluzione - 2. Vendita di universalità ed efficacia (reale o
“obbligatoria”) dell’atto - 3. Vendita di universalità e oggetto del contratto - 3.1. Dettagli - 3.2.
Osservazioni - 4. (B) L’obbligo di consegnare l’universalità all’acquirente - 4.1. Il perimento e il
deterioramento della res debita non imputabili - 4.2. La sorte degli incrementi - 4.2.1. I frutti - 4.2.2. Le
cose aggiunte all’universalità dall’alienante - 4.2.2.1. Osservazioni - 4.3. La non attuazione a latere
debitoris del rapporto obbligatorio relativo alla consegna dell’universalità all’acquirente. Il perimento e il
deterioramento imputabili - 4.3.1. Risoluzione per inadempimento (artt. 1453 ss. c.c.). Risoluzione di
diritto (art. 1517 c.c.) - 4.3.2. Eccezione di inadempimento (art. 1460 c.c.) - 4.4. La non attuazione a
latere creditoris del rapporto obbligatorio relativo alla consegna dell’universalità all’acquirente. La mora
del creditore (artt. 1206 ss. c.c.) - 4.4.1. Il deposito della cosa venduta (art. 1514 c.c.) - 5. (C) L’obbligo
contemplato dall’art. 1476 n. 3. La garanzia per evizione - 5.1. La garanzia per i vizi - 5.1.1. La posizione
della giurisprudenza - 6. Vendita di universalità e vendita di beni mobili di consumo
1. (A) Vendita di universalità e trasferimento della proprietà.
La vendita, come si sa, attua il trasferimento della proprietà (o, più in generale, di un
altro diritto). Se il fenomeno lo si guarda dal punto prospettico dell’acquirente, la
vendita realizza un modo (uno dei modi) di acquisto della proprietà (o di altro diritto) a
titolo derivativo-traslativo. Se il medesimo fenomeno lo si osserva dal punto di vista
dell’alienante, attraverso la vendita questi esercita la facoltà di disposizione che
compone, unitamente a quella di godimento, il contenuto del diritto di proprietà (a
proposito del contenuto del diritto di proprietà, v. almeno Natoli 1980, 69; da ult.,
sull’argomento si è soffermato, in una diversa prospettiva di indagine, Caterina 2006,
255): del quale diviene titolare l’acquirente attraverso un fenomeno di successione nel
diritto (è discusso se rientrino nella nozione di vendita anche le ipotesi in cui l’atto dia
luogo non ad un acquisto a titolo derivativo-traslativo, bensì ad un acquisto a titolo
derivativo-costitutivo; Luminoso 1998, 60; quanto alla costituzione, a titolo oneroso,
dell’usufrutto, v. ad es. Bigliazzi Geri 1979, 74 ss.).
Sebbene l’art. 1470 c.c. si esprima al singolare («la vendita è il contratto che ha per
oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o il trasferimento di un altro diritto
verso il corrispettivo di un prezzo»), non si dubita che i diritti di proprietà (o di diversa
natura) trasferiti col contratto di vendita possano essere più di uno (il codice del resto
prevede un sotto-tipo di compravendita in cui l’oggetto dell’alienazione è costituito da
un complesso di diritti, di cui neppure si chiede che siano specificati gli oggetti; il
riferimento è alla «vendita di eredità»: cfr. gli artt. 1542-1547 c.c. e, in particolare, l’art.
1542, il quale dispone che «chi vende un’eredità senza specificarne gli oggetti non è
tenuto che a garantire la propria qualità di erede»: cioè, in definitiva, il titolo del
proprio acquisto e, quindi, la sua legittimazione a disporre dei singoli beni ereditari che
già facevano capo al defunto; Bigliazzi Geri, Breccia, Busnelli e Natoli 1989, 313-314;
per una critica alla c.d. hereditas-universitas, Natoli 1968, 88 ss.).
Nel caso della vendita di universalità di mobili, occorre, intanto, stabilire se chi vende
trasferisca con un unico atto i singoli diritti di proprietà sulle cose che fanno parte
dell’universalità, oppure il diritto di proprietà avente ad oggetto l’universalità e, al
contempo, i singoli diritti di proprietà sulle cose che la compongono.
La soluzione del quesito può essere diversa in ragione della posizione che l’interprete
intenda assumere in merito alla questione del significato giuridico da assegnare al
concetto di universalità di mobili.
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1.1. Una prima soluzione.
Chi aderisce alla tesi secondo la quale l’universalità, e dunque anche quella di mobili
(art. 816 c.c.), non implichi l’idea di un bene unitario, oggetto di un unico diritto di
proprietà, è portato a concludere, in coerenza con la premessa accolta, che la
considerazione “unificante” dei singoli beni di un’universalità rilevi ai soli fini
dell’applicazione di una diversa regola di circolazione (rispetto alla regola che opera
nei casi in cui i singoli beni siano considerati atomisticamente), senza escludere
l’esistenza di una pluralità di beni giuridici e di corrispondenti diritti:
Nell’ambito delle posizioni complesse, una particolare rilevanza rivestano le universalità, ossia i
complessi patrimoniali normativamente unificati in vista di una comune destinazione. Occorre chiarire
che – secondo l’opinione che sembra da preferire – l’universalità non implica l’idea di un bene unitario,
oggetto di un unico diritto di proprietà. La considerazione “unificante” dei singoli beni di una
universalità rileva ai soli fini dell’applicazione di una diversa regola di circolazione (rispetto alla regola
che opera nei casi in cui i singoli beni vengono considerati atomisticamente), senza escludere l’esistenza
di una pluralità di beni giuridici e di corrispondenti diritti sugli stessi
(Luminoso 1998, 71).
1.2. Una seconda soluzione.
La vicenda è destinata a presentarsi con contorni differenti qualora, con una parte della
dottrina, si ritenga che l’universalità possa essere il punto di riferimento oggettivo di
una situazione soggettiva e, tuttavia, si ammetta che l’esistenza di un diritto di proprietà
sull’insieme possa coesistere con eguali diritti sulle singole cose che compongono
l’universalità. Posto che allora,
il trasferimento della proprietà o la costituzione di altro diritto sull’insieme comporta sempre il
trasferimento della proprietà o la costituzione del diritto sulle singole parti. L’atto avente ad oggetto
l’universalità è, cioè, destinato a produrre effetti anche su tutti i beni che la compongono. Così una
vendita di universalità realizza il trasferimento della proprietà di tutte le cose che ne fanno parte
(Trimarchi 1992, 817).
1.3. Una terza soluzione.
Ci si potrebbe chiedere, a questo punto, se sia possibile una terza soluzione.
L’interrogativo è destinato a trovare una risposta positiva se si accetti di annoverare la
vicenda descritta dall’art. 816 c.c. nell’ambito delle modificazioni che interessano
l’oggetto del diritto di proprietà: nel senso, cioè, che la destinazione unitaria che il
soggetto imprime alla pluralità di cose che gli appartengono valga a provocare una
modificazione degli oggetti dei singoli diritti di proprietà, che perdono, sotto il profilo
giuridico, la loro individualità per dar luogo a quella entità che prende il nome di
universalità di mobili; al tempo stesso in cui il mutamento dell’oggetto reagisce sui
diritti, che si fondono in un unico diritto di proprietà avente quale riferimento oggettivo
l’universalità (in questo senso, v. Cristofari 2007, 393-420). Giacché, una volta
ammesso tutto ciò, ne dovrebbe conseguire che l’alienante, attraverso la vendita,
esercita la facoltà di disposizione che compone (unitamente a quella di godimento) il
contenuto del diritto di proprietà avente ad oggetto l’universalità di mobili: del quale
diviene titolare l’acquirente attraverso il semplice scambio dei consensi legittimamente
manifestati [il che, naturalmente, presuppone: che l’universalità trasferita sia
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determinata; che esista al momento dello scambio dei consensi; che l’atto sia posto in
essere: dal titolare del diritto di proprietà, purché il medesimo soggetto sia, al
contempo, anche legittimato a disporne; oppure, da colui al quale, pur non essendone
titolare, sia stata conferita la legittimazione a disporne: direttamente dalla legge (per
esempio, rappresentante legale) o in via negoziale (per esempio, rappresentante
volontario)].
2. Vendita di universalità ed efficacia (reale o “obbligatoria”) dell’atto.
La vendita, come si sa, attua il trasferimento della proprietà (o, più in generale, di un
altro diritto).
Non sempre, tuttavia, l’effetto traslativo rappresenta una conseguenza automatica dello
scambio dei consensi legittimamente manifestati (art. 1470 in rel. spec. artt. 1476, n. 2 e
1376 c.c.). Vi sono, infatti, alcune ipotesi in cui l’effetto reale, che pur discende sempre
dallo scambio dei consensi, risulta differito rispetto al momento in cui la vendita si
perfeziona, in quanto intermediato da un immediato effetto obbligatorio. A venire in
considerazione sono, allora, le ipotesi di vendita c.d. obbligatoria (o, più correttamente,
ad effetto reale differito) e, in particolare, la vendita di cose generiche (art. 1378 c.c.),
di cosa altrui (art. 1478 c.c.) o di cose future (art. 1472 c.c.).
Non può escludersi che il termine di riferimento oggettivo di una vendita c.d.
obbligatoria possa essere rappresentato da un’universalità di mobili.
Si prenda, volendo esemplificare, l’ipotesi della biblioteca compravenduta che non
appartenga al venditore. In tal caso, qualora entrambe le parti siano consapevoli che
l’universalità appartenga ad un terzo e, ciò nonostante, abbiano stipulato l’atto,
essendosi il venditore impegnato a diventarne proprietario, saranno applicabili le regole
che governano l’istituto della vendita di cosa altrui (v. Ferri 2000, 546, il quale osserva
che la conoscenza che il compratore abbia dell’alienità della res vendita può dar luogo
a un’articolata serie di fenomeni, non necessariamente riconducibili a quello della
vendita di cosa altrui). Con la conseguenza che, nel momento in cui il venditore, in
adempimento dell’obbligo che deriva dal perfezionamento del contratto, riesca ad
acquistare la res vendita dal terzo, in quello stesso momento si avrà un ulteriore
trasferimento al compratore, senza che sia necessario un nuovo contratto traslativo o
un’ulteriore manifestazione di volontà, sia pure unilaterale (art. 1478, 2° co. c.c.;
nell’ambito della manualistica, cfr. ad es. Bigliazzi Geri, Breccia, Busnelli e Natoli
1989, 310, 311 nota 19).
Si può concludere con un cenno ad un’altra ipotesi nella quale – questa volta a causa
dell’originaria indeterminazione dell’oggetto del trasferimento – l’effetto traslativo non
si produce al momento del perfezionamento del contratto di vendita. Ci si riferisce,
com’è intuitivo, alla vendita alternativa. L’eventualità dovrebbe essere quella in cui le
universalità di mobili dedotte in obbligazione siano due o più. In tal caso, ai fini del
trasferimento, sarà necessario che sia stata in precedenza effettuata la scelta.
3. Vendita di universalità e oggetto del contratto.
Un rapido sguardo al panorama dottrinale mette in evidenza come la posizione degli
interpreti circa il tema dell’oggetto della vendita di universalità di mobili risulti
influenzata da due fattori: ovverosia, dal modo in cui gli stessi concepiscono il
fenomeno dell’universalità e dal significato attribuito al termine «oggetto» quale
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requisito essenziale del contratto (art. 1325, n. 3 c.c.), e, dunque, anche del contratto di
vendita.
Chi ammette che l’universalità non implichi l’idea di un bene unitario, oggetto di un
unico diritto di proprietà, e, al contempo, identifica l’oggetto del contratto di vendita
nei risultati finali programmati: cioè, «nell’attribuzione del diritto e nell’attribuzione
del prezzo», è portato a ritenere che, nel caso della vendita di universalità di mobili, si
sarebbe di fronte, quanto all’attribuzione traslativa, ad una pluralità di beni giuridici e
di corrispondenti diritti sugli stessi (Luminoso 1998, 71).
Ciò, peraltro, non dovrebbe comportare che la disciplina del contratto vada riferita ai
singoli capi dell’universitas, giacché la «considerazione unitaria del suo oggetto»
varrebbe ad escludere un simile risultato:
Cominciando dalla vendita di universalità di mobili (art. 816 c.c.), occorre notare che si ritiene
comunemente che la considerazione unitaria del suo oggetto comporti che la disciplina del contratto vada
riferita, di massima, non ai singoli capi dell’universitas ma a questa nel suo insieme. Il venditore, quindi,
è tenuto a rispondere dell’esistenza e dell’appartenenza dell’universalità in sé, non dei singoli capi; deve
consegnare il complesso nel suo insieme, non necessariamente lo stesso numero di capi (ad esempio, di
un gregge) che esistevano al momento della conclusione del contratto, poiché, da un lato, non risponde
della perdita dei capi morti naturalmente nel frattempo e, dall’altro, deve consegnare i nuovi nati
(Luminoso 1998, 72).
Alcuni tra coloro che negano che l’universalità implichi l’idea di un bene unitario,
termine di riferimento oggettivo di un unico diritto di proprietà, sostengono che il
collegamento funzionale tra cose oggetto di diritti distinti, implicato dal concetto di
universalità, opererebbe come criterio di determinazione dell’oggetto dell’atto
(Buccisano 1994, 1). Chi si colloca in tale dimensione di pensiero, precisa, tuttavia, che
il collegamento funzionale sarebbe, però, anche un modo di essere delle cose, capace,
in quanto tale, di influenzare il regime dell’atto e degli effetti (Buccisano 1994, 1).
Si è tentato anche di spiegare perché la considerazione dell’insieme di cose singole
come complesso, cioè sub specie universitatis, dovrebbe essere idonea a costituire un
caso di determinabilità dell’oggetto e, al contempo, ad incidere sul regime dell’atto:
Quando invece la vendita concerne l’universalità come tale, è probabile che il concetto di universalità
porti a ritenere che oggetto della vendita non è una cosa distinta dai singoli capi che compongono
l’universalità e ad essi sovrapposta (come ad esempio avviene, nel capo dei soggetti, per le persone
giuridiche rispetto ai membri di esse), ma l’insieme dei singoli capi. Ciò tuttavia non significa che qui si
abbia un semplice caso di determinabilità dell’oggetto, cioè delle cose singole per riferimento all’insieme
di cui fanno parte. Si ha invece, oltre a questo, anche qualcosa di più, una particolare considerazione di
questo insieme di cose singole come complesso, sub specie universitatis, per cui non si ha più una
somma dei singoli capi, che lascia perfettamente autonoma l’individualità di ciascuno, ma viene in
rilievo il loro complesso, a prescindere dai singoli componenti
(Rubino 1971, 139).
Tutt’altra strada è percorsa da chi, pur accettando l’idea che l’universitas facti non
possa essere considerata una res nova avente una propria individualità, distingue fra
oggetto del negozio – visto nella «descrittiva, di un bene o di beni, contenuta nella
dichiarazione contrattuale ed esprimente in modo obbiettivo l’interesse regolato dai
contraenti» – e oggetto del rapporto – visto nel bene o nei beni «su cui grava la
situazione effettuale che nasce dal contratto» –. In tale prospettiva di indagine,
l’«oggetto negoziale» della vendita sarebbe rappresentato dalla descrizione contenuta
nella dichiarazione: e cioè dalla «rappresentazione di una determinata universitas, di
una determinata organizzazione di beni, di un gruppo di beni tutti segnati da una
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determinata omogeneità»; mentre l’oggetto del rapporto sarebbe, invece, costituito dai
singoli beni per i quali si è compiuto l’atto di destinazione e sui quali grava la
«situazione effettuale che nasce dal contratto» (Rascio 1975, 107).
3.1. Dettagli.
Le divergenze di opinioni circa il fenomeno dell’universalità di mobili e quelle circa
l’oggetto del contratto sono destinate a ricomporsi in una sostanziale convergenza di
vedute quando si passa a trattare il profilo della determinatezza o determinabilità
dell’oggetto (art. 1346 c.c.) della vendita di universalità di mobili.
È prevalente, infatti, la tendenza a sostenere, quanto all’attribuzione traslativa, che ai
fini della validità dell’atto sia necessario – ma anche sufficiente – che le parti abbiano
descritto con precisione l’universalità compravenduta. Non occorre, invece, che i
contraenti abbiano fornito anche la descrizione dei singoli elementi che la compongono:
Al di là degli specifici problemi che ognuna di queste disposizioni comporta (…), bisogna rilevare che i
comportamenti, atti e negozi ora menzionati non sono i soli a poter presentare, quale oggetto, una
universalità. Accanto alla vendita, alla donazione, al pegno, al pignoramento, al sequestro, al possesso
non c’è alcuna ragione per non considerare, ad esempio, anche la locazione, il deposito, il comodato, il
contratto costitutivo dell’usufrutto, e così via, con il solo evidente limite della compatibilità dell’oggetto
(universalità) con il tipo normativo.
Il problema che, sul piano del fatto, accomuna tutte queste fattispecie, è quello della descrizione
dell’oggetto. Normalmente la discussione al riguardo viene condotta con riferimento alla vendita o alla
donazione ma invero non si profila in termini diversi nelle altre ipotesi, occorrendo stabilire se la
dichiarazione deve contenere solamente la descrizione dell’insieme o (anche) quella di ogni singola cosa
facente parte dell’universalità.
La prima tesi appare preferibile. Diversamente le previsioni legislative prima richiamate non
troverebbero adeguata spiegazione; e d’altra parte più volte si è ricordato che la specificità
dell’universalità risiede proprio nella rilevanza accordata dalla legge al complesso in quanto fornitore di
un’utilità nuova e diversa da quella propria dei singoli beni. È, quindi, «necessario e sufficiente che dal
contratto risulti di quale universalità si tratti […] non devono necessariamente risultare le modalità non
influenti sulla determinazione dello specifico oggetto negoziale (ad es., le peculiarità di ogni singolo
elemento, il loro numero, ecc.)». L’atto è unico; unica la vendita, unica la donazione, unico il pegno e
così via. Al pari di quanto avviene per le cose composte, l’oggetto può dirsi determinato, allorché il
complesso è descritto in modo preciso.
Essendo oggetto del contratto l’aggregato, è al complesso che occorre fare riferimento quando, ad
esempio, nella vendita, si dibatta, in ipotesi, dei vizi o delle qualità della cosa; il venditore, in altri
termini, risponde in linea di principio delle qualità e dei vizi dell’insieme e non delle singole cose (tranne
in presenza di apposito patto oppure quando il vizio o la mancanza di qualità della singola cosa menomi
l’attitudine funzionale del complesso)
(Trimarchi 1992, 812; Rascio 1975, 107).
Nello stesso senso di ritenere che ai fini della validità dell’atto sia necessario – ma
anche sufficiente – che le parti abbiano descritto con precisione l’universalità di mobili
compravenduta, pare orientata anche la giurisprudenza (cfr. ad es. Cass. civ., 4 aprile
1964, n. 738, GC, 1965, I, 388).
Quanto al requisito della possibilità, e sempre con riferimento all’attribuzione
traslativa, si è scritto che, se il complesso non esiste o perisce prima della conclusione
della vendita, il contratto è nullo per mancanza di oggetto, e il venditore è responsabile
per colpa in contrahendo e nei limiti di questa (Rubino 1971, 140).
3.2. Osservazioni.
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Se si riconduce il fenomeno dell’universalità di mobili sul piano delle modificazioni
delle situazione soggettive attinenti all’oggetto, nel senso che si è cercato di chiarire, e
si accetta l’opinione che identifica l’oggetto della compravendita, oltre che nel
corrispettivo del prezzo, nell’attribuzione patrimoniale a cui l’atto è finalizzato (cioè,
nel diritto trasferito in conseguenza della stipulazione del contratto; per cui, ad es.,
Bigliazzi Geri, Breccia, Busnelli e Natoli 1986, 689), si sarà portati a concludere che,
nel caso della vendita di universalità di mobili, l’oggetto sarà rappresentato, oltre che
dal pagamento del prezzo, dall’attribuzione patrimoniale a cui l’atto stesso tende: cioè,
dal diritto di proprietà trasferito.
Dovrebbe trovare così lineare soluzione anche il problema della determinatezza
dell’oggetto, essendo, a tal fine, necessario – ma anche sufficiente – che nell’atto
negoziale sia contenuta la descrizione del diritto trasferito, per il tramite anche del
riferimento al suo oggetto e, dunque, all’universalità di mobili compravenduta.
4. (B) L’obbligo di consegnare l’universalità all’acquirente.
Quanto al rapporto obbligatorio relativo alla consegna dell’universalità di mobili, si può
iniziare con l’osservare che, come di norma accade, la consegna della res vendita viene
ad assumere, al di là dei casi di vendita ad effetto reale differito (c.d. vendita
«obbligatoria»), il ruolo meramente strumentale di fattore destinato a realizzare
l’impossessamento e, pertanto, a consentire all’acquirente-proprietario la facoltà di
godere (anche) direttamente dell’universalità (sul punto, cfr. Bigliazzi Geri 1998, 848).
Ciò premesso, occorre prendere in esame alcune vicende significative attinenti al
rapporto obbligatorio in questione.
4.1. Il perimento e il deterioramento della res debita non imputabili.
Potrebbe, intanto, accadere che, successivamente al perfezionamento del contratto di
vendita, l’universalità compravenduta perisca per causa non imputabile all’alienante. In
tal caso, l’obbligazione di consegnare l’universalità si estingue (art. 1258, 1° co., c.c.)
ed il venditore è liberato. Essendo, nell’ipotesi considerata, l’effetto attributivo reale
legato da un nesso automatico al perfezionamento del contratto di vendita (art. 1376
c.c.), il perimento dell’universalità, naturalmente, non provocherà mai la risoluzione
(art. 1465, 1° co., c.c.).
Potrebbe, invece, accadere che ad andare distrutti siano soltanto alcuni degli elementi
che fanno parte dell’universalità compravenduta: si pensi, volendo esemplificare,
all’ipotesi in cui periscano, per causa non imputabile al venditore, alcuni dei quadri che
compongono la pinacoteca.
In tale eventualità, ci si potrebbe chiedere se la liberazione del debitore debba
verificarsi in applicazione dell’art. 1258, 1° co., c.c. [che presuppone una prestazione
divisibile e una impossibilità concernente la «quantità oggettiva» della prestazione: al
riguardo, v. Bigliazzi Geri, Breccia, Busnelli e Natoli 1989, 196, dove si evidenzia che
l’estinzione dell’obbligazione ed il conseguente effetto obbligatorio costituiscono il
risultato di un effetto (parzialmente) estintivo (e quindi parzialmente liberatorio)
immediato unito al comportamento necessitato (adempimento per la parte residua) del
debitore] oppure dell’art. 1258, 2° co., c.c., che concerne le ipotesi in cui è dovuta una
cosa determinata e questa abbia subito un deterioramento.
E la soluzione preferibile dovrebbe essere nel senso del ricorso a quest’ultima
disposizione. La quale, poi, dovrebbe trovare applicazione anche nell’ipotesi in cui
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residui alcunché dal perimento della res debita (si pensi all’ipotesi in cui il gregge
perisca interamente per causa non imputabile al venditore e residuino soltanto le pelli
degli animali). Anche se, allora, all’obbligazione originaria, che si estingue, si
sostituisce ex lege una nuova obbligazione avente oggetto diverso (vale a dire la datio
di quanto residui dal perimento) e il venditore risulterà liberato per il tramite
dell’esecuzione della diversa prestazione nel tempo e nel luogo previsti.
4.2. La sorte degli incrementi.
Avendo presente l’ipotesi in cui l’attuazione del rapporto obbligatorio concernente la
consegna avvenga in un momento successivo a quello in cui la vendita si perfeziona, e
si verifica l’effetto traslativo, occorre prendere in esame il tema della sorte degli
incrementi.
L’attenzione deve essere concentrata sui frutti e sulle cose aggiunte all’universalità
dall’alienante.
4.2.1. I frutti.
Qualora il complesso di cose sia fruttifero – e l’esempio potrebbe essere quello del
gregge (v. però Buccisano 1994, 6) – sussiste una sostanziale convergenza di vedute nel
ritenere che il venditore sia obbligato a consegnare al compratore anche i capi nati
successivamente al perfezionamento dell’atto di vendita. E ciò in applicazione del
principio dettato dall’art. 1477 c.c., per cui la cosa deve essere consegnata «coi frutti
(prodotti) dal giorno della vendita» (Luzzato 1961, 81).
4.2.2. Le cose aggiunte all’universalità dall’alienante.
Un problema si pone per le cose aggiunte dal venditore all’universalità compravenduta
nel lasso di tempo che intercorre tra la conclusione dell’atto e il momento in cui è data
attuazione al rapporto obbligatorio concernente la consegna della res vendita.
Alcuni ritengono che il venditore debba consegnare l’universalità dei beni nello stato in
cui essi si trovano, e quindi comprensivo dei capi aggiunti, riconducendo tale obbligo
alla «natura indistinta e onnicomprensiva dell’oggetto alienato»:
L’obbligo del venditore di consegnare l’universalità dei beni nello in cui essi si trovano, e quindi
comprensivo dei capi aggiunti, deve essere ricondotto non già alla qualificazione giuridica dei beni che si
aggiungono all’universitas quanto alla natura indistinta ed onnicomprensiva dell’oggetto alienato, che è
e resta, in ogni momento della sua esistenza, l’insieme di tutti i beni mobili appartenenti al venditore e
sottoposti al medesimo vincolo di destinazione: chi vende un’universalità di mobili non consegna cosa
diversa anche se ad essa si sono aggiunti, dopo la vendita, altri componenti omogenei sottoposti al
medesimo vincolo di destinazione.
Nel nesso di corrispettività del negozio di alienazione, che sta tra il prezzo pagato e l’universalità dei
beni mobili, emerge l’autonomia giuridica dell’universitas rispetto ai singoli beni che la compongono.
L’universalità è pur sempre costituita dal substrato materiale dei singoli beni, ma il vincolo di
destinazione che li unisce risulta assorbente rispetto alla loro autonomia ed individualità
(Miraglia 2005, 201).
Una conferma di tale soluzione è vista nell’art. 771, 2° co., c.c., il cui principio è
ritenuto applicabile anche alle alienazioni di universalità di mobili a titolo oneroso per
gli accrescimenti intervenuti tra il momento della conclusione del negozio e quello
della sua efficacia:
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Una conferma della fondatezza soluzione sopra indicata si può rinvenire nella disposizione dell’art. 771,
co. 2°, c.c., il quale stabilisce che «qualora oggetto della donazione sia un’universalità di cose e il
donante ne conservi il godimento trattenendola presso di sé, si considerano comprese nella donazione
anche le cose che vi si aggiungono successivamente, salvo che dall’atto risulti una diversa volontà». La
norma è sicuro indice del carattere unitario del complesso, che attrae nel suo ambito oggettivo anche le
cose future che vi si aggiungono dopo la sua alienazione, non identificate né identificabili all’atto del
negozio. La deroga alla nullità della donazione di beni futuri, di cui al co. 1° dell’art. 771, è spiegabile
solo con lo stretto legame delle cose future al complesso.
Il principio sancito dal co. 2° dell’art. 771, nel silenzio del legislatore, non è applicabile automaticamente
alla vendita di una universalità di mobili, della quale il venditore si sia riservato il godimento, dovendosi
preliminarmente accertare: a) se la ratio legis non sia fondata anche sulla gratuità dell’atto; b) se si possa
superare il principio generale, per il quale nella compravendita ordinaria l’alienante deve consegnare la
cosa nello stato cui essa si trovava al momento della vendita (art. 1477 c.c.).
La condizione indicata dalla legge per la produzione dell’effetto ultrattivo della donazione è che il
donante trattenga presso di sé le cose alienate sia che l’effetto traslativo si sia prodotto contestualmente
alla conclusione del negozio sia che esso sia stato differito ed il donante sia rimasto provvisoriamente
proprietario del complesso. La legge, con l’espressione al singolare «trattenendola presso di sé», indica
non le cose ma l’universalità e segna la ratio della speciale disposizione nella conservazione di quel
carattere essenziale dell’universitas dato dall’unicità del soggetto che le imprime la destinazione
unitaria; la circostanza che sia fatta salva una diversa volontà delle parti conferma che la permanenza
dell’universitas dipende dall’iniziativa e dal comportamento di un solo soggetto. In tale ratio legis, che
riposa sull’esigenza di tenere unite le cose idonee a fornire quella nova utilitas propria dell’universalità,
non sembra incidere il carattere gratuito dell’atto. Non v’è dunque ragione di non applicare il principio
dell’ultrattività delle donazioni alle alienazioni di universalità di mobili a titolo oneroso per gli
accrescimento intervenuti tra il momento della conclusione del negozio e quello della sua efficacia.
(Miraglia 2005, 201).
La soluzione positiva andrebbe, peraltro, limitata alle sole ipotesi di vendita di
un’universalità di mobili non immediatamente traslativa. Giacché, con riferimento ad
esse, dovrebbe trovare applicazione il principio secondo il quale, se si verificano
modificazioni del bene trasferito fra il tempo della formazione del negozio e quello
della sua efficacia, gli effetti negoziali si producono riguardo al bene come è o quale è
nel secondo momento:
Esaurito, in rapida rassegna, l’esame delle principali ipotesi da ricondurre nella norma ex art. 771, 2°
comma, ci si potrà render conto che la particolare occasione legislativa ha favorito l’emersione, in una
sede speciale, anche di regole proprie di un quadro più ampio. Si pensi, tra l’altro, alla compravendita
non immediatamente traslativa di un’universalità di mobili ed alla possibilità che il venditore, rimasto
temporaneamente proprietario, accresca di nuovi elementi l’insieme. Anche qui vale il principio secondo
il quale, se si verificano modificazione del bene trasferito fra il tempo della formazione del negozio e
quello della sua efficacia, gli effetti negoziali si producono riguardo al bene come è o quale è nel secondo
momento. Il compratore diviene, quindi, proprietario di tutte le cose che compongono l’universitas
quando si produce l’effetto traslativo
(Rascio 1975, 109).
Altri propendono, invece, per la soluzione negativa:
Se vi sono aumenti, ad esempio in un gregge, bisogna distinguere fra i nuovi acquisti fatti dal venditore a
sue spese, o da lui acquisiti, ancorché a titolo gratuito, nell’intervallo fra la conclusione del contratto e la
consegna del gregge e gli aumenti naturali (ad es., parto di una o più pecore). Se si tratta di animali
comprati dal venditore od anche a lui donati, acquistati per eredità, legato e, sia pure, uniti al gregge in
attesa del momento della consegna al compratore dei capi venduti, io non saprei vedere perché mai il
concetto di scuola, sottile, astratto, evanescente della vendita del gregge come un tutto, o simili idee
debbano prevalere su altri concetti ben più rilevanti, perché più conformi alla legge e al nostro senso di
giustizia. Invero, l’attribuzione al compratore di cosa acquistata dal venditore, dopo il contratto, non
corrisponde, normalmente, all’intenzione comune dei contraenti (art. 1362), non potendosi ritenere che il
9
venditore abbia inteso di curare così male i propri interessi al momento in cui concluse il contratto, né
che successivamente, con l’uso del nuovo o dei nuovi capi, sia pure da lui uniti al gregge prima della
consegna al compratore, abbia inteso di far lucrare al compratore uno o più animali e ancor meno se,
come abitualmente accade, il prezzo del gregge era stato già determinato
(Luzzato 1961, 80).
4.2.2.1. Osservazioni.
A favore della soluzione che esclude che il venditore sia tenuto a consegnare al
compratore anche le cose aggiunte all’universalità in un momento successivo a quello
in cui la vendita si perfeziona, se si ha riguardo almeno all’ipotesi in cui l’effetto
traslativo rappresenti una conseguenza automatica dello scambio dei consensi
legittimamente manifestati, militano diverse considerazioni.
Intanto, proprio la circostanza secondo la quale, nella fattispecie contrattuale tipica in
questione, l’effetto reale si collega, con un nesso automatico, allo scambio dei consensi,
rende difficile ipotizzare che una analoga valenza possa essere attribuita ad un fatto
(l’aggiungere una o più cose all’universalità compravenduta) che si colloca, sotto il
profilo temporale, in un momento in cui l’effetto traslativo si è già prodotto (ed
esaurito); e che, tra l’altro, è riferibile, sotto il profilo soggettivo, ad una sola parte:
cioè, al solo venditore.
A ciò si aggiunga che l’effetto traslativo – e, dunque, l’attribuzione patrimoniale – si
verifica sul presupposto della sussistenza – oltre che, naturalmente, di un titulus – di
una ragione giustificativa (causa), che, nel caso della compravendita, si sostanzia nello
scambio del diritto verso il corrispettivo del prezzo. Anche sotto questo profilo, riesce
difficile ammettere che la causa non rappresenti una vicenda tutta legata all’atto e alla
sua conclusione, ma finisca, ça va sans dire, per “stingere”, colorando un fatto –
l’aggiunta di uno o più cose all’universalità compravenduta – che sembrerebbe
altrimenti esserne privo, in quanto, come già si è detto, estraneo all’atto e riferibile al
solo alienante.
Altri motivi di perplessità, attengono alla nozione di universalità.
Trattando in altra occasione tale profilo (il riferimento è sempre al nostro ), si è posto in
evidenza come il singolo atto di destinazione, almeno secondo la ricostruzione ritenuta
preferibile, intanto sia idoneo ad incidere sull’universalità, in quanto sia posto in essere
dal soggetto titolare non solo del diritto di proprietà avente ad oggetto la cosa da
destinare ad universalità, ma anche di quello avente ad oggetto l’universalità [o, a
seconda delle preferenze, le singole cose che (già) la compongono]. Nella vicenda in
esame, se è vero che il venditore può essere titolare del diritto di proprietà sulla cosa
che intende aggiungere all’universalità, è altrettanto vero che lo stesso venditore, in
seguito alla conclusione dell’atto di vendita, non è più titolare, in virtù dell’operare del
principio del consenso traslativo, del diritto di proprietà avente ad oggetto
l’universalità, ma è, di questa, soltanto possessore (o, per alcuni, detentore: sulla
questione, v. ad es. Franzoni 1999, 316 e nota 9; in giurisprudenza, v. per es. Cass. civ.,
sez. II, 15 febbraio 1996, n. 1556, Not, 1997, 241 con nota di Iannaccone). Il che,
almeno a nostro modo di ragionare, rende debole l’argomento che fa leva sulle
caratteristiche dell’oggetto alienato.
Il fatto, poi, che la vendita sia riconducibile tra gli atti essenzialmente onerosi, mentre
la donazione sia annoverabile tra gli atti essenzialmente gratuiti, rende poco praticabile
l’opzione ermeneutica che si sostanzia nel ricorso all’applicazione alla vendita dell’art.
771, 2° co., c.c., dettato in tema di donazione (sul punto, v. Buccisano 1994, 6, e ivi
indicazioni bibliografiche).
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4.3. La non attuazione a latere debitoris del rapporto obbligatorio relativo alla
consegna dell’universalità all’acquirente. Il perimento e il deterioramento
imputabili.
Nell’eventualità in cui, successivamente al perfezionamento del contratto di vendita – e,
con esso, al prodursi dell’effetto traslativo –, l’universalità compravenduta perisca per
causa, questa volta, imputabile all’alienante, non si dubita che questi sia tenuto al
risarcimento del danno.
La tutela risarcitoria è, poi, sicuramente riconosciuta al compratore anche nell’ipotesi in
cui, per colpa del venditore, periscano o vadano smarriti alcuni dei capi che
compongono l’universalità (Rubino 1971, 140).
4.3.1. Risoluzione per inadempimento (artt. 1453 ss. c.c.). Risoluzione di diritto
(art. 1517 c.c.).
Se si ammette, come pare, che alla formula del contratto con prestazioni corrispettive
possa essere sostituita quella, più corretta, del contratto con attribuzioni patrimoniali
corrispettive, lo spostamento di prospettiva dal momento strumentale ed
inevitabilmente riduttivo (prestazione come comportamento) a quello del risultato
(prestazione come attribuzione) consente senz’altro di ricondurre nell’ambito del
vincolo sinallagmatico, e quale momento completivo di una fattispecie acquisitiva
peraltro già realizzatasi al momento dello scambio dei consensi, anche l’obbligazione di
consegnare nell’ambito della vendita (v., con riferimento più in generale alle
obbligazioni di consegnare nascenti da contratti con efficacia reale, Bigliazzi Geri
2001, 336; in giurisprudenza, Cass. civ., sez. III, 6 novembre 1991, n. 11834, RFI,
1991, Vendita, 66: la massima sembra, peraltro, riferirsi ad una ipotesi di vendita ad
effetto reale differito).
Ne viene che al compratore sarà consentito, se del caso, chiedere la risoluzione per
inadempimento ai sensi degli artt. 1453 ss. c.c., qualora l’universalità sia perita o abbia
subito un deterioramento per causa imputabile al venditore (purché, naturalmente,
risulti integrato il presupposto dell’importanza dell’inadempimento: art. 1455 c.c.).
La risoluzione, del resto, potrebbe avere luogo di «diritto» in favore del compratore,
qualora, prima della scadenza del termine stabilito, esso abbia offerto al venditore, nelle
forme d’uso, il pagamento del prezzo e quest’ultimo non abbia invece adempiuto la
propria obbligazione di consegnare l’universalità compravenduta (art. 1517, 1° co. c.c.).
Sempre che, naturalmente, l’acquirente ne abbia dato comunicazione all’altra parte
entro otto giorni dalla scadenza del termine: altrimenti si osservano le norme generali
sulla risoluzione per inadempimento (art. 1517, 3° co. c.c.).
4.3.2. Eccezione di inadempimento (art. 1460 c.c.).
Si tratta, come si sa, di una caratteristica ipotesi di autotutela, nella quale, è opportuno
precisarlo, l’indispensabile evento lesivo – sebbene presupponga l’inadempimento (o il
mancato adempimento) – si traduce nella violazione della posizione complessiva di un
soggetto, e perciò del suo interesse alla conservazione dello status quo. La reazione
difensiva, dunque, si giustifica non tanto per la qualità di creditore del soggetto agente,
quanto perché egli, oltre che tale, risulta essere anche debitore del suo debitore (circa
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l’ambito di applicazione del rimedio, v. specialmente Bigliazzi Geri 1988, 4; id. 2001,
335).
Ciò precisato, nel caso in esame, sussistendo in capo ai contraenti due obbligazioni –
quella del venditore di consegnare l’universalità compravenduta al compratore e quella
di quest’ultimo di pagare il prezzo convenuto – legate da un vincolo sinallagmatico,
qualora le stesse scadano contemporaneamente (la contemporaneità costituisce un
ulteriore presupposto di operatività del rimedio: art. 1460 c.c.), in caso di
«inadempimento» dell’obbligo di consegna (o di «mancata offerta» della prestazione:
sui relativi concetti, v. Bigliazzi Geri 2001, 339), al compratore sarà consentito
avvalersi del rimedio in questione, al fine di paralizzare la pretesa del venditore volta ad
ottenere l’adempimento dell’obbligo del pagamento del prezzo e di sospendere,
pertanto, in modo legittimo, la propria prestazione (il concreto esercizio del diritto
potestativo in cui si traduce l’exceptio dovrà avvenire, naturalmente, nel rispetto della
condizione rappresentata dalla buona fede: art. 1460, 2° co. c.c.).
Il compratore, del resto, potrebbe ricorrere all’exceptio anche qualora fosse tenuto ad
adempiere l’obbligo del pagamento del prezzo in un momento successivo a quello in
cui diventa esigibile il credito correlato all’obbligo relativo alla consegna. Sempre che,
naturalmente, il venditore pretenda l’adempimento nonostante il proprio precedente
inadempimento.
A questa ipotesi può, poi, essere equiparata quella in cui il diverso termine per
l’adempimento del compratore tenuto per secondo fosse stabilito in favore del venditore
inadempiente, stante la ritenuta sostanziale (ex art. 1185, 1° co. c.c. in rel. art. 1184
c.c.), se non formale, coincidenza di tale ipotesi con quella generale (prestazioni
simultanee; cfr. Bigliazzi Geri 2001, 340).
4.4. La non attuazione a latere creditoris del rapporto obbligatorio relativo alla
consegna dell’universalità all’acquirente. La mora del creditore (artt. 1206 ss.
c.c.).
Potrebbe, del resto, accadere che sia il compratore a non collaborare, a non tenere, cioè,
quel comportamento che gli è richiesto affinché il rapporto obbligatorio relativo alla
consegna dell’universalità possa dirsi estinto per il tramite della sua regolare attuazione.
In tal caso, al venditore, che non può, naturalmente, considerarsi liberato per il solo
fatto di avere, eventualmente, proceduto all’offerta ordinaria, è consentito prendere
l’iniziativa e, dopo aver costituito in mora il creditore (compratore) ex art. 1206 c.c.,
dare ingresso a quella procedura di liberazione coattiva che è rappresentata dal deposito
ex art. 1210 c.c. (sempre che non possa trovare applicazione l’art. 1211 c.c.).
Così facendo, il venditore-debitore potrà, per un verso, sottrarsi alle conseguenze
negative altrimenti su di lui ricadenti per effetto di una inammissibile procrastinazione
del rapporto obbligatorio per fatto del compratore-creditore; per l’altro, liberarsi
dall’obbligo invito creditore.
4.4.1. Il deposito della cosa venduta (art. 1514 c.c.).
Sebbene per alcune ipotesi le universalità di mobili siano espressamente assoggettate
dal codice al regime dei beni immobili (cfr. artt. 1156, 1153-1155, 1160, 2° co. 1170
c.c.), per il resto, come si sa, valgono le regole generali relative a tutti gli altri beni
mobili.
12
Se ne ricava che al venditore dovrebbe essere consentito, se del caso, avvalersi del
rimedio previsto dall’art. 1514 c.c. con riferimento alla vendita di cose mobili, al più
circoscritto fine di evitare la protrazione dell’obbligo di consegnare e, quindi, di quello
di custodire l’universalità compravenduta sino al momento della consegna.
Il compratore non collabora, il venditore non è in grado di eseguire la prestazione di
consegnare l’universalità, continuando ad essere obbligato nonostante abbia fatto
quanto in suo potere per adempiere esattamente: è a questo punto che interviene la
legge (art. 1514 c.c.), trasformando l’interesse del venditore alla liberazione
dall’obbligo di consegnare la res vendita nel diritto potestativo di deposito.
Si notino le differenze rispetto all’istituto della mora del creditore (artt. 1206 ss. c.c.).
Lì, l’interesse del debitore alla liberazione dal vincolo assume giuridica rilevanza in
seguito all’offerta formale (purché perfettamente regolare e valida), trasformandosi,
attraverso il procedimento di qualificazione normativa, in interesse legittimo (almeno
secondo la ricostruzione suggerita dalla dottrina ritenuta preferibile: per cui Bigliazzi
Geri 1993, 15). Soltanto in un secondo momento, cioè in seguito alla lesione
dell’accennato interesse conseguente al comportamento abusivo del creditore (rifiuto
dell’offerta formale non sorretto da «motivo legittimo»), sorge in capo al debitore il
diritto potestativo di provocare la liberazione dall’obbligo attraverso il deposito (o, se
del caso, il sequestro: art. 1216 c.c.).
Nel caso del deposito ex art. 1514 c.c., invece, l’interesse del venditore (debitore)
assume giuridica rilevanza già nel momento in cui il compratore (creditore) «non si
presenta per ricevere la cosa acquistata», ottenendo, attraverso il procedimento di
qualificazione normativa, la veste che, per il modo in cui ne è previsto il
soddisfacimento, gli spetta: cioè, quella del diritto potestativo di deposito.
Si può ancora aggiungere che l’art. 1514 c.c. subordina la facoltà del venditore di
procedere al deposito al fatto che il compratore non si presenti per ricevere la cosa.
A ben vedere, tuttavia, esistono altri comportamenti, oltre quello accennato, capaci di
provocare l’inattuazione del rapporto per fatto del creditore, di fronte ai quali se si
accettasse un’interpretazione rigorosa del dettato normativo, al venditore non dovrebbe
essere consentito avvalersi dello strumento in esame (si pensi, volendo esemplificare, al
comportamento del compratore, che, pur presentandosi sul luogo di adempimento, non
cooperi col venditore, così non consentendo allo stesso di eseguire la prestazione).
Occorre, pertanto, chiedersi se sussistono davvero valide ragioni per non ammettere il
ricorso al rimedio in tutti i casi in cui la non esecuzione del rapporto obbligatorio
relativo alla consegna dipenda dal comportamento negativo del compratore [si traduca,
poi, esso, qualora l’iniziativa spetti al compratore, nel non presentarsi a richiedere ed a
ricevere la prestazione o a fare quanto indispensabile per la relativa esecuzione ovvero
nel presentarsi e, allora, nel non cooperare con il venditore; qualora invece l’iniziativa
spetti al venditore (obbligazione portable), nel non farsi trovare o nel non farsi trovare
pronto ovvero in uno specifico rifiuto].
5. (C) L’obbligo contemplato dall’art. 1476 n. 3. La garanzia per evizione.
Anche nella vendita di universalità di mobili, naturalmente, il venditore è tenuto a
garantire il compratore dall’evizione e dai vizi della cosa.
Prendendo le mosse dalla garanzia per evizione, si tratta di un argomento che, a quanto
consta, non ha formato oggetto di pronunce giurisprudenziali significative.
Nella letteratura civilistica – che non vi presta grande attenzione (non più di un cenno,
di massima, vi dedicano sia le opere sull’universalità di mobili, che quella sulla
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vendita) – è frequente l’affermazione secondo la quale, se non sono stati specificamente
pattuiti determinati requisiti dell’universitas, il venditore, avendo venduto solo quel
complesso, risponde, a tale titolo, soltanto dell’appartenenza di esso al suo patrimonio e
soltanto una volta che l’evizione si sia verificata (per cui Rubino 1971, 140, secondo il
quale il venditore, prima di tale momento, risponde secondo le regole della vendita di
cosa altrui). Il venditore, invece, non risponde, né a titolo di garanzia, né per colpa, del
numero e dell’appartenenza dei singoli capi all’universalità [si ritiene che faccia
eccezione l’ipotesi in cui nel contratto si sia precisato che l’universalità risulta
composta da un certo numero di capi, posto che, allora, questo «requisito» diventa una
qualità promessa (art. 1497 c.c.) e il venditore ne risponde come della mancanza di ogni
qualità siffatta: cfr. Rubino 1971, 140].
Secondo un’opinione, l’evizione di singoli oggetti dell’universitas può condurre, se del
caso, allo scioglimento «per intero» del contratto solo se gli oggetti evitti sono, in
relazione al tutto, di tale entità che non si sarebbe comprato il tutto senza la parte
colpita dall’evizione (Ferrara s.d., 804).
5.1. La garanzia per i vizi.
Un discorso analogo è svolto in relazione alla garanzia per i vizi.
Si ritiene, infatti, che la rilevanza dei «vizi» (che, come sempre, devono essere di
notevole gravità e tali da incidere sensibilmente sulla funzione o sul valore della res
vendita: artt. 1476, n. 3 e 1490 c.c.) sia da valutare in relazione all’universalità in sé e
non alle singole cose che la compongono (tranne in presenza di apposito patto oppure
quando il vizio o la mancanza di qualità della singola cosa menomi l’attitudine
funzionale del complesso: Trimarchi 1992, 813).
Secondo un’opinione, i vizi che colpiscono i singoli elementi che formano
l’universalità potrebbero assumere giuridica rilevanza nel caso in cui siano stati pattuiti,
in relazione agli elementi risultati poi viziati, determinati requisiti, posto che, così
facendo, tali requisiti divengono «qualità promesse» e il venditore ne risponde ex art.
1497 c.c. Un’ulteriore ipotesi in cui i vizi (o la mancanza di qualità) di alcuni elementi
(o di «tutti indistintamente»: Rubino 1971, 140) potrebbero assumere rilievo giuridico,
sempre secondo la dottrina riferita, è quella in cui gli stessi riescano «a menomare
l’attitudine funzionale del complesso trasferito, talché questo si presenti difforme da
quello che esprime l’interesse regolato»:
Si prospettano, però, due specificazioni. La prima, almeno entro certi limiti accettabile, riguarda la
possibilità che, per elementi individui, siano pattuiti determinati requisiti i quali divengono così «qualità
promesse» ed il venditore ne risponde ex art. 1497 c.c.
La seconda specificazione riguarda l’ipotesi che la proprietà aliena o i vizi o la mancanza di qualità di
alcuni – senza dire addirittura di «tutti indistintamente» – i mobili riesca a menomare l’attitudine
funzionale del complesso trasferito, talché questo si presenti difforme da quello che esprime l’interesse
regolato: si pensi, per es., ad un gregge che sia quel gregge descritto – cioè, determinato – dalle parti ma
che, per deficienze di singoli capi, si riveli scarsamente produttivo rispetto agli altri di analoga
composizione numerica e di identica razza
(Rascio 1975, 108).
Si è anche scritto che il fatto che il venditore risponda solo per i difetti di quelle cose
che influiscono, per la loro importanza o quantità, sulla qualità del tutto, per modo che
il «gruppo collettivo» appaia «difettoso», non dovrebbe rappresentare una particolarità
della vendita di universitas, bensì un principio comune ad ogni «vendita aversionale»
(Ferrara s.d., 803).
14
5.1.1. La posizione della giurisprudenza.
In un caso in cui due dei sette quadri, venduti assieme ad una scultura di avorio, erano
risultati falsi, e il compratore chiedeva che fosse riconosciuta la ricorrenza di tanti ed
autonomi contratti di compravendita quante erano le cose compravendute e consegnate,
aventi ciascuna una propria autonomia e soggette (anche per quanto atteneva alla
risoluzione del vincolo) ad autonomo regime, il S. C. conferma la sentenza del giudice
di secondo grado che, facendo leva sul fatto che i sette quadri e la scultura in avorio
avessero costituito una universitas facti formata da cose semplici confluite in unità in
forza della voluntas domini, aveva negato la risoluzione del contratto limitatamente ai
due quadri risultati falsi:
Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1490, 1492, 1419
c.c., deducendo che la Corte di Appello ha ritenuto che i sette quadri e la scultura in avorio venduti
avessero costituito una universitas facti formata da cose semplici confluite in unità in forza della voluntas
domini; nella universalità di fatto la utilità complessiva deve trascendere quella delle singole cose che la
compongono e risultare da fatti obiettivi. Nella specie la Corte di Appello avrebbe dovuto riconoscere la
ricorrenza di tanti ed autonomi contratti di compravendita quante erano state le cose compravendute e
consegnate, aventi ciascuna una propria autonomia e soggetta (anche per quanto atteneva alla risoluzione
del vincolo) ad autonomo regime (…).
La censura non è fondata.
Sul piano dell'autonomia negoziale non v'ha dubbio che, in presenza di più cose oggetto di trattative, i
soggetti del contratto come possono dar vita a tanti autonomi e distinti contratti, quante sono le cose da
trasferire, così possono stabilire di stipulare un unico contratto con unico oggetto, rappresentato da una
pluralità di cose considerate unitariamente. Una volta stipulato il contratto, la contestazione insorta sul
punto deve essere dirimita dal giudice del merito facendo ricorso alle regole ermeneutiche di che agli artt.
1362 e segg. c.p.c., ed accertando l'effettiva volontà dei contraenti. Il risultato, così ottenuto dal giudice,
prendendo le mosse da indagini e valutazioni di fatto, non è censurabile in sede di legittimità se immune
da errori logici o giuridici
(Cass. civ., sez. II, 29 aprile 1991, 4762, Banche dati giuridiche, UTET, Platinum, 2, 2008).
Sempre secondo il S. C.:
Nella specie il giudice del merito ha correttamente indicato le ragioni delle scelte, ponendo l'accento
sull'elemento temporale (contestualità della contrattazione in ordine a tutte le cose compravendute), sulla
unicità del negozio, sul prezzo unitariamente e complessivamente determinato (il cui ammontare non
coincideva con la somma dei valori delle singole cose), sull'omogeneità delle cose (tutte definite o
ritenute d'arte), sull'evidente intenzione delle parti di trasferire un complesso di beni considerati
strumentalmente al fine di costituire od accrescere una collezione artistica. Il detto giudice ha quindi
motivamente ritenuto che si fosse trattato nel caso in esame di un unico ed unitario rapporto sostanziale,
con unico consenso, unica causa, unica prestazione.
In tale ottica, l'impugnata sentenza si rivela immeritevole di censura, avendo la Corte territoriale fatto
corretta applicazione (negando la risoluzione del contratto limitatamente ai due quadri falsi) del principio
in forza al quale, in tema di risoluzione per inadempimento, non è ammissibile una caducazione parziale
del contratto quanto all'oggetto, ossia per una sola parte della prestazione (salvo che il contratto stesso sia
ad esecuzione continuata o periodica, nel qual caso - soltanto - risulta applicabile l'art. 1458, comma 1°,
c.c.): ciò perché il contratto è unico e, come ha già avuto modo di affermare questa Suprema Corte
(vedansi sentenze 1874 del 1965 e 420 del 1981) perché l'impossibilità di restituire la cosa nel suo stato
originario preclude la risoluzione non soltanto quando l'impossibilità sia totale, ma anche quando essa sia
solo parziale, in tale secondo caso non essendo più possibile l'esatta rimessione in pristino; il contratto o
si risolve tutto, in relazione all'intera prestazione, oppure permane in toto, salva la possibilità, in
quest'ultima ipotesi, di far ricorso, ove non si siano verificate preclusioni di ordine sostanziale o
processuale, ad altri rimedi, quali la riduzione del prezzo e, se vi sia stata colpa del venditore, il
risarcimento del danno
(Cass. civ., sez. II, 29 aprile 1991, 4762, Banche dati giuridiche, UTET, Platinum, 2, 2008).
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6. Vendita di universalità e vendita di beni mobili di consumo.
Nel caso in cui l’alienante e l’acquirente rivestano, rispettivamente, la qualifica di
«venditore», tratteggiata dall’art. 128, 2° co., lett. b) codice del consumo, e di
«consumatore», così come delineata dall’art. 3 codice del consumo, ci si è chiesti se
possano trovare applicazione le disposizioni contenute negli artt. 128 ss. del capo I,
Della vendita di beni di consumo, del titolo III, Garanzia legale di conformità e
garanzie commerciali per i beni di consumo, del codice del consumo.
All’interrogativo è stata data risposta positiva (v. anche Corso 2005, 18; Caterini 2006,
16 nota 1; Di Giacomino Russo 2006, 862; Maniaci 2006, 462), facendo leva sul fatto
che l’universalità «non costituisce un distinto bene giuridico e lascia intatta l’identità
delle singole entità» che la compongono:
Sembra doversi ritenere che sono soggette alla disciplina comunitaria anche le vendite concernenti beni
mobili registrati (arg. ex art. 815 c.c.) nonché aziende e universalità di mobili (art. 816 ss. c.c.), per i
profili concernenti i singoli beni facenti parte dell’universitas (atteso che essa non costituisce un distinto
bene giuridico e lascia intatta l’identità delle singole entità)
(Luminoso 2004, 303).
L’opinione riferita pare da condividere, almeno per quanto concerne la conclusione cui
perviene, se solo si tiene conto che per le universalità di mobili, fatta eccezione per
alcune ipotesi in cui le stesse sono espressamente assoggettate dal codice civile al
regime dei beni immobili (cfr. artt. 1156, 1153-1155, 1160, 2° co., 1170 c.c.), valgono
le regole generali relative a tutti gli altri beni mobili, e dunque, di massima, anche
quelle contenute nel capo I, del titolo III del codice del consumo, che, ai sensi dell’art.
128, 2° co., si applicano, salvo le eccezioni ivi espressamente contemplate, a «qualsiasi
bene mobile, anche da assemblare» (circa il coordinamento tra la disciplina della
vendita dei beni di consumo e quella della vendita civile, v. Bianca 2006, 3).
INDICE BIBLIOGRAFICO
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2006
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Autotutela (Diritto Civile), in Enc. giur. Treccani, IV, 1-6.
Presentazione al convegno: «vendita e trasferimento della proprietà nella prospettiva storicocomparatistica», Pisa-Viareggio-Lucca, 17-21 aprile 1990, in Rapporti giuridici e dinamiche
sociali. Principi, norme, interessi emergenti, Scritti giuridici, 842-858.
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Feticci e tabù: la riserva di usufrutto e la crisi dei modelli pandettistici, in RDC, 3, II, 255-286.
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2006
Commento all’art. 128 – Ambito di applicazione e definizioni, in I libri de Le Nuove Leggi Civili
Commentate, La vendita dei beni di consumo. Artt. 128-135, d.lgs. 6 settembre 2005, n. 2006 a
cura di C. M. Bianca, Cedam, Padova, 16-26.
Corso C.
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