fini e fonti - doc

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Università degli Studi di Trento – Facoltà di scienze cognitive
Corso di laurea in EDUCATORE PROFESSIONALE SANITARIO
DIRITTO AMMINISTRATIVO
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Documentazione ad uso didattico interno
(a cura di Stefano Malena)
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LA FUNZIONE AMMINISTRATIVA
Con il termine di “Ordinamento giuridico” s’intende l’assetto giuridico e l’insieme delle
norme giuridiche che si riferiscono ad un determinato gruppo sociale.
Con il termine di “Stato” si intende quella comunità di individui stabilmente insediata su un
territorio e retta da autonome regole costituenti un ordinamento giuridico.
Caratteri peculiari sono: la territorialità e la sovranità (intesa come originarietà,
indipendenza). L’articolo 1 della Costituzione sancisce i caratteri dello Stato italiano.
L’ordinamento giuridico statale è qualificato anche politico in quanto portatore di un fine
generale, onnicomprensivo. Lo Stato, come istituzione, si autolegittima e sopravvive per il
perseguimento di determinati fini comuni a tutta la comunità che di esso fa parte, fini definiti “di
interesse generale”.
Lo STATO SOCIALE DI DIRITTO è la forma di stato contemporanea, che mira a
coniugare compiti di benessere, istituti di partecipazione popolare e garanzie di libertà
(libertà ed uguaglianza). Con il progressivo affermarsi dello Stato sociale, il rapporto Statocittadino si orienta sempre più in senso paritario.
Per Amministrazione in senso oggettivo s’intende l’attività regolata da norme giuridiche
svolta per la soddisfazione di interessi pubblici. La nozione è collegata al concetto di
Amministrazione in senso soggettivo, significando che è amministrativa l’attività posta in essere
dalle persone giuridiche pubbliche e dagli organi che hanno competenza alla cura degli interessi dei
soggetti pubblici.
La realizzazione dei fini si attua attraverso quattro momenti fondamentali dell’attività
statale:
a) la scelta di essi, cioè la loro specifica individuazione: funzione politica;
b) la proposizione di essi, ossia il loro riconoscimento nel novero degli scopi dell’attività
statale: funzione legislativa;
c) la loro attuazione, cioè il concreto perseguimento di tali fini: funzione amministrativa;
d) la tutela, cioè la vigilanza ed osservanza degli stessi: funzione giurisdizionale.
A questi quattro momenti corrispondono i quattro poteri dello Stato: potere politico
(affermatosi in epoca recente con lo Stato-sociale) che partecipa allo sviluppo del paese; a fianco
dei tradizionali poteri: legislativo, esecutivo e giurisdizionale.
Teoria della tripartizione dei poteri (Montesquieu 1750 – teoria dei contrappesi).
Alla quadripartizione dei poteri corrisponde una quadripartizione degli atti pubblici tipici
di tali poteri: atti politici, atti legislativi, atti amministrativi e atti giurisdizionali.
Il potere politico, non espressamente previsto dalla Costituzione, è uno dei poteri
fondamentali dello Stato contemporaneo: spetta ad esso individuare e porre i fini che lo Stato deve
perseguire, indicando le scelte fondamentali dell’attività statale (economiche, sociali, istituzionali,
ecc.). Caratteri peculiari dell’attività politica sono: la libertà dei fini e la libertà delle forme.
Atti politici: quelli in cui si estrinsecano l’attività di direzione suprema della cosa pubblica e
l’attività di coordinamento e di controllo delle singole manifestazioni in cui la direzione stessa si
estrinseca (Sandulli). Caratteristica fondamentale di tali atti è la libertà del fine: gli atti politici,
contenendo gli obiettivi fondamentali alla cui attuazione dovrà provvedere anche la Pubblica
Amministrazione, devono armonizzarsi soltanto con la Costituzione. Conseguentemente, si
caratterizzano per la loro insindacabilità: contro di essi non sono esperibili i rimedi utilizzabili a
fronte degli atti amministrativi. Per contro, rispetto a tali atti opera un sistema di controlli e di
sanzioni di carattere politico di competenza del corpo elettorale e del Parlamento.
Atti di alta amministrazione: speciale categoria di atti amministrativi, la cui peculiarità
risiede nell’opera da essi svolta di raccordo tra funzione di governo e funzione amministrativa.
Costituiscono manifestazioni di impulso all’adozione di atti amministrativi, e si collocano in
posizione intermedia tra gli atti politici ed i provvedimenti amministrativi. Hanno carattere
ampiamente discrezionale. Questa funzione è propria del Consiglio dei ministri e dei comitati
interministeriali e trova fondamento normativo nell’art. 95 della Costituzione che attribuisce al
Presidente del Consiglio dei Ministri compiti di unità di indirizzo amministrativo, oltre che di
direzione politica del governo.
Titolari della funzione politica nel nostro ordinamento sono: il corpo elettorale, il
Parlamento, il Governo, il Presidente della Repubblica, le Regioni e le Province autonome, la Corte
Costituzionale.
Potere legislativo: spetta al Parlamento (anche al Governo, ma solo su delega o per urgenza),
ai Consigli regionali e ai Consigli provinciali di Trento e Bolzano.
Potere giurisdizionale: ha per scopo la tutela e la conservazione dell’ordinamento giuridico;
spetta ai giudici, che applicano le norme giuridiche ai rapporti controversi.
La funzione esecutiva o amministrativa è quella che mira alla realizzazione concreta dei
fini dello Stato, attraverso statuizioni che permettano di dare effettiva e immediata operatività
all’astratta previsione legislativa. La funzione amministrativa è, dunque, quella che cura in concreto
la realizzazione dei fini pubblici individuati dal potere politico e assegnati dal potere legislativo alla
Pubblica Amministrazione. Titolari della funzione amministrativa sono lo Stato-amministrazione
e gli enti pubblici autarchici che esplicano tale funzione.
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE: non c’è una definizione legislativa del concetto di
Pubblica Amministrazione, né a livello costituzionale, né a livello di fonti primarie del diritto. Ma la
nozione più ampia ed attendibile la troviamo nell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n.165 del 2001 (Testo
Unico del pubblico impiego). Tale norma si riferisce a tutte le amministrazioni dello Stato “ivi
compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed
amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le regioni, le province, i comuni, le
comunità montane e loro consorzi ed associazioni, le istituzioni universitarie, gli istituti autonomi
case popolari, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti
gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti
del Servizio sanitario nazionale, l’agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche
amministrazioni e le aziende di cui al d.lgs. 300/1999.” (non sono citati i soli “enti pubblici
economici”).
Tra i compiti affidati all’apparato amministrativo, inteso non solo come Stato ma anche
come enti territoriali (come sopra elencati), si distinguono compiti:
primari: presupposto necessario per la stessa esistenza del corpo sociale sono volti alla
organizzazione e alla conservazione non solo della comunità degli amministrati, ma anche
dello stesso apparato amministrativo;
secondari: attengono alla promozione e alla tutela della comunità e al suo benessere e sono
fortemente legati al concetto di Stato sociale, nonché al rapporto dello Stato con la comunità
amministrata.
La funzione amministrativa in senso lato, ossia la cura degli interessi pubblici affidati all’apparato
di ogni amministrazione, può esplicarsi tanto in modo diretto (mediante atti amministrativi
autoritativi, cioè provvedimenti, es. autorizzazione) quanto in modo indiretto (attraverso l’utilizzo
di strumenti del diritto privato, es. contratti). Solo nel primo caso si può parlare di funzioni
pubbliche, mentre nel secondo si parlerà più propriamente di attività economica
dell’amministrazione pubblica.
Il fondamento attuale dell’azione amministrativa è contenuto nell’art. 1, comma 1 bis, della legge
241/90 (legge sulla trasparenza e sulla semplificazione dell’azione amministrativa), il quale dispone
che la Pubblica Amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce
secondo le norme del diritto privato, salvo che la legge non disponga diversamente.
Il processo storico di intervento pubblico nell’economia, sviluppatosi dagli anni ’30 agli anni ’70,
in particolare con la nascita e lo sviluppo degli enti pubblici economici, ha subito un arresto in
considerazione del fallimento e dai grossi deficit accumulati dalle imprese pubbliche e delle
partecipazioni statali. Il processo inverso avviatosi negli anni ’90 prende il nome di
“privatizzazione”.
SOGGETTI DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO
Per DIRITTO AMMINISTRATIVO si intende la disciplina giuridica della Pubblica
Amministrazione nella sua organizzazione, nei beni e nell’attività ad essa peculiari, e nei
rapporti che, esercitando tale attività, si instaurano con gli altri soggetti dell’ordinamento.
La struttura organizzativa della pubblica amministrazione è disciplinata a livello costituzionale
dagli articoli della Costituzione:
art. 95, terzo comma, dispone che “La legge provvede all’ordinamento della Presidenza
del Consiglio e determina il numero, le attribuzioni e l’organizzazione dei ministeri”;
art. 97, comma primo, sancisce che “I pubblici uffici sono organizzati secondo
disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità
dell’amministrazione”.
Lo Stato-amministrazione è un soggetto giuridico che agisce per fini propri, alla pari degli altri
soggetti pubblici e privati, ed è anch’esso vincolato all’osservanza delle norme giuridiche
vigenti: è l’ente pubblico per eccellenza, anche se nell’ordinamento italiano vige il principio del
pluralismo della P.A. (formazioni sociali di cui all’art. 2 Cost. e autonomie locali di cui all’art.
5 Cost.)
La funzione amministrativa costituisce esplicazione di una posizione giuridica pubblica
qualificata potestà. Per potestà amministrativa si intende quel potere di supremazia
finalizzato alla realizzazione dei fini pubblici individuati dagli organi ai quali compete la
determinazione dell’indirizzo politico. I fini pubblici predeterminati che l’ente pubblico ha il
potere-dovere di realizzare sono definiti fini istituzionali dell’ente.
Lo Stato-amministrazione ha delle caratteristiche esclusive: è ente sovrano; ente politico ed
ente necessario; la sua personalità giuridica è incontestabile.
GLI ENTI PUBBLICI
Nel diritto il termine “ente” sta ad indicare le persone giuridiche pubbliche e private, e i gruppi
organizzati.
L’art. 4 della legge 20.3.1975, n. 70 (legge sul parastato) dispone che “nessun ente pubblico
può essere riconosciuto o istituito se non per legge”. Sono quindi “pubbliche” le persone
giuridiche che un atto legislativo dichiara tali.
L’individuazione della natura pubblica o privata di un ente è di particolare importanza, perché
comporta l’assoggettamento dell’ente stesso e dei suoi amministratori e dipendenti ad un
regime giuridico particolare.
Per accertare la natura pubblica di un ente si deve guardare al regime giuridico di esso, e cioè al
complesso di norme e di principi che ne regolano l’esistenza e l’attività, nonché all’inserimento
nella struttura amministrativa pubblica. Gli indici di riconoscimento sono individuabili in:
a)
un sistema di controlli pubblici (meno intenso quanto più l’ente è autonomo);
b)
una ingerenza dello Stato o di altra P.A. nella nomina e revoca dei dirigenti nonché
nell’amministrazione dell’ente;
c)
una partecipazione dello Stato o di altra P.A. alle spese di gestione;
d)
il potere di direttiva dello Stato nei confronti degli organi;
e)
finanziamento pubblico istituzionale;
f)
costituzione ad iniziativa pubblica (D.lgs. 267/2000 conferisce a Comuni e Province il
potere di costituire enti municipali, istituzioni e SpA a prevalente capitale pubblico per lo
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svolgimento di attività anche economiche).
Devono quindi ricondursi alla nozione di organismo di diritto pubblico gli enti aventi
personalità giuridica, posti sotto l’influenza dominante dello Stato, degli enti locali o di altri
organismi di diritto pubblico, e la cui attività sia diretta al soddisfacimento di bisogni generali,
purché non suscettibili di essere soddisfatti mediante la produzione di beni ovvero fornendo
direttamente servizi in regime di concorrenza con altri operatori commerciali.
CARATTERI DEGLI ENTI PUBBLICI
Gli enti pubblici che agiscono in regime di diritto amministrativo sono denominati enti
autarchici, distinguendosi dagli enti operanti alla stregua di criteri privatistico-imprenditoriali.
Gli enti pubblici godono di un particolare regime giuridico, riassumibile nelle seguenti 4
capacità:
AUTARCHIA - è la capacità degli enti pubblici di amministrare i propri interessi,
svolgendo un’attività avente gli stessi caratteri e la stessa efficacia dell’attività amministrativa
dello Stato, e disponendo di potestà pubbliche.
AUTOTUTELA – è quel complesso di attività amministrative con cui ogni pubblica
amministrazione risolve i conflitti potenziali o attuali, relativi ai suoi provvedimenti o alle sue
pretese. E’ la capacità riconosciuta dalla legge all’amministrazione di farsi ragione da sé, con
i mezzi amministrativi a sua disposizione.
AUTONOMIA – sta ad indicare la capacità di un soggetto di darsi da sé le proprie regole.
Consiste nella “libertà di determinazione consentita ad un soggetto, esplicantesi nel potere di
darsi una legge regolativa della propria azione o, più comprensivamente, la potestà di
provvedere alla cura di interessi propri, e quindi di godere e di disporre dei mezzi necessari per
ottenere un’armonica e coordinata soddisfazione degli interessi medesimi” (Mortati).
Si parla di autonomia con riferimento alla capacità politica, normativa, organizzativa, contabile,
finanziaria e gestionale di un soggetto: il termine autonomia sta ad indicare l’indipendenza
dell’ente nell’esercizio delle stesse.
AUTOGOVERNO – Il termine deriva da un istituto proprio degli ordinamenti di tipo
anglosassone (self-government) e si realizza quando gli organi locali di governo sono
composti da elementi scelti dagli stessi governati (Sandulli).
GLI ENTI PUBBLICI AUTARCHICI
Gli enti pubblici detti strumentali (rispetto ai fini secondari dello Stato) o autarchici (per
evidenziare la capacità di autoamministrazione e autonomia tipica dalla struttura ministeriale)
sono nati quando lo Stato sociale di diritto ha iniziato ad espandere i propri compiti, anche in
ambiti di competenza del privato, quali la previdenza, l’economia, la ricerca, ecc..
Complessivamente vennero indicati sotto il nome di “parastato”, o “amministrazione
parallela” (rispetto ai Ministeri).
In periodo fascista furono istituiti alcuni enti autarchici con specifica funzione di intervento
diretto nell’economia di mercato, da cui il nome di enti pubblici economici, a fronte degli altri
detti non economici (il primo fu l’IRI).
Fondamento costituzionale che ne giustifica l’esistenza è generalmente riconosciuto nell’art. 3
Cost., ove tra i compiti fondamentali dello Stato, è previsto quello della rimozione degli
ostacoli che impediscono al cittadino la partecipazione in regime di uguaglianza alla vita del
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paese.
A differenza degli enti locali territoriali e delle autorità indipendenti, gli enti in questione, pur
se dotati di autarchia e di varie forme di autonomia, non godono di indipendenza, né
dell’autogoverno tipico degli enti locali. Ogni ente pubblico parastatale è controllato da un
Ministero competente o dal Governo che ne nomina, direttamente o indirettamente, i vertici.
La legge n. 70 del 1975 classificava gli enti autarchici prevedendo la soppressione di quelli
inutili. Sono enti pubblici autarchici, che perseguono fini ed interessi propri dello Stato e
curano attività di sua pertinenza: l’ISTAT; l’ICE; l’INPS; l’INPDAP; l’INAIL; il CNR;
l’ENEA; la CRI; la Banca d’Italia. Fra gli enti autarchici di ambito locale sono da menzionare:
le Camere di Commercio, I.A.A.; gli ordini e collegi professionali; gli enti lirici; gli enti parco.
La legge 70/1975 individuava 4 categorie di enti:
gli enti necessari (c.d. parastato) che devono essere mantenuti perché esercitano
funzioni strumentali all’attività statale (es: INPS, INAIL, CONI, ENEA);
enti non soggetti alla legge sul parastato: non previsto elenco dettagliato (EPE, IPAB,
Camere di commercio);
altri enti pubblici, che continuano ad esistere dopo la legge sul parastato come enti
privati senza finanziamento statale;
enti inutili: categoria residuale per la quale è prevista la soppressione.
Gli ENTI PUBBLICI ECONOMICI costituiscono una particolare categoria di enti pubblici, i
quali non operano in regime di diritto amministrativo bensì di diritto privato e sono titolari
di impresa.
Tali enti costituiscono uno dei tre istituti (con le aziende autonome e l’azionariato di stato) di
cui si avvale lo Stato per intervenire nel sistema economico, che si configura pertanto “misto”.
La tendenza più recente (a partire dagli anni novanta attraverso il processo cosiddetto della
privatizzazione) è quella di trasformare gli enti pubblici economici in società per azioni (es.
ENEL, IRI, ENI, ecc.). A livello di amministrazioni comunali spesso vengono costituiti degli
enti, cioè le Aziende Speciali, che gestiscono i servizi pubblici locali (fornitura di energia,
trasporti, ecc.) e che sono assimilabili agli enti pubblici economici.
ORGANO
Prevale una teoria mista secondo la quale: per organo si intende la persona (organo
individuale) o il complesso di persone (o.collegiale) preposte ad un determinato centro di
imputazione di competenze amministrativa e che pertanto esercitano una pubblica potestà.
Elementi essenziali dell’organo sono quindi: il titolare dell’organo e l’esercizio di una pubblica
potestà.
UFFICIO
L’ufficio è il complesso organizzato di sfere di competenza, persone fisiche, beni materiali e
mezzi rivolto all’espletamento di un’attività strumentale – conoscitiva, preparatoria, o
esecutiva – tale da consentire all’organo di porre in essere i provvedimenti per la realizzazione
dei fini istituzionali dell’ente.
Rapporto organico
Tra organo (o ufficio) e soggetto preposto ad esso, esiste un rapporto, detto “organico”: la
dottrina più moderna ritiene che il rapporto organico sia un rapporto di immedesimazione tra
preposto ed organo: il primo è infatti tutt’uno con il secondo non costituendo un soggetto a sè
stante. Pertanto il rapporto organico è un rapporto non giuridico, ma organizzativo.
Preposto all’organo o all’ufficio è il soggetto che si trova nella posizione di autore e
responsabile dell’attività dell’organo o ufficio, in quanto investito dell’ufficio.
E’ principio generale che il soggetto preposto ad un ufficio o ad un organo non può delegare
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ad altri le proprie attribuzioni, se non nei casi previsti specificamente dalla legge.
Eccezionalmente, titolare dell’ufficio può essere, anziché una persona fisica, una persona
giuridica. Il rapporto organico non è un rapporto giuridico, esprime solo la relazione interna
(organizzatoria) tra organo (o ufficio) e soggetto preposto ad esso.
Il rapporto di servizio è invece, la relazione esterna tra la persona fisica e l’ente, in virtù
della quale sorgono le posizioni giuridiche favorevoli e sfavorevoli tra i due distinti soggetti: è
rapporto giuridico. Sorge con atto amministrativo di assunzione del soggetto, mentre il
rapporto organico sorge con atto amministrativo di assegnazione del soggetto all’ufficio o
all’organo.
Sotto il profilo delle relazioni tra gli organi sono possibili i seguenti rapporti:
A)
GERARCHIA. E’ il rapporto esterno intercorrente tra organi individuali di grado
diverso all’interno di uno stesso ramo di amministrazione. La gerarchia si sostanzia nella
subordinazione di un organo rispetto ad un altro e si manifesta con un potere di supremazia
riconosciuto al secondo sul primo. Poteri: direzione dell’attività, potere di delega, di risolvere i
conflitti di competenza, di vigilanza.
Nella attuale struttura amministrativa si è sviluppato un modello di gerarchia in senso lato,
caratterizzato dalla presenza solo di alcuni dei poteri suddetti, accanto a quello di ordine. Si
registra anche una progressiva sostituzione del modello gerarchico con quello della direzione,
in cui l’organo sovraordinato non impartisce ordini puntuali, ma direttive, ossia indica gli
obiettivi da raggiungere, lasciando libertà di azione all’organo sottostante circa le modalità di
perseguimento degli stessi.
La crisi del modello gerarchico è rinvenibile nelle leggi: la legge n. 241 del 1990 sembra
infatti attribuire al responsabile del procedimento una posizione di sostanziale autonomia
operativa rispetto ai superiori.
B)
DIREZIONE. Trattasi di un potere autonomo, cui ineriscono poteri minori
(propulsione, direttiva e controllo) per cui ai destinatari di essi rimane una notevole
autonomia di determinazione nella scelta delle modalità di perseguimento degli obiettivi
fissati. Le direttive amministrative dettano regole di comportamento, lasciando sempre un
ampio margine di discrezionalità all’organo chiamato poi ad applicarle, fermo restando
l’obbligo di motivare eventuali prassi difformi rispetto agli indirizzi.
C)
COORDINAMENTO. Meno intenso è il potere di coordinamento riconosciuto talvolta
ad un ufficio rispetto ad altri uffici al fine di coordinarne ed armonizzarne l’attività. Si
estrinseca nel potere, riconosciuto all’organo coordinatore, di impartire le disposizioni idonee
per la realizzazione del disegno unitario vigilando sull’osservanza di esse.
D)
CONTROLLO. Tale relazione consiste nella possibilità che un organo sindachi
l’operato di un altro organo a fini di prevenzione e riparazione, ed a salvaguardia degli
interessi su cui è chiamato a vigilare.
La funzione di controllo è quella che tende ad assicurare che gli organi di amministrazione
attiva agiscano in modo conforme alle leggi e secondo l’effettiva opportunità in relazione al
concreto interesse pubblico. In relazione all’oggetto del controllo, si distinguono:
controlli sugli atti, diretti a valutare la legittimità o anche l’opportunità di un singolo
atto amministrativo;
controlli sui soggetti, diretti a valutare l’operato delle persone fisiche preposte agli
uffici o la funzionalità di un organo in quanto tale, al fine di adottare le opportune misure per
garantire il buon funzionamento;
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controlli sull’attività, diretti a verificare i risultati raggiunti.
I controlli sugli organi o sugli enti mirano a garantire il buon funzionamento e il buon
andamento. Controllo ispettivo: potere di disporre ispezioni e accertamenti sull’attività
dell’amministrazione controllata; sostitutivo semplice: in caso di inerzia o ritardo; sostitutivorepressivo: sostituzione dell’organo e applicazione di sanzioni; repressivo: particolari sanzioni
disciplinari.
CONTROLLO DI GESTIONE – Introdotto dall’art. 20 del D.lgs. 29/1993 l’istituzione nelle
amministrazioni pubbliche di servizi di controllo interno o nuclei di valutazione, con il
compito di verificare, mediante valutazioni comparative dei costi e dei rendimenti, la
realizzazione degli obiettivi, la corretta ed economica gestione delle risorse pubbliche,
l’imparzialità e il buon andamento dell’azione amministrativa. E’ questo il controllo interno di
gestione, vale a dire secondo la definizione dell’art. 196 del D.lgs. 267/2000 in materia di
contabilità degli enti locali, la procedura diretta a verificare lo stato di attuazione degli
obiettivi programmati e, attraverso l’analisi delle risorse acquisite e della comparazione
tra i costi e la qualità/quantità dei servizi offerti, la funzionalità dell’organizzazione
dell’ente, l’efficacia, l’efficienza e il livello di economicità nell’attività di realizzazione dei
predetti obiettivi.
COMPETENZA
La competenza di un determinato organo indica il complesso di poteri e di funzioni che esso
può per legge esercitare. La competenza esterna di un organo amministrativo deve essere
determinata dalla legge ordinaria. L’art. 97, comma 1, Cost. sancisce che “i pubblici uffici sono
organizzati secondo disposizioni di legge”, e al comma 2 precisa che “nell’ordinamento degli
uffici sono determinate le sfere di competenza”.
La competenza degli organi amministrativi si distingue secondo tre categorie:
a)
l’attribuzione della competenza per materia comporta la ripartizione dei compiti
con riferimento ai singoli oggetti;
b)
la ripartizione per territorio presuppone identità di competenza per materia,
all’interno dello stesso ramo di amministrazione, e la ripartizione delle attribuzioni sotto
il profilo territoriale;
c)
la competenza per grado, contraddistinta dall’identità di competenza per materia
e per territorio, si configura nell’ambito di ciascun ramo dell’amministrazione.
Esistono casi previsti dalla legge, in cui si determina lo spostamento dell’esercizio della
competenza, ferma restando la titolarità. Tali meccanismi giuridici sono: la delega,
l’avocazione, la sostituzione.
DELEGA DI POTERI = atto amministrativo organizzatorio per effetto del quale, nei casi
espressamente previsti dalla legge, un organo o un ente, investito in via originaria della
competenza a provvedere in una determinata materia, conferisce ad altro organo o ad altro ente,
autoritativamente e unilateralmente, una competenza di tipo derivato in quella stessa
materia. (Quaranta)
La delega trasferisce dal delegante al delegato non già la titolarità del potere, bensì solo
l’esercizio di esso. La delega è un atto amministrativo organizzatorio, discrezionale,
essenzialmente temporaneo, ampliativo. Per effetto della delega, il delegante acquista nei
confronti del delegato: potere di impartire direttive, di sostituzione in caso di inerzia, di
annullamento in sede di autotutela, di revoca della delega.
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FONTI DEL DIRITTO
DIRITTO AMMINISTRATIVO – Nucleo omogeneo di norme di diritto pubblico volte a
tutelare i cittadini nei confronti del potere esecutivo esercitato dallo Stato e dagli altri enti
pubblici. E’ diritto pubblico interno, autonomo, comune, ad oggetto variabile. Per altri è quella
branca del diritto avente ad oggetto la cura degli interessi pubblici.
FONTI DEL DIRITTO – Ciò da cui trae origine la norma giuridica. Sono gli atti o i fatti di
produzione normativa che costituiscono, nel loro insieme, l’ordinamento giuridico statale.
La pluralità di fonti esistenti negli ordinamenti giuridici più progrediti presuppone delle regole
che disciplinino le relazioni fra esse, per evitare che si intralcino a vicenda.
I rapporti tra le fonti possono regolarsi secondo tre criteri: cronologico, gerarchico e di
competenza.
RISERVA DI LEGGE – Consiste in una espressa limitazione della potestà normativa per
determinate materie, operata dalla Costituzione a favore della legge ordinaria. Può essere
assoluta, quando la Costituzione impone al legislatore di disciplinare la materia in modo
tendenzialmente compiuto, per cui ai regolamenti può essere lasciata la sola disciplina di
dettaglio (formula usata: “nei casi e nei modi previsti dalla legge”), oppure relativa, quando si
affida al legislatore la disciplina degli aspetti fondamentali della materia, lasciando maggior
spazio al potere regolamentare e alla discrezionalità dei pubblici poteri (espressione usata: “in
base alla legge”).
GERARCHIA (classificazione) delle fonti:
1)
fonti di rango costituzionale, comprendenti: principi supremi dell’ordinamento
costituzionale; la costituzione e le leggi costituzionali (L. cost.), le leggi di revisione
costituzionale; gli statuti delle regioni e province ad autonomia speciale;
2)
fonti di rango primario e subprimario, comprendenti: leggi ordinarie dello Stato
(L.), regolamenti della CE, referendum abrogativo, decreti-legge (D.L.), norme di attuazione
degli statuti di autonomia, leggi regionali e delle province autonome (L.R. o L.P.); decreti
legislativi (D. LGS.);
3)
fonti di rango secondario, comprendenti: regolamenti governativi (D.P.R. –
regolamenti di esecuzione delle leggi, anche regionali e provinciali); regolamenti ministeriali
(D.M.) e di altre autorità; statuti degli enti locali; statuti degli enti minori; ordinanze;
4)
gli usi normativi (cioè il diritto non scritto) quli sono, ad esempio, le consuetudini
vigenti nei comuni di raccogliere la legna dai boschi o lo sfalcio dei prati ad uso foraggio per
bestiame all'interno del territorio comunale.
LE FONTI SECONDARIE – La categoria delle fonti secondarie, maggiormente rilevante
nello studio del diritto amministrativo, comprende tutti gli atti espressione del potere
normativo della pubblica amministrazione statale (Governo, ministri, prefetti) o di altri enti
pubblici (comuni, province, regioni). Sono atti formalmente amministrativi ma
sostanzialmente normativi: non hanno forza né valore di legge, ma solo forza normativa; non
possono cioè equipararsi alle leggi, ma dispongono di una forza giuridica che le pone quali
fonti del diritto.
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La modifica al Titolo V, parte seconda della Costituzione, apportata dalla legge costituzionale
18.10 2001, n. 3, ha notevolmente ampliato l’autonomia normativa degli enti locali, mettendo
in discussione la posizione di statuti e regolamenti locali nella gerarchia delle fonti normative.
LA COSTITUZIONE
La Costituzione è la legge fondamentale dello Stato che contiene le norme e i principi generali
relativi all’organizzazione, al funzionamento e ai fini dello Stato.
La nostra è di tipo: votata, rigida, lunga e scritta.
La Costituzione prevede diversi principi in materia amministrativa:
-
principio di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa (art. 97);
principio di riserva di legge in materia di organizzazione dei pubblici uffici (97);
diritto alla tutela giurisdizionale nei confronti dell’azione amministrativa (24 e 103);
principio del decentramento ammnistrativo (art. 5);
principio della tutela delle autonomie locali (art. 5);
principio del libero accesso dei cittadini ai pubblici impieghi per concorso (art. 51 e 97);
principio della riserva di legge per l’imposizione di prestazioni coattive (art. 23);
principio della espropriabilità della proprietà privata (art. 42, comma 3, e 43);
principio dell’obbligo di tutti a concorrere alle spese pubbliche (art. 53);
principio della programmazione economica (art. 41);
principio dell’indipendenza dei giudici amministrativi (art. 100);
principi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione (art. 118);
principio di leale collaborazione (art. 120).
Le modifiche alle norme della Costituzione possono essere effettuate solo con leggi di
revisione della Costituzione, secondo un procedimento aggravato previsto dall’art. 138.
La COSTITUZIONE si divide in parti e titoli.
Articoli da 1 a 12 contengono i principi fondamentali;
Parte prima da art. 13 ad art. 54: Diritti e doveri dei cittadini (rapporti civili, etico-sociali,
economici, politici);
Parte seconda (art. 55-139): Ordinamento della Repubblica (Parlamento, formazione delle
leggi, Presidente della Repubblica; Governo; Magistratura; regioni, province e comuni;
garanzie costituzionali).
LE FONTI PRIMARIE
Tale categoria comprende principalmente tutte le leggi ordinarie emanate dal Parlamento, i
decreti legislativi emanati dal Governo su delega del Parlamento, i decreti-legge emanati
direttamente dal Governo nei casi di necessità ed urgenza.
Fondamento normativo di tale attività è contenuto nell’articolo 70 della Costituzione, che
afferma chiaramente, rispetto al principio della separazione dei poteri, che: “La funzione
legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”, e all’articolo 76: “L’esercizio
della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione dei
principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti”.
L’articolo 77 Cost., inoltre, prevede la possibilità per il Governo, in casi straordinari di
necessità ed urgenza, di emanare decreti-legge, cioè provvedimenti provvisori aventi forza e
valore di legge, che devono essere presentati il giorno stesso dell’emanazione al Parlamento per
la conversione in legge. I decreti perdono efficacia fin dall’inizio se non sono convertiti in
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legge dal Parlamento entro 60 giorni dalla pubblicazione.
(Ai sensi dell’art. 71, l’iniziativa legislativa spetta al Governo, a ciascun membro delle Camere,
agli organi ed enti ai quali sia conferita con legge costituzionale, al popolo con proposta firmata
da almeno 50.000 elettori).
Al pari delle fonti primarie, ed anzi con prevalenza sulle leggi dello Stato in caso di
contrasto, c’è il regolamento comunitario, e quindi, segue un cenno alle
FONTI DI ORIGINE COMUNITARIA
L’articolo 249 del Trattato CE (1957) stabilisce che gli organi comunitari sono abilitati ad
emanare regolamenti, direttive, decisioni (vincolanti), raccomandazioni e pareri (non
vincolanti).
REGOLAMENTO – Ha portata generale; è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente
applicabile in tutti gli stati membri.
I regolamenti sono automaticamente efficaci negli stati membri al pari delle leggi ordinarie
ed entrano in vigore dopo 20 giorni dalla pubblicazione nella GU-UE. Il regolamento
comunitario è vero e proprio diritto interno; se una legge di uno stato membro contrasta con un
regolamento CE deve essere disapplicata dal giudice, senza bisogno di una dichiarazione di
incostituzionalità; il regolamento comunitario prevale sulla legge nazionale anche se questa sia
posteriore.
DIRETTIVA – Vincola lo stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da
raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai
mezzi. Non sono immediatamente vincolanti e direttamente applicabili negli stati membri,
ma hanno un’efficacia soltanto mediata attraverso i provvedimenti di attuazione che gli stati
ritengono opportuno adottare. Sono atti che vincolano lo Stato in relazione al solo risultato da
perseguire, e in ordine al quale lo stato emanerà (nei termini fissati dalla direttiva) una legge o
un regolamento.
La Corte di Giustizia CE ha via via consolidato il principio della responsabilità dello Stato per
il mancato recepimento della direttiva, con il conseguente profilarsi a suo carico di un obbligo
risarcitorio.
DECISIONE – La decisione è obbligatoria in tutti i suoi elementi per i destinatari da essi
designati. Hanno lo stesso carattere vincolante dei regolamenti e delle direttive, ma si
differenziano perché si indirizzano ad uno o più soggetti individuati.
SENTENZE DELLA CORTE DI GIUSTIZIA – Alla Corte di Giustizia spetta interpretare e
assicurare l’applicazione del diritto comunitario in modo uniforme in tutti gli stati membri.
Emette, ex art. 220 Trattato CE, il giudizio di inadempienza a carico dei singoli stati membri.
Secondo una giurisprudenza dominante della Corte costituzionale, le pronunce della Corte
costituirebbero fonte normativa direttamente applicabile negli stati membri.
La nostra Corte Costituzionale, attraverso un graduale adeguamento alle posizioni della Corte
di giustizia, è giunta a riconoscere la prevalenza delle norme CE su quelle interne collocandole,
nella gerarchia delle fonti, in una posizione di subordinazione alla sola Costituzione e di
sovraordinazione alla legge ordinaria.
Il nostro ordinamento nazionale si adegua periodicamente all’ordinamento comunitario
attraverso la legge comunitaria annuale (come previsto dalla legge 4 febbraio 2005, n. 11) nella
quale sono previste:
disposizioni modificative o abrogative di norme vigenti in contrasto con gli obblighi
comunitari;
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disposizioni modificative o abrogative di norme vigenti oggetto di procedure di
infrazione avviate dalla Commissione della CE nei confronti dell’Italia;
disposizioni per dare attuazione a trattati internazionali;
disposizioni che autorizzano il governo ad attuare le direttive con regolamento, ecc.
La partecipazione delle Regioni e delle Province Autonome all’attività normativa comunitaria è
stata disciplinata dalla riforma costituzionale avvenuta con legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3, e
dalla relativa legge di attuazione n. 131 del 2003.
In particolare, l’art. 117, comma 5, Cost. recita: “Le Regioni e le Province Autonome di
Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla
formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli
accordi internazionali e degli atti dell’unione europea, nel rispetto delle norme di procedura
stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in
caso di inadempienza”.
Quindi la Regione e le Province Autonome partecipano:
nella fase ascendente del diritto comunitario, vale a dire all’iter procedurale che porta
all’adozione di un determinato atto;
nella fase discendente del diritto comunitario, vale a dire nel momento in cui diventa
necessario dare attuazione agli atti normativi comunitari;
si prevede una legge organica statale che disciplini modalità di esercizio e poteri di
intervento sostitutivo.
Passando alle fonti di rango secondario (maggiormente attinenti al diritto amministrativo):
I REGOLAMENTI
I regolamenti sono atti formalmente amministrativi, in quanto emanati da organi del potere
esecutivo, aventi forza normativa, in quanto contenenti norme destinate ad innovare
l’ordinamento giuridico.
Troviamo una definizione normativa di regolamento nell’art. 14 del D.P.R. n. 1199 del 1971
che disciplina i ricorsi amministrativi: atto amministrativo generale a contenuto normativo.
Sono quindi atti generali, astratti, innovativi, come da Cassazione civile del 1994:
“…i regolamenti sono espressione di una potestà normativa attribuita all’amministrazione,
secondaria rispetto alla potestà legislativa, e disciplinano in astratto tipi di rapporti giuridici
mediante una regolazione attuativa o integrativa della legge, ma ugualmente innovativa rispetto
all’ordinamento giuridico esistente, con precetti aventi i caratteri della generalità e
dell’astrattezza.”
Fondamento della potestà regolamentare sta nell’espressa attribuzione di competenza fatta
dalla legge ad un organo amministrativo.
Limiti alla potestà regolamentare: non possono derogare o contrastare con la Costituzione, né
con le leggi ordinarie; non possono regolare materie riservate dalla Costituzione alla legge; non
possono derogare al principio di irretroattività della legge (mentre la legge può perché il
principio è sancito dall’art. 11 disp. prel. c.c.); non possono contenere sanzioni penali; non
possono contrastare con regolamenti emanati da autorità gerarchicamente superiori; non
possono regolare istituti fondamentali dell’ordinamento.
I regolamenti, in quanto atti amministrativi (generali e astratti) a contenuto normativo non
necessitano di specifica motivazione: la legge 241/1990 ha sottratto al generale obbligo di
motivazione gli atti normativi, in quanto considerati di matrice politica.
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Classificazione dei regolamenti:
possono essere esterni o interni all’amministrazione;
quelli esterni (classificazione di cui a legge n. 100 del 1926) possono essere di
esecuzione (necessari a dare esecuzione alla legge o a regolamenti comunitari), indipendenti
(destinati a disciplinare le materie attribuite dalla legge alla competenza della P.A.), o di
organizzazione (concernenti l’organizzazione di uffici amministrativi);
c.d. regolamenti “delegati” (o “autorizzati” o “liberi”), categoria di elaborazione
dottrinale caratterizzati dal fatto di poter eccezionalmente derogare a disposizioni di legge, di
poter disciplinare in via esclusiva materie potenzialmente riservate alla legge; poter dettare
disciplina in materie delegificate.
In tema di regolamenti “delegati” l’art. 17 della legge n. 400 del 1988 dispone per la
prima volta la c.d. “delegificazione”: cioè la facoltà per il legislatore di autorizzare il
Governo all’emanazione di regolamenti diretti a disciplinare materie non coperte da
riserva assoluta di legge, dettando “le norme generali regolatrici della materia” e
disponendo l’abrogazione delle norme vigenti all’entrata in vigore delle norme
regolamentari. Il Consiglio di Stato ha ricordato che tali R. hanno natura normativa e
per l’adozione è richiesto il parere del Consiglio di Stato;
regolamenti di attuazione delle normative comunitarie, previsti dall’articolo 11 della
legge n. 11 del 2005: la legge comunitaria annuale può autorizzare il Governo ad attuare le
direttive comunitarie mediante regolamento purchè in materie già disciplinate e non riservate
alla legge.
Titolarità della potestà regolamentare.
I regolamenti possono essere emanati da: organi statali (per essi la competenza all’emanazione
è riservata dall’art. 87 Cost. al Capo dello Stato); regioni (costituzionalmente garantita dall’art.
117 e 121 Cost.); province e comuni (ampia potestà regolamentare agli enti locali prevista
dall’art. 7 del D.lgs. 267/2000, nelle materie di propria competenza); altri enti od organi
(ordini professionali, Camere di commercio, aziende speciali dei comuni, autorità
indipendenti).
Il procedimento di formazione dei regolamenti governativi e ministeriali prevede la
deliberazione del Consiglio dei Ministri, previo parere del Consiglio di Stato, e l’emanazione
con decreto del Presidente della Repubblica; dopo il controllo della Corte dei Conti, viene
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale.
LE ORDINANZE
Con il termine di ordinanza ci si riferisce a diversi tipi di atti non necessariamente emanati
dall’autorità amministrativa. Sono tutti gli atti che creano obblighi o divieti ed in sostanza
impongono “ordini”. Per essere fonti del diritto devono avere carattere normativo e cioè creare
delle regole generali e astratte. Le ordinanze non possono contrastare con la Costituzione, non
possono contenere norme penali, non possono di norma contrastare con la legge ordinaria.
Si dividono in tre gruppi:
- ordinanze previste in campi specificamente indicati dal legislatore (i provvedimentiprezzo del CIP);
- ordinanze previste dalla legge in casi eccezionali, di particolare gravità (ordinanze del
Ministro dell’interno o del Prefetto per la tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico);
- ordinanze di necessità ed urgenza, per fronteggiare situazioni di emergenza. Queste
hanno i seguenti caratteri: sono atipiche (per la loro emanazione la legge fissa solo i
presupposti), presuppongono una necessità ed urgenza di intervenire, sono straordinarie,
la loro efficacia è necessariamente limitata nel tempo, trovano fondamento
esclusivamente nella legge, devono essere adeguatamente motivate e vanno
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pubblicizzate; non possono in nessun caso derogare a norme costituzionali, o a principi
generali dell’ordinamento o disciplinare materie coperte da riserva assoluta di legge. In
base all’art. 2 TULPS, ad esempio il Prefetto in caso di urgenza e di grave necessità
pubblica ha facoltà di adottare i provvedimenti indispensabili per la tutela dell’ordine
pubblico e della sicurezza pubblica (altro es.: art. 54 D.lgs. 267/2000 al Sindaco per
eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità dei cittadini).
GLI STATUTI
Per statuto si intende un atto normativo avente come oggetto l’organizzazione dell’ente e le
linee fondamentali della sua attività. Lo statuto è quindi espressione di una potestà
organizzatoria a carattere normativo, che può essere attribuita o allo stesso ente sulla cui
organizzazione si statuisce, oppure ad organo/ente diverso.
Gli statuti regionali (nuovo art. 114 Cost.) sono approvati con legge regionale (art. 123 Cost.)
per le regioni ordinarie; invece, gli statuti delle regioni ad autonomia speciale (e Province
autonome) sono adottati con legge costituzionale.
In attuazione dell’art. 128 della Costituzione, l’art. 6 del D.lgs. 267/2000 ha espressamente
previsto che i comuni e le Province adottano il proprio statuto. L’art. 114 della Cost. come
modificato con l. cost. 3/2001 stabilisce che “i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le
Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla
costituzione”.
La legge di attuazione della riforma istituzionale, l. 131/2003 definisce l’ambito in cui lo
statuto degli enti locali può esplicarsi precisando che esso stabilisce i principi di organizzazione
e funzionamento dell’ente, le forme di controllo anche sostitutivo, nonché le garanzie delle
minoranze e le forme di partecipazione popolare, in armonia con la Costituzione e con i
principi generali in materia di organizzazione pubblica. La modifica ha un duplice significato:
l’affermazione della piena autonomia dei vari livelli territoriali di governo, non più
sottoposti al controllo dell’ente superiore, e inoltre, la subordinazione dell’autonomia di tutti
gli enti citati ai soli principi fissati dalla Costituzione.
LA CONSUETUDINE
E’ la tipica fonte del diritto non scritto; consiste nella ripetizione di un comportamento da parte
di una generalità di persone, con la convinzione della giuridica necessità di esso. Abbisogna di
due elementi essenziali: uno oggettivo (cioè il ripetersi di un comportamento costante ed
uniforme per un certo periodo di tempo) e uno soggettivo (la convinzione della giuridica
necessità del comportamento). Può essere di 3 tipi: praeter legem, se riguarda materie non
disciplinate dalla legge; secundum legem, efficace solo se espressamente richiamata dalla legge
(art. 8 disp.prel.c.c.); contra legem, se relativa a comportamenti contrari alle norme di legge (è
inammissibile).
NORME INTERNE DELLA P.A.
Tutte le P.A. emanano norme interne relative al funzionamento dei propri uffici e alle
modalità di svolgimento della loro attività, dando luogo ad un ordinamento amministrativo
interno. Diversi sono gli atti amministrativi interni: regolamenti, ordini, circolari, istruzioni. La
categoria delle circolari è molto ampia; la dottrina ha individuato vari tipi di circolare:
- organizzativa, contenente disposizioni sull’organizzazione degli uffici;
- interpretativa, recante l’interpretazione di leggi e regolamenti;
- normativa recante precetti vincolanti per le azioni successive dell’amministrazione;
- informativa (su determinati atti o problemi); oppure di cortesia.
Le norme interne trovano fondamento: nel potere di autoorganizzazione proprio di ogni PA,
ovvero nel potere di supremazia speciale, nei confronti di uffici “inferiori”.
Per interpretazione s’intende quell’attività intellettiva mediante la quale si accerta o si
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attribuisce un dato significato alla norma giuridica al fine di ricavarne una regola. In base al
primo comma dell’art. 12 disp. prel. c.c. “Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire
altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole, secondo la connessione
di esse, e dalla intenzione del legislatore”.
Quando si rileva una lacuna del diritto, l’art. 12, comma 2, delle disp.prel. dispone che il
giudice interprete tenga conto delle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe, e,
se il caso rimane ancora dubbio, decida secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico
dello Stato.
Il procedimento di integrazione del diritto si articola in 2 momenti successivi:
1)
il giudice può avvalersi del ragionamento analogico (analogia legis) cioè applicare alla
fattispecie in esame, la disciplina prevista per altra fattispecie;
2)
qualora il ragionamento analogico non sia sufficiente a risolvere il caso concreto, il
giudice deve ricorrere ai principi generali dell’ordinamento giuridico, sanciti dalla Costituzione
(analogia iuris).
L’art. 11, comma 1, delle disposizioni preliminari al codice civile prevede che “la legge non
dispone che per l’avvenire” (la norma può essere derogata da altre norme di legge, ma non da
fonti secondarie). Il principio di irretroattività assurge a rango costituzionale solo in materia
penale secondo quanto dispone l’art. 25 Cost.: “ Nessuno può essere punito se non in forza di
una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”.
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L’ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA
ORGANIZZAZIONE DELLO STATO
L’organizzazione amministrativa del nostro ordinamento repubblicano si fonda sul principio
del decentramento. Tale formula è enunciata dall’articolo 5 della Costituzione quale criterio
guida della legislazione e ribadito, nelle sue concrete implicazioni, dal Titolo V della Parte II
della Costituzione (“Le Regioni, le Province, i Comuni”) modificato profondamente dalla legge
costituzionale 18.10.2001, n. 3.
Il decentramento consiste nel distacco di determinate attribuzioni, prevalentemente
deliberative, dalla sfera di competenza degli organi centrali dello Stato, con conseguente
passaggio ad organi o enti locali. Può riguardare ogni funzione dello Stato (decentramento
politico, legislativo, giurisdizionale, amministrativo): la tematica del decentramento s’intreccia
con quella delle autonomie locali.
L’ordinamento costituzionale del 1948 ha inteso mutare radicalmente l’assetto organizzativo
precedente dando pieno spazio alla formula del decentramento, consacrata con l’istituzione
delle regioni e con la costituzione quindi di uno stato unitario ma regionale.
Le regioni a loro volta dovevano costituire il punto di riferimento per un più incisivo
decentramento nei confronti di comuni e province ai sensi degli articoli 5, 117, 118 e 128 Cost.
Ci fu una resistenza politica al varo delle Regioni ordinarie: alla autonomia istituzionale delle
regioni non corrispondeva l’indispensabile autonomia finanziaria. Bisogna arrivare fino agli
anni settanta per assistere ad una prima attuazione delle regioni, con il trasferimento di funzioni
e relativi mezzi.
Sul versante delle autonomie locali, solo con la tardiva approvazione della legge n. 142 del
1990 (poi confluita nel D.lgs. 267 del 2000) si arriva alla valorizzazione del loro ruolo, grazie
al riconoscimento ai comuni e alla provincia dell’autonomia statutaria e regolamentare e
della possibilità di gestire i servizi locali mediante strutture innovative e snelle.
L’assetto così delineato resiste fino alla prima legge Bassanini (59/97) che ha posto le
fondamenta per quella che è stata definita una riforma dello Stato in senso federalistico a
costituzione invariata, che ha trovato i suoi punti di forza in molti provvedimenti legislativi
successivi (L.127/97, D.lgs.112/98, D.lgs. 56/2000 e 267/2000).
Si è arrivati così all’approvazione della legge Cost. n. 3 del 2001 che ha dato corpo alla
riforma in senso federalistico dello Stato, fino al punto di modificare consistentemente il
Titolo V della parte seconda della Costituzione (articoli 114 – 133) dedicato a regioni ed
autonomie locali. Si è data finalmente piena attuazione al disposto dell’art. 5 al punto di
individuare nelle regioni e negli enti locali dei livelli di governo distinti tra loro ed
istituzionalmente autonomi, salvi i limiti dei principi costituzionali e i poteri sostitutivi in caso
di inerzia.
Alla legge cost. 3/2001 è stata data attuazione con la legge 5 giugno 2003, n. 131, recante
“Disposizioni per l’adeguamento dell’Ordinamento della Repubblica alla legge cost. n. 3 del
2001”.
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L’AMMINISTRAZIONE STATALE
Gli ultimi anni del ventesimo secolo sono stati caratterizzati da un fenomeno di ampia
dismissione di competenze amministrative in favore delle autonomie locali realizzato con
numerosi interventi legislativi noti come le “riforme Bassanini” (legge n. 59 del 1997, n.
127/1997 e legge n. 191/1998 e relativi provvedimenti di attuazione).
L’opera di cessione di competenze agli enti territoriali avrebbe avuto un effetto limitato
sull’efficienza, sull’efficacia e sull’economicità, se non fosse stata accompagnata da una
radicale ristrutturazione delle strutture centrali e periferiche dello Stato. Con i decreti n. 300 e
n. 303 del 1999 si è proceduto alla revisione del modello ministeriale, con l’obiettivo generale
di razionalizzare e semplificare. I Ministeri restano l’articolazione fondamentale del potere
esecutivo, ma sono fortemente ridotti nel numero e accanto ad essi sono istituite agenzie
pubbliche che esercitano funzioni tecnico-operative per conto di diversi dicasteri ed enti
funzionali.
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA (artt. 83 – 91 Cost.)
E’ il Capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale (organo di equilibrio costituzionale nei
confronti dei poteri dello Stato).
E’ organo monocratico; ordinario (cioè elemento stabile dell’organizzazione amministrativa
italiana); esterno; di amministrazione attiva. Attribuzioni principali:

promulgazione delle leggi ed emanazione dei regolamenti governativi;

nomina del Presidente del Consiglio dei Ministri;

emanazione del decreto di decisione dei ricorsi amministrativi straordinari;

nomina dei più alti funzionari dello Stato;

ratifica dei trattati internazionali;

scioglimento dei consigli regionali e rimozione del Presidente della Giunta; e
scioglimento dei consigli comunali per motivi di infiltrazione mafiosa;

indice referendum ed elezioni;

presiede Consiglio Superiore della Magistratura e Consiglio Supremo di Difesa;

conferisce cittadinanza italiana; concede grazia.
IL GOVERNO
E’ un organo costituzionale (rientra nell’organizzazione costituzionale dello stato e partecipa
alla funzione di direzione politica); complesso; di parte (esprime la volontà delle forze politiche
di maggioranza); con funzioni politiche, legislative, esecutive e di controllo. Sono organi
necessari ai sensi dell’art. 92 Cost.: il Presidente del Consiglio; i Ministri; il Consiglio dei
Ministri.
Il Consiglio dei Ministri è organo costituzionale collegiale, formato da tutti i Ministri e dal
Presidente che lo presiede. Le attribuzioni sono state precisate dalla legge 400/1988:
funzione di indirizzo politico e amministrativo del paese;
decisioni sulla politica normativa del governo;
determinazione dell’atteggiamento del Governo nei rapporti con le regioni;
soluzione delle divergenze e dei conflitti di attribuzione tra i ministri.
Il Presidente del Consiglio è nominato con decreto del Capo dello Stato e dura in carica finchè
il governo è retto dalla fiducia del Parlamento. E’ in posizione di supremazia rispetto ai ministri
(scelti come collaboratori proponendo la nomina al PdR), coordinandone e vigilandone
l’attività.
Ai sensi dell’art. 95 Cost. il Presidente del Consiglio dei Ministri dirige la politica generale
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del Governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico e amministrativo
promuovendo l’attività dei Ministri. Per svolgere tale ruolo di direzione, impulso e
coordinamento in modo più efficiente è stato emanato il D. lgs. n. 303 del 1999. Il Presidente
del consiglio cura anche i rapporti con gli altri organi costituzionali, con le istituzioni europee e
il sistema delle autonomie.
I Ministri sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del
Presidente del Consiglio. Sono organi costituzionali con funzioni: politiche, perché
collegialmente collaborano all’attuazione dell’indirizzo politico del Governo, e amministrative,
in quanto a capo dei ministeri quali complessi organi centrali dello Stato, ciascuno dei quali
dirige un particolare settore della P.A. Bisogna però precisare che i Ministri sono titolari delle
sole funzioni di alta amministrazione, relative all’indirizzo e al coordinamento dell’attività
amministrativa delle amministrazioni da loro dipendente; mentre, le funzioni di direzione e di
gestione delle stesse spettano ai rispettivi dirigenti, in virtù del principio di separazione fra
politica ed amministrazione. I Ministri sono responsabili, politicamente e giuridicamente,
degli atti esclusivamente loro propri, per atti formalmente del Capo dello Stato ma da essi
controfirmati, per gli atti dei loro sottoposti.
I Sottosegretari di Stato, previsti dall’art. 10 della legge 400/1988, hanno il compito di
coadiuvare i Ministri, facendo da intermediari tra il vertice politico e la struttura burocratica:
non fanno parte del governo e svolgono attività delegate dal Ministro.
I Comitati Interministeriali, sono organi collegiali costituiti da più Ministri, istituiti per la
cura di particolari settori dell’amministrazione che esigono un coordinamento dell’attività di
più ministeri (CIPE, CICR, CIACE per gli affari comunitari).
La Presidenza del Consiglio dei Ministri è l’organo amministrativo che assiste il Presidente del
Consiglio nello svolgimento delle proprie funzioni (ufficio di staff del Presidente).
I MINISTERI
Il Ministero è la ripartizione fondamentale dell’amministrazione centrale italiana: ogni
ministero è competente per un ramo di attività e per determinate materie ed affari. L’ art. 95
Cost. assegna alla legge ordinaria il compito di determinare il numero, le attribuzioni e
l’organizzazione dei ministeri (riserva di legge assoluta, a differenza dell’art. 97, “relativa” ai
pubblici uffici). Con decreto legislativo n. 300 del 1999 (emanato in attuazione della delega
contenuta nell’art.11 della legge n. 59/1997 - Bassanini) sono state previste per la prima volta
regole uniformi per l’organizzazione dei Ministeri, determinando numero (previsti 14
ripartizioni), attribuzioni e struttura interna.
LE AGENZIE
Il D.lgs. 300/99 ha previsto un istituto nuovo, mutuato dall’ordinamento anglosassone,
l’Agenzia pubblica, ispirata a modelli privatistici ed improntata a criteri di efficacia ed
efficienza (es: Agenzia delle entrate, delle dogane, per la protezione dell’ambiente, per la
formazione professionale). La riforma dei Ministeri ha utilizzato il nuovo strumento come
braccio operativo dei dicasteri per le attività a carattere tecnico. Le Agenzie sono vigilate e
controllate dai ministeri competenti e godono di piena autonomia operativa e di bilancio
nell’ambito degli indirizzi politici generali e degli obiettivi concreti assegnati dai Ministeri e
formalizzate in apposite convenzioni. Tutte svolgono funzioni operative di tipo strumentale
all’amministrazione statale: alcune hanno personalità giuridica e agiscono jure proprio, altre
come organi dell’amministrazione di riferimento. La loro posizione di separatezza è giustificata
esclusivamente dalla natura tecnica delle funzioni svolte e non da funzioni tutorie o di garanzia
(come per le autorità indipendenti). Pertanto, non godono di totale autonomia e sono soggette
al controllo governativo (il Ministro nomina il direttore generale dell’Agenzia).
LE AZIENDE AUTONOME
Il fenomeno delle aziende autonome, che la dottrina inquadra nel decentramento funzionale, si
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è sviluppato per assicurare una gestione agile e pronta di servizi di interesse pubblico,
svincolata dalle strutture amministrative tradizionali anche se sottoposta al controllo dello
Stato.
Sono un organismo atipico, di solito privo di personalità giuridica, ma dotato di una propria
e distinta organizzazione amministrativa, pur se incardinata nell’amministrazione statale.
Le aziende godono di autonomia amministrativa, contabile e finanziaria, ma sono soggette al
controllo politico da parte del Parlamento, gerarchico da parte del ministro competente e
successivo da parte della Corte dei Conti.
La privatizzazione di vasti settori dell’economia pubblica ha investito anche le aziende
autonome, che costituiscono la forma più leggera di intervento pubblico nell’economia. Le
seguenti aziende sono state trasformate in enti pubblici economici, e successivamente in S.p.A.
con l’intento di metterle sul mercato, dismettendo la proprietà pubblica: F.S. spa, Poste Italiane
spa, Telecom Italia spa; ANAS spa, e altre.
Altri Organi di rilievo costituzionale:
CNEL previsto dall’art. 99 Cost.
Il Consigli nazionale dell’economia e del lavoro è organo di consulenza delle Camere e del
Governo, nel settore dell’economia. E’ composto da 121 membri, rappresentanti di tutte le
categorie produttive e del terzo settore. Ha iniziativa legislativa e può contribuire alla
elaborazione della legislazione economica e sociale.
Consiglio Supremo di Difesa – organo collegiale di rilievo costituzionale (art. 87) con compiti
consultivi relativi all’elaborazione delle linee generali della politica di difesa.
Consiglio Superiore della Magistratura (n. 24 componenti)
Non è organo dello Stato-amministrazione, ma organo apicale di autogoverno di un
autonomo potere dello Stato. Presieduto dal Presidente della Repubblica. Svolge funzioni
amministrative relative ai magistrati, particolare categoria di dipendenti pubblici) in attuazione
dei principi costituzionali dell’indipendenza dei giudici e dell’autonomia funzionale (art. 101)
ed organizzatoria (art. 104) della magistratura.
Corte Costituzionale (art. 134 Cost.)
Composta da 15 giudici eletti per 9 anni, giudica sulle controversie relative alla legittimità
costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni; giudica
sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato, e su quelli tra lo Stato e le regioni, e tra le
Regioni; giudica sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica.
N.B. In questo panorama di organi costituzionali viene trascurato completamente il
PARLAMENTO (composto dalla Camera dei deputati e dal Senato della Repubblica) al quale è
riservato il potere legislativo e che non è rilevante ai fini dello studio del diritto amministrativo.
IL CONSIGLIO DI STATO
E’ previsto dall’art. 100 della Costituzione, ma è uno fra gli organi più antichi del nostro
ordinamento (risale al 1865, legge n. 2248, allegato E). E’ organo di rilievo costituzionale,
complesso, organizzato in 6 sezioni (con 18 presidenti di sezione e 82 consiglieri), che fa parte
del potere giurisdizionale: infatti svolge funzioni giurisdizionali amministrative di secondo
grado, oltre a funzioni di consulenza generale in materia giuridico-amministrativa. La legge
127/1997 ha istituito una nuova sezione consultiva per l’esame degli schemi di atti normativi
per i quali il CdS è tenuto a dare o è richiesto del parere.
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Nell’esercizio della funzione consultiva il CdS esprime pareri in materia giuridicoamministrativa sia sotto il profilo della legittimità che sotto quello del merito. I pareri del CdS
possono essere:
a)
facoltativi: sono quelli che la P.A. ha facoltà di chiedere se lo ritiene opportuno, senza
essere obbligata. Sono sempre facoltativi i pareri richiesti dalle regioni e non sono mai
vincolanti;
b)
obbligatori: sono quei pareri che la P.A. deve chiedere al Consiglio, in base a norme
giuridiche e in casi determinati (per l’emanazione di atti normativi e testi unici; per le decisioni
sui ricorsi straordinari al Capo dello Stato; sugli schemi generali di contratto-tipo).
I pareri obbligatori si distinguono in vincolanti e non vincolanti, a seconda che la P.A. sia
tenuta a seguirli in sede di emanazione dell’atto in ordine al quale ha chiesto il parere, oppure
possa discostarsene.
Per le competenze giurisdizionali si fa rinvio alla giustizia amministrativa.
LA CORTE DEI CONTI
Altro organo di rilevanza costituzionale preesistente alla Repubblica, istituito nel 1862.
L’articolo 100 della Costituzione ne stabilisce i compiti principali: esercita il controllo
preventivo di legittimità sugli atti del Governo e anche quello successivo sulla gestione del
bilancio dello Stato; partecipa al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo
Stato contribuisce in via ordinaria. L’art. 103 attribuisce alla Corte la giurisdizione nelle
materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge. Opera in veste neutrale ed
obiettiva nell’interesse generale della comunità e a tutela della finanza pubblica.
Organizzazione e funzionamento della Corte dei Conti sono stati modificati dalle leggi n. 19 e
n. 20 del 1994: attualmente la CdC si articola in numerose sezioni con compiti di controllo di
legittimità e in sezioni giurisdizionali centrali e periferiche.
Controllo preventivo di legittimità: la CdC verifica che gli atti sottoposti al suo controllo
rispettino le norme del diritto oggettivo e siano esenti da vizi di legittimità (incompetenza,
eccesso di potere, violazione di legge). Il controllo incide sull’efficacia degli atti. Il controllo
positivo si esercita con il visto e la registrazione. La legge del 1994 ha fortemente ridotto il
numero degli atti assoggettabili al controllo preventivo (tra cui: provvedimenti emanati a
seguito di deliberazione del Consiglio dei Ministri; atti con rilevante incidenza sul bilancio).
Controllo successivo di legittimità: in base alla legge del ’94 sono fatti salvi soltanto i controlli
successivi previsti dalla riforma del pubblico impiego. La Corte esercitava, inoltre, un controllo
di vigilanza sulla riscossione delle pubbliche entrate e sulle gestioni degli agenti dello Stato.
In base all’art. 7 della legge n. 131 del 2003 (legge La Loggia) la CdC verifica il rispetto degli
equilibri di bilancio di comuni, province, città metropolitane, regioni, con riferimento al patto
di stabilità interno e ai vincoli derivanti dall’appartenenza alla CE.
LE CONFERENZE PERMANENTI
Fondamentale funzione dello Stato in un ordinamento pluralistico che riconosca e tuteli le
autonomie locali è quella della concertazione delle decisioni di interesse regionale e locale
con gli enti direttamente interessati (regioni, province, comuni e altri enti locali). Le
Conferenze permanenti sono state create a questo scopo: sono organi collegiali con funzioni
consultive e decisionali, composte di rappresentanti dello Stato, delle regioni e degli enti locali.
Sono state istituite nell’ottica del regionalismo cooperativo, e in adesione al principio di leale
collaborazione affermato in numerose sentenze della Corte costituzionale e poi inserito nella
Costituzione all’art. 120 Cost.
Tale principio è finalizzato a superare la rigidità della ripartizione delle competenze esistenti
in capo agli enti chiamati a cooperare tra loro in determinati settori, affinché le rispettive
funzioni si svolgano nel modo più efficiente e coordinato possibile.
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Il ruolo di concertazione di tali istituti è stato evidenziato dall’ultimo comma dell’art. 8 della
legge 131/2003 in virtù del quale il Governo può stipulare intese in sede di conferenza StatoRegioni o di Conferenza Unificata, al fine di armonizzare le rispettive legislazioni o il
raggiungimento di posizioni unitarie o il conseguimento di obiettivi comuni.
La Conferenza Stato-Regioni è stata istituita nel 1983 con ruolo consultivo; è stata potenziata
dal D.lgs. 281/97 e riorganizzata con l’attribuzione di nuove competenze alla Conferenza Statocittà e autonomie locali, con l’istituzione anche della Conferenza Unificata.
Organi di rappresentanza governativa.
PREFETTO – E’ organo periferico dell’amministrazione statale con competenza generale e
funzioni di rappresentanza governativa a livello provinciale, ma che esercita anche funzioni
amministrative attinenti a tutti i settori dell’amministrazione statale. Burocraticamente dipende
dal Ministro dell’interno. Funzioni: rappresenta il governo a livello provinciale; sovrintende
alle residue funzioni amministrative esercitate dallo Stato; vigila sulle autorità amministrative
operanti nella provincia; è autorità di pubblica sicurezza (nelle province ordinarie); coordina la
protezione civile; svolge funzioni in materia elettorale; esercita le funzioni del Ministero
dell’interno nei confronti degli enti locali; svolge funzioni in materia di illeciti amministrativi;
interviene nelle politiche sociali e del lavoro.
Con l’art. 10 della legge n. 131 del 2003 è stata creata la figura del Rappresentante dello
Stato per i rapporti con il sistema delle autonomie, alla quale sono stati attribuiti tutti i
compiti di raccordo tra lo Stato e le regioni: la carica è ricoperta dal Prefetto. Tali compiti
sono:
a)
cura le attività dirette ad assicurare il rispetto del principio di leale collaborazione tra
Stato e Regione, nonché il raccordo tra le istituzioni dello Stato al fine di garantire la
rispondenza dell’azione amministrativa all’interesse generale;
b)
informa tempestivamente il Presidente del Consiglio in tutti i casi in cui si palesi la
necessità di una pronuncia della Corte Costituzionale;
c)
promuove l’attuazione delle misure di coordinamento tra Stato e autonomie locali;
d)
cura l’esecuzione dei provvedimenti che il Consiglio dei Ministri emana in caso di
attuazione del potere sostitutivo;
e)
verifica l’interscambio di dati ed informazioni rilevanti sull’attività statale, regionale e
degli enti locali.
SINDACO – Riveste una doppia veste giuridica: oltre alle attribuzioni che gli sono proprie
quale capo e rappresentante dell’ente locale, egli è anche titolare di varie funzioni statali che
esercita in qualità di “Ufficiale del Governo”, nei limiti territoriali del proprio comune. Fra le
funzioni in questione rivestono particolare importanza l’anagrafe, lo stato civile e i
procedimenti elettorali.
AUTORITA’ INDIPENDENTI
Il passaggio dallo stato liberale allo stato sociale di diritto ha determinato la frammentazione
del potere politico in una pluralità di organi ed enti che si affiancano a quelli dello Stato dando
vita ad un nuovo modello di amministrazione policentrica e multiorganizzata.
Aumentando i compiti dello Stato (> fini secondari o di progresso) sono aumentati gli enti
pubblici diversi dallo Stato e dotati di autonoma personalità giuridica (parastato) oltre che di
aziende autonome e imprese a partecipazione statale, sempre sotto il controllo ministeriale.
Negli anni più recenti si è verificato un nuovo fenomeno: l’istituzione di nuove entità
amministrative, libere da legami che ne possano condizionare l’operato: le autorità
indipendenti, perché l’organizzazione dello Stato si è rivelata inadeguata a gestire
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problematiche e materie caratterizzate da un notevole tasso di tecnicismo.
L’istituzione di autorità indipendenti risponde, quindi, ad una esigenza di autonomia ed
imparzialità, mediante lo scorporo dal governo degli interessi rientranti nei settori “sensibili”
(es. tutela del risparmio, privacy, pluralismo radiotelevisivo), nella convinzione che la cura di
certi settori debba essere assunta da organismi che agiscono in veste neutra per il
perseguimento dell’interesse obiettivo dell’ordinamento.
L’effettiva autonomia delle autorità indipendenti è direttamente proporzionale al grado di
indipendenza dei suoi vertici: le leggi istitutive prevedono regole e criteri che limitano la
discrezionalità del Governo nella nomina. Altra garanzia di indipendenza: limitata revocabilità,
e limitata o nulla rinnovabilità della carica. Il Governo non ha poteri di controllo né di direttiva
sulle autorità indipendenti. C’è un limitato controllo sugli organi, con la possibilità di revocarne
il mandato in caso di ripetute violazioni. Tutte le A.I. sono tenute a trasmettere annualmente al
Parlamento una relazione dell’attività. Poteri: ispettivi e di indagine (chiedere notizie e
informazioni; esaminare atti e documenti); di sollecitazione, raccomandazioni e proposta;
alcune hanno veri e propri poteri sanzionatori; molte hanno poteri decisori, di decidere sulle
controversie rientranti nella competenza dell’autorità indipendente.
L’attribuzione della potestà regolamentare costituisce l’aspetto più significativo
dell’indipendenza delle autorità in questione, traducendosi nel riconoscimento della possibilità
di determinare direttamente le modalità di espletamento dell’attività di regolazione e controllo
dei settori alla cui salvaguardia le stesse sono preposte, tanto attraverso l’emanazione di
regolamenti aventi ad oggetto la propria autoorganizzazione, quanto per via di regolamenti
volti a disciplinare all’esterno singoli ambiti di operatività.
DIFENSORE CIVICO
Istituito da numerose regioni e comuni (ex art. 11 D.lgs. 267/2000) è organo monocratico,
modellato sull’Ombudsman svedese, dotato di poteri di ispezione e di intervento che ha la
funzione di assicurare il regolare svolgimento delle pratiche dei cittadini verso la P.A. presso la
quale opera. Il Difensore civico svolge quindi un’attività tutoria dell’interesse al buon
andamento e all’imparzialità della pubblica amministrazione, sancito dall’art. 97 perché
il suo intervento a tutela degli interessi legittimi, ma anche di mero fatto, dei privati
cittadini si riflette automaticamente sull’efficienza e sull’efficacia della P.A.
L’intervento viene richiesto attraverso un ricorso, profilandosi un nuovo tipo di ricorso
amministrativo regionale o comunale.
Il Difensore civico può promuovere l’azione disciplinare contro i preposti agli uffici che
ostacolino con atti e omissioni lo svolgimento della sua azione.
L’art. 15 della legge n. 340 del 2000 estende la facoltà di ricorrere al difensore civico, oltre
che al TAR, quando venga rifiutata la richiesta di accesso agli atti. Se il D.C. ritiene
illegittimo il diniego, informa la P.A. che deve pronunciarsi entro 30 giorni dalla
comunicazione, altrimenti l’accesso s’intende consentito. Il Difensore civico ha una
competenza particolare nella tutela dei diritti dei minori e anche in materia di tutela
dell’ambiente.
Altre autorità indipendenti: la legge n. 481 del 1995 ha istituito due autorità di regolazione dei
servizi di pubblica utilità: una per l’energia elettrica e il gas, l’altra per le telecomunicazioni.
C’è poi l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (l. 249 del 1997) erede del Garante
per la radiodiffusione e l’editoria; c’è l’Autorità Antitrust, garante della concorrenza e del
mercato, istituita con legge n. 287 del 1990. Altre autorità indipendenti sono: il Garante per la
protezione dei dati personali (l. 675/96); la Consob, istituita nel ’74 che ha funzione di
regolamentazione e di vigilanza sul mercato dei valori mobiliari, allo scopo di tutelare il
risparmio diretto all’investimento azionario; l’ISVAP istituito nel 1982 (Istituto Superiore per
la Vigilanza sulle assicurazioni).
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